Vai ai contenuti


REGISTRAZIONE ♫ AUDIO

5° COMANDAMENTO NON UCCIDERE

Quinto comandamento: «Non uccidere» (Libro dell’Esodo 20,13).
La vita è il dono più prezioso che il Signore ha dato all’uomo. Gli è stata affidata, come un capitale da investire, per produrre frutti di vita eterna (Parabola dei talenti: Vangelo di Matteo 25,14-30). La vita ha un valore immenso che solo l’uomo terreno possiede, non gli angeli celesti privi di corpo. Attraverso il tempo della prova l’uomo ha la possibilità di guadagnarsi l’eternità della gloria.

Solo Dio ha il potere sulla vita e sulla morte. Uccidere è una mancanza di giustizia e di amore, sia nei riguardi del Padre che ama le sue creature, sia nei riguardi delle creature che sono amate dal Padre. Dice il Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Libro di Geremia 1,5); declama il Salmo 138:
«Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno» (Salmo 138,15-16); insegna il Catechismo: «Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2258). Uccidere è mancare all’amore. Mancanza di amore verso Dio, al quale viene tolto il diritto esclusivo su ogni vita. Mancanza di amore verso il prossimo, uccidendolo corporalmente, moralmente o spiritualmente. Mancanza di amore verso se stessi, privandosi della grazia: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come qualunque genere di omicidio, genocidio, aborto, eutanasia e il suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, il tentativo di violentare perfino gli animi; tutto ciò che offende la dignità personale; tutte queste cose e altre simili sono vergognose e, mentre degradano la civiltà umana, deturpano più quelli che così si comportano che coloro che subiscono l’ingiustizia, e sono gravemente contrarie all’onore del Creatore» (Concilio Vaticano II, La Chiesa nel mondo contemporaneo 27,3).

«Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Vangelo di Matteo 5,22). Non si uccide solo nel corpo, ma anche nel morale. Si uccide con la maldicenza, quando si infrange la stima di una persona e si rovina il suo buon nome.

Si uccide con la calunnia, con l’odio, l’invidia, la beffa, il disprezzo, l’inganno, l’offesa, la condanna, lo spergiuro, la critica, la derisione, il dispetto, la vendetta, la superbia, la cattiveria, l’ira, il tradimento, l’abbandono, l’omertà: «Dall’interno, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Vangelo di Marco 7,21-23).

Dio ci chiederà conto della vita altrui: «Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello» (Libro della Genesi 9,5). Non uccide solo la spada, ma anche il “veleno”. Chi non ama resta nella morte, ossia nel peccato, perché il peccato, in tutte le sue forme, è odio. Il figlio che non rispetta i genitori e li opprime di pretese e di egoismo, colui che nuoce al suo prossimo con la violenza, il furto, la calunnia, l’adulterio, è omicida. Non occorre uccidere per essere omicida. Anche chi fa morire di vergogna o di dolore, anche chi porta le anime alla disperazione per azioni che levano loro pace e fede e onore e stima, e mezzo di lavorare, e vivere, e far vivere ai suoi famigliari; anche chi porta con la sua ferocia sanguinaria o con la sottile persecuzione morale a disperare di Dio e a morire odiandolo, sono omicidi dei fratelli, ed è come tentassero di uccidere Dio, in una nuova Crocifissione (Lettera agli Ebrei 6,6), perché Dio è nei fratelli nostri e i nostri fratelli sono in Dio di cui sono figli.

E l’omicida dei fratelli, colui che odia i fratelli materialmente o moralmente, o spiritualmente, non colpisce essi solo, ma colpisce, attraverso essi, Dio, e come tutti i deicidi è un morto.

Uno dei più gravi peccati contro il quinto comandamento è l’aborto. Esso, come l’adulterio, non grava solo sulla coscienza di chi lo commette, ma anche sulla volontà di chi lo provoca, donna o uomo. L’aborto è tanto grave, perché non solo si infierisce su una vita innocente, ma anche su chi non può difendersi.
L’aborto è peccato di omicidio, di superbia, di avarizia, di lussuria, di ira, di gola, di invidia, di accidia: tutti i sette vizi capitali sono presenti in questa grave piaga sociale. Superbia, perché non si rispetta la parola di Dio. Avarizia, perché si pecca di egoismo. Lussuria, perché si manca alla castità. Ira, perché si fa del male a chi è innocente e indifeso. Gola, perché si è ingordi di piacere. Invidia, perché si brama la libertà e il godimento altrui. Accidia, perché non ci si impegna nella virtù.

Vi è un solo modo per non avere il peso di una gravidanza indesiderata senza offendere Dio, se stessi e gli altri: rimanere casti. Guai a chi unisce lussuria ad omicidio! Se Dio sarà benevolo verso chi cede per debolezza alla passione carnale, non lo sarà verso chi è cattivo contro un innocente. Il sangue del giusto, infatti, reclama giustizia al cospetto di Dio (Libro della Genesi 4,10). È un peccato che grida vendetta al cielo: «Vendicherò il loro sangue, non lo lascerò impunito» (Libro di Gioele 4,21).
La vita è un diritto inviolabile: «La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento.

Dal primo istante della sua esistenza, l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2270).

L’anima si congiunge alla carne nel momento in cui nasce una vita umana, perciò l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto! (Vangelo di Marco 10,9). Se uomo e donna hanno sbagliato, concependo un figlio indesiderato dalla loro passione, non deve subirne le conseguenze il nascituro. Nemmeno quando non vi è alcuna colpa nella donna, come nel caso della violenza carnale. Il Signore tiene conto delle giuste motivazioni, ma la vita è sacra e la persona intoccabile. Fare una scelta di amore è sempre la via migliore: chi sceglie l’amore, amerà la sua scelta. Dopo una breve difficoltà troverà la pace e lo sguardo benevolo di Dio.

Ma se l’aborto non dev’essere assolutamente fatto quando il bambino è già in formazione avanzata, nemmeno dovrebbe essere provocato con quei sistemi che interrompono la gravidanza nei suoi primi istanti, come la spirale, la pillola del giorno dopo o altre tecniche e sostanze che interrompono la gestazione. Andare contro natura è un’azione che prima o dopo provoca pena.
Fare violenza ad una vita umana è una colpa mortale che addolora molto il Signore.

Anche il suicidio è un grave peccato contro la vita. È un’offesa a Dio, al prossimo e a se stessi. Dice il Catechismo: «Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel’ha donata. È lui che ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo gli amministratori, non i proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare ed a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2280-2281). Amare la vita - dono di Dio - è un dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide; poiché colui che uccide manca alla carità di prossimo, ma può avere l’attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro se stesso e contro il Creatore che ha dato la vita per essere vissuta fino al suo richiamo. Il suicida dispera di avere un Padre e un Salvatore, nega la risurrezione e la vita eterna, nega ogni verità di fede: nega Dio. Può avere l’attenuante di una pazzia improvvisa, di una tremenda depressione, di uno stordimento provocato da alcool, droga, farmaci, o di altre gravi circostanze, ma ciò non può mai giustificare un atto così estremo.

Fin che il Signore ci dona la salute non bisogna sciuparla con vizi, imprudenze e intemperanze. Essa è un dono da salvaguardare e da sfruttare per fare il bene: «La vita e la salute fisica sono beni preziosi donati da Dio. Dobbiamo averne ragionevolmente cura, tenendo conto delle necessità altrui e del bene comune» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2288). Anche il fumo, l’alcool, la gola, il troppo o il poco cibo, il letto, la poltrona, la droga, molti vizi corporali, il divertimento malsano, lo sport estremo, possono essere una forma di suicidio. La stessa imprudenza nella guida è una mancanza contro la vita propria e degli altri. Mantenere una velocità moderata, una giusta distanza di sicurezza, una tranquillità di guida, un’attenzione costante, è un dovere di carità e di rispetto dei diritti altrui. Non bisogna mai aver fretta: è meglio perdere un minuto nella vita che la vita in un minuto. Come raccomanda San Paolo, bisogna essere temperanti in tutto (Prima Lettera di Paolo ai Corinti 9,25), poiché di vita ce n’è una sola e quando è finita non ce ne sarà più un’altra. Essa è un capitale immenso che non bisogna sprecare. Un tesoro da custodire con amore e intelligenza, perché è uno strumento unico e irripetibile per meritarci la vita eterna: «Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità» (Lettera di Paolo ai Romani 2,6-7). L’unico modo ammesso di perdere la propria vita è quello di trovarla vivendola per il Signore: «Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Vangelo di Matteo 10,39).

Un altro peccato contro il quinto comandamento, che si sta sempre più allargando nella società moderna, è l’eutanasia. È un’azione che tende a provocare la morte in un soggetto destinato a morire, allo scopo di porre fine al dolore.
Può essere attiva o passiva. È attiva, quando si provoca la morte con l’iniezione di un veleno o con altri metodi indolori. È passiva, quando si tolgono dal paziente quelle cure o quegli strumenti che lo mantengono vivo. In entrambi i casi, specie nel primo, non è ammessa dalla morale cristiana, perché la vita è un dono di Dio e noi dobbiamo fare il possibile per evitare la morte.
L’eutanasia, fatta soprattutto sugli anziani, costituisce un’offesa gravemente contraria alla dignità della persona e al rispetto del Dio vivente, Signore della vita (Catechismo della Chiesa Cattolica 2277). La vita è sacra ed è nelle mani di Dio. Anche se tutto sembra supporre una morte certa, poiché non c’è più speranza di guarigione, ricordiamo che Dio può compiere miracoli. Inoltre la sofferenza, per il cristiano, costituisce un prezioso strumento di espiazione personale e di santificazione universale. Tuttavia anche l’accanimento terapeutico, cioè l’esagerazione di mezzi e metodi per prolungare un respiro, facendo molto soffrire il moribondo, potrebbe sempre non essere una scelta appropriata. In alcuni casi evidenti è forse meglio che la malattia faccia il suo corso e rimettersi alla volontà di Dio. Chi ha permesso la malattia potrebbe toglierla, anche senza il nostro intervento.

Oltre a quella corporale e morale, vi è anche un’altra vita che non bisogna violentare: quella dello spirito. Il delitto contro lo spirito avviene quando uno uccide la propria anima o quella altrui
con la colpa mortale, annullando la grazia che ci rende figli di Dio.
È questa una perdita senza misura (Vangelo di Marco 8,36-37), che se è ostinata e persistente non può essere perdonata né in questo mondo, né nell’altro (Vangelo di Marco 3,29; Prima Lettera di Giovanni 5,16-17). Non è un delitto contro lo spirito quello che fa il peccatore che uccide con la colpa mortale la propria anima, o la ferisce indebolendola continuamente con le colpe veniali?
L’atteggiamento che causa la perdita della grazia negli altri e li induce a compiere il male, si chiama “scandalo”. È una forma di omicidio, perché attenta alla virtù e alla rettitudine delle persone, deviandole dalla santità (Catechismo della Chiesa Cattolica 2284). Gesù dice: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali!
È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Vangelo di Matteo 18,6-7).

SITO in ALLESTIMENTO
Eventuali violazioni ai DIRITTI d'AUTORE, se DEBITAMENTE SEGNALATE a ezio1944@gmail.com - VERRANNO IMMEDIATAMENTE RIMOSSE
Torna ai contenuti