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COLUI CHE PARLA DAL FUOCO

Dal cielo ti ha fatto udire la sua voce per educarti; sulla terra ti ha mostrato il suo grande fuoco e tu hai udito le sue parole di mezzo al fuoco. Dt. 4, 36

LETTERA DEL CARD. PACELLI pag.7
Aprile 1938
Reverenda Madre,
Non dubito affatto che il Sacro Cuore di Gesù non debba gradire la pubblicazione di queste pagine tutte piene del grande amore ispirato dalla sua grazia all'umilissima sua serva sorella Maria Josefa Menéndez; possano esse contribuire efficacemente a suscitare in molte anime una confidenza sempre più piena e più amorosa nell'infinita misericordia di quel Cuore divino verso i poveri peccatori, come tutti noi siamo. Questo il voto che formo benedicendo Lei e tutta la Società del Sacro Cuore.
E. Card. PACELLI
Testo della lettera con la quale l'allora Card. Pacelli si degnava dare l'approvazione e benedire la prima edizione dell'Invito all'Amore, approvazione che confermò per l'edizione completa quando divenne Pio XII.

«... La sorgente della pura contemplazione, principio intimo e propulsore d'ogni vita spirituale, deve essere mantenuta perfettamente libera o di nuovo purificata.
A fianco di Teresa di Lisieux e di Charles de Foucould si ergono oggi le grandi anime oranti di Antonietta de Geuser, Elisabetta della Trinità, Josefa Menéndez, Edith Stein...».
«... Penso che Josefa Menéndez insegni a pregare, ad offrirsi totalmente in uno slancio ardente di amore...».
HANS URS VON BALTHASAR




SUOR JOSEFA MENENDEZpag.11

Il 29 dicembre 1923 moriva santamente, a 33 anni, nella casa dei Feuillants a Poitiers, Josefa Menéndez, umile sorella coadiutrice della Società del Sacro Cuore, dopo solo quattro anni di vita religiosa trascorsi nel più oscuro nascondimento. Si sarebbe detto che il mondo dovesse ignorarla del tutto, e che non le sarebbe stato concesso se non il fuggevole ricordo delle consorelle; ma ecco che, dopo 40 anni dalla morte, il nome suo risuona nel mondo, e, dall'estremità dell'America, dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania, la si invoca con fervore e si ascolta con rispettoso raccoglimento il Messaggio che, per comando divino, ella doveva trasmettere agli uomini. Nel 1938, sotto il titolo «Invito all'Amore », l'Apostolato della Preghiera di Tolosa fece conoscere, nella parte sostanziale, il Messaggio del Cuore di Gesù, e l'allora Card. Pacelli, in una lettera di prefazione, si degnò raccomandare a tutti la lettura di quelle pagine. Dopo 5 anni venne chiesta, con insistenza, la biografia completa di Sorella Josefa. Si voleva conoscere, in tutti i particolari, una vita tanto umile e meravigliosa, svoltasi in una cerchia oscura e ristretta, che faceva ancor più risaltare la potenza dell'azione divina.
La seconda edizione, molto completa, sembra rispondere a tali desideri. Fu compilata sulle note stesse tracciate per obbedienza, giorno per giorno, da Sorella Josefa, note che, controllate dai testimoni della vita di lei - la Superiora e l'Assistente della Casa di Poitiers, e il Rev. Padre Boyer O. P., suo direttore, - offrono piena garanzia di veridicità. Senza dubbio, si aprirà il volume con curiosità, lo si scorrerà con commossa ammirazione e lo si chiuderà risoluti a diventar migliori e ad amare una buona volta quel Dio che manifesta per le sue creature un amore sconfinato.
Tutto in esso parla della prodigiosa provvidenza del Cuore divino per l'uomo. Già nella S. Scrittura, soprattutto nei Salmi, ci si presenta Iddio intento a vigilare sulle creature umane, quasi scrutasse ad una ad una le loro azioni ed i loro minimi gesti di adorazione. Inclinato, fin dall'inizio del mondo, con paterno amore, sui figli ribelli, parla loro con la voce dei prodigi e delle profezie, fino al giorno in cui incarnatosi Egli stesso nel seno di Maria Vergine, assume la nostra umanità e viene a dire agli uomini, con lingua umana, quant'è infinito l'amore del suo Cuore. Gesù Verbo incarnato, trasmise agli uomini nella sua integrità il Messaggio ricevuto dal Padre: «Omnia quaecumque audivi a Patre meo, nota feci vobis» (Io., XV, 15). Niente potrà essere aggiunto a ciò che disse Gesù e, alla morte di S. Giovanni, ultimo degli Apostoli, la rivelazione divina fu chiusa e sigillata.
Nel corso dei secoli non si potrà fare altro che commentarla, ma è un tesoro senza fondo, e gli uomini, generalmente così disattenti e superficiali in fatto di scienza religiosa, con difficoltà sanno penetrare tutta la profondità del Vangelo. Perciò, come altra volta nell'antica legge Dio inviava i profeti a ravvivare la fede e la speranza del popolo eletto, così Cristo, di tempo in tempo, nella legge nuova, suscita anime a cui affida la missione di spiegare agli uomini le sue autentiche parole, e di rivelarne la nascoste profondità.
Nell'alba di Pasqua il divino Trionfatore incaricò Maddalena di portare agli Apostoli l'annunzio della sua resurrezione, e, poi nel corso dei secoli, sarà spesso a povere ed umili donne che Gesù chiederà di trasmettere al mondo i suoi divini voleri. Basta citare Santa Giuliana de Montcornillon, ispirata da Dio a fare istituire nella Chiesa la festa del Corpus Domini ed a ravvivare il culto eucaristico; S. Margherita Maria che ebbe l'insigne missione di affermare nel mondo la devozione al Cuore di Gesù con ardore nuovo e con concetto di più alta portata; S. Teresa del Bambin Gesù che ricordò agli uomini, immemori, il merito ed il valore dell'infanzia spirituale. Così è stato per Sorella Josefa.
Le tre prime, con la canonizzazione hanno già ricevuto dalla Chiesa il riconoscimento ufficiale della loro missione; Sorella Josefa, che non ha ricevuto ancora questo onore, aspettando d'essere loro sorella nella gloria, è loro sorella nella grazia dei privilegi, essendosi Dio compiaciuto di confermare la testimonianza di lei. Egli, che tratta le sue creature col massimo rispetto «cum magna reverentia disponis nos» (Sap., 12, 18) si riserba il potere di contrassegnare i suoi inviati, affinché siano riconosciuti come portavoce della divina parola. Le sue vie non sono le nostre vie, né i suoi pensieri i nostri pensieri; e per mostrare più chiaramente che tutto viene da lui, soltanto da lui, sceglie deboli strumenti, umanamente disadatti ad opere grandi, ma fa trionfare la sua forza nella loro debolezza.
«Non ha cercato, dice San Paolo, per stabilire la Sua Chiesa, né i sapienti, né i grandi del mondo». Si sarebbe potuto attribuire la rapida diffusione del Cristianesimo alla loro alta intelligenza o al loro prestigio. Scelse invece degli ignoranti, dei poveri, appartenenti al popolo minuto, e ne formò dei vasi di elezione. Affinché poi la grandezza della missione non li affascinasse e li tentasse di orgoglio, li collocò continuamente in faccia al loro nulla, all'impotenza e alla debolezza del loro essere. I doni divini trovano sicura custodia solo nelle anime veramente umili.
Questa è la via della Provvidenza. Sul nulla Dio eleva la sua gloria. «Se avessi potuto trovare una più misera di te, disse a S. Margherita Maria, avrei scelto lei...». Sorella Josefa intenderà spesso le medesime parole: «Se avessi potuto incontrare una creatura più misera di te, avrei fissato su lei il mio sguardo d'amore, e per suo mezzo avrei manifestato i desideri del mio Cuore. Non avendola trovata, ho scelto te» (7 giugno 1923).
E di lì a poco aggiungerà: «Riguardo a te, ti ho scelta come un essere inutile, sprovvisto di tutto, affinché sia proprio Io, Colui che parla, che chiede, che agisce» (12 giugno 1923). Nulla pareva designare Josefa ad una simile missione. I ritardi che si erano frapposti all'attuazione della sua vocazione e che avrebbero potuto far dubitare, a prima vista, della sua forza di volontà, l'umile posto occupato nel suo Istituto, la condizione di semplice novizia, l'ombra in cui si trovava avvolta sia per il suo amore alla vita nascosta che per l'abituale difficoltà di esprimersi in francese, sembravano ostacoli insuperabili. Ed era, invece, proprio quello il contrassegno divino. L'umile, oscura novizia che, per l'eccessiva sensibilità era apparsa tanto fragile all'inizio della vita religiosa, divenne poi di una forza invincibile.
Nelle abbaglianti rivelazioni divine saprà rifugiarsi nel suo nulla e tanto più si abbasserà quanto più Gesù si accosterà a lei. Nonostante l'evidenza dell'azione di Dio, Josefa temerà sempre di essere ingannata e d'ingannare gli altri. Le sue Superiore non avranno figlia più sottomessa, più docile, più rispettosa dell'autorità, più desiderosa di controllo, più pronta a sacrificarsi. Nella sua pietà, nell'aspetto, nel modo di fare, niente di esagerato, tutto appariva semplice e spontaneo.
Il suo temperamento morale, perfettamente sano, aveva il senso della misura e dell'ordine. Il divino che agiva in lei e di cui sentiva, specialmente in certe ore, il peso e gli inesprimibili tormenti, non alterava affatto il suo interno equilibrio. Tutto ciò, unito all'eroica pazienza nel sopportare patimenti che oltrepassavano il limite delle sue forze, furono, per le sue Superiore, la migliore garanzia dell'azione di Dio. «Il segno lo darò in te». Sul principio, tanto la Superiora che il Direttore si mostrarono prudentemente riservati e diffidenti, ma infine dovettero arrendersi all'evidenza dei fatti, e credere alla Missione dell'umile Sorella.

LA MISSIONE DI JOSEFA ♦ pag.15

Nostro Signore gliela rivelò gradatamente. Più volte Egli le aveva detto che si sarebbe servito di lei «per realizzare i suoi disegni» (9 febbraio 1921) e «per salvare molte anime che gli erano costate tanto care» (15 ottobre 1920). Il 24 febbraio 1921, di sera, all'ora santa l'invito viene ripetuto in maniera più esplicita: «Il mondo non conosce la misericordia del mio Cuore, dice Gesù a Josefa. Voglio servirmi di te per farla conoscere... ti voglio apostola della mia bontà e della mia misericordia. T'insegnerò che cosa ciò significhi; tu dimenticati». E siccome Josefa esponeva i suoi timori: «Ama e non temere di nulla. Voglio ciò che tu non vuoi, ma posso ciò che non potrai. A te non tocca scegliere, ma abbandonarti».
L'11 giugno 1921, pochi giorni dopo la Festa del S. Cuore, in cui aveva ricevuto numerose grazie, Nostro Signore le disse: «Ricorda le mie parole e credile; l'unico desiderio del mio cuore è d'imprigionarti, possederti nel mio amore, fare della tua piccolezza e fragilità un canale di misericordia per molte anime che si salveranno per mezzo tuo. In avvenire ti rivelerò gli ardenti segreti del mio cuore che serviranno al bene di un gran numero di anime. Desidero che tu scriva e che tu conservi le mie parole; verranno lette quando tu sarai in cielo. Non sono i tuoi meriti che mi inclinano a servirmi di te, ma voglio che le anime vedano come la mia potenza adopera strumenti poveri e miseri».
Siccome Josefa gli domandava se dovesse dire anche questo alla sua Superiora, Gesù rispose: «Scrivilo, lo si leggerà dopo la tua morte». Così il disegno di Dio va delineandosi sempre più. Egli sceglie Josefa come vittima per le anime, specialmente per le anime consacrate e, nello stesso tempo, la vuole banditrice al mondo del suo Messaggio di misericordia e di amore. La sua missione è duplice: deve essere vittima e messaggera; doppia missione strettamente collegata. Ella è vittima perché messaggera, e come messaggera deve essere vittima.

La Vittima ♦ pag.16

Una vittima è essenzialmente un'immolata e, generalmente un'espiatrice. Benché si possa, a rigore di termini, offrirsi a Dio come vittima, per dargli gloria e gioia coi sacrifici volontari, tuttavia il Signore suole mettere su questa via solo le anime scelte da Lui come mediatrici, destinate a soffrire ed espiare per altri, per attirare, con la loro immolazione, grazie di misericordia e di perdono e per coprire i loro peccati agli occhi della giustizia. Va da sé che non possiamo ingerirci, di propria iniziativa, in un'impresa simile. Per interporci tra Dio e la creatura, occorre il consenso divino.
Che valore avrebbe l'intercessione di chi non è accetto al Signore? Già nell'Antico Testamento, non si poteva offrire a Dio alcuna vittima senza che avesse i requisiti richiesti, cioè perfetta, immacolata, offerta dal sacerdote secondo il rito prescritto. Il rito, rigorosamente osservato, indicava i sentimenti da cui dovevano essere animati l'offerente e l'immolatore. Nel Nuovo Testamento in cui il nuovo sacrificio ha sostituito gli antichi, Gesù è l'unico mediatore, l'unico Sacerdote, l'unica Vittima, e il suo sacrificio ha un valore, non più soltanto rappresentativo, ma reale e infinito. Se dunque Nostro Signore vuole associarsi altre vittime, esse dovranno immedesimarsi con lui, partecipare ai suoi sentimenti, e non potranno essere che persone umane, dotate d'intelligenza e di volontà.
Da queste persone scelte da lui, essendo libere, Egli richiede l'accettazione volontaria. In tal modo esse si mettono nelle sue mani divine, perché Egli le tratti da padrone assoluto. Immedesimata nel Cristo e trasformata in lui, l'anima vittima esprime al Padre celeste i sentimenti di Gesù Cristo, e, davanti a Cristo, i sentimenti che dovrebbero avere coloro che essa rappresenta, tenendosi in stato di umiliazione, di penitenza e d'espiazione. In forza della sua identificazione con Gesù, ella parteciperà da vicino alla sua dolorosa passione, ne sosterrà i tormenti e le agonie in vario grado, e in maniere diverse, ma generalmente sovrumane.
Se deve espiare per peccatori singolarmente designati, subirà le giuste pene dei loro delitti: malattie, prove di ogni sorta e, talora, anche le persecuzioni del demonio, di cui diviene zimbello. Ciò avvenne, in modo specialissimo, a Sorella Josefa. Ella è vittima per il desiderio espresso di Nostro Signore, e lo sarà in modo assoluto, non soltanto riguardo a tutto il suo essere, votato alla immolazione, ma altresì in tutte le modalità che comportano i diversi attributi di Dio, ai quali è distintamente offerta. S. Teresa del Bambino Gesù si offrì vittima dell'Amore misericordioso; Maria des Vallées, specialmente come vittima della divina Giustizia; S. Margherita Maria si offrì alla Giustizia ed alla Misericordia; e così avviene per Sorella Josefa, a cui Gesù affida questa missione in modo ancora più chiaro che non avesse fatto con S. Margherita Maria: «Tu sei la vittima del mio Amore» (2 ottobre 1922) (23 novembre 1920) «Del mio Amore e della mia Misericordia» (30 giugno 1921) «Io voglio che tu sia la vittima della divina Giustizia e il sollievo del mio Cuore» (9 novembre 1920).
Per tutti questi titoli ella deve soffrire: «Tu soffri nell'anima e nel corpo, perché sei la vittima dell'Anima mia e del mio Corpo. E come non soffrirai nel tuo cuore, se ti ho scelta come vittima del Cuore mio?» (19 dicembre 1920). Come vittima del Cuore di Gesù, ella soffre per consolare questo Cuore ferito dall'ingratitudine umana. Come vittima d'amore e di misericordia, soffre perché l'Amore misericordioso di Gesù possa riempire di grazia i peccatori, da lui tanto amati. Come vittima della divina Giustizia, ella porta il carico delle riprovazioni divine ed espia per tante anime colpevoli che le saranno debitrici della loro salvezza. La sua missione la mette in stato di continua immolazione. Nostro Signore non glielo nasconde. «Ama, soffri, obbedisci, le disse, e così potrò realizzare in te i miei Disegni» (9 gennaio 1921).
E il 12 giugno 1923 le conferma più chiaramente il suo pensiero: «Riguardo a te, vivrai nella più completa e profonda oscurità; ma perché sei la vittima che ho scelta, tu soffrirai e morirai inabissata nei patimenti. Non cercare né riposo, né sollievo, perché non ne troverai, avendo io così disposto. Ma il mio Amore ti sosterrà. Io non ti mancherò mai». Nostro Signore, che voleva farla tanto soffrire, le chiede precedentemente il consenso. Benché padrone assoluto, rispetta il libero arbitrio delle sue creature: «Vuoi tu?...» dice a Josefa e, vedendola perplessa, si allontana, lasciandola addolorata. Ma la Madre celeste le appare: «Non dimenticare che sei libera nel tuo amore» (3 marzo 1922).
Parecchie volte ancora Josefa tenterà di sottrarsi, e, allontanandosi Gesù, ella dovrà chiamarlo con insistenza, per ottenere da lui ciò che le aveva prima proposto. Il più delle volte ella accetta con generosità. «Mi sono offerta al suo servizio, ella dirà, perché disponga di me a suo piacere». Fin d'allora Dio sa che può far di lei ciò che vuole e glielo ripete: «Sono il tuo Dio e mi appartieni, ti sei abbandonata a me e, ormai, tu non puoi più rifiutarmi nulla». «Se non ti abbandoni alla mia Volontà, che vuoi che Io faccia?» (21 aprile 1922).
Josefa si abbandona. Come il Maestro divino, sarà una vittima volontariamente offerta. «Oblatus est quia ipse voluit». E, come Lui, sarà la vittima pura. Non si può espiare per gli altri se dobbiamo espiare per noi stessi. Dio aveva circondata Josefa, fin dalla nascita, di purezza e non si scorge, nella sua esistenza, alcuna colpa pienamente avvertita. Le sue più grandi infedeltà, come ella stessa diceva, consistevano nell'esitare di fronte ad una missione che la turbava, niente però che avesse potuto in alcun modo offuscarne il cuore e l'anima. Nostro Signore vigilava gelosamente.
«Ti voglio talmente dimentica di te, e così abbandonata alla mia volontà che non ti permetterò la più piccola imperfezione senza avvertirtene» (21febbraio 1921). Più volte, quando le chiede di porsi in stato di vittima comincia col conferirle una grazia di totale purificazione. «Adesso, Josefa, soffri per me, ma prima trapasserò l'anima tua col dardo dell'amore che la purificherà, poiché occorre che tu sia molto pura come si conviene alle mie vittime» (17 giugno 1923).
Su tale candore, la sofferenza, che deve tormentarla, non trova opera purificatrice da compiere, e riverserà su altre anime i suoi frutti salutari. Come in tutte le vere vittime, le sofferenze di Josefa avranno un duplice carattere: - come vittima scelta da Cristo stesso per continuare e compiere la sua Opera redentrice, Josefa dovrà tenersi in intima unione con Cristo Redentore e partecipare alla sua Passione, sottostando alle Sue stesse sofferenze: - come vittima di espiazione per le colpe altrui, le sue sofferenze saranno in proporzione dei peccati da espiare:


a) Partecipazione alle sofferenze di Cristo. ♦ pag.19

Soltanto la Passione di Cristo è redentrice. Per essere purificati dai peccati e salvati, occorre necessariamente mettersi a contatto col Sangue dell'Agnello immacolato. Il grido di Gesù morente è un insistente invito per tutti gli uomini, che devono affrettarsi ad accorrere alle fonti del Salvatore da cui derivano tutte le grazie! Con le anime docili a questo invito, il contatto vivificatore si stabilisce subito. Molte, purtroppo, se ne tengono volontariamente distanti. Per raggiungerle, Cristo si servirà di altre anime destinate a divenire i canali delle sue Misericordie.
Tralci più fecondi della mistica vigna, pieni di linfa vitale, perché in stretto contatto con il ceppo divino, tali anime si costituiscono solidali coi peccatori, responsabili delle loro colpe e conseguentemente unificate con essi come sono unificate col Cristo, di modo che in esse e per mezzo di esse si stabilisce il contatto della grazia: queste sono le anime vittime. Per compiere il loro ufficio, debbono essere immedesimate a Cristo Crocifisso, con il cuore palpitante all'unisono col Suo, mentre Egli ne farà sue viventi immagini, imprimendo nell'anima loro, nel cuore e nel corpo, la sua dolorosa Passione. In queste anime, Egli rinnoverà tutti i suoi misteri dolorosi; come lui, saranno contraddette, perseguitate, umiliate, flagellate, crocifisse; e, ciò che gli uomini non faranno, lo compirà Dio stesso con misteriosi dolori, agonie interiori e stimmate, si da renderle veri crocifissi viventi.
Si comprende facilmente quale potenza di intercessione e di mediazione abbiano tali anime quando implorano la Misericordia divina per i fratelli erranti, quando, in esse e per esse, s'innalza al Padre il grido di quel sangue infinitamente più prezioso di quello di Abele. Tuttavia in alcuni Santi, come per es. in S. Francesco d'Assisi sembra che la passione si fermi a loro, ed abbia come fine ultimo di renderli copie perfette del Crocifisso. In tal modo Dio risponde al loro amore ed alla loro devozione alla passione, facendoli partecipare fisicamente e moralmente ai dolori del Suo Figlio amatissimo. Per le anime espiatrici c'è di più: esse sono come espropriate a beneficio altrui; la Passione del Cristo, dopo di averle segnate col suo sigillo, passa da esse a compiere i suoi frutti di salvezza in altre anime per le quali esse espiano.
Esse sono così le portatrici della grazia del Calvario, le corredentrici nel vero senso della parola. L'amore del prossimo le spinge, e la loro missione è assai diversa da quella delle altre anime. Mentre Dio si contenta per le altre di un amore che Lo contempla e che si ferma alla gloria in tal modo tributata alla Sua infinita perfezione, alle corredentrici che Lo contemplano, Egli scopre il suo immenso Amore per le anime ed il Suo dolore per la perdita dei peccatori. Tale visione quasi spezza il loro cuore, ed il desiderio di consolare Gesù non si limita più a protestargli il loro amore, ma eccita il loro zelo, ed esse hanno bisogno di ricondurre a qualunque costo queste anime al Cristo, mentre Egli non manca da parte sua di eccitare sempre più il loro zelo. Comunica loro il suo ardente amore per le anime che esse vengono ad amare col suo stesso Cuore.
Questo amore dà loro una forza sovrumana di sopportazione che Josefa descrive assai bene: «Da una ventina di giorni l'anima mia si sente attratta a soffrire. In passato tutto mi faceva paura e quando Gesù mi diceva di avermi scelta per vittima, provavo un fremito in tutto l'essere; ora è l'opposto. A giorni soffro tanto che se Egli non mi sostenesse non potrei vivere, perché patisco in tutte le membra. Nonostante ciò l'anima mia vorrebbe sopportare ancora di più per Lui, benché la natura opponga talvolta resistenza. Quando comincio a provare questi dolori tremo e indietreggio istintivamente, ma nella volontà c 'e' una forza che accetta, che vuole, che desidera soffrire di più. Se in quel momento mi si offrisse o di andare in cielo, o di continuare a patire, preferirei mille volte restare in terra per consolare il Cuore divino, benché arda dal desiderio di unirmi a lui. Capisco che è Gesù che mi ha cambiata così...» (30 giugno1921).
Josefa ha ragione: quella forza non è sua: ma viene da Gesù, anzi è la stessa forza di Gesù che la investe, mentre Egli le comunica i Suoi sentimenti, desideri e dolori. «Siccome tu sei pronta a soffrire, Egli le dice (19 dicembre 1920), soffriamo insieme». E le dà la Sua Croce. «Gesù venne, con la Croce in spalla, e la mise sulla mia» (18 luglio 1920).
«Vengo a portarti la mia Croce, perché voglio deporne il peso su te» (26 luglio 1921). «Voglio che tu sia il mio cireneo: Mi aiuterai a portare la Croce» (23 febbraio 1922). «La mia Croce sia la tua croce» (30 marzo 1923). Quante volte le depone sulle spalle la Croce, ed ella la tiene per ore, per giornate, per notti intere! Le affida anche la corona di spine, che Josefa porta durante lunghi periodi di tempo, nei quali, come Lui, non sa dove riposare il capo, dolorosamente trafitto. «Ti lascerò la mia corona, e non lagnarti di questa sofferenza!... è una partecipazione alla mia» (26 novembre 1920). «Io stesso ti cingerò la fronte con la mia corona!» (17 giugno 1923).
Altre volte le fa sentire la trafittura del Suo Costato: «Questo dolore, le dice la Madre celeste, il 20 giugno 1921, è una scintilla che esce dal Cuore di mio Figlio; quando lo sentirai più forte, è segno che allora un'anima Lo ferisce profondamente». Vuole anche farle sentire il dolore dei chiodi nelle mani e nei piedi. «Sto per darti un'altra prova di Amore: oggi parteciperai al dolore dei miei chiodi» (16 marzo 1923). La vuole strettamente associata alle sofferenze dell'Anima Sua e del Suo Cuore.
«Tutti i venerdì, e particolarmente i primi venerdì del mese, ti farò partecipare all'amarezza del mio Cuore e tu soffrirai in maniera speciale i tormenti della mia Passione» (4 febbraio 1921). Il 10 marzo 1922 Egli le appare col volto insanguinato: «Accostati a me, le dice, riposa sul mio Cuore e prendi parte alla sua amarezza...». «Mi fece avvicinare al suo Cuore e l'anima mia fu ricolma di tale angoscia e di tale amarezza che non posso spiegarlo». E deve soffrire per gli altri come ha sofferto Gesù. «Voglio che tutto il tuo essere soffra per guadagnarmi delle anime» (21 dicembre 1920).
«C'è un'anima che Mi offende: non temere di sentirti sgomenta perché voglio che tu partecipi all'agonia del mio Cuore» (13 settembre 1921). «Porta la mia Croce fino a che quell'anima conosca la verità» (24 marzo 1923). «Prendi la mia Croce, i miei chiodi, la mia corona, mentre Io vado a cercare le anime» (17 giugno 1923). Bastano per ora questi pochi esempi, che sono abbondantissimi nel corso del libro. Come vittima espiatrice, Josefa partecipa a tutti i dolori di Gesù. Nelle sue membra, come nel suo cuore, ella porta l'impronta dell'indicibile Passione di lui. Immedesimata con Gesù Crocifisso, torturata dalle sue angosce, consumata dai suoi desideri, bruciata dalla sua sete di anime, essa si offre a tutte le riparazioni ed a tutte le espiazioni.


b. Le persecuzioni diaboliche. ♦ pag.22

Dio permette che, da ogni parte si abbattano su lei le prove più dure. Se le furono risparmiate quelle provenienti dai mali fisici (ma chi può saperlo, abituata com'era a non lagnarsi mai?) e quelle derivanti dagli uomini (la sua vita familiare e quella religiosa potrebbero apparire esenti dalle terribili contraddizioni toccate a S. Margherita Maria), per altro, ella, più di altre sante, fu data in braccio al furore di Satana. Non c'è da stupirsene.
Poche vite di Santi appaiono libere dalla persecuzione del maligno. L'avversario personale di Cristo, non potendo giungere a colpirlo nella gloria del cielo, si adopera, con tutte le risorse della sua potente attività, ad ostacolare l'opera divina nel mondo. Più un'anima è amata da Cristo, più Satana si accanisce per perderla, certo nell'orgoglioso intento di accrescere il numero dei suoi sudditi sventurati, ma soprattutto per strappare a Cristo delle anime che Egli ama e ha riscattate col suo sangue prezioso. Satana perciò prende di mira specialmente i Santi e i consacrati che vuole contaminare, sedurre e disonorare. Più di tutte detesta le anime corredentrici e perciò Josefa gli era odiosa in modo particolare.
Per amore di Gesù, essa aveva fatto gioiosamente i tre sacrifici che più costavano al suo cuore: la mamma, la sorella, la patria. Si era offerta per la salvezza dei peccatori e doveva strapparne molti dall'inferno; per questo, Satana le si drizzò contro e ne fece il suo zimbello. Dio gli lascia un potere maggiore sulle anime espiatrici, e ciò, forse, è inerente alla loro vocazione. Addossandosi i peccati altrui esse accettano di portarne le conseguenze. Coll'acconsentire al peccato, l'uomo, volente o nolente, ne abbia o meno coscienza, dà al demonio un gran potere di seduzione e di azione. In generale se ne accorge raramente, perché il demonio è sopraffino nel dissimulare per non inquietare l'anima. Rinforza le cattive tendenze e dietro di esse si nasconde per moltiplicare le occasioni di peccato ed assopire l'anima in una sonnolenza che porterà alla morte.
Ma, quando un 'anima vittima si sostituisce ad un peccatore, il demonio urta con una volontà che gli si oppone ostinatamente, e, impotente a farla cadere, se ne vendica, sfogando su di lei quel potere stesso che aveva sul colpevole. Dio permette ciò, prima di tutto perché l'esistenza del demonio, da molti messa in dubbio, apparisca evidente. Satana esiste come esiste l'inferno che si vorrebbe dimenticare o seppellire nel silenzio; è un essere vivo e reale, la cui perversa natura si rivela, in modo speciale, di fronte alle anime sante; se è tanto crudele con esse, quantunque non possa andare al di là di un dato limite, che sarà con i dannati che tiene interamente sotto di sé? Inoltre Dio vuol confondere l'orgoglio dello spirito delle tenebre.
Malgrado tutto il suo potere e il suo accanimento, non riporta vittoria sui Santi, anzi ne è pienamente sconfitto, con grande gloria dell'Altissimo. Così avvenne con Sorella Josefa. Il demonio cercherà d'ingannarla con tutti i mezzi trasformandosi in angelo di luce, e prendendo perfino l'aspetto di Gesù Cristo stesso; ma, più spesso ancora, martirizzandola si sforzerà di farla deviare da quel cammino in cui gli strappa tante anime. In questa lotta a corpo a corpo, tra l'umana debolezza e la violenza satanica, Dio interviene per aumentare la resistenza eroica dell'umile sua vittima, e le comunica un energia invincibile, capace di superare qualsiasi tentazione e qualsiasi sofferenza. La forza diabolica s'infrangerà contro la fragilità di Josefa.
Ella, il «nulla» e la «miseria», come la chiama Nostro Signore, con l'aiuto divino trionferà del «Forte armato». Ma molto dovrà sopportare. Già durante il suo postulato, il maligno l'assale con una grandine di colpi, giorno e notte, che le vengono inflitti da mano invisibile, specialmente nella preghiera e quando protesta di voler essere fedele ad ogni costo. Talora, viene strappata violentemente dalla cappella, o si trova nell'impossibilità di entrarvi. Altre volte le apparizioni del demonio si succedono sotto l'aspetto di un cane ripugnante, d'un serpente, o, ancora più terribili, in forma umana. Ben presto, nonostante l'assidua vigilanza delle Superiore, Josefa viene ripetutamente trasportata altrove.
Sotto i loro occhi essa, ad un tratto, sparisce, e la si ritrova, parecchio tempo dopo, o nel solaio, o sotto qualche mobile, o in qualche luogo deserto. In loro presenza viene bruciata senza che il demonio appaia, e si vedono le vesti di Josefa in fiamme, e sul corpo i segni delle terribili scottature. Altre volte, e questo è accaduto raramente ad altri Santi, Dio permette che il demonio la faccia scendere viva nell'inferno. Laggiù trascorre lunghe ore, talora una intera notte, in indicibili angosce. Più di cento volte discende nell'abisso, e, ad ogni discesa, le sembra di esservi entrata per la prima volta e di esservi da secoli interi! Eccetto l'odio di Dio, ella ne subisce tutti i tormenti, tra cui non è il minimo quello di ascoltare le sterili confessioni dei dannati, le grida di odio, di dolore, di disperazione.
Quando Josefa ne esce fuori, affranta e sfinita, ogni sofferenza per salvare le anime le appare ben poca cosa, e, nel tornare a contatto con la vita, il suo cuore non sa contenere la gioia di poter ancora amare! Il suo immenso amore la sostiene. Tuttavia, a volte la prova pesa estremamente su di lei. Come Gesù nell'orto, trascorre ore di amaro abbattimento e di angoscia. Testimone della perdita di tante anime, domanda a se stessa a che cosa servono le sue discese all'inferno e le atroci sofferenze che deve sostenervi. Ma presto si riprende e il coraggio non l'abbandona. La Madre celeste la soccorre: «Mentre tu soffri, l'azione del demonio su quell'anima è meno forte» (22 luglio 1921).
«Tu soffri per riposare Gesù e ciò non basta per darti coraggio?» (12 luglio 1921). Nostro Signore stesso le rivela i tesori di riparazione e di espiazione contenuti nella prova cui la sottopone (6 ottobre e 5 novembre 1922).
Dio le concede di vedere, nell'inferno le manifestazioni di rabbia del demonio, allorché gli sfuggono le anime che egli credeva di aver fatte sue, proprio quelle per le quali Josefa aveva espiato! Questi due pensieri, di consolare e riposare Gesù, e di conquistargli delle anime, sostengono ed eccitano il suo coraggio. Quantunque abbia del demonio un orrore istintivo, perché ne conosce, a sue spese, la terribile potenza e malizia, mai il timore la distoglie dal proprio dovere. In un periodo della sua vita quasi ogni giorno il demonio la trasporta altrove, mentre si reca al suo ufficio; ella prevede quell'istante e ne trema, ma non indietreggia, e ogni giorno la trova decisa ad incamminarsi là, dove il suo ufficio la vuole, senza cedere alla paura. Tuttavia, attraverso questa eroica fedeltà, quello che ci appare più ammirabile è che Josefa, sotto l'azione dei suoi timori e talora delle sue ripugnanze, si stima sinceramente una creatura ingrata e infedele, ed è costantemente persuasa di non aver fatto nulla per il Signore. Dopo nottate di indicibili tormenti, disfatta, ma non abbattuta, ella riprende, all'alba, il consueto lavoro e non accetta alcuna esenzione dalla vita comune.
Il fuoco del Cuore divino la brucia, e tutto ciò che ha dovuto subire nell'inferno, tutto ciò che le è dato come partecipazione alla sofferenze del Cristo invece di scoraggiarla e deprimerla, ravviva ed alimenta il suo ardore per la sofferenza. Come già S. Margherita Maria, ella si immola per le anime religiose, per i sacerdoti, per i peccatori d'ogni specie. Docile al volere di Colui al quale si abbandona, non desidera che consolarlo, e si offre a tutti i martiri pur di conquistare delle anime, il più spesso ignote, ma che ama immensamente attraverso Gesù. Come dicevamo in principio, bisognava che ella fosse vittima per essere messaggera. Non ha così, tutti i titoli per essere ascoltata dagli uomini, colei che tanto per loro ha sofferto? E, conoscitrice profonda dell'infinito Amore del Cuore divino, non era forse designata, più di ogni altro, a trasmettere al mondo il messaggio dell'Amore e della Misericordia di Gesù?

IL MESSAGGIO

1.   Sua sostanza ♦ pag.27

È davvero Messaggio d'Amore e di Misericordia. Non lo si trova per intero in nessuna parte del libro, ma lo si può ricostruire coi frammenti che appaiono quasi in ogni sua pagina. Ecco in breve il riassunto:

a)   Prima di tutto, il Cuore di Gesù e la sua eccessiva carità per gli uomini vi risaltano in modo singolare. Si può dire una nuova rivelazione del Sacro Cuore, che completa e perfeziona quella ricevuta da S. Margherita Maria. Dal 1675 sono passati più di due secoli; altre correnti di devozione percorsero la Chiesa, ed attualmente le anime si appassionano per il Corpo mistico di Cristo, la cui realtà risuona nell'intimo della coscienza cristiana. Si direbbe che la devozione al Sacro Cuore abbia fatto un passo indietro e sia ora meno compresa.
Molti considerano la devozione al Sacro Cuore come una mutilazione alla devozione al Cristo totale, o come una devozione femminile, in cui il sentimento, o meglio la sentimentalità, ha troppa parte. Contro questa false opinioni Nostro Signore reagisce con forza. Egli presenta agli uomini il Suo Cuore, trafitto dalla lancia, Cuore amante e così poco amato, la cui ferita, rimasta aperta, grida a gran voce il Suo Amore. Amore desideroso di essere corrisposto, tanto più che il ricambio così giusto e naturale ch'Egli esige, è per gli uomini l'unico mezzo per essere felici quaggiù e raggiungere la felicità eterna. E senza questo mezzo non c'è per essi che il terribile inferno a cui vanno incontro. Il Cuore di Gesù si serve di Josefa per inviare al mondo il suo grande invito all'amore.

b)  Per attirare maggiormente gli uomini, manifesta loro, ed è questo ciò che fa la novità e la forza del Messaggio, la Sua infinita Misericordia.
Tutti Egli ci ama individualmente, tali quali siamo, anche i più miserabili e i più peccatori. Chiede agli uomini non le qualità e le virtù, ma i loro peccati e le loro miserie; miserie e colpe, che invece di essere un ostacolo sono un motivo per accostarsi a Lui. Questo il regalo più accetto a Gesù, e altro non esige dai peccatori che un vero pentimento e una conversione per Suo Amore. Il Suo Cuore, impaziente nell'amare, aspetta il ritorno dei poveri traviati e promette un perdono totale.
«Non è il peccato che ferisce maggiormente il mio Cuore, Egli dice , ma ciò che più lo strazia è che le anime, dopo averlo commesso, non vengono a rifugiarsi in me» (29 agosto 1922). Ciò che vuole, ciò che desidera ardentemente, è la fiducia nella sua Misericordia e Bontà infinite.

c)   Ai suoi consacrati, che Egli ama di un amore speciale, Gesù indirizza un invito a partecipare alla sua Vita redentrice.
Vuole che siano i suoi intermediari per la salvezza delle anime e, perciò, a tutti chiede lo spirito di sacrificio nell'amore. Per lo più, non esige grandi sofferenze, ma insegna ai suoi eletti l'importanza delle azioni ordinarie, anche minime, compiute in unione con lui, in spirito di immolazione e di amore (30 novembre 1922, 2 dicembre 1922). Manifesta loro il valore dei più piccoli sacrifici, che conducono ad alta santità e, nello stesso tempo, giovano alla salvezza di molte anime (20 ottobre 1922). Ricorda loro quanto siano invece pericolosi i rilassamenti nella virtù, anche piccoli, che trascinano nella china fatale delle grandi infedeltà ed espongono le anime a precipitare nei castighi dell'inferno, ben più terribili per i privilegiati che per gli altri (3 agosto 1921, 12 dicembre 1922, 14, 15, 20 24 marzo 1923, 4 settembre 1922).
Le anime consacrate riaccendano la loro confidenza nel Sacro Cuore di Gesù. «Poco mi importano le loro miserie; voglio far loro sapere ch'Io le amo con tenerezza raddoppiata allorché si gettano nel mio Cuore dopo le cadute e le debolezze. Io sempre perdono, e sempre amo». Ed aggiunge: «Non sai forse che più le anime sono miserabili e più attirano il mio Amore?» Ed insiste ancora: «Non intendo dire che un'anima, per il fatto stesso che è prescelta, non debba più cadere in difetti e venga liberata da ogni miseria. No, cadrà, e cadrà più volte. Ma se si umilia e riconosce il suo nulla, se si sforza di riparare le colpe con piccoli atti di generosità e di amore, se confida e si abbandona di nuovo al mio Cuore, mi glorificherà di più, e potrà far più bene alle anime che se non fosse mai caduta. Poco mi curo della miseria; quello che m'importa è l'amore» (20 ottobre 1922). Ciò che il Cuore divino desidera dai suoi è dunque l'umiltà, la fiducia e l'amore.

d)   A tutti, infine, fa udire l'insistente richiamo della Passione, presentata come segno del suo immenso Amore per gli uomini e come unica via di salvezza. Il Cuore di Gesù si manifesta sempre dolorante e appassionato e ci esorta e ci supplica in forza dei suoi patimenti indicibili. Quanto deve averci amato se ha accettato di soffrire tanto per noi! Quale orribile sventura quella di coloro che, per propria colpa, si sottraggono ad una simile redenzione! Col peccato l'uomo ha scavato tra sé e Dio un abisso incolmabile. Allora, tra Sé e l'uomo, Gesù ha posto la sua Passione. Viene a noi oltrepassando il nostro peccato e coprendolo col Suo Sangue. Il cammino verso Dio è stato dunque riaperto, ma bisogna traversare la Passione per riprendere contatto con Lui. Impossibile salvarci, senza prender parte, in qualche modo, alla Passione di Cristo.
Il dilemma è netto: o la passione o l'inferno. Missione e ufficio dei consacrati è di immergersi nella Passione, penetrarla, e, con i loro sacrifici personali, comunicarne i frutti, infonderne l'efficacia nelle anime per le quali pregano ed espiano.

2.    Sua opportunità ♦ pag.30

Un messaggio così insistente ci appare di una attualità singolare. Da ogni parte il peccato dilaga in modo spaventoso, e l'orgoglio umano, incurante di Dio, pretende trasformare la terra in un paradiso; non riesce che ridurla ad una anticamera dell'inferno, dove l'empietà e l'immoralità regnano sovrane, dove le passioni irrompono, scatenando guerre furiose in cui la maggioranza degli uomini soffre nella povertà e nell'oppressione, senza quel conforto che la fede sola può dare. Il Cuore divino si volge verso i figli miserabili, indica loro il cammino della felicità, della pace, e della salvezza. Questo messaggio è trasmesso ed è vissuto. Gesù ci istruisce, non soltanto con ciò che dice a Josefa, ma con ciò che opera in lei.
I fatti colpiscono più della parole. Si vuol conoscere l'Amore divino per le anime? Si leggano le pagine dove essa nota i palpiti, che ha uditi, del Cuore di Gesù. «Ciascuno di questi palpiti, Egli le dice, è una chiamata ad un'anima» (26 ottobre 1920). Si può forse dubitare della realtà di questo Amore, quando lo si vede bruciare con le sue fiamme il cuore di Josefa, e renderla così intrepida, così forte nel soffrire per strappare le anime all'inferno? Si può dubitare dell'immensità di questo Amore, quando Josefa, che accetta di subire un martirio inesprimibile di cui constatiamo l'intensità, ci dice essere un nulla il suo amore, paragonato a quello di Gesù e la sua sofferenza un'ombra in confronto a quella della Passione? (28 ottobre 1920).
Si può dubitare della bontà di questo Amore, quando scopriamo nella vita di Josefa l'immenso dolore del Cuore divino per la perdita delle anime e la gioia per il loro ravvedimento? (25 agosto 1920, 26 dicembre 1920, 34 agosto 1921, 29 luglio 1921, 3-12-25 settembre 1922). «Aiutami, - Egli le dice -, a rivelare il mio Cuore agli uomini. Ecco, voglio dir loro che invano cercano altrove quella felicità che soltanto in me possono trovare. Soffri e ama perché dobbiamo conquistare le anime» (13 giugno 1923). Nell'amore che Josefa nutriva così veemente per le anime, come non scorgere l'Amore infinito del Cuore di Dio, che solo poteva ispirarlo? Nello stesso modo Gesù manifesta la sua illimitata Misericordia per mezzo della vita di Josefa.
«Io t'amerò, - le dice l'8 giugno 1923, festa del Sacro Cuore -, e le anime comprenderanno il mio Amore dall'Amore che ho per te». «Io ti perdonerò e le anime conosceranno la mia Misericordia dai perdoni copiosi che ti concederò». Un giorno giunse fino a dire: «La mia è una follia d'Amore per le anime» (27 settembre 1922). Questa espressione può sorprendere, ma anche nella Sacra Scrittura si legge: «Se una madre può dimenticare il suo figlioletto, Io non ti dimenticherò mai! Ecco che il tuo nome sta scritto nella mia mano» (Is., XLIX, 15, 16).
«Dove sono i tuoi peccati? Li gettai in fondo al mare!» (Mich., VII, 19; Is., XXXVIII, 17). «Egli mi amò e si immolò per me!» (Gal, Il, 20). Non è tutto questo una follia? In quanto alla realtà dell'inferno, il Messaggio fu veramente vissuto da Josefa. Tutte le sofferenze della passione ch'ella subisce, le persecuzioni diaboliche e le sue discese nell'inferno, non hanno altro scopo che di strappare le anime alla perdizione e ricondurre i traviati sulla via della salvezza da cui essi si allontanano. Il dogma della Redenzione e della Comunione dei Santi viene così attuato. Come negare l'esistenza del demonio, dell'inferno, del purgatorio, e l'efficacia delle sofferenze proprie per gli altri, leggendo le commoventi pagine dove queste grandi realtà soprannaturali s'imprimono nell'anima e nella carne di Josefa?
Niente di nuovo nella sostanza del Messaggio. Esso chiarisce solamente, in modo più impressionante e più chiaro, ciò che già sappiamo per fede. «Te lo ripeto ancora una volta: quello che ti dico adesso, non è niente di nuovo. Ma, come la fiamma ha bisogno di alimento per divampare, così le anime hanno bisogno di una nuova spinta per progredire e di nuovo calore per rianimarsi» (15 dicembre 1923). Com'è pieno di forza l'invito, trasmesso dall'umile Josefa!

3.    Sua autenticità ♦ pag.32

Il Messaggio non consiste soltanto nelle parole affidate a Josefa, ma nell'intera vita di lei. La privilegiata del Cuore divino parla a noi soprattutto mediante la sua vita. Tutta la sua esistenza è una meravigliosa garanzia dell'azione di Dio in lei. Ella sola udì le parole di Nostro Signore, ella sola, per conseguenza, può testimoniare e la sua vita è una testimonianza della verità del Messaggio. È stata controllata, seguita da testimoni irrefutabili, che possono affermare e la virtù incontestabile dell'umile e oscura messaggera dell'amore infinito, e la realtà dei suoi stati soprannaturali di cui hanno avuto la prova palpabile. La virtù di Josefa fu riconosciuta da tutti nella cerchia in cui visse, non perché avesse qualche cosa di vistoso (Josefa fu sempre più imitabile che ammirevole), ma perché, a sua insaputa, esercitava un'influenza penetrante. Mai si notò in lei qualche segno di ricerca personale; appariva invece, in tutto il suo esterno, una grande mortificazione, un'obbedienza illimitata e una dolce pazienza, frutti di sincera umiltà.
«Tu sei l'eco della mia voce» (10 dicembre 1922) le disse una volta Nostro Signore e, infatti, in lei non c'è che risonanza divina. Una virtù così alta e così semplice, basterebbe da sola a convincerci dell'azione vera e profonda di Dio, a provare l'autenticità dell'indole soprannaturale derivante da Dio. Tuttavia, le Superiore e il direttore ritennero opportuno rimanere volontariamente un po' di tempo incerti e dubbiosi, e dobbiamo esser loro grati di questo prudente riserbo, di questa diffidenza voluta che aspettava le prove.
Candida e leale com'era, certo ella non avrebbe voluto ingannarli; ma potevano chiedersi se la sua immaginazione e il suo cuore non la facessero cadere nell'illusione, come accade non raramente anche alle anime pie e sincere. Peraltro, ed era questo ottimo segno, Josefa viveva continuamente nel timore d'ingannarsi, sempre pronta, ad un cenno della Superiora, a ritenere come illusioni ciò che provava. Niente di più caratteristico di questo fatto. A Roma, dove, per incarico di Nostro Signore, si era recata, per portare alla sua Reverendissima Madre Generale un messaggio concernente la Società del S. Cuore, ad un tratto, istigata dal demonio bugiardo, credette di essere caduta vittima della fantasmagoria di un sogno, e di non avere alcuna missione da trasmettere da parte di Dio. Senza esitare, né considerare il danno che ne verrebbe a lei nel giudizio delle sue Superiore, rivelò loro la sua angustia, la sua certezza di essersi illusa e le supplicò di non credere affatto a ciò che ella aveva loro comunicato.
Questa sollecitudine così umile per la verità, in un momento tanto importante, è indizio sicuro della veracità di Josefa. Soltanto un 'anima eroicamente umile e dimentica di sé poteva agire in tal modo. E in tutti i suoi scritti risuona la stessa nota di verità. Per ordine di Nostro Signore e della Vergine santa, ella teneva le sue Superiore al corrente di tutto. «Tu devi scrivere» le aveva detto il Maestro divino, per assicurarsi così che nessuna delle sue parole andasse perduta (6 agosto 1922); ma anche per facilitare il controllo dei minimi fatti e parole di Josefa, e renderli più credibili agli occhi di tutti. Ora, in questi scritti, nulla c'è di inutile, di falso o anche semplicemente di equivoco, nulla che metta in risalto la personalità di lei o che possa indicare un'ombra di vanità: tutto è semplice, misurato, commovente, santo.
I suoi stati soprannaturali non sfuggono a questo controllo: quando ella discende all'inferno, esce dalle estasi, le sue Madri le stanno vicine, sorvegliando attentamente il suo ritorno alla vita e notando le parole dette nel corso di quelle ore di emozione. Quando penetra nel purgatorio e di quelle anime penanti che invocano il suo aiuto rivela nome, data e luogo in
cui morirono, tutti questi particolari, allorché sarà possibile verificarli, risultano sempre esatti. Così pure non possiamo dubitare dei rapimenti di Josefa compiuti dal demonio e avvenuti sotto gli occhi stessi delle sue Superiore, impotenti ad impedirli; e neppure delle visibili bruciature sulle sue carni che lasciarono tracce sugli indumenti di biancheria, che tuttora si conservano e appaiono bruciacchiati.
Il fatto ancora più convincente è che tutto questo soprannaturale diabolico di natura da sovreccitare l'immaginazione, non turbava affatto l'intima calma di lei, né il suo pieno equilibrio, e che lo stesso soprannaturale divino, con i privilegi d'amore della Vergine santa e di Nostro Signore che avrebbero dovuto commuovere profondamente la sua così viva sensibilità, la lasciavano tranquilla, silenziosa, senza quel bisogno, pur così naturale all'anima, di comunicare ad altri la sua emozione. Le sue Madri sempre notarono l'estrema discrezione con cui comunicava i favori ricevuti, e di cui esse solo erano le confidenti. E, finalmente, le atrocità delle sofferenze, che avrebbero pur dovuto strapparle un grido invocante pietà, non facevano che eccitarla ad un desiderio più ardente di maggiormente soffrire per amore del Cuore di Gesù e per le anime da Lui tanto amate.
Così il complesso degli scritti di Josefa concorda perfettamente con la vita di lei ed attesta in lei l'azione divina. Anche i fatti più strani assumono uno scopo ed un significato speciale. Ogni particolare, ogni rivelazione, ogni parola fa risaltare, con più forza, qualche verità dogmatica, c'introduce maggiormente nel Cuore di Gesù, nel Suo Amore, e c'induce a riflettere sul valore delle anime, sulla felicità del cielo, sull'irreparabile infelicità dei dannati. Tutto è grazia ed invito ad amare nella vita di Josefa, grazia ed invito che non possono lasciarci insensibili. Gli scritti di questa umile sorella coadiutrice, ignorante agli occhi del mondo, verranno indubbiamente letti e meditati da teologi e da maestri di vita spirituale.
Come già per S. Teresa del Bambino Gesù, si pubblicheranno numerose opere per commentarne la profonda dottrina e scoprirne i segreti d'amore. Ma ciò che è meglio, innumerevoli grazie di conversione e di santità fioriranno dopo la lettura di queste pagine. Il mondo potrà meravigliarsi che da un nulla, qual è la vita di Josefa, possano scaturire cose tanto grandi, ed è precisamente questo nulla la prova divina. In verità il Messaggio è firmato da mano divina: Digitus Dei est hic!
P. H. MONIER-VINARD S. J.
LIBRO PRIMO

CAPITOLO 01 ♦ ELEZIONE DIVINA ♦ IL RISVEGLIO DI UN'ANIMA 1890-1907 ♦ pag.037

Voglio che tu sia tutta mia. (Gesù a Josefa -17 marzo 1901)

Sulla terra di Spagna Nostro Signore andò a cercare l'anima privilegiata del suo Cuore divino, che voleva trapiantare in Francia. Josefa Menéndez nacque a Madrid il 4 febbraio 1890 e fu battezzata il 9, nella chiesa di San Lorenzo, coi nomi carissimi, per la sua fede, di Maria Josefa.
Il padre, Leonardo Menéndez, originario di Madrid, aveva avuto una dolorosa giovinezza: sua madre, rimasta vedova subito dopo la nascita di Leonardo, era passata a seconde nozze, cosicché il fanciullo non trovò in famiglia l'affetto di cui aveva bisogno. Fu affidato ai Padri delle Scuole Pie e a diciassette anni ebbe la sventura di perdere l'amatissima mamma. Leonardo sentì vivamente questa perdita e per allontanare la solitudine che lo faceva soffrire, si arruolò nell'esercito e fu amato dai superiori, che presto scoprirono e apprezzarono in lui attitudini artistiche non comuni. Nominato decoratore al Museo di Artiglieria, vi conseguì una certa fama, tantoché in seguito Leonardo si compiaceva di raccontare ai figlioli come non si celebrasse mai una festa militare senza che egli dirigesse i lavori ornamentali sia al Palazzo Reale sia alla Cattedrale di S. Isidoro.
L'11 febbraio 1888 sposò Lucia di Morai, nata a Loeches, villaggio presso Madrid. Profondamente credente e dedita al dovere, Lucia si consacrò totalmente al suo piccolo nido ed ai figlioletti che portarono la benedizione divina nella famiglia nascente. Un piccolo Francesco volò al cielo ben presto, lasciando a Josefa il posto di primogenita, in quella casa, dove colla bimba erano discese le compiacenze di Dio. Tre sorelle, Mercedes, Carmen e Angela, vennero ben presto a sorridere nella cerchia della privilegiata famiglia, mentre un altro fratellino, Leonardito, moriva di appena pochi mesi.
Il lavoro del padre, uomo energico ed intelligente, poté procurare una certa agiatezza, e Josefa trascorse i primi anni serenamente felici. Le bambine crescevano in un ambiente di fede e di lavoro, di gioia e di carità, in cui l'anima di Josefa si aprì senza sforzo. A cinque anni ricevette la Cresima, e lo Spirito Santo prese possesso di quell'anima, che doveva rendere così docile all'azione di Dio.
Il R.P. Rubio, grande zelatore della devozione al Sacro Cuore, entrato poi nella Compagnia di Gesù, fu il primo depositario delle confidenze di quest'anima privilegiata e la diresse fino alla sua entrata al Sacro Cuore. A sette anni, in un primo venerdì del mese, Josefa fece la sua prima Confessione e così scrisse di questa data memorabile:
«3 ottobre 1897: la mia prima confessione: se avessi adesso la contrizione di quel giorno!». 
Fin d'allora il suo confessore, colpito dalle sue attitudini soprannaturali, l'iniziò ad una vita interiore proporzionata all'età. Le insegnò a seminare, con progressiva frequenza, nelle sue giornate di fanciulla, delle invocazioni giaculatorie e così a poco a poco, Josefa si abituò a conversare internamente e senza interruzione con l'Ospite divino. Il R.P. Rubio volle formarla anche all'orazione, ed appena ebbe dieci anni e seppe leggere, le regalò il libro «El cuarto de hora de Santa Teresa» di piccola mole, con meditazioni semplici e brevi, che le piacevano tanto. Il direttore le spiegò come doveva fare: leggere lentamente, riflettere, parlare a Nostro Signore, dirgli il suo amore e sempre, prima di finire, prendere una piccola risoluzione pratica per la giornata. Josefa da allora non mancò più di trattenersi, ogni mattina, con Colui che già possedeva tutto il suo cuore.
«Trovavo le mie delizie in quel libriccino - racconterà più tardi, - soprattutto quando mi parlava di Gesù Bambino e della passione! Ci scoprivo tante cose da dire a Gesù... Mi piacevano anche i passi che trattavano del Regno... e quelli sulla scelta dello stato. Dicevo dentro di me: voglio essere sua... ma non sapevo in che modo».
Riflessiva e allegra, di carattere vivace e con un certo fondo di alterezza, Josefa teneva bene il suo posto di primogenita. La mamma poteva contare su di lei ed il babbo la chiamava «la sua piccola imperatrice» e le dava volentieri dei segni di fiducia e di preferenza. Le sorelle sapevano che egli non le diceva di no e la prendevano come intermediaria se volevano qualcosa dal babbo. Quest'ottimo capo di famiglia si compiaceva, le domeniche, di condurre la moglie e le figliolette alla Messa cantata e all'uscita distribuiva alle bambine dei soldini affinché potessero, fin da piccole, abituarsi alla carità. Perciò esse erano conosciute da tutti i poveri del vicinato. «Se il tempo era bello - racconta una delle sorelle di Josefa - nel pomeriggio delle domeniche facevamo delle belle gite campestri, altrimenti restavamo in casa, e il babbo organizzava e prendeva parte ai nostri giochi, fino all'ora in cui, tutti insieme, recitavamo il rosario».
Leonardo volle, egli stesso, essere il primo maestro di Josefa e, meravigliato dei suoi progressi, pensò d'incamminarla verso la carriera dell'insegnamento. Ma Nostro Signore aveva altre intenzioni e preparava un altro destino per la sua prediletta. L'incontro con Gesù Eucaristico ne fu la prima tappa e sigillò l'unione precoce tra quest'anima infantile e l'amico dei cuori innocenti.
Nel febbraio 1901, all'età di undici anni, raccomandata dal P. Rubio, cominciò presso le Riparatrici con un gruppo di altre fanciulle la preparazione alla prima Comunione. La funzione fu fissata per il 19 marzo, preceduta da un piccolo ritiro, che la fanciulla ottenne di poter seguire.
Josefa notò, con candido stile, alcuni pensieri di quel primo scambio di amore che doveva essere immutabile da entrambe le parti.
«In che modo Gesù mi chiamò per la prima volta.»
«Il primo giorno - ella scrive - meditavo sopra queste parole: "Gesù vuol venire a me affinché io sia tutta sua". Fui ricolma di gioia, essendo questo il mio più vivo desiderio, ma non sapevo ciò che avrei dovuto fare a tale scopo. Una religiosa a cui mi rivolsi mi disse che, se fossi stata molto buona, avrei potuto essere tutta di Gesù.
«Il secondo giorno la meditazione aveva per soggetto: "Gesù è lo sposo delle vergini; Egli gode tra le anime pure e innocenti" Una luce penetrante m'illuminò la mente e capii che se fossi la sua sposa, sarei tutta sua, come la mamma era tutta del babbo, perché ne era la sposa. Così, pensai, se sarò vergine, sarò tutta di Lui... e, senza sapere che cosa fosse la verginità, ripetei la mia promessa durante tutto quel giorno. La sera, dopo la benedizione del Santissimo, feci la mia offerta a Gesù Bambino e, con grande fervore, gli domandai che mi insegnasse ad essere tutta sua. Il pensiero che presto lo avrei ricevuto mi riempiva di gioia e, nel silenzio di tanta felicità, intesi una voce che non potrò mai dimenticare e che si ripercosse nell'intimo dell'anima mia:
"- Sì, figlia cara, voglio che tu sia tutta mia!".
«Non so dire che cosa accadde in me, ma uscii dalla cappella risoluta ad essere molto buona. Non sapevo in che cosa consistesse la vocazione e credevo che le religiose non fossero esseri della terra. Da allora però provai in me qualcosa di speciale che non mi lasciò mai più. Compresi, poi, esser quella la vocazione.
«Il terzo giorno rinnovai la mia risoluzione e il 19 marzo festa del mio Patrono San Giuseppe, giorno felice della mia prima Comunione, feci questa piccola consacrazione che mi sorse spontanea dall'intimo del cuore:
"Oggi, 19 marzo 1901, prometto a Gesù, davanti al cielo e alla terra, prendendo per testimoni la mia Madre celeste e il mio padre e avvocato S. Giuseppe, di custodire per sempre la preziosa virtù della verginità, e di non aver altro desiderio che di piacere a Gesù, né altro timore che di dispiacergli.
"Insegnatemi, o Dio, come volete che io sia vostra nella maniera più perfetta, affinché possa sempre amarvi e mal offendervi. Questo è ciò che voglio, nel giorno della mia prima Comunione: Vergine santa, ve lo domando oggi, festa del vostro sposo San Giuseppe. "La vostra figliuola che vi ama,
"Josefa Menéndez".
«La scrissi, e ogni volta che facevo la Comunione, la ripetevo a Gesù. Quando dissi al mio confessore quello che avevo fatto, egli mi spiegò che le bambine non devono fare altra promessa che di mantenersi buone, e avrebbe voluto farmi strappare il foglietto. Ma io non lo potevo fare e ripetevo: Signore, da quel giorno sono vostra e per sempre».
Josefa conservò preziosamente questa prima testimonianza della sua offerta, e quel bigliettino ingiallito, vergato con la grossa scrittura infantile, restò, fino alla morte, il tesoro della sua fedeltà.
Questo primo incontro con Gesù Eucaristico abbandonava all'azione divina l'anima nella quale essa sarebbe stata così potente e così intera.
La santa Comunione divenne la grande gioia di Josefa, mentre ella cercava di radicarsi nelle virtù solide, i cui primi germogli già apparivano visibilmente.
«Dalla sua prima Comunione in poi, scrive sua sorella, si può dire che cessò di essere bambina. Non mi ricordo di averla più vista partecipare alle nostre piccole ricreazioni che essa stessa ci preparava con gran cuore. La sua carità irraggiava anche fuori di casa. Appena sapeva che qualche bambina, frequentante la parrocchia o il convento delle Riparatrici, era malata, subito correva a visitarla. La sua pietà e lo spirito di abnegazione, che aveva attinti dal buon esempio dei genitori, uniti alle ottime qualità naturali, facevano di lei il centro della famiglia. Avevamo in Pepa, come la chiamavamo, una seconda mammina, a cui confidavamo non soltanto i nostri desideri, ma anche le piccole pene e i timori infantili. Ricordo che un giorno, essendo io ancora piccolina, fui mandata a comprare qualcosa. Andai e dimenticai di pagare.
Accorgendomene nel ritornare, mi sentii sgomenta; non osai né tornare indietro, né riportare a casa il denaro; lo avvolsi in un foglietto e lo deposi presso la porta di una casa sulla via. Poi corsi da Pepa e le raccontai tutto. Con quanta bontà mi abbracciò, mi tranquillizzò e si incaricò di andare essa stessa a pagare!
E così sempre noi ricorrevamo a lei ed essa sapeva accomodar le cose tanto bene, che ci risparmiava molte sgridate. Grazie al suo dolce ascendente sui genitori, ottenne che una delle sorelline anticipasse di due anni il tempo allora stabilito per la prima Comunione. Così trascorse l'infanzia di Pepa, molto semplice, come del resto era allora la vita nelle famiglie cristiane della nostra condizione, ma già agli occhi di Dio, luminoso preludio di ciò che sarebbe stata poi la nostra sorella maggiore».
Poco dopo la prima Comunione, i genitori collocarono Josefa al «Fomento de los Artes» e là essa apprese il cucito, il taglio, il lavoro di sarta, attirando ben presto, con la sua attività e destrezza, l'attenzione delle insegnanti. Le sue dita, svelte e abili, eseguivano delle piccole meraviglie, tanto che, corrispondendo al suo lavoro il successo, ogni anno le veniva conferito il diploma di merito.
A tredici anni tornò in famiglia perché era necessario che le bimbe minori cominciassero la loro educazione. Accadde allora al padre un incidente di lavoro che determinò l'entrata delle sorelline nella scuola del S. Cuore.
Era l'anno in cui l'Immacolata Concezione veniva scelta dalla Spagna cattolica come patrona dei Reggimenti di Fanteria. Una Messa all'aperto doveva essere celebrata in quell'occasione nel parco del Palazzo Reale. Leonardo, sotto gli occhi attenti del giovane re Alfonso XIII, lavorava alla decorazione dell'altare. A un tratto, per trattenere un utensile che, cadendo, avrebbe potuto ferire il principe, fece un brusco movimento e perse l'equilibrio. Cadde dall'impalcatura e si ruppe un braccio. Il re, commosso da quell'atto che lo aveva preservato, volle incaricarsi dell'educazione delle figlie del decoratore e gli offrì di collocarle all'Istituto Reale delle Dame Inglesi. Ma Leonardo, benché commosso dalla bontà del sovrano, non consentì a separarsi dalle figlie e preferì metterle alla scuola del Sacro Cuore, vicina alla sua casa. La cappella di Leganitos divenne fin d'allora, la quotidiana attrattiva di Josefa, perché Gesù dal tabernacolo orientava già verso il suo Cuore quella fanciulla che L'aveva incantato.
Una radiosa felicità regnava nella famigliola, ove "la piccola imperatrice" teneva il posto d'onore nell'affetto dei suoi, perché era la più servizievole delle figlie. Tutto era semplice in questa unione di famiglia e le gioie più soavi portavano l'impronta della fede di cui erano impregnate.
Per le tre sorelle era un graditissimo premio andare a Loeches a visitare la priora del Carmelo, sorella della loro mamma.
Venivano ricevute come principesse nell'appartamento del cappellano. Nelle loro incursioni nella sua biblioteca erano riuscite a trovare il libro delle Regole, letto con avida curiosità. Quando poi tornavano a casa si divertivano giocando «alle Carmelitane», salmodiando l'ufficio e imitando, ben da lontano, le penitenze del chiostro.
Josefa dirigeva il giuoco, ma l'anima sua trovava già, in quel Carmelo improvvisato, qualcosa di più di uno svago infantile. I genitori, un po' inorgogliti delle speciali attitudini della fanciulla per il cucito e del suo fine buon gusto, decisero che dovesse perfezionarsi in un laboratorio. Ella soffrì assai di trovarsi in un ambiente un po' mondano e leggero, ma il suo cuore rimase saldo e l'anima attingeva ogni giorno nella Comunione, conquistata a prezzo di sacrifici, la forza di conservarsi pura.
«Ho attraversato molti pericoli - ella scrisse, - ma Dio mi ha sempre custodita, in mezzo alle seduzioni e ai discorsi leggeri del laboratorio. Quante volte ho pianto, udendo cose che mi turbavano!... Sempre ho trovato forza e consolazione in Gesù. Nessuna cosa e nessuna persona ha potuto farmi mai cambiare, né dubitare che Dio mi voleva tutta per sé».
«La domenica, racconta sua sorella, Josefa andava spesso ad un patronato, la cui presidente era la sig. Maria X..., figlia del proprietario della casa da noi abitata, un'anima tutta di Dio che consacrava la maggior parte delle sue sostanze in opere caritative. Il pomeriggio della domenica, al patronato le ore trascorrevano giocondamente e utilmente, e lì molte giovani trovavano la salvaguardia alla loro virtù. Josefa se ne occupava con slancio, disinteresse ed intelligenza; la benefattrice, che riconosceva nella fanciulla uno spirito di sacrificio a tutta prova, di solito le assegnava, nelle piccole rappresentazioni drammatiche ricreative, le parti che le altre rifiutavano. Essa si prestava con spontanea semplicità, resa più attraente dalla grazia tutta propria delle madrilene.
Josefa accompagnava spesso la signorina X... nelle visite ai numerosi poveri che soccorreva, e così era testimone, non soltanto delle elemosine benefiche, ma dei servizi umili e bassi che la signorina con tanto cuore prodigava agli infermi. Quest'esempio incitò la tendenza alla carità della sua generosa natura.
Una volta Maria confidò in segreto a Josefa di aver scoperto tra i poveri una sventurata lebbrosa, abbandonata da tutti, e avrebbe voluto trovare qualche amica, che, con lei, circondasse la povera inferma di cure e di affetto. La lebbrosa si chiamava Trinidad e soffriva molto. Paralizzata dal lato sinistro, con il volto e le mani corrosi dal male, inabile a muoversi, sola tutto il giorno! Pepa fu felice di questo invito, il cui eroismo nascosto rispondeva perfettamente alle sue tendenze e, durante varie settimane, andò da Trinidad per porgerle il cibo. Una volta si fece accompagnare da me e credette di poter contare sulla mia discrezione, ma ne ebbi una tale impressione, da tornare a casa così turbata che la mamma se ne accorse e volle sapere tutto. Glielo dicemmo, e Pepa, con grande sua pena, ebbe la proibizione di recarsi dalla malata».
Il tempo scorreva così per Josefa, tra le occupazioni domestiche, il laboratorio e l'esercizio della carità. Ma la legge austera dell'Amore divino doveva ben presto posare la sua impronta su questa giovinezza in fiore. Occorreva che il vento della tribolazione scotesse la fragile pianticella per irrobustirla e provarla.
« - Non dubitare mai dell'amore del mio Cuore - le dirà più tardi l'Amico divino. - Poco importa che il vento ti scuota a più riprese: Io stesso ho piantato la radice della tua piccolezza nella terra del mio Cuore!».

L'ATTESA • 1907-1920 ♦ pag.44

Lasciati condurre ciecamente perché Io che ti sono Padre ho gli occhi aperti su te per condurti e guidarti. (Gesù a Josefa, 18 settembre 1923).

La sofferenza che doveva mettere la sua impronta sull'intera vita di Josefa non tardò ad entrare in quella famiglia che fino ad allora l'aveva ignorata. Fu accolta in pace, come sanno accoglierla gli umili e gli amici di Dio. Josefa imparò a soffrire come aveva imparato ad amare, e il suo giovane cuore si aprì alla scuola del sacrificio e del dolore. Il carattere divenne più pieghevole, la natura più padrona di sé, l'anima più robusta al contatto della croce e l'amore si purificò senza perdere di ardore.
Nel 1907, la morte entrò in quella casa spezzandovi l'incanto dei giorni felici. Carmen, una sorellina dodicenne, volava al cielo e, pochi giorni dopo, la seguiva nella tomba la nonna materna. La perdita di Carmencita fu un colpo crudele per i genitori, che, quantunque cercassero di reagire al dolore, ne rimasero affranti. La mamma, qualche mese dopo, fu assalita dal tifo e Leonardo fu colto da polmonite. Josefa, forte della sua fede e della sua intima unione con Dio, si rivelò quello che era. Lasciò il lavoro per farsi infermiera dei cari malati, misurando, senza sgomentarsi, il compito che le gravava sulle spalle. Le cure costose aumentavano di giorno in giorno, bisognava provvedere alle necessità delle sorelle e i piccoli risparmi sparivano rapidamente. La povertà fece nella casa desolata la sua apparizione e Josefa l'abbracciò con coraggio. Per quaranta giorni provò tutte le angustie delle privazioni, le inquietudini del cuore, il peso di una responsabilità portata da sola.
«Ci coricavamo tutte e tre - ella dice - sopra un materasso per terra. Il nostro buon dottore avrebbe voluto far trasportare i nostri genitori all'ospedale, ma non potei consentire, sicura che la Provvidenza ci avrebbe aiutati. Ed Essa ci aiutò infatti per mezzo delle Madri del Sacro Cuore. Quanto furono buone con noi! Potrò mai amarle abbastanza?».
Santa Maddalena Sofia volle pure inchinarsi verso la sventurata famiglia, dove oscuramente cresceva colei che sarebbe poi stata sua figlia prediletta.
Durante una novena alla Fondatrice del Sacro Cuore, la malata, ormai dichiarata inguaribile, di notte chiamò la figlia e le disse: «Non piangete più, la Beata Madre è venuta a dirmi che non morrò, perché avete ancora bisogno di me!».
«Non sapemmo mai che cosa era accaduto, diceva poi Josefa -, ma, il giorno dopo, la mamma era fuori pericolo».
Anche Leonardo si rimise, senza ritrovare però il vigore di un tempo e dovette abbandonare il lavoro. Ormai l'agiatezza era per sempre sparita da quella casa, e Josefa comprese quale fosse il suo compito. Senza tralasciare di assistere i genitori con le sue cure, cercò di sostenere la famiglia col lavoro di sarta. Le Madri del Sacro Cuore delicatamente vegliavano su quella sventurata famiglia. Josefa non aveva la macchina da cucire e le sue piccole risorse non le permettevano una simile spesa. La Superiora allora intervenne, pregando la giovinetta di comprare per l'Istituto la macchina, di provarla, incaricandola, nello stesso tempo, di voler cucire alcune migliaia di scapolari del Sacro Cuore per i soldati di Melilla.
Quando Josefa volle restituire la macchina, la Superiora non accettò, dicendo che la cucitura di tanti scapolari aveva coperto largamente il costo della macchina. Il cuore delicato di Pepa rimase profondamente commosso e questa generosità, che ella comprese attinta al Cuore divino, la strinse ancora di più all'Istituto, e d'allora in poi non ebbe altro desiderio che quello di entrarvi.
Il lavoro cominciò ad affluire da varie parti e la sua fama di buona cucitrice dilagò. Benché la sorella Mercedes l'aiutasse e lavorasse tutto il giorno ed anche parte della notte, ben presto non poté più soddisfare le numerose ordinazioni. Bisognò dunque organizzare un piccolo laboratorio, con alcune ragazzine, come apprendiste. Ogni mattina le due sorelle, alzate alle sei, andavano alla Messa del Sacro Cuore, poi si mettevano al lavoro fino a mezzogiorno. Dopo il pasto, seguito da una breve visita al Santissimo, lavoravano assiduamente tutto il pomeriggio. L'animazione non mancava nel piccolo gruppo che Josefa, con la sua gaiezza, sapeva interessare e dilatare, circondando anche con delicata attenzione le sue giovani aiutanti. Era altresì vigilante riguardo all'ordine e alla perfetta esecuzione del lavoro, che otteneva con dolce fermezza, cosciente della sua responsabilità. Ogni sera si recitava in comune il rosario, seguito spesso da una serie di preghiere che sgorgavano spontanee dall'anima fervorosa di Josefa. Il sabato le due sorelle, alla fine della giornata, si recavano a confessarsi dai Gesuiti è Josefa vi trovava la forte e sicura direzione del P. Rubio che la seguiva e sosteneva con paterno interesse.
«La domenica, - racconta sua sorella -, tutta la famiglia si alzava di buon'ora e assistevamo a più di una Messa. Nel pomeriggio, Pepa ed io andavamo a visitare le Madri delle tre case del Sacro Cuore a Madrid e la sera i genitori venivano con noi per la Benedizione Eucaristica ai Leganitos».
Quando c'era da uscire di casa, le due sorelle si facevano compagnia e si scambiavano le loro confidenze, che difficilmente avrebbero potuto farsi con libertà in casa. La loro gioia stava nel parlare di vocazione. Ambedue avevano avuto la chiamata alla vita perfetta, ma la mamma non poteva ascoltare senza piangere tali discorsi, e fu deciso di non farne mai parola in casa. «Un giorno - scrive Mercedes -, Josefa mi disse che avrebbe voluto essere religiosa, ma lontana dalla patria per offrire a Dio un sacrificio più completo. Siccome le dissi che non pensavo come lei, mi riprese, affermando che per Gesù tutto è troppo poco!».
Nonostante il carattere riflessivo, Josefa era sempre allegra, e la serenità che irraggiava intorno a sé rendeva meno pesante il fardello degli altri, sapendo tener fronte, con continua abnegazione, a tutti i doveri. Parve in un certo momento che il sorriso ritornasse in quella famiglia, ma fu per poco. Leonardo venne rapito da una crisi di cuore nel 1910 e, durante quest'ultima malattia, la moglie lo assistette notte e giorno senza risparmiare nulla per sollevarlo.
Un giorno ch'era andata a comprare per lui una medicina, vide in una bottega, esposta in mezzo a molte anticaglie una statuetta del Sacro Cuore. Ne fu commossa e volle comprarla, pensando alla gioia e al tenero amore con cui in casa sua si sarebbe circondata l'immagine. Entrò e timidamente ne chiese il prezzo: sorpassava di molto il contenuto della sua borsa, destinato alla medicina che il marito attendeva. Dispiaciuta, ringraziò ritirandosi, ma nella via si sentì richiamare dal venditore, che le offrì di cederle la statuetta a qualunque prezzo. Felice, Lucia gli diede quanto aveva in tasca e, tornata in fretta a casa, disse al marito: «Invece del rimedio ti porto il Sacro Cuore!». Leonardo, che sopportava le sofferenze con viva fede, ne provò una profonda gioia e volle che la statuetta fosse collocata ai piedi del letto per contemplarla continuamente. E sotto lo sguardo del Cuore divino spirò il 7 aprile 1910, lasciando ai suoi con la statua doppiamente cara, un pegno sicuro di protezione. Il P. Rubio, che aveva assistito l'infermo fino alla fine, divenne il consigliere e l'amico della casa in lutto, mentre Josefa restava l'unico appoggio della mamma, e, col suo mestiere, l'unica risorsa materiale della famiglia. Ma ella viveva d'amore e trovava la forza per sopportare tutto nel ripetere ogni giorno la sua piccola consacrazione che metteva in fuga le ombre del cammino.
Prima ancora della morte del padre, ella aveva manifestato ai genitori il proposito di entrare al Sacro Cuore e, per la prima volta, in quella famiglia si era udito Leonardo, che per altro era un buon cristiano, adirarsi contro Pepa. La fanciulla allora, asciugandosi le lacrime, aveva chiuso nel silenzio del suo cuore il tesoro della vocazione.
Poco dopo ebbe l'offerta di entrare al Carmelo, dove un religioso di quell'ordine le avrebbe ottenuto l'ammissione. Quantunque riconoscente, Josefa rifiutò perché sapeva non esser quella la sua via, ma profittò dell'occasione per ripetere alla mamma il suo desiderio di darsi a Dio. Lucia non si oppose, supplicando però di non essere per allora abbandonata, e Josefa attese ancora. Invece la sorella minore ottenne il consenso materno di entrare al Sacro Cuore e fece il suo ingresso nel 1911 al noviziato di Chamartin (Madrid). Josefa, che l'aveva formata, sperando di cederle l'incarico di provvedere alla famiglia, sentì nel più profondo del cuore quella delusione.
La fede nelle disposizioni di Dio la sostenne e la sua virtù già matura l'aiutò ancora a dimenticarsi. A questo proposito sua sorella scrive: «Fino a che non entrai in noviziato, restammo inseparabili. La mia partenza fu per lei una pena che la mia giovinezza e il desiderio di darmi a Dio mi impedirono allora di misurare. Dopo capii quale sacrificio le avevo imposto e trovai conforto soltanto nel pensare che Dio aveva così disposte le cose per i suoi santi disegni».
Josefa continuò la sua vita laboriosa spendendovi assidue cure e fatiche. Le sue speranze andarono a posarsi sulla sorellina più piccola, che pure avrebbe udito più tardi la divina chiamata. Infatti, nel 1926, tre anni dopo la morte di Josefa, Angela entrò tra le Carmelitane di Loeches, prendendo il nome di Suor Maddalena Sofia del Sacro Cuore, e partì poco dopo per il Portogallo con un piccolo gruppo di consorelle per concorrere alla restaurazione del Carmelo di Coimbra.
Dio che conduceva Josefa per vie misteriose, ma sicure, doveva ripetutamente sconvolgere i suoi progetti, insegnandole così la scienza dell'abbandono e del completo sacrificio di sé.
Il P. Rubio, che da dodici anni la seguiva senza perderla d'occhio, credette nel 1912 che fosse giunto il momento di farle realizzare i suoi desideri e la indirizzò verso le Riparatrici che egli conosceva da vicino.
Josefa, che aveva ormai ventidue anni, docilmente seguì il consiglio del direttore, quantunque, nell'intimo dell'anima sua, sentisse potente l'attrattiva per il Sacro Cuore. Entrò dunque dalle Riparatrici e si avviò con tutto il cuore nel cammino del postulato. Si trovava felice in quella famiglia religiosa di cui gustava ed apprezzava lo spirito, poiché riparare per mezzo del Cuore di Maria rispondeva alle sue aspirazioni fervorose. Nessuna tentazione turbò la pace di quei mesi che passarono in mezzo ad umili impieghi materiali, nei quali la vita interiore poteva espandersi liberamente. Tuttavia, anche in seno a quella pace, si faceva sentire un'altra chiamata; diceva più tardi che le vicine campane del Sacro Cuore risvegliavano ogni volta in lei, e malgrado lei, altri desideri che pur si sforzava di sacrificare.
La SS. Vergine stessa volle avvertirla che là non era il luogo del suo riposo. Josefa venne incaricata della pulizia di una sala, dove si trovava una grande statua dell'Addolorata, vestita secondo l'uso spagnolo, con in mano una corona di spine. Quale fu lo stupore della postulante nello scorgere un giorno la corona tutta illuminata, mentre non si vedeva di dove la luce venisse. Per tre o quattro giorni la cosa si ripeté, ma Josefa non disse niente a nessuno. Finalmente si azzardò a salire in alto, fin presso la statua e si accorse che una spina, brillantissima, illuminava tutta la corona. Nello stesso tempo udì una voce soave dirle distintamente:
«Prendi questa spina, figlia mia; più tardi Gesù te ne darà altre ancora».
Trepidante, staccò la spina e la serrò al cuore, rispondendo al dono materno con un'offerta che non tardò a realizzarsi nell'esperienza di nuovi dolori. Sei mesi erano trascorsi e l'epoca della vestizione si avvicinava. Purtroppo in casa Menéndez il disagio si faceva sempre più sentire per l'assenza di Josefa e le strettezze divenivano più dure, tanto che la mamma negò il suo assenso all'entrata al noviziato; lo stesso P. Rubio consigliò il ritorno in famiglia e Josefa dovette ancora sacrificarsi.
Così la giovane dovette uscire dal dolce asilo, dove aveva pregustato le dolcezze di quella vita religiosa, oggetto dei suoi ardenti desideri, portando con sé la spina, il cui splendore si era estinto, ma la cui realtà penetrava più che mai nella sua vita.
Josefa dovette riprendere la faticosa salita alla ricerca di Dio e si rimise coraggiosamente al suo dovere. Ogni quindici giorni andava a visitare la sorella Mercedes, al Noviziato di Chamartin, intrattenendosi con lei su ciò di cui aveva pieno il pensiero: la vita di sorella coadiutrice al Sacro Cuore, che sempre più comprendeva essere la sola che rispondesse pienamente a tutte le sue aspirazioni. Si recava spesso anche negli altri Istituti del Sacro Cuore di Madrid per assolvere le sue incombenze di sarta per le uniformi delle educande, e sempre vi appariva come il tipo della lavoratrice modesta, semplice, coscienziosa.
La religiosa addetta al guardaroba di uno dei collegi del Sacro Cuore assicura che non potrà mai dimenticare quella natura ardente che mirava diritto al dovere, e scrisse di Josefa: «Per l'indole sua servizievole e il suo buon carattere, che vedeva sempre il lato migliore delle cose, non ebbi mai la minima difficoltà a trattare con lei; anzi, il suo tratto, la sua accortezza, la sua attività silenziosa mi erano di grande aiuto. Era un'anima di fede, e devotissima all'Eucaristia. Amava tanto il Sacro Cuore e mi diceva spesso: "Quando entro in questa casa mi sento nel mio elemento"».
Non era così, per la giovane sarta, nei suoi contatti con la clientela mondana. Più di una volta la sua coscienza delicata e la sua purezza provarono dolorose sofferenze.
«Se sapeste - diceva Josefa in confidenza -, quanto mi costa dover cedere per forza all'esigenza di certe persone che non si curano della modestia nell'abbigliamento!...».
La vista del mondo e delle sue vanità amareggiava profondamente il suo cuore, facendole sentire ancor più forte il desiderio di uscirne.
«Ah! - esclamava, - fin da bambina chiedo ogni giorno al Cuore di Gesù di essere sua sposa, ed ora che vedo più da vicino la vita reale, lo supplico di farmi morire, se non vuole esaudirmi, perché l'anima mia non può più vivere nel mondo».
Infatti, ormai, non viveva più che del suo ardente desiderio e del Pane Eucaristico. Al contatto del Cuore divino attingeva non soltanto la forza per sé, ma altresì la bontà, l'affetto e persino la gioia che essa seminava sul cammino degli altri, pur conservando nel segreto la sua croce e la sua spina. Amiche ne aveva poche, ma trascinava col suo esempio e sosteneva coi consigli il piccolo gruppo delle sue lavoranti. La sua gaiezza le animava specialmente quando un po' di tregua alle fatiche giornaliere permetteva loro qualche gita ricreativa. I pellegrinaggi ad Avila ed al «Cierro de los Angeles» i guidati da lei erano deliziosi e lasciavano tracce profonde negli animi giovanili.
Intanto il tempo passava e Josefa aspettava un segno divino per chiedere la sua ammissione al Sacro Cuore. Credette che fosse venuto nel 1917, e la domanda venne accettata con bontà. Con il consenso materno, la partenza fu fissata al 24 settembre, festa della Madonna della Mercede. Arrivò dunque quel giorno sospirato, ma, ahimè! le lacrime della mamma intenerirono l'amoroso cuore filiale che non seppe resistere davanti a tanto dolore. Il posto di Josefa al noviziato quella sera rimase vuoto, e la poverina pianse inconsolabilmente ed a lungo quella che chiamava «la sua grande debolezza».
Ma «Colui che lavora nell'oscurità pur essendo la luce» realizzava, attraverso tali misteriose alternative, i suoi disegni d'amore.
In quel tempo la Francia, dopo la tormenta, vedeva rifiorire l'opera del Sacro Cuore, rianimarsi la fiamma nei focolari quasi spenti e riaccendersi, con nuovo fulgore, la fede. A Poitiers, il vecchio monastero dei Feuillants, rimasto provvidenzialmente in possesso delle figlie di S. Maddalena Sofia, riapriva i suoi chiostri tuttora pervasi dal ricordo della Santa Fondatrice. Si pensò di istituirvi un piccolo noviziato di sorelle coadiutrici, ed era là che, da tutta l'eternità, il Cuore di Gesù aveva preparato il posto di Josefa e là doveva condurla, per mano, attraverso le ultime tempeste.
Si era nel 1919 e Josefa aveva ventinove anni. Ella capì, per segreta ispirazione, che l'ora di Dio era venuta e che non doveva più tardare a chiedere nuovamente l'ammissione nella Società del Sacro Cuore. Quantunque non osasse sperare, il 27 luglio presentò umilmente la sua domanda.
«Ma la risposta fu negativa, così ella scrive. Tuttavia nell'anima mia risuonava la voce di Gesù che mi diceva: "Insisti e confida in me che sono il tuo Dio!"».
La sua insistenza non cambiò il rifiuto, che sembrava irrevocabile per le esitazioni precedenti della richiedente.
«Il 16 settembre, ella prosegue, mi gettai ai piedi del Crocifisso e lo supplicai di ricevermi nel suo divin Cuore, cioè nella Società, o di farmi morire, perché mi pareva di non poter soffrire di più. Allora, credo, mi mostrò i Suoi piedi divini e le Sue mani divine, dicendomi: "Guarda le mie piaghe, baciale e dimmi se non puoi soffrire qualcosa di più... Sono Io che ti voglio per il mio Cuore!".
«Come esprimere ciò che provai? Gli promisi di vivere solo per amarlo e soffrire... ma, o Gesù, quanto sono debole!».
Trascorsero ancora due mesi di ansie e di suppliche e giunse il 19 novembre.
«Quel giorno nella mia Comunione, dice Josefa, - Lo supplicai per il Suo Sangue e le Sue Piaghe di aprirmi quella porta della Società che avevo da me stessa chiusa. Riapritela, mio Gesù, ve ne supplico, poiché sapete che non chiedo che di essere la sposa del vostro Cuore!».
L'ora era giunta. Quella mattina medesima si recò a Chamartin per cercare lavoro. Là era attesa. Proprio allora vi era giunta una lettera da Poitiers. Si domandavano per il noviziato appena fondato delle solide vocazioni. Josefa si sentiva di sollecitare in Francia l'ammissione desiderata? Immediatamente con piena generosità rispose di sì; e subito scrisse per offrirsi.
«Mi sono gettata di nuovo - così scrive nei ricordi, - ai piedi di Gesù, che mi infonde tanta confidenza e con gli occhi pieni di lacrime e col cuore ancora più pieno di amore, mi sono offerta ad accettare tutto mentre provavo in me, malgrado la mia debolezza, un coraggio insolito».
La mamma, sebbene desolata, non fece questa volta nessuna opposizione: Dio toglieva gli ostacoli. Per evitare il dolore dell'addio Josefa lasciò la casa tacitamente e senza prendere niente con sé. La carità della Madri del Sacro Cuore provvide a tutto il necessario.
«Gesù mi prese, - ella dice, - e non so come mi trovai a San Sebastiano! Non avevo né denaro né forze: nient'altro che il mio amore... ma ero al Sacro Cuore! Io, sempre la stessa, sempre tanto debole, ma Lui sempre lì a sorreggermi!».
La casa del S. Cuore di S. Sebastiano, che l'aveva accolta con fraterna carità, trattenne Josefa per un mese ed ella, riconoscente, cercò di essere utile aiutando indefessamente dove poteva. Tuttavia il pensiero della madre e della sorella, da cui riceveva lettere strazianti, le lacerava il cuore. Già intravedeva le difficoltà di una lingua non conosciuta, ma la sua volontà era ormai fissa in quel Cuore che l'aspettava altrove.
«Come farete in un paese di cui non conoscete la lingua?» le fu chiesto. «Dio mi conduce!...», rispose con semplicità. Ed era proprio così.
Il mercoledì 4 febbraio 1920 lasciava per sempre la patria per seguire, al di là della frontiera Colui il cui Amore sovrano può chiedere tutto.

L'ATTESA • 1907-1920 ♦ pag.44

Lasciati condurre ciecamente perché Io che ti sono Padre ho gli occhi aperti su te per condurti e guidarti. (Gesù a Josefa, 18 settembre 1923).

La sofferenza che doveva mettere la sua impronta sull'intera vita di Josefa non tardò ad entrare in quella famiglia che fino ad allora l'aveva ignorata. Fu accolta in pace, come sanno accoglierla gli umili e gli amici di Dio. Josefa imparò a soffrire come aveva imparato ad amare, e il suo giovane cuore si aprì alla scuola del sacrificio e del dolore. Il carattere divenne più pieghevole, la natura più padrona di sé, l'anima più robusta al contatto della croce e l'amore si purificò senza perdere di ardore.
Nel 1907, la morte entrò in quella casa spezzandovi l'incanto dei giorni felici. Carmen, una sorellina dodicenne, volava al cielo e, pochi giorni dopo, la seguiva nella tomba la nonna materna. La perdita di Carmencita fu un colpo crudele per i genitori, che, quantunque cercassero di reagire al dolore, ne rimasero affranti. La mamma, qualche mese dopo, fu assalita dal tifo e Leonardo fu colto da polmonite. Josefa, forte della sua fede e della sua intima unione con Dio, si rivelò quello che era. Lasciò il lavoro per farsi infermiera dei cari malati, misurando, senza sgomentarsi, il compito che le gravava sulle spalle. Le cure costose aumentavano di giorno in giorno, bisognava provvedere alle necessità delle sorelle e i piccoli risparmi sparivano rapidamente. La povertà fece nella casa desolata la sua apparizione e Josefa l'abbracciò con coraggio. Per quaranta giorni provò tutte le angustie delle privazioni, le inquietudini del cuore, il peso di una responsabilità portata da sola.
«Ci coricavamo tutte e tre - ella dice - sopra un materasso per terra. Il nostro buon dottore avrebbe voluto far trasportare i nostri genitori all'ospedale, ma non potei consentire, sicura che la Provvidenza ci avrebbe aiutati. Ed Essa ci aiutò infatti per mezzo delle Madri del Sacro Cuore. Quanto furono buone con noi! Potrò mai amarle abbastanza?».
Santa Maddalena Sofia volle pure inchinarsi verso la sventurata famiglia, dove oscuramente cresceva colei che sarebbe poi stata sua figlia prediletta.
Durante una novena alla Fondatrice del Sacro Cuore, la malata, ormai dichiarata inguaribile, di notte chiamò la figlia e le disse: «Non piangete più, la Beata Madre è venuta a dirmi che non morrò, perché avete ancora bisogno di me!».
«Non sapemmo mai che cosa era accaduto, diceva poi Josefa -, ma, il giorno dopo, la mamma era fuori pericolo».
Anche Leonardo si rimise, senza ritrovare però il vigore di un tempo e dovette abbandonare il lavoro. Ormai l'agiatezza era per sempre sparita da quella casa, e Josefa comprese quale fosse il suo compito. Senza tralasciare di assistere i genitori con le sue cure, cercò di sostenere la famiglia col lavoro di sarta. Le Madri del Sacro Cuore delicatamente vegliavano su quella sventurata famiglia. Josefa non aveva la macchina da cucire e le sue piccole risorse non le permettevano una simile spesa. La Superiora allora intervenne, pregando la giovinetta di comprare per l'Istituto la macchina, di provarla, incaricandola, nello stesso tempo, di voler cucire alcune migliaia di scapolari del Sacro Cuore per i soldati di Melilla.
Quando Josefa volle restituire la macchina, la Superiora non accettò, dicendo che la cucitura di tanti scapolari aveva coperto largamente il costo della macchina. Il cuore delicato di Pepa rimase profondamente commosso e questa generosità, che ella comprese attinta al Cuore divino, la strinse ancora di più all'Istituto, e d'allora in poi non ebbe altro desiderio che quello di entrarvi.
Il lavoro cominciò ad affluire da varie parti e la sua fama di buona cucitrice dilagò. Benché la sorella Mercedes l'aiutasse e lavorasse tutto il giorno ed anche parte della notte, ben presto non poté più soddisfare le numerose ordinazioni. Bisognò dunque organizzare un piccolo laboratorio, con alcune ragazzine, come apprendiste. Ogni mattina le due sorelle, alzate alle sei, andavano alla Messa del Sacro Cuore, poi si mettevano al lavoro fino a mezzogiorno. Dopo il pasto, seguito da una breve visita al Santissimo, lavoravano assiduamente tutto il pomeriggio. L'animazione non mancava nel piccolo gruppo che Josefa, con la sua gaiezza, sapeva interessare e dilatare, circondando anche con delicata attenzione le sue giovani aiutanti. Era altresì vigilante riguardo all'ordine e alla perfetta esecuzione del lavoro, che otteneva con dolce fermezza, cosciente della sua responsabilità. Ogni sera si recitava in comune il rosario, seguito spesso da una serie di preghiere che sgorgavano spontanee dall'anima fervorosa di Josefa. Il sabato le due sorelle, alla fine della giornata, si recavano a confessarsi dai Gesuiti è Josefa vi trovava la forte e sicura direzione del P. Rubio che la seguiva e sosteneva con paterno interesse.
«La domenica, - racconta sua sorella -, tutta la famiglia si alzava di buon'ora e assistevamo a più di una Messa. Nel pomeriggio, Pepa ed io andavamo a visitare le Madri delle tre case del Sacro Cuore a Madrid e la sera i genitori venivano con noi per la Benedizione Eucaristica ai Leganitos».
Quando c'era da uscire di casa, le due sorelle si facevano compagnia e si scambiavano le loro confidenze, che difficilmente avrebbero potuto farsi con libertà in casa. La loro gioia stava nel parlare di vocazione. Ambedue avevano avuto la chiamata alla vita perfetta, ma la mamma non poteva ascoltare senza piangere tali discorsi, e fu deciso di non farne mai parola in casa. «Un giorno - scrive Mercedes -, Josefa mi disse che avrebbe voluto essere religiosa, ma lontana dalla patria per offrire a Dio un sacrificio più completo. Siccome le dissi che non pensavo come lei, mi riprese, affermando che per Gesù tutto è troppo poco!».
Nonostante il carattere riflessivo, Josefa era sempre allegra, e la serenità che irraggiava intorno a sé rendeva meno pesante il fardello degli altri, sapendo tener fronte, con continua abnegazione, a tutti i doveri. Parve in un certo momento che il sorriso ritornasse in quella famiglia, ma fu per poco. Leonardo venne rapito da una crisi di cuore nel 1910 e, durante quest'ultima malattia, la moglie lo assistette notte e giorno senza risparmiare nulla per sollevarlo.
Un giorno ch'era andata a comprare per lui una medicina, vide in una bottega, esposta in mezzo a molte anticaglie una statuetta del Sacro Cuore. Ne fu commossa e volle comprarla, pensando alla gioia e al tenero amore con cui in casa sua si sarebbe circondata l'immagine. Entrò e timidamente ne chiese il prezzo: sorpassava di molto il contenuto della sua borsa, destinato alla medicina che il marito attendeva. Dispiaciuta, ringraziò ritirandosi, ma nella via si sentì richiamare dal venditore, che le offrì di cederle la statuetta a qualunque prezzo. Felice, Lucia gli diede quanto aveva in tasca e, tornata in fretta a casa, disse al marito: «Invece del rimedio ti porto il Sacro Cuore!». Leonardo, che sopportava le sofferenze con viva fede, ne provò una profonda gioia e volle che la statuetta fosse collocata ai piedi del letto per contemplarla continuamente. E sotto lo sguardo del Cuore divino spirò il 7 aprile 1910, lasciando ai suoi con la statua doppiamente cara, un pegno sicuro di protezione. Il P. Rubio, che aveva assistito l'infermo fino alla fine, divenne il consigliere e l'amico della casa in lutto, mentre Josefa restava l'unico appoggio della mamma, e, col suo mestiere, l'unica risorsa materiale della famiglia. Ma ella viveva d'amore e trovava la forza per sopportare tutto nel ripetere ogni giorno la sua piccola consacrazione che metteva in fuga le ombre del cammino.
Prima ancora della morte del padre, ella aveva manifestato ai genitori il proposito di entrare al Sacro Cuore e, per la prima volta, in quella famiglia si era udito Leonardo, che per altro era un buon cristiano, adirarsi contro Pepa. La fanciulla allora, asciugandosi le lacrime, aveva chiuso nel silenzio del suo cuore il tesoro della vocazione.
Poco dopo ebbe l'offerta di entrare al Carmelo, dove un religioso di quell'ordine le avrebbe ottenuto l'ammissione. Quantunque riconoscente, Josefa rifiutò perché sapeva non esser quella la sua via, ma profittò dell'occasione per ripetere alla mamma il suo desiderio di darsi a Dio. Lucia non si oppose, supplicando però di non essere per allora abbandonata, e Josefa attese ancora. Invece la sorella minore ottenne il consenso materno di entrare al Sacro Cuore e fece il suo ingresso nel 1911 al noviziato di Chamartin (Madrid). Josefa, che l'aveva formata, sperando di cederle l'incarico di provvedere alla famiglia, sentì nel più profondo del cuore quella delusione.
La fede nelle disposizioni di Dio la sostenne e la sua virtù già matura l'aiutò ancora a dimenticarsi. A questo proposito sua sorella scrive: «Fino a che non entrai in noviziato, restammo inseparabili. La mia partenza fu per lei una pena che la mia giovinezza e il desiderio di darmi a Dio mi impedirono allora di misurare. Dopo capii quale sacrificio le avevo imposto e trovai conforto soltanto nel pensare che Dio aveva così disposte le cose per i suoi santi disegni».
Josefa continuò la sua vita laboriosa spendendovi assidue cure e fatiche. Le sue speranze andarono a posarsi sulla sorellina più piccola, che pure avrebbe udito più tardi la divina chiamata. Infatti, nel 1926, tre anni dopo la morte di Josefa, Angela entrò tra le Carmelitane di Loeches, prendendo il nome di Suor Maddalena Sofia del Sacro Cuore, e partì poco dopo per il Portogallo con un piccolo gruppo di consorelle per concorrere alla restaurazione del Carmelo di Coimbra.
Dio che conduceva Josefa per vie misteriose, ma sicure, doveva ripetutamente sconvolgere i suoi progetti, insegnandole così la scienza dell'abbandono e del completo sacrificio di sé.
Il P. Rubio, che da dodici anni la seguiva senza perderla d'occhio, credette nel 1912 che fosse giunto il momento di farle realizzare i suoi desideri e la indirizzò verso le Riparatrici che egli conosceva da vicino.
Josefa, che aveva ormai ventidue anni, docilmente seguì il consiglio del direttore, quantunque, nell'intimo dell'anima sua, sentisse potente l'attrattiva per il Sacro Cuore. Entrò dunque dalle Riparatrici e si avviò con tutto il cuore nel cammino del postulato. Si trovava felice in quella famiglia religiosa di cui gustava ed apprezzava lo spirito, poiché riparare per mezzo del Cuore di Maria rispondeva alle sue aspirazioni fervorose. Nessuna tentazione turbò la pace di quei mesi che passarono in mezzo ad umili impieghi materiali, nei quali la vita interiore poteva espandersi liberamente. Tuttavia, anche in seno a quella pace, si faceva sentire un'altra chiamata; diceva più tardi che le vicine campane del Sacro Cuore risvegliavano ogni volta in lei, e malgrado lei, altri desideri che pur si sforzava di sacrificare.
La SS. Vergine stessa volle avvertirla che là non era il luogo del suo riposo. Josefa venne incaricata della pulizia di una sala, dove si trovava una grande statua dell'Addolorata, vestita secondo l'uso spagnolo, con in mano una corona di spine. Quale fu lo stupore della postulante nello scorgere un giorno la corona tutta illuminata, mentre non si vedeva di dove la luce venisse. Per tre o quattro giorni la cosa si ripeté, ma Josefa non disse niente a nessuno. Finalmente si azzardò a salire in alto, fin presso la statua e si accorse che una spina, brillantissima, illuminava tutta la corona. Nello stesso tempo udì una voce soave dirle distintamente:
«Prendi questa spina, figlia mia; più tardi Gesù te ne darà altre ancora».
Trepidante, staccò la spina e la serrò al cuore, rispondendo al dono materno con un'offerta che non tardò a realizzarsi nell'esperienza di nuovi dolori. Sei mesi erano trascorsi e l'epoca della vestizione si avvicinava. Purtroppo in casa Menéndez il disagio si faceva sempre più sentire per l'assenza di Josefa e le strettezze divenivano più dure, tanto che la mamma negò il suo assenso all'entrata al noviziato; lo stesso P. Rubio consigliò il ritorno in famiglia e Josefa dovette ancora sacrificarsi.
Così la giovane dovette uscire dal dolce asilo, dove aveva pregustato le dolcezze di quella vita religiosa, oggetto dei suoi ardenti desideri, portando con sé la spina, il cui splendore si era estinto, ma la cui realtà penetrava più che mai nella sua vita.
Josefa dovette riprendere la faticosa salita alla ricerca di Dio e si rimise coraggiosamente al suo dovere. Ogni quindici giorni andava a visitare la sorella Mercedes, al Noviziato di Chamartin, intrattenendosi con lei su ciò di cui aveva pieno il pensiero: la vita di sorella coadiutrice al Sacro Cuore, che sempre più comprendeva essere la sola che rispondesse pienamente a tutte le sue aspirazioni. Si recava spesso anche negli altri Istituti del Sacro Cuore di Madrid per assolvere le sue incombenze di sarta per le uniformi delle educande, e sempre vi appariva come il tipo della lavoratrice modesta, semplice, coscienziosa.
La religiosa addetta al guardaroba di uno dei collegi del Sacro Cuore assicura che non potrà mai dimenticare quella natura ardente che mirava diritto al dovere, e scrisse di Josefa: «Per l'indole sua servizievole e il suo buon carattere, che vedeva sempre il lato migliore delle cose, non ebbi mai la minima difficoltà a trattare con lei; anzi, il suo tratto, la sua accortezza, la sua attività silenziosa mi erano di grande aiuto. Era un'anima di fede, e devotissima all'Eucaristia. Amava tanto il Sacro Cuore e mi diceva spesso: "Quando entro in questa casa mi sento nel mio elemento"».
Non era così, per la giovane sarta, nei suoi contatti con la clientela mondana. Più di una volta la sua coscienza delicata e la sua purezza provarono dolorose sofferenze.
«Se sapeste - diceva Josefa in confidenza -, quanto mi costa dover cedere per forza all'esigenza di certe persone che non si curano della modestia nell'abbigliamento!...».
La vista del mondo e delle sue vanità amareggiava profondamente il suo cuore, facendole sentire ancor più forte il desiderio di uscirne.
«Ah! - esclamava, - fin da bambina chiedo ogni giorno al Cuore di Gesù di essere sua sposa, ed ora che vedo più da vicino la vita reale, lo supplico di farmi morire, se non vuole esaudirmi, perché l'anima mia non può più vivere nel mondo».
Infatti, ormai, non viveva più che del suo ardente desiderio e del Pane Eucaristico. Al contatto del Cuore divino attingeva non soltanto la forza per sé, ma altresì la bontà, l'affetto e persino la gioia che essa seminava sul cammino degli altri, pur conservando nel segreto la sua croce e la sua spina. Amiche ne aveva poche, ma trascinava col suo esempio e sosteneva coi consigli il piccolo gruppo delle sue lavoranti. La sua gaiezza le animava specialmente quando un po' di tregua alle fatiche giornaliere permetteva loro qualche gita ricreativa. I pellegrinaggi ad Avila ed al «Cierro de los Angeles» i guidati da lei erano deliziosi e lasciavano tracce profonde negli animi giovanili.
Intanto il tempo passava e Josefa aspettava un segno divino per chiedere la sua ammissione al Sacro Cuore. Credette che fosse venuto nel 1917, e la domanda venne accettata con bontà. Con il consenso materno, la partenza fu fissata al 24 settembre, festa della Madonna della Mercede. Arrivò dunque quel giorno sospirato, ma, ahimè! le lacrime della mamma intenerirono l'amoroso cuore filiale che non seppe resistere davanti a tanto dolore. Il posto di Josefa al noviziato quella sera rimase vuoto, e la poverina pianse inconsolabilmente ed a lungo quella che chiamava «la sua grande debolezza».
Ma «Colui che lavora nell'oscurità pur essendo la luce» realizzava, attraverso tali misteriose alternative, i suoi disegni d'amore.
In quel tempo la Francia, dopo la tormenta, vedeva rifiorire l'opera del Sacro Cuore, rianimarsi la fiamma nei focolari quasi spenti e riaccendersi, con nuovo fulgore, la fede. A Poitiers, il vecchio monastero dei Feuillants, rimasto provvidenzialmente in possesso delle figlie di S. Maddalena Sofia, riapriva i suoi chiostri tuttora pervasi dal ricordo della Santa Fondatrice. Si pensò di istituirvi un piccolo noviziato di sorelle coadiutrici, ed era là che, da tutta l'eternità, il Cuore di Gesù aveva preparato il posto di Josefa e là doveva condurla, per mano, attraverso le ultime tempeste.
Si era nel 1919 e Josefa aveva ventinove anni. Ella capì, per segreta ispirazione, che l'ora di Dio era venuta e che non doveva più tardare a chiedere nuovamente l'ammissione nella Società del Sacro Cuore. Quantunque non osasse sperare, il 27 luglio presentò umilmente la sua domanda.
«Ma la risposta fu negativa, così ella scrive. Tuttavia nell'anima mia risuonava la voce di Gesù che mi diceva: "Insisti e confida in me che sono il tuo Dio!"».
La sua insistenza non cambiò il rifiuto, che sembrava irrevocabile per le esitazioni precedenti della richiedente.
«Il 16 settembre, ella prosegue, mi gettai ai piedi del Crocifisso e lo supplicai di ricevermi nel suo divin Cuore, cioè nella Società, o di farmi morire, perché mi pareva di non poter soffrire di più. Allora, credo, mi mostrò i Suoi piedi divini e le Sue mani divine, dicendomi: "Guarda le mie piaghe, baciale e dimmi se non puoi soffrire qualcosa di più... Sono Io che ti voglio per il mio Cuore!".
«Come esprimere ciò che provai? Gli promisi di vivere solo per amarlo e soffrire... ma, o Gesù, quanto sono debole!».
Trascorsero ancora due mesi di ansie e di suppliche e giunse il 19 novembre.
«Quel giorno nella mia Comunione, dice Josefa, - Lo supplicai per il Suo Sangue e le Sue Piaghe di aprirmi quella porta della Società che avevo da me stessa chiusa. Riapritela, mio Gesù, ve ne supplico, poiché sapete che non chiedo che di essere la sposa del vostro Cuore!».
L'ora era giunta. Quella mattina medesima si recò a Chamartin per cercare lavoro. Là era attesa. Proprio allora vi era giunta una lettera da Poitiers. Si domandavano per il noviziato appena fondato delle solide vocazioni. Josefa si sentiva di sollecitare in Francia l'ammissione desiderata? Immediatamente con piena generosità rispose di sì; e subito scrisse per offrirsi.
«Mi sono gettata di nuovo - così scrive nei ricordi, - ai piedi di Gesù, che mi infonde tanta confidenza e con gli occhi pieni di lacrime e col cuore ancora più pieno di amore, mi sono offerta ad accettare tutto mentre provavo in me, malgrado la mia debolezza, un coraggio insolito».
La mamma, sebbene desolata, non fece questa volta nessuna opposizione: Dio toglieva gli ostacoli. Per evitare il dolore dell'addio Josefa lasciò la casa tacitamente e senza prendere niente con sé. La carità della Madri del Sacro Cuore provvide a tutto il necessario.
«Gesù mi prese, - ella dice, - e non so come mi trovai a San Sebastiano! Non avevo né denaro né forze: nient'altro che il mio amore... ma ero al Sacro Cuore! Io, sempre la stessa, sempre tanto debole, ma Lui sempre lì a sorreggermi!».
La casa del S. Cuore di S. Sebastiano, che l'aveva accolta con fraterna carità, trattenne Josefa per un mese ed ella, riconoscente, cercò di essere utile aiutando indefessamente dove poteva. Tuttavia il pensiero della madre e della sorella, da cui riceveva lettere strazianti, le lacerava il cuore. Già intravedeva le difficoltà di una lingua non conosciuta, ma la sua volontà era ormai fissa in quel Cuore che l'aspettava altrove.
«Come farete in un paese di cui non conoscete la lingua?» le fu chiesto. «Dio mi conduce!...», rispose con semplicità. Ed era proprio così.
Il mercoledì 4 febbraio 1920 lasciava per sempre la patria per seguire, al di là della frontiera Colui il cui Amore sovrano può chiedere tutto.

SOMMARIO
CAPITOLO 02 ♦ ALL'OMBRA DEL CONVENTO «DES VIEUX FEUILLANTS»

IL CUORE APERTO DI GESÙ • 4 FEBBRAIO -16 LUGLIO 1920 ♦ pag.55

Per tutto quello che mi dai, Io ti do il mio Cuore! • (Nostro Signore a Josefa, 15 luglio 1920).

Nella sua posizione soleggiata sulle pendici degli ameni colli da cui Poitiers domina la valle del Clain, il vecchio monastero dei Feuillants sembra una di quelle terre privilegiate, fatte per l'incontro dei fervori umani coi favori divini.
Nel 1618 una colonia cistercense di Foglianti vi si era stabilita, ma venne dispersa dalla Rivoluzione. Passata la tempesta, Santa Maddalena Sofia Barat riaccese fra le rovine la fiamma dell'amore impiantandovi il primo noviziato della Società del Sacro Cuore.
Vi soggiornava spesso e in quel vecchio convento ricevette favori celesti così insigni, che la casa, i chiostri, il giardino divennero per la sua famiglia religiosa come un reliquiario e un memoriale della Fondatrice. Proprio tra quelle mura benedette Gesù volle nascondere la sua prediletta, amorosamente coltivarla come un fiore d'elezione, aprirle il Cuore, associarla alla Sua sete di anime, e compiere in lei e per mezzo di lei, la Sua Opera di Amore. Tuttavia, all'arrivo di Josefa a Poitiers, nessuno avrebbe potuto sospettare il grande disegno divino che incominciava ad attuarsi.
Come apparve all'inizio del postulato, semplice, silenziosa, assidua al lavoro, scomparendo tra le consorelle, così Josefa rimase nei quattro anni di vita religiosa. Niente all'esterno la distingueva dalle altre: la sua fisionomia seria lasciava talvolta trasparire la sofferenza, ma si illuminava di un dolce sorriso, quando le si rivolgeva la parola o le si chiedeva un servizio. I grandi occhi neri, pieni di espressione, parlavano per lei e a sua insaputa. Tutta la sua vita si rispecchiava nello sguardo limpido rivelatore dell'interna fiamma e del profondo raccoglimento.
Josefa possedeva doni non comuni di natura. Intelligente, attiva, a tutto si adattava e riusciva in tutto. Il buon senso illuminato, congiunto al giudizio retto, assicuravano in lei un fondamento serio ed equilibrato sul quale la grazia poteva lavorare a suo agio.
Il cuore tenero e generoso, fortificato nella prova, sapeva custodirsi, pur donandosi interamente, e, come coloro che hanno molto sofferto, essa era buona di quella bontà che solo la piena dimenticanza di sé può insegnare.
Josefa portò, entrando in religione, uno spirito maturato nel sacrificio, una comprensione soprannaturale della vocazione, una vita interiore già profonda ed un amore illimitato al Cuore di Gesù. Questi doni rimasero nascosti a chi la circondava, come agli stessi suoi occhi, e dal suo arrivo fino alla morte, passò inosservata nell'oscurità di una vita fedelissima.
Il noviziato delle Sorelle coadiutrici dei Feuillants non contava da principio che qualche recluta, venuta da case diverse. Josefa fu la prima postulante e, dopo poco, la decana delle novizie. Fin dall'inizio quella vita umile e laboriosa così simile alla vita di Nazaret, rapì il suo cuore ed ella trovò la risposta alle sue più intime aspirazioni nell'ideale concepito dalla Santa Fondatrice del Sacro Cuore: molto lavoro nascosto, per aiutare l'Opera del Cuore di Gesù nell'educazione giovanile: lavoro tutto permeato di amore, di silenzio, di preghiera cui l'unione al Cuore adorabile dà tutta la ricchezza divina e il valore apostolico. Josefa abbracciò con intenso ardore questa nuova vita così luminosa per la sua fede e così cara al suo cuore. novizie. Fin dall'inizio quella vita umile e laboriosa così simile alla vita di Nazaret, rapì il suo cuore ed ella trovò la risposta alle sue più intime aspirazioni nell'ideale concepito dalla Santa Fondatrice del Sacro Cuore: molto lavoro nascosto, per aiutare l'Opera del Cuore di Gesù nell'educazione giovanile: lavoro tutto permeato di amore, di silenzio, di preghiera cui l'unione al Cuore adorabile dà tutta la ricchezza divina e il valore apostolico. Josefa abbracciò con intenso ardore questa nuova vita così luminosa per la sua fede e così cara al suo cuore.
Per narrare ciò che fu esternamente il suo postulato, il noviziato, e i 18 mesi che conclusero la sua breve vita terrena, basterebbero poche righe. Gesù di Nazaret non ci ha forse insegnato che gli apprezzamenti divini non sono quelli del mondo? E il Vangelo non riassume forse la storia di trent'anni di vita nascosta con la breve espressione: «stava loro sottomesso»? Così la santità delle Sorelle coadiutrici del Sacro Cuore è tanto più reale, quanto più avvolta nel silenzio, tanto più profonda quanto meno appariscente. Josefa doveva essere una di quelle anime ignorate sulla terra, che appena si vedono, parlano poco, e la cui storia si racconta in alcune parole.
Ma sotto il velo che nasconde la sua breve vita religiosa non tardò a rifulgere un'aurora splendente, quella delle grazie di elezione di cui il Cuore di Gesù l'ha fatta depositaria.
Giorno per giorno, i disegni dell'Amore infinito si delinearono nella trama di quella vita, senza che all'esterno nulla apparisse del segreto custodito da Dio stesso. Le meraviglie della storia che stiamo narrando consistono appunto nel contrasto tra le apparenze esteriori e le realtà interne, tra il visibile e l'invisibile. Josefa è simile in tutto alle consorelle nella vita giornaliera, e, tuttavia, porta nell'anima il peso della divina predilezione che, a volte, l'abbandona a tutti gli assalti del dolore, a volte la soggioga davanti alla faccia di Dio! D'ora innanzi una doppia corrente di amore si stabilisce tra Gesù e Josefa: Amore divino di cui nulla può frenare lo slancio: amore fragile ma infuocato, quello di Josefa, che si sforza senza posa di offrirsi a tutte le esigenze del Disegno divino e di rimanere fedele all'offerta.
Le seguenti pagine vorrebbero esporre qualcosa del mistero di questa vita. Pur sottomettendosi interamente al parere della Santa Chiesa, sola giudice in tale materia, si direbbe che il silenzio e l'ombra in cui si svolse la storia di Josefa presentino l'impronta dello spirito di Dio, e non sembra temerario scoprire la Sua Azione divina nella prudenza che, al di sopra di tutte le possibilità umane, dispose che restasse inviolato il segreto di questa esistenza. Infatti, all'infuori delle Superiore, nessuno nella grande casa dei Feuillants seppe mai le meraviglie che si svolgevano tra quelle mura.
Un altro segno divino, e non minore, fu la cura gelosa con cui Gesù mantenne il Suo strumento piccolo agli occhi propri e altrui.
«Non per quello che sei ti ho scelta, - non cesserà di dirle - ma per quello che non sei. Così ho trovato dove collocare la mia Potenza e il mio Amore».
Non era forse necessario che il Dio di ogni sapienza cominciasse con lo scavare in quell'anima una capacità abissale, per deporvi poi le predilezioni del suo Cuore? Josefa, arrivata al porto della vita religiosa, piena di speranza, doveva ben presto sperimentare venti e tempeste molto più pericolose di quelle che l'avevano sconvolta nel mare del mondo.
«Quindici giorni di pace deliziosa - ella scrive - seguirono il mio ingresso al noviziato».
Ben presto fece conoscenza con le Madri, le Sorelle, la casa, il giardino. Ai Feuillants si ricorda ancora l'arrivo della piccola spagnola dagli occhi neri, che non sapeva come esprimere la sua immensa gioia e la sua riconoscenza. Semplice e amabile seppe subito ambientarsi nella grande famiglia. La Madre Assistente e molte sorelle anziane, che in parecchi anni vissuti nella Spagna si erano familiarizzate con quella lingua, le procurarono la gioia inattesa di udire e parlare ancora il caro linguaggio castigliano. Qualche giorno le bastò per rimettersi dalle emozioni della partenza, e poi fu data come aiuto in cucina, lavoro inusitato per lei. Vi si applicò con tutto il cuore e il suo viso raggiante diceva quanto poco le importasse la forma del dono, purché potesse darsi interamente a Colui che solo aveva il suo amore. Si sarebbe detto che nulla dovesse turbare quella felicità. Ma il nemico di ogni bene prevedendo a quali altezze di virtù sarebbe giunta la giovane principiante, nell'ombra preparava i suoi agguati. Si avvicinava l'ora in cui Dio avrebbe permesso all'avversario di entrare in scena. Josefa ad un tratto si trovò avvolta di tenebre.
«Ben presto - ella scrive - cominciai a turbarmi al pensiero della mamma, di mia sorella, della patria lontana e della lingua che non comprendevo. Durante i primi mesi la tentazione fu così violenta che credetti non mi sarebbe stato possibile di resistere. Soprattutto mi riusciva insopportabile il pensiero che mia sorella dovesse tanto soffrire per causa mia. Tuttavia mi decisi ad abbandonare al Cuore di Gesù tutte e due, affinché Egli ne prendesse cura, e seguendo un consiglio che mi era stato dato, tutte le volte che il ricordo della patria, o della mamma, o della sorella, mi si affacciava al pensiero, rinnovavo un atto di amore e di fiducia.
«Una sera, al principio di aprile, la tentazione di andarmene mi assalì più violenta. Durante l'intera giornata non avevo fatto che ripetere: Dio mio, Ti amo, risoluta come ero di essergli fedele. Nel coricarmi misi il Crocifisso, come sempre, sotto il guanciale. Verso mezzanotte mi svegliai e, baciandolo, dissi con tutto il cuore: "da questo momento Ti amerò sempre di più". In quell'istante stesso mi trovai afferrata da una forza invisibile e sentii una tale carica di colpi, come di pugni, che credetti morirne. Quel supplizio durò tutta la notte e continuò durante la meditazione e la Messa. Ero così spaventata che non potevo staccarmi dal mio Crocifisso; ero sfinita e non osavo fare alcun movimento. Finalmente, al momento dell'Elevazione, vidi passare presso di me un bagliore, come un lampo, e sentii un rumore simile a un forte soffio. Tutto cessò all'improvviso, ma restai indolenzita per parecchi giorni».
In tal modo Josefa iniziò quella lotta che sosterrà tutta la vita contro il nemico delle anime. Però resta calma ed ugualmente fedele al suo dovere giornaliero e alla regola. La sua confidenza e l'obbedienza verso la Maestra delle novizie aumenta e presso di lei trova pace e forza per soffrire maggiormente.
«Il venerdì 7 maggio - ella scrive - non potendone più, supplicai che mi lasciassero partire. Allora la Madre Assistente mi mostrò il biglietto scritto da me in cui domandavo per l'amore di Dio, della Santissima Vergine, del mio Patrono San Giuseppe e della Beata Madre Fondatrice che, se mille volte chiedessi di partire, mille volte mi si ricordasse che, nelle ore di luce ero stata convinta essere volontà di Dio che rimanessi al noviziato. Da quel giorno non ebbi più un momento di pace, e Dio solo sa quel che ho sofferto!».
Cinque settimane trascorsero in queste lotte così eccezionali e Josefa ripeté ad ogni istante la parola dell'obbedienza:
«Sì, Gesù, resterò al Tuo servizio, e voglio amarti coll'obbedire. Non vedo niente, ma, malgrado le tenebre, ti sarò fedele!»
Una sera, dello stesso mese di maggio, lo sforzo diabolico fu ancora più tangibile.
«Ero in Cappella durante l'adorazione - scriveva più tardi - e, ad un tratto, fui attorniata da una folla furiosa. Vedevo ceffi orrendi, udivo grida acute e nello stesso tempo tutto il mio corpo era percosso furiosamente... non riuscivo neppure a chiedere aiuto. Mi sentii così male che dovetti sedermi e, senza poter pregare, fissavo il tabernacolo. All'improvviso mi sentii afferrare per un braccio, come se mi si volesse trascinare fuori di Cappella: provai a resistere, ma fui strappata da una forza irresistibile. Non sapendo che fare né dove andare, perché temevo di incontrare qualcuno, salii alla cappellina della beata Madre. Là fui raggiunta dalla Madre Assistente che mi chiese che cosa fosse successo. Non potevo parlare ma interiormente dicevo a me stessa: "anche se mi uccidono, andrò da lei e dirò tutto"».
«Uscii di là, ma subito mi vidi attorniata dalla stessa folla furibonda che gridava orribilmente. Giunta alla porta della camera della Madre, tutto disparve come un lampo. Mi trovai in perfetta pace e non avrei più voluto uscire di là. La stessa cosa mi accadde più volte in seguito, - aggiunge Josefa -, ma sempre, quando mi decidevo a parlare, tutto scompariva appena giunta alla porta della Madre Assistente. Osservai specialmente la rabbia del demonio quando ella mi faceva il segno della Croce sulla fronte, pestava i piedi rabbiosamente e, se alle volte la Madre dimenticava di farlo, udivo sghignazzare orribilmente».
Attraverso queste prove si svolse il postulato di Josefa. Il 16 luglio doveva portarle la grande grazia della vestizione. Però, tante inattese sofferenze la gettavano in perplessità dolorose e la prospettiva di tali patimenti si ergeva davanti a lei come un ostacolo insormontabile. Talvolta era pronta ad abbracciare la volontà di Dio, a qualunque costo, tal altra si sentiva così paralizzata da non saper consentire a sopportare croci tanto pesanti.
«Continuai - così ella scrive - fino al giorno in cui Gesù volle farmi sperimentare la Sua presenza divina e, d'allora in poi, infondermi tanta luce e consolazione».
Il sabato 5 giugno 1920, dopo un più formidabile assalto infernale, Josefa, decisa a partire, entrava con le consorelle in Cappella per l'Adorazione Eucaristica pomeridiana. Gesù l'attendeva. Essa sotto l'azione diabolica dice:
«No, non vestirò l'abito, voglio tornare a casa! Per cinque volte dissi così - scriveva più tardi - ma non potei ripeterlo di più. O Gesù, quanto sei stato buono con me!».
Ad un tratto Josefa, avvolta da quello che ella chiamava ingenuamente «placido sonno», si risveglia nella ferita del Cuore divino.
«Non posso spiegare ciò che avvenne in me. Altro non ti chiedo, Gesù - ella scrive - che di amarti e rimanere fedele alla mia vocazione!».
Nella luce da cui è circondata, vede i peccati del mondo e si offre di dare la vita per consolare il Cuore trafitto di Gesù. Un desiderio veemente di unirsi a Lui la consuma e nessun sacrificio le sembra troppo arduo per restar fedele alla propria vocazione. Le tenebre dello spirito si sono dissipate nella luce divina e la desolazione è scomparsa dando luogo a una felicità indicibile.
«Dio ha fatto questo cambiamento - ella osserva negli appunti scritti per obbedienza -
mi sento confusa per tanta bontà! Vorrei amarlo pazzamente e non Gli chiedo che due cose: amore e riconoscenza verso il suo Cuore adorabile! Conosco più che mai quanto sono debole, ma più che mai aspetto da Lui forza e coraggio... Non avevo mai riposato in quella divina ferita... ora so dove andare a rifugiarmi nei momenti della tribolazione; ho trovato il luogo del riposo e dell'amore!
«Ora sento vivamente quanto abbia resistito alla grazia e misuro tutta la mia infedeltà, ma tale conoscenza mi spinge a maggior fiducia e mi fa sperare ch'Egli non mi mancherà mai, anche quando mi sentirò abbandonata. Ciò che mi torturava finora era il timore di non essere fedele, sentendomi sola. Ma mi accorgo che Gesù, a mia insaputa, mi sosteneva. Oh! quanto vorrei amarlo!».
Quando Josefa esce dalla Cappella ancor tutta impregnata del contatto divino, si può facilmente rilevare quale cambiamento, in pochi istanti, sia avvenuto in lei.
«Non so proprio di che si tratta - scrive due giorni dopo - ma credo che Gesù voglia scoprirmi un altro segreto perché alla meditazione di ieri, lunedì 7 giugno, mi ha fatto entrare nuovamente nella ferita del Suo Costato. Gesù mio, quanto mi ami! Non potrò mai corrispondere a tanta bontà! In quella ferita del Cuore mi è sembrato scorgere una piccola apertura e avrei voluto sapere come fare per penetrarvi..., ma mi fece capire che l'avrei saputo un'altra volta.
«... Dodici giorni sono trascorsi - scrive il 17 giugno, dacché il Signore mi ha concesso una grazia tanto grande. Durante questo tempo ho avuto immense consolazioni e, soprattutto, ho potuto approfondire gli insegnamenti del Cuore divino.
Mi ha mostrato chiaramente che ciò che più Gli piace sono i piccoli atti compiuti per obbedienza. Ho capito che a questo devo applicarmi per imparare la rinunzia totale a me stessa. Per piccolo che sia l'atto compiuto piacerà moltissimo al Cuore di Gesù. Voglio consumarmi d'amore. Che Cuore è quello di Gesù!».
Schiacciata dal cumulo di tante grazie Josefa continua a trascrivere tutta la piena dei suoi affetti.
«Oggi, mercoledì 23 giugno, ho meditato sulla bontà del Cuore di Gesù, riflettendo che questo Cuore così pieno d'Amore per le anime e per la mia, diverrà il mio Sposo, se Gli sarò fedele! Non sapevo che dire, né come ringraziare. Mio Gesù, non posso ripagarti che servendomi di Te, poiché se io sono Tua, Tu sei mio; mi abbandono a Te! Bisogna che la mia vita sia soltanto in Dio e di Dio... che io mi dia interamente, finché tutto in me sia consumato e scompaia e tutto quello che sono e faccio non venga che da Lui!
«Dopo averlo ricevuto nella santa Comunione Gli ho detto come sempre quanto L'ami e quanto brami di amarlo, e allora Egli mi ha introdotta nel divino Rifugio. È già la terza volta che riposo nel suo Cuore! Non so dire ciò che avviene in me, se non che mi sento troppo piccola per tante grazie. Mio Dio, questo Cuore ricolma di amore colui che Lo cerca e Lo ama!
«Nei momenti di paradiso che trascorro nella ferita del Suo Costato, Gesù mi fa conoscere come contraccambia quel poco che faccio per essergli fedele. Non voglio più cercare in nulla il mio interesse, ma, in tutto, la sua gloria. Procurerò di essere molto obbediente e generosa nelle minime cose, perché credo che la perfezione consista in questo, e che sia un mezzo per andare a Lui».
Di fronte al Cuore di Gesù che le si apre così meravigliosamente Josefa non sa più come dimostrare i sentimenti che prova.
«Oggi, giovedì 24 giugno, ho visto, in modo inesprimibile, ciò che è il Cuore di Gesù... L'ho supplicato di darmi sete di Lui! non so spiegare ciò che ho visto... ma era Lui! In Lui era tutto il cielo... Mio Dio! non reggo a tanta felicità! Vorrei offrire qualcosa... dare a Colui che tanto mi dà! Ma sono così piccola!... Gli ho promesso di nuovo di essere fedele e di lasciarmi guidare in tutto per andare con più sicurezza al Suo Cuore divino».
Senza lasciarsi tuttavia trasportare dallo slancio dell'anima, Josefa si ferma. Cerca di penetrare in fondo al Cuore di Gesù per scoprire ciò che aspetta da lei e misurarne l'infinita bontà.
«Osservo due cose: prima di tutto, una maggior conoscenza della bontà divina, poiché, se ho sempre creduto che Dio ama pazzamente le anime, ora vedo chiaramente ciò che è questo Cuore amantissimo. La sua pena più grande è di non trovare corrispondenza al Suo Amore, mentre se un'anima Gli si abbandona, può essere sicura che Egli la ricolmerà di grazie e farà di lei un cielo per fissarvi la Sua dimora. Perciò ho promesso in modo speciale: fedeltà e obbedienza, fiducia e abbandono.
«La seconda cosa che osservo è una conoscenza più chiara di me stessa. Mi vedo (e non so se proprio fino in fondo) quale sono: fredda, distratta, immortificata, poco generosa! O Dio! perché amarmi tanto, mentre sai ciò che sono?... Signore, non perderò però fiducia! Ciò che non potrò fare, lo farai Tu e con la Tua Grazia e il Tuo Amore andrò avanti».
E Gesù la conduce sempre più addentro nel suo Cuore. Le grazie di cui l'ha colmata in questo mese di giugno non sono che un preludio. Infatti Josefa scrive la sera del martedì 29 giugno:
«Oggi la meditazione era sulle tre negazioni di S. Pietro e, confrontando la mia debolezza, con la sua, presi la risoluzione di piangere le mie colpe e di imparare ad amare come lui. Quante volte anch'io ho promesso fedeltà! Ma oggi l'ho fatto con più forza e con più decisione. Si, o Signore, ti sarò fedele! Ti prometto non solo di non ricusarti niente, ma di andare incontro a ciò che saprò esserti più gradito.
«Mentre stavo così conversando col mio Dio, Egli mi introdusse nella divina ferita del Suo Costato. Ho visto aprirsi la piccola apertura in cui non avevo potuto penetrare qualche giorno fa, e mi ha fatto capire la felicità che mi aspetta, se sarò fedele a tutte le grazie che mi ha preparato.
«Non posso dire ciò che ho scorto: era come una voragine di fiamma in cui il mio cuore si consumava. Impossibile vedere il fondo di questo abisso, perché era immenso e pieno di luce. Mi trovavo talmente immersa in quel che vedevo da non poter né parlare; né domandare... La meditazione e una parte delia S. Messa sono trascorse così, ma poco prima dell'Elevazione, i miei occhi, questi poveri occhi!... hanno visto Gesù, l'unico bene dell'anima mia, il mio Signore e Dio in mezzo ad una grandissima fiamma. Non so ridire ciò che sia accaduto, perché non posso!... Vorrei però che il mondo intero conoscesse il segreto della felicità. Non consiste che nell'amare e nell'abbandonarsi: il resto lo fa Gesù.
«Ero come annientata davanti a tanta luce e a tanta bellezza, allorché Egli mi ha detto con voce dolce e solenne insieme: «Nello stesso modo in cui Io m'immolo, vittima di Amore, così voglio che tu sia vittima: l'amore nulla rifiuta».
«Così passò questo momento di paradiso, giacché non posso chiamarlo altrimenti. Non ero capace di dire che queste parole: mio Dio che vuoi ch'io faccia? Domanda e disponi, poiché non sono più mia, ma Tua! Poi Egli disparve».
Al ricordo di questa ineffabile visita, Josefa non può trattenere il suo ardente amore.
«O Gesù, - ella scrive - non desidero che una cosa, che il mondo intero Ti conosca, ma soprattutto le anime scelte ad essere le spose del Tuo Cuore adorabile! Se Ti conoscono, Ti ameranno perché sei l'unico Bene. Infiammami del Tuo amore e mi basta... infiamma tutte le anime e non Ti chiedo di più, poiché l'amore ci conduce a Te per il sentiero più breve. Per me non bramo altro che amarti e sempre di più, Te solo! Tutto il resto non mi sarà che un mezzo per giungere a Te. Se potessi, anche a prezzo della vita, condurrei tutti a questa divina fornace!
«Gesù mi ha dato il desiderio ardente che tutte le anime Lo amino. Perciò offrirò tutto, andrò incontro a ciò che più mi costa per piacergli e ottenere che molti cuori Lo conoscano e Lo amino.
«Gli ho anche promesso di non far nulla, se non guidata dall'obbedienza e ho capito quanto sarà contento di vedermi semplice, aperta, pronta a lasciarmi condurre come un fanciullino».
Dopo qualche giorno da «quel gran momento di paradiso» Nostro Signore mostra a Josefa ciò che esigerà da lei: la sete delle anime che Egli ha cominciato a comunicarle. Ella scrive il sabato 3 luglio:
«Oggi lavoravo al noviziato e pensavo alla felicità di dimorare con Lui sotto lo stesso tetto, e di averlo per compagno in ogni occupazione. Non so più quel che Gli dicevo quando, ad un tratto, mi ha mostrato il Cuore avvolto in una fiamma luminosa, circondato da una corona di spine, e quali spine! Erano lunghe, penetranti e da ognuna sgorgava molto sangue... Avrei voluto togliergliele, ma in quel momento il cuore mi è stato strappato per così dire, con immenso dolore, e messo accanto alla ferita del Costato sotto le spine. Ma solo sei si conficcarono nel mio, perché è assai piccolo. Passò un momento e non potei dire niente, eppure Egli sapeva quanto desiderassi avere un cuore più grande per togliergli più spine! Allora la Sua dolce voce dolorosamente mi disse:
«- Questo e molto più ha sofferto il mio Cuore: ma trovo anime che si uniscono a Me e Mi consolano, in compenso di quelle che se ne allontanano!»
«Oh! quanto Gesù ha sofferto! Compresi che alcune spine Lo feriscono più di altre e avrei voluto sapere che cosa dovevo fare per consolarlo, perché io ho soltanto delle piccolezze da offrirgli, e sono troppo poco per tante sofferenze, ma non me lo ha detto!»
La domenica 4 luglio, Josefa assiste alla S. Messa come al solito, associandosi ai divini Misteri.
«E per dire la verità ella scrive - non sapendo che cosa dire né che cosa fare cercavo di umiliarmi, poiché ogni giorno più conosco la mia piccolezza e la mia miseria, quando, davanti a me, vidi quel Cuore adorabile! Era trapassato da una grossa spina, che doveva essere molto lunga perché il sangue scorreva abbondante. O Gesù mio! chi ti ferisce così? Forse sono io? Che sofferenza vedere quel Sangue divino! È un dolore che non posso esprimere... Signore mio, prendimi e fa' di me ciò che vuoi, ma che questa spina non rimanga conficcata così nel Tuo Cuore! Allora ho visto uscire come un lungo chiodo che lasciò una ferita così profonda da poter scorgere l'interno di quell'ardente fornace, e Gesù mi ha risposto:
« - Questo grosso chiodo è la freddezza delle mie spose. Voglio che tu lo comprenda per infiammarti di amore e consolare il mio Cuore». «Il martedì 6 luglio, - continua Josefa - durante la meditazione, mi ha di nuovo mostrato il Cuore, trafitto da sei spine. Ne provo un immensa pena, tanto per quello che soffre, quanto per la mia piccolezza incapace a sollevare e consolare il Suo dolore. Mi ha fatto comprendere che le sei spine sono anime che attualmente L'offendono in modo speciale, e mi ha detto:
« - Sono queste le spine che ti chiedo di togliermi con il tuo amore e i tuoi desideri». «Allora fece cadere qualche goccia del Suo Sangue sul mio cuore. O Signore! il mio cuore è troppo piccolo per tanto Amore, ma è tutto Tuo!».
Il giorno dopo, 7 luglio, Gesù introducendola ancora una volta nel suo Cuore ferito le lascia questa parola d'ordine:
« - Amami nella tua piccolezza, così Mi consolerai». «Di tutte le grazie che ricevo - ella conclude il giorno stesso - due cose rimangono profondamente scolpite nell'anima mia: 1° Un desiderio sconfinato di amare e di soffrire per corrispondere al Suo Amore e questo lo realizzerò con la fedeltà alla mia vocazione;
2° Una sete bruciante che molte anime Lo conoscano e Lo amino, soprattutto quelle che Egli sceglie per Sue spose. Credo che questa sia la mia vita: nulla risparmiare a tal fine, cercare le occasioni di offrire molti piccoli atti a Gesù, a Colui che amo pazzamente o meglio, che desidero amare tanto!»
Con queste disposizioni ella si avvicina al giorno della vestizione. Il mercoledì 7 luglio 1920 si aprì infatti il ritiro che doveva condurla, non senza combattimenti, al giorno ansiosamente atteso.
«Ardente desiderio di darmi interamente a Dio, senza tralasciare o rifiutare nulla di ciò che conosco essere la Sua Volontà. Essere attentissima alla voce di Gesù, in modo che questo ritiro sia come il fondamento di tutto il mio noviziato. Soprattutto chiedere un grande amore alla mia vocazione che è per me il mezzo di unione e di conformità al Cuore di Gesù».
Così cominciano gli appunti del ritiro sul quadernino di Josefa. Ogni giorno ella scrive fedelmente il risultato dei suoi sforzi e, da queste righe assai semplici, scritte per sé sola, traspare la burrasca delle tentazioni che ad un tratto sorgono nel cielo dell'anima sua.
«Fino al terzo giorno del mio ritiro, 10 luglio, - ella scrive - ero in grande consolazione, ma nella meditazione del giudizio mi sentii ad un tratto sola dinanzi a Dio giudice. Allora l'anima mia fu presa da un timore tale che perdetti la pace che godevo fin dal 5 giugno. Vidi davanti a me tutte le grazie ricevute che mi accuseranno un giorno, e mi trovai nello stesso tempo immersa in tanta solitudine e desolazione che mi sembrò preferibile non avere tali favori per non dovere renderne conto.
«Passarono così parecchi giorni e decisi di partire. Ma, mio Dio, quale notte trascorsi e quante sofferenze! La mamma e mia sorella stavano per giungere e questo pensiero accresceva la tentazione, risvegliando più forte in me la tenerezza per quegli esseri cari e per la patria.
«Fin da principio avevo detto tutto alla Madre Assistente e non cessavo di ripetere per obbedienza la preghiera di offerta che essa mi aveva insegnato e che altre volte mi aveva fatto tanto bene; giacché prima di tutto volevo restar fedele e, in certi momenti, capivo che era una tentazione. Ma niente mi sollevava, anzi!
«La vigilia della Vestizione, 15 luglio, la lotta fu così forte che non trovai altra cosa da offrire che questa tentazione stessa. O Signore! ciò che amo di più, la libertà, la famiglia, la patria, in una parola, tutto ciò che ora mi tenta, Te lo offro, e non voglio che esserti fedele o morire!... Allora Gesù si degnò consolarmi nel modo che dirò».
Ma, prima di cominciare il racconto delle grazie straordinarie, Josefa, sempre fedele agli inviti di Nostro Signore, espone la sua risposta d'amore. Ella scrive:
«Risultato pratico delle tre prime settimane del ritiro e «Ho visto come Dio mi chiama a una grande perfezione ossia a una totale conformità al Suo Cuore.
«Mezzi: la mia vocazione, le sante regole.
«Dio mi invita all'intimità con Lui. Vuole che viva immolata come vittima. Egli s'incarica della mia croce: non debbo né domandarla né sceglierla. Me la darà di Suo gusto. Vuole che trascorra la mia vita nel Suo Cuore e devo comprendere che le spine e la croce vi sono confitte. Ecco la mia vita: così deve essere e così adempirò la volontà di Dio.
«Nella contemplazione per ottenere il Suo Amore non so se riuscirò ad esprimere ciò che mi è accaduto. Avevo un tal desiderio di dargli tutto ciò che mi domanda che ripetevo con tutto il cuore: Prendi Signore, e ricevi tutta la mia volontà: Ti offro ciò che amo di più al mondo... Se vuoi ancora di più, Te lo sacrificherò con gioia! Prendi le mie miserie e consumale, prendi il cuore e l'anima, prendimi, Signore!»
Nostro Signore non aspettava che questa offerta per ricolmarla delle sue divine liberalità. Allora, lasciando scorrere dal suo costato un rivolo di Sangue nel quale il cuore di Josefa fu sommerso:
«- Per tutto ciò che mi dai - Egli disse - Io ti do il mio Cuore!»
«Ho creduto di non essere più su questa terra! Oggi, Egli era rivestito della tunica candidissima che fa risaltare il Suo Cuore in maniera ineffabile... Il Suo Volto è un sole... Dio mio! che bellezza! Tu rapisci i cuori che Ti conoscono!»
Ingenuamente Josefa spiega, nelle righe seguenti, come per meditare sul cielo non le occorresse il libro.
«Poiché il cielo stesso era nel mio cuore - ella scrive - altro non desidero che l'Amore e sempre l'Amore!».
Ancora una volta, prima dell'alba di quel gran giorno Nostro Signore le mostra qual è la via in cui il Suo Amore vuole introdurla. Venuta la sera, Josefa, che ha il permesso di fare l'ora santa, la incomincia con un atto di profonda umiltà.
«Adorai la Maestà divina - ella scrive - quindi riflettei sulle grazie ricevute da Dio, con un desiderio sempre più vivo di consolare il Suo Cuore.
«Ad un tratto me Lo vidi davanti, con la tunica sfolgorante di candore e il Cuore che sembrava volesse uscirgli dal petto. Siccome ero sola mi prostrai con la fronte a terra, umiliandomi quanto potevo, incapace di parlare. Dopo un momento di silenzio, mostrandomi le sei spine mi disse con quella voce che penetra l'anima.
«- Figlia mia, toglimi queste spine».
«Il venerdì 16 luglio, giorno della mia Vestizione, nel momento di ricevere il velo bianco, e dopo, fino alla fine della Messa, Gesù mi apparve e mi fece entrare nella ferita del costato. Non potei pronunziare che queste parole: Mio Dio, sono Tua per sempre!».



VOCAZIONE RIPARATRICE ♦ 17 LUGLIO - 25 AGOSTO 1920 ♦ pag.70

Parteciperai all'amarezza della mia Croce. (N. Signore a Josefa, 5 agosto 1920).

Il Cuore ferito di Gesù non tardò a riapparire sull'orizzonte di Josefa. Era stata scelta per una partecipazione speciale alla redenzione delle anime, e il Maestro divino ben presto le ricordò la sua vocazione di vittima.
Il giovedì 5 agosto, qualche giorno dopo la vestizione, la fa di nuovo partecipare al dolore delle spine che Lo feriscono. Poi la conforta con queste parole:
«Se sarai fedele, ti farò conoscere la ricchezza del mio Cuore. Porterai, sì, la mia croce, ma ti colmerò di doni come sposa prediletta».
«Questa volta - scrive Josefa - Lo vidi circonfuso di uno splendore abbagliante. Il Cuore, avvolto dalle fiamme, sembrava uscirgli dal petto.
«Il martedì 10 agosto, alla meditazione provai un gran desiderio di consolarlo. Gli ho offerto tutte le azioni della giornata, aggiungendo che se desiderava qualche cosa di più me lo facesse conoscere. Gli ho promesso di non dimenticarlo nemmeno un momento e Gli ho ripetuto continuamente il desiderio di amarlo. Nel pomeriggio, prima di recarmi all'adorazione, entrai nell'oratorio di Mater i per supplicare la Madonna di aiutarmi a consolare Suo Figlio. Nell'entrare in cappella mi trovai ad un tratto alla presenza di Gesù...
«- Non ho altro desiderio che quello di essere amato. Guarda il mio Cuore, Josefa: lui solo può farti felice. Riposati in Lui».
Poi continuò: «- Avevo sei spine, tu me ne hai tolte cinque. Una sola ne rimane ed è proprio quella che più ferisce il mio Cuore! Voglio che tu non risparmi nulla per togliermela!».
«Signore, - risposi - che cosa vuoi che io faccia?».
«- Voglio che tu Mi ami e Mi sia fedele. Ricordati che Io solo posso farti felice. Ti scoprirò la ricchezza del mio Cuore. Amami senza limiti!».
«E di nuovo mi lasciò sola».
Si avvicinava la festa dell'Assunzione e Josefa, teneramente unita alla sua Madre celeste, trascorre questo giorno di preghiera in intima unione con Lei. E siccome il pensiero della spina confitta nel Cuore di Gesù non la lasciava un istante:
«La supplicai - ella scrive - di prendersi cura di quell'anima e di levare la spina che Gesù mi chiedeva di togliergli.
«Il giorno dopo, lunedì 16 agosto, verso le tre del pomeriggio, mentre cucivo e offrivo a Gesù il desiderio di trasformare ogni punto in un atto di amore che potesse consolarlo, Lo vidi improvvisamente davanti a me.
«- Non vengo per consolarti, Josefa, - Egli disse - ma per unirti alla mia sofferenza. Toglimi questa spina: vedi come trafigge il mio Cuore! Quest'anima è sul punto di costringermi ad abbandonarla alla mia giustizia».
Molte sofferenze saranno riservate a Josefa per cooperare alla salvezza di quell'anima in pericolo. Così Gesù l'iniziò, a poco a poco, all'Opera corredentrice che prenderà tanta parte della sua esistenza. Nostro Signore proseguì:
«- Le offese degli uomini Mi feriscono profondamente, ma nulla tanto Mi affligge quanto quelle delle mie spose.
«- Questa spina è un 'anima religiosa che ho ricolmata di doni, ed ella se li appropria... l'orgoglio la perde!».
«La sera mi mostrò il Cuore, tutto fiamma, con la piaga aperta, e sempre... la spina!».
«- Ho per ogni anima due misure - mi disse - una di misericordia, e questa ha già traboccato... l'altra di giustizia, che è quasi al colmo. Nulla mi offende più che l'ostinazione e la resistenza di quest'anima... le toccherò di nuovo il cuore, ma se non risponde, l'abbandonerò alle sue forze».
«A questo punto non so esprimere quello che Egli mi fece comprendere... ma darei la mia vita per salvare quell'anima!
«La sera feci l'ora santa, avendone il permesso, e mi offersi in unione a Lui, nella Sua passione. O Dio, non guardare i peccati di quell'anima!... Guarda il Sangue che hai versato per lei... quel Sangue che può coprire tutti i peccati del mondo!
«Poi recitai le litanie della Madonna, ripetendo molte volte: "Rifugio dei peccatori, prega per noi". Arrivata all'invocazione: "Agnello di Dio che cancelli i peccati del mondo..." mi sentii ripiena di angoscia. Gesù non diceva nulla, come se non udisse. Sembrava sordo. Alla fine dell'ora santa venne col Cuore sempre trafitto dalla spina. Lo supplicai di aver compassione di quell'anima, e siccome non rispondeva, Gli dissi: ma dunque, Signore, non vuoi perdonarla?».
«- Le toccherò ancora il cuore: se Mi ascolterà, tornerà ad essere la mia sposa prediletta, altrimenti lascerò agire la mia giustizia».
Trascorsero così parecchi giorni. Josefa moltiplicò le generose offerte, mentre l'anima sua era immersa «in una tristezza indicibile».
«Credo che mai ho capito come adesso quello che sia resistere alla grazia! Mi sembra di sperimentare qualche cosa dell'infinito dolore del Cuore divino allorché un'anima Gli resiste».
«- Se tu sei disposta a soffrire - le ripete Nostro Signore il mercoledì 18 agosto - Io aspetterò quell'anima, ma non posso perdonarle finché essa stessa non vuole. L'ho creata senza di lei, ma ella è libera di salvarsi o di perdersi».
Qualche giorno dopo aggiunge:
«- Quando trovo un'anima che Mi ama e desidera consolarmi, sono pronto a darle tutto quello che Mi chiede.
«- Attenderò dunque, busserò ancora alla porta di quel cuore, poiché se vuole, il mio è disposto a perdonano.
«E mi lasciò l'anima in agonia, insegnandomi a ripetere spesso questa invocazione: "Mio Dio, soffrirò tutto per amor Tuo e per consolare il Tuo Cuore!"».
Tale sofferenza opprime l'anima di Josefa, sembrandole che la collera divina sia caduta su di lei. Gli inviti di Gesù la incalzano, senza lasciarle tregua né giorno né notte. La responsabilità di quest'anima pesa incessantemente sulla sua, senza che diminuisca il suo desiderio di riparare. Il mercoledì 25 agosto, dopo una notte angosciata di supplica, Josefa, sempre fedele all'incontro mattutino, comincia la meditazione con le sue sorelle.
«Ad un tratto - ella scrive - L'ho visto... così bello che non so ridire... In piedi, vestito di bianco. Con le mani sosteneva il Suo Cuore immerso in una fornace di fuoco. Tutta la persona adorabile irraggiava una luce splendente. I capelli sembravano d'oro, gli occhi due diamanti, il volto... non posso dire... perché non so a che cosa paragonarlo!... il Cuore, sormontato dalla croce, non aveva più la spina! Dalla ferita tutta aperta uscivano fiamme, sembrava un sole... Le piaghe delle mani e dei piedi sprigionavano anch'esse viva fiamma... Di tanto in tanto apriva le braccia e le tendeva. Non potei dirgli altro che queste parole: Mio Gesù, quanto sei bello!... Tu rapisci i cuori! e la spina?...
« La spina! non l'ho più! Niente è più forte dell'amore e Io lo trovo nelle mie spose!».
«Il Cuore sembrava Gli si accendesse sempre di più. Lo ringraziai di avermi chiamata in questa Società del Sacro Cuore e Lo supplicai di avere compassione di me, ogni giorno più miserabile e indegna di trovarmi qui: Mio Gesù, non permettere che la mia miseria formi una macchia nel candido gruppo di queste spose del Tuo Cuore! Non permettere che le grazie da me ricevute siano la mia condanna, poiché sono capace di tutto! Concedimi di esserti fedele o di morire!».
Così consolata, Josefa ascolta la Messa, qualche istante dopo, unendosi al ringraziamento della SS. Vergine.
«Dopo la Comunione Lo supplicai di farmi Sua sposa mediante una perfetta fedeltà, ma di lasciarmi nella via comune, poiché mai riuscirò a corrispondere alla Sue grazie».
«- Abbandonati nelle mie mani, Josefa, mi servirò di te come crederò bene. La tua piccolezza e la tua debolezza poco Mi importano, ciò che ti chiedo anzitutto è di amarmi e di consolarmi. Voglio che tu sappia quanto il mio Cuore ti ama, quali ricchezze racchiude, e che tu sia come cera molle da poter modellare a mio piacere...».
«- Voglio che tu Mi offra tutto, anche le minime cose, per consolare il mio Cuore di ciò che soffre, soprattutto da parte delle anime consacrate.
«Voglio che tu riposi tranquilla nel mio Cuore. Guardalo e comprenderai a qual punto è capace di consumare in te tutto ciò che vi si trova d'imperfetto.
«- Voglio che ti abbandoni al mio Cuore e che ti preoccupi soltanto di piacergli.
«- Voglio che ciò che ti chiedo tu lo dica con semplicità alla Madre, e che ti abbandoni a tutto ciò che sarà disposto per te. Infine ti ripeto che tu devi essere per Me come cera molle che Io possa modellare a mio piacere... Ricordati che sono tuo Padre, tuo Sposo, tuo Dio!».
«Poi scomparve. Mai l'avevo visto così bello! Durante quel tempo - nota Josefa - avevo potuto ascoltarlo e parlargli, avendone il permesso. D'ora in poi mi è stato ordinato di non far caso di queste cose e di non rispondergli più».


LA PROVA DEL DUBBIO ♦ 26 AGOSTO - 8 OTTOBRE ♦ pag.75

Il segno lo darò in te! (N. Signore a Josefa, 20 settembre 1920).

Verso la fine di agosto del 1920, per provare lo spirito che la conduceva, fu proibita a Josefa ogni comunicazione con l'apparizione che la rapiva. Le si impose di distogliersene, di non credere e di non dare importanza a ciò che avrebbe potuto ancora vedere o sentire.
Il dubbio ormai incombe su lei. Ne ha l'anima sconvolta e si domanda con ansia se non è divenuta zimbello dell'illusione, come, a quanto pare, si crede. Del resto più volte il demonio le aveva suggerito questo pensiero che essa aveva allontanato come una tentazione per restar fedele a ciò che credeva essere la volontà di Dio. Dov'era dunque la verità?
Nello stesso tempo l'idea che una tale vita, non voluta né cercata da lei potesse essere un ostacolo alla sua vocazione la torturava. L'orrore istintivo per le cose straordinarie, il desiderio di una vita religiosa umile e nascosta ne sconvolgevano ancor più l'anima agitata.
Ma abituata al sacrificio più intimo di sé, compenetrata di spirito di fede e di obbedienza non esitò un istante. Senza permettersi né ragionamenti né compromessi, essa decisamente entrò nell'oscuro sentiero in cui il suo amore soffrirà tanto come rivelano i suoi appunti.
«Il giovedì 2 settembre scrive - alla meditazione vidi la stessa persona così bella, con il Cuore aperto. Mi chiese due volte se L'amassi: per obbedienza non risposi quantunque mi costasse un grande sforzo, sentendomi involontariamente sospinta verso di lei».
Tre giorni dopo, 5 settembre, Josefa si trovava nella sala del noviziato.
«...quando ad un tratto - scrive - vidi una gran luce e in mezzo la stessa persona, con il Cuore tutto infiammato. Ebbi tanta paura che fuggii nella cella della Beata Madre. Mi bagnai gli occhi con l'acqua benedetta e mi aspersi anche la persona, ma la visione non spariva».
«- Perché temi? - mi disse la voce.
«- Non sai che è qui il luogo del tuo riposo?».
Trascorse qualche istante di silenzio, poi soggiunse:
«- Non dimenticare che ti voglio vittima del mio amore». «Poi tutto disparve».
La prova continuava insistente giorno per giorno. Josefa resisteva e non rispondeva, ma talvolta non riusciva a sottrarsi al fascino che la dominava, alla gioia celeste e soprattutto alla pace che la pervadeva.
«- Vieni - diceva la voce - entra qui... perditi in questo abisso!».
Il mercoledì 8 settembre, verso sera, si trovava in preghiera nella cella di Santa Maddalena Sofia e come un lampo passò davanti a lei il Cuore infiammato dicendole:
«- Che cosa preferisci, la tua volontà o la mia?».
«Compresi - ella scrive - che era la risposta a ciò che chiedevo a Gesù con tutta l'anima: essere una buona religiosa interamente data all'Amore del Suo Cuore divino, ma nella via comune, nel sentiero ordinario, perché temevo che tutte queste cose fossero di ostacolo alla mia vocazione».
Il giorno dopo, 9 settembre, alla Santa Messa ella rivide Colui di cui per molto tempo non aveva dubitato. Con una mano teneva il suo Cuore, con l'altra le porgeva una coppa:
«- Ho inteso i tuoi gemiti - le dice - conosco i tuoi desideri ma non posso esaudirli. Ho bisogno di te per riposare il mio Amore. Prendi questo Sangue sgorgato dal mio Cuore! E la sorgente dell'amore: non temere di nulla e non abbandonarmi! Mi compiaccio di abitare in te, mentre tante anime fuggono lontane!».
Josefa restò in silenzio:
«Ma - ella scrive - non potei fare a meno di pensare: Dio mio, se a vessi saputo non sarei venuta qui! Mi perseguita l'idea che restando nel mondo tutte queste cose non mi sarebbero avvenute, e ciò accresce la mia angoscia ogni giorno di più. Se Dio non mi tenesse avvinta a Lui, certamente tornerei indietro: ma mi sento legata in modo incomprensibile e l'amore alla mia vocazione si fa sempre più forte! Perciò mi sento spinta a supplicare continuamente il Cuore di Gesù di lasciarmi nella via comune, senza nulla di straordinario anche priva di consolazione, se così vuole, pur di rimanere fedele nelle più piccole cose e amare senza limiti il Suo Cuore».
Questo Cuore le appare ancora il giovedì 16 settembre e le ripete:
«Occorre, per soddisfare il mio Amore, che tu mi cerchi delle anime; le troverai soffrendo molto ed amando. Dovrai sopportare molte umiliazioni, ma non temere di nulla: sei nel mio Cuore».
In mezzo a tante incertezze Josefa si sforzava di chiudere gli occhi, ma non poteva distogliersi dal bisogno di amare Dio che sentiva crescere ogni giorno di più.
«Ripetergli che Lo amo - ella scrive - è l'unica cosa che mi mette in pace e mi distacca dalla terra. Nel passato nutrivo una viva tenerezza per i miei cari, e per altre persone... le amo ancora, ma in altro modo. Mi pare che adesso niente può riempire il mio cuore, e talvolta come istintivamente ripeto: mio Dio, Ti amo! Ciò basta per aiutarmi a compiere cose che mi sarebbero altrimenti impossibili.
«Talvolta, lavorando, mi trovo distratta, e ad un tratto, come un lampo, quel Cuore mi passa davanti, lasciandomi a lungo infiammata d'amore».
Mentre l'azione crocifiggente della prova si accentuava e crescevano le ansie di Josefa, l'obbedienza la manteneva fedele e lo spirito di cui era animata si rivelava a poco a poco. Gesù la svincolava da ogni cosa creata per unirla completamente a Sé.
Il venerdì 17 settembre, alla Messa, Nostro Signore le si mostrò, triste in volto, con le mani legate, la corona di spine in capo, il Cuore infiammato come sempre. Le presentò una croce, che ella dapprima non aveva veduta e le disse:
«Ecco la croce che ti offro: me la rifiuterai?». «Mi sento una grande angoscia per non poter rispondere - ella scrive - perché l'anima mia si slancia verso di Lui nonostante tutto.
Ardo dal desiderio di amarlo e il dubbio che non sia Lui mi tortura. Perciò quello che chiedo ardentemente è che tutte queste cose cessino per sempre!».
Ma Egli ritorna di nuovo:
«Alla meditazione, domenica 19, riflettevo su quello che avrei potuto fare per amarlo maggiormente giacché non riesco a pensare ad altra cosa. Ad un tratto Lo vidi ed il suo Cuore era come un incendio... Quel Cuore che mi infonde tanta pace e mi rende forte per sostenere ogni sofferenza!».
«- Se Mi ami - mi disse - ti starò sempre vicino. Se Mi segui continuamente, sarò la tua vittoria contro il nemico, mi manifesterò a te e ti insegnerò ad amarmi!».
Il giorno dopo, 20 settembre, assillata dalla stessa ansietà, essa supplica Nostro Signore di voler concedere un segno alle sue Superiore, affinché sappiano se tutte queste cose vengono da Lui o no. Egli ad un tratto appare e dice:
«- Il segno lo darò in te. Quello che voglio è che ti abbandoni a Me».
Questo segno infatti Dio già stava imprimendolo nell'anima docile e generosa di Josefa, attraverso una lotta che pur la lasciava invariabilmente obbediente. Gli inviti divini si moltiplicavano, ma ella continuava a mantenere il silenzio.
«Venne però un giorno in cui - scrive il 27 settembre - non so che cosa sia avvenuto in me. Mi vidi come costretta ad arrendermi, ad abbandonarmi a ciò che Dio voleva fare di me e non potei trattenermi dal dirgli: Sì, o Signore, sono Tua: ciò che vuoi io lo voglio! Immediatamente vidi Gesù bellissimo che mi disse:
«- Non temere, sono Io».
Il venerdì 29 settembre mi rivolse di nuovo la domanda:
«- Sei disposta a fare la mia Volontà?».
«Mio Dio - ella scrive - se sei Tu veramente mi metto nelle Tue mani perché Tu faccia di me ciò che vorrai. Quello che Ti chiedo è di non essere ingannata e che nulla metta ostacolo alla mia vita religiosa».
«Egli mi rispose: «- Se sei nelle mie mani di che puoi temere? Non dubitare, né della bontà del mio Cuore, né del mio Amore per te».
«Una fiamma si sprigionò dal Suo Cuore e mi avvolse.
«Ciò che ti chiedo - Egli continuò - è di essere sempre pronta a consolare il mio Cuore, ogni volta che ho bisogno di te. La consolazione di un'anima fedele mi compensa delle amarezze che mi infliggono tante anime fredde e indifferenti. Sentirai, sì, talora tutto il peso della mia angoscia, ma è così che mi consolerai. Non temere di nulla, sono con te!».
Tuttavia queste parole non la rassicuravano del tutto, e quando si trovava sola l'anima sua era di nuovo immersa in un'angoscia indicibile. Combattuta tra le attrattive talora irresistibili dell'amore, il timore delle cose straordinarie, l'obbedienza che le imponeva il silenzio, supplicava Nostro Signore di lasciarla nella vita semplice e comune che il suo amore desiderava, o di dare la luce necessaria per mettere fine a tanti dubbi e sofferenze.
É ormai vicina l'ora in cui Colei che mai viene invocata invano si chinerà sull'umile sua figlia.
La sera della domenica 3 ottobre, la Madre Assistente, indovinando, dal volto della novizia, la sua intima tortura, le disse di andare a coricarsi prima dell'ora ordinaria. Nel piccolo dormitorio Josefa, non riuscendo a dormire, si mise a pregare la Madonna.
«Recitai le litanie della SS.ma Vergine - ella scrive - con tutto il cuore ripetei la domanda che da parecchi giorni non cessavo di rivolgere alla Madre celeste: Madre mia! ti supplico per amore di Dio, non permettere che sia ingannata, e fa' conoscere se queste cose sono vere o no!
«In quel momento sentii come un passo leggero, come se qualcuno si avvicinasse, e vidi vicino al mio letto una figura vestita di bianco, avvolta in un lungo velo, con una dolce e gentile fisionomia. Teneva le mani incrociate, mi guardò soavemente e disse:
«Figlia mia, non sei nell'inganno, e la tua Madre presto lo saprà; però tu devi soffrire per conquistare anime a mio Figlio».
«Poi disparve lasciandomi in una pace inesprimibile».
Fu il passaggio della Regina del cielo e la figlia amorosa non ne dubitò. Maria però aveva detto: Devi soffrire! e a quest'invito alla sofferenza redentrice, Josefa doveva acconsentire liberamente.
Il giorno dopo, 4 ottobre, Nostro Signore mostrandole il Cuore ferito, le disse:
«Guarda in che stato le anime infedeli mettono il mio Cuore. Non conoscono l'Amore con cui le amo, perciò mi abbandonano. Non vuoi tu... almeno tu... fare la mia volontà?».
L'ansia assalì Josefa.
«Tacqui - ella scrive lealmente - ma in me tutto si ribellava. Egli disparve e compresi di avergli fatto dispiacere».
«Il giorno dopo, martedì 5 ottobre, mentre dicevo le litanie della Madonna, vidi davanti a me la Madre celeste come la prima volta. Dopo qualche istante mi disse:
«- Se rifiuti di fare la volontà di mio Figlio sarai tu a ferirlo nel Cuore. Accetta tutto quello che ti chiede e non attribuir nulla a te stessa. Sì, figlia mia, sii molto umile!».
«Scomparve dopo avermi di nuovo guardata con grande compassione».
La Madre di amore e di misericordia aveva interceduto. Oramai era entrata nella via tracciata dal Maestro divino per la sua prediletta e vi resterà fino alla fine. Accanto a Gesù, Maria prenderà quel posto discreto e riservato, tenero e forte insieme che Le spetta.
Lascerà sempre in primo piano il Cuore di Gesù e solo interverrà per rassicurare Josefa nelle sue esitazioni, fortificarla nei timori, ricondurla sulla linea della volontà di Dio.
L'avvertirà o la rialzerà, l'inizierà alle disposizioni del Figlio Suo e la preparerà alla sua visita; le insegnerà a stare in guardia contro il nemico e a riparare le sue debolezze. Infine sarà sempre presente nelle lotte pericolose col demonio per difenderla «forte come un'armata schierata in battaglia».
L'intervento della Madonna confermò la luce che, gradatamente, andava facendosi attorno a Josefa: la sua obbedienza semplice e coraggiosa, l'indifferenza e l'abbandono da cui era animata, come anche l'umile diffidenza di sé e il timore delle vie straordinarie, e soprattutto l'amore della sua vocazione che per nulla al mondo avrebbe mai abbandonato, non era forse qui il segno di Dio? Ci si poteva opporre più à lungo ai suoi disegni? Alle guide di Josefa sembrò ormai venuto il tempo di lasciar libero campo all'azione divina, quantunque l'umile novizia dovesse rimanere circondata dal più vigile controllo. Perciò, malgrado le proprie ripugnanze, ricevette il permesso di «offrirsi».
«Il venerdì 8 ottobre - ella scrive - alla meditazione, feci l'atto di abbandono alla Volontà di Dio. Durante la Messa, un po' prima del Vangelo vidi la Madonna. La supplicai d'intercedere per me presso Dio e Le spiegai perché mi ripugnava ricevere quelle grazie, quantunque fossi decisa di glorificare il Cuore di Gesù, consolarlo e acquistargli delle anime. Credo che abbia avuto compassione di me e mi ha detto:
«Figlia mia, ripeti a Gesù queste parole a cui il Suo Cuore non saprà resistere: Padre mio, rendimi degna di compiere la Tua santa Volontà, perché sono tutta Tua».
«Ed aggiunse: «- Nelle mani di un Padre tanto buono che cosa può mancarti?».
«La supplicai di ricevere il mio atto di offerta e di ripeterlo Ella stessa a Gesù».
La sera di quel giorno, entrando in cappella per l'adorazione, Josefa si trovò a un tratto in presenza di Nostro Signore.
«Lo vidi col volto bellissimo - ella scrive - col Cuore circondato di fiamme, e nel Cuore, davanti alla croce, un libro aperto. Non capivo che cosa fosse... Mi sono offerta di nuovo, promettendo di non più tirarmi indietro. Mi ha posato la mano sul capo e mi ha detto:
«Se tu non mi abbandoni, neppure Io ti lascerò. Da ora in avanti, Josefa, non chiamarmi se non Padre e Sposo. Se Mi sei fedele, faremo questo patto divino: tu mia sposa, Io tuo Sposo! Ora, scrivi quello che leggi nel mio Cuore: è il compendio di ciò che aspetto da te».
«Allora lessi nel libro: «- Sarò l'unico Amore del tuo cuore, il dolce supplizio dell'anima tua, il gradito martirio del tuo corpo.
«Tu sarai vittima del mio Cuore, mediante il disgusto amaro per tutto ciò che esiste all'infuori di Me; vittima dell'anima mia per mezzo delle angosce di cui la tua è capace, vittima del mio corpo col distacco da tutto ciò che può soddisfare il tuo, e con l'odio verso una carne colpevole e maledetta». [1]
«Quando ebbi finito la lettura Gesù mi fece baciare il libro e disparve».

[1] Queste parole che Nostro Signore non pronunziò, ma mostrò scritte a Josefa in un libro, tra le fiamme del suo Cuore, si trovano testualmente nelle opere di Santa Margherita Maria. Si possono leggere nel piccolo breviario del Sacro Cuore, a sesta dell'Ufficio del martedì.
La santa vi esprime in modo meraviglioso la sua missione di vittima, e sembra che, riproducendole qui come sue, Nostro Signore abbia voluto manifestare la sua volontà di associare l'umile serva Josefa.

SOMMARIO
CAPITOLO 03ALLA SCUOLA DEL CUORE DI GESÙ

I PRIMI PASSI ♦ 9 - 28 OTTOBRE 1920pag.85

La tua miseria mi attira!(Nostro Signore a Josefa, 15 ottobre 1920).

Il cammino che davanti a Josefa si era aperto luminoso, pareva non dovesse avere né ombre né ostacoli. Ma ben diversi sono i disegni di Dio sulle anime predilette! Le chiama, e poi si nasconde, le attira e le lascia perplesse, le ricolma delle sue ricchezze e fa provar loro una estrema indigenza, le porta tra le braccia e fa loro sentire i limiti della propria debolezza. Per mezzo di queste alternative Egli scava in esse quelle profondità di distacco, di abbandono, di umiltà che solo possono collocare definitivamente la creatura al suo posto di nulla e renderla strumento docile nelle mani divine.
Questi alti e bassi, Josefa ce li rivela con semplicità commovente nei suoi appunti, con tali accenti di verità da costituire per noi un documento di valore irrefutabile. Fin da principio l'obbedienza le aveva ingiunto di scrivere tutto ciò che vedeva e sentiva e fu un sollievo per lei trovare uno sfogo a tante grazie. Ella gettava là sulla carta con ingenua espansione i sentimenti tumultuosi del cuore; ma ben presto si avvide che quelle pagine, che aveva creduto di scrivere solo per sé, sarebbero state per le sue guide un mezzo opportuno di controllo. La sua abituale modestia, la diffidenza di sé, il pudore verginale di cui circondava le sue relazioni con Nostro Signore, ripresero il sopravvento.
Fece il sacrificio delle sue ripugnanze all'obbedienza che le ordinava di scrivere, ma questo sacrificio non fu senza lotte e tentennamenti di cui gli appunti stessi portano l'impronta fino alla fine2. Da quel momento il suo stile cambia: ella scrive poco e solo lo schema dei colloqui col Maestro divino. Raramente ritroviamo l'effusione dei primi giorni. Ma, segno caratteristico, non tace mai le proprie debolezze, né le resistenze a seguire quella via che le fu sempre molto ardua. Indubbiamente il Signore volle dare, attraverso questo leale resoconto di sé, la testimonianza più viva ed autentica della Sua compassione e dei Suoi instancabili perdoni.
2 Bisogna osservare una volta per tutte che Josefa non ebbe mai da riferire in lingua umana «visioni, parole, mozioni interiori». Per lei tutto avveniva come se Nostro Signore le manifestasse il suo pensiero e i suoi desideri sotto forma diretta di linguaggio umano, che credeva di percepire sensibilmente, e non aveva che da trascrivere con parole proprie. Si può anche aggiungere che, sempre occupatissima com’era, obbligata a chiedere il permesso prima delle visioni ed a renderne conto subito dopo, ella non avrebbe avuto il tempo materiale per inventare, né preparare, né comporre quelle relazioni che, esenti da qualsiasi premeditazione, sembravano portare in sé un'impronta di più di veridicità.
Prima di intraprendere l'esame di questi appunti di Josefa, occorre rispondere ad una legittima domanda che può sorgere spontanea sul modo in cui essi furono redatti.
Fin dai primi contatti coll'al di là, Josefa aveva avuto l'ordine di chiedere il permesso per poter comunicare con le apparizioni, e di renderne conto subito dopo. Ella si sottopose a tale controllo, per quanto costasse alla natura. Ciò permise alle Superiore di scrivere subito, col luogo e l'ora dei divini incontri, anche le parole che venivano da lei ripetute come sotto l'azione di una presenza invisibile. Così furono scritte ogni giorno, con la più rigorosa esattezza quelle parole di cui il Signore dirà in seguito che nessuna deve perdersi.
Attraverso le giornate laboriose, che non le lasciavano tregua, Josefa abbandonava tranquilla in mano alle sue Madri i preziosi foglietti. La sera, quando il lavoro cessava o nelle ore libere della domenica doveva ricopiarli per obbedienza. Lasciando allora da parte l'ago, la macchina da cucire o la granata, si rinchiudeva in cella per attendere a questa occupazione che le costava più di ogni altra. Là, per lo più inginocchiata davanti al tavolino, ella trascriveva con mano inesperta, ma rapida, le note che le sue Madri custodivano.
Altro non aggiungeva, se non il racconto dei fatti in cui dovevano venire inserite le parole di Nostro Signore, o qualche breve espressione che le sfuggiva dal cuore ricordando, oppure la confessione più particolareggiata delle sue debolezze e mancanze. I preziosi autografi sono stati religiosamente conservati.
Già nel 1938 il libro «UN INVITO ALL'AMORE» ne pubblicava i passi più importanti, facendo sorgere in molte anime il desiderio di conoscere più ampiamente ciò che si pregustava nelle pagine della breve biografia. Ora sembra sia venuto il momento opportuno di riprendere in mano i quaderni di Josefa per seguirli punto per punto. Sarà certo questo il mezzo migliore per corrispondere ai desideri del Cuore di Gesù avido di manifestare le ricchezze del Suo Amore e della Sua Misericordia. Egli vuol far comprendere alle anime fino a qual punto Egli si adatti a vivere con loro la vita quotidiana per trasformarla in «giornata di vita divina». Ha sete di questa unione che le nostre immancabili fragilità non devono interrompere; più ancora Egli ha sete di insegnare alle anime la certezza del perdono che offre continuamente alle loro debolezze. Ma desidera fino a questo punto il loro amore e la loro fiducia per associarsele in un dono totale, e proseguire con esse nella Sua Opera d'amore e di redenzione.
Tutto ciò penetrò giorno per giorno, ora per ora, nella vita di Josefa. Se Nostro Signore le impose nettamente di narrare i più minuti particolari, non lo fece per lei che si sottoponeva con sacrificio a tal volere, ma perché molte anime raccogliessero in quelle pagine le lezioni e gli inviti del Suo Cuore.

Dall'8 ottobre, giorno della sua offerta, Josefa ha dunque ritrovato la pace e la luce. Del resto le sue occupazioni abituali anche nel periodo penoso erano rimaste invariate e Gesù poteva sempre trovarla là dove la chiamava il dovere.
«Oggi, venerdì 15 ottobre - scrive - mi ha detto: «La tua miseria mi attira... senza di Me, che saresti?... Più ti farai piccola, più ti starò vicino: non dimenticarlo, e lasciami fare ciò che Mi piace».
Quella stessa mattina, prima della Comunione, per prepararsi Josefa rinnovò il suo totale abbandono alla volontà di Dio. Aveva appena finito quando Gesù le apparve e le disse:
«Ti perdono tutto. Sei il prezzo del mio Sangue e voglio servirmi di te per salvare molte anime che mi sono costate tanto! Non rifiutarmi nulla. Vedi quanto ti amo!».
«Nel dire queste parole mi coprì con la fiamma del Suo Cuore e mi infuse un grande coraggio, tanto che ormai non ho più paura di soffrire e non desidero che adempiere la Sua Volontà».
Dopo pochi istanti venne la Madonna a fortificarla maggiormente:
«Figlia mia, non è vero che non abbandonerai mai mio Figlio?».
«No, Madre mia, mai!».
«- Non temere di soffrire, perché non ti mancherà la forza necessaria. Pensa così: oggi solo per soffrire ed amare... un'eternità per godere!».
«L'ho supplicata di non abbandonarmi e di ottenermi da Gesù la fedeltà! Infine Le ho chiesto perdono, e mi ha risposto:
«- Non temere, Josefa: abbandonati nelle mani di mio Figlio e ripetigli senza posa:
"O Padre buono e misericordioso, guarda la Tua figliola e rendila talmente Tua che si perda nel Tuo Cuore! Padre mio! Che l'unico mio desiderio sia quello di adempiere la Tua santissima Volontà"».
«- Questa preghiera Gli piacerà, perché nulla desidera di più che ci si abbandoni a Lui. Consolerai così il Suo Cuore, e non temere. Abbandonati, Io ti aiuterò!».
«Tutto ciò - prosegue Josefa - mi ha resa più coraggiosa, mi pare, e ormai essendomi data totalmente a Nostro Signore, non mi importa più di nulla!».
«Sabato 16 ottobre, Gli chiesi perché mi fa tante grazie senza alcun merito da parte mia, e, durante l'adorazione, mi rispose mostrandosi coronato di spine:
«- Non ti domando di meritare le grazie che ti faccio, quello che voglio è che tu le riceva. Ti mostrerò la scuola dove imparerai questa scienza».
Questa scuola era sul punto di aprirsi per Josefa, poiché il giorno dopo, 17 ottobre, essa scrive:
«L'ho visto come ieri, con il Cuore fiammeggiante e la ferita sempre più aperta. L'ho rispettosamente adorato chiedendogli di infiammarmi del Suo Amore. Allora ha detto:
«- Ecco la scuola ove imparerai la scienza dell'abbandono, e così potrò fare di te quanto desidero».
Josefa si prova a muovere i primi passi in questa scienza della scienze. Bisogna che impari quella totale disponibilità che lascerà a poco a poco al Maestro divino ogni libertà in lei. Trascorrono due giorni in una grande solitudine interiore ed ella si chiede se in qualche cosa possa aver fatto dispiacere a Gesù... Lo invoca ed Egli non resiste all'ansia di un tale amore:
«- Sono contento che Mi chiami, ho tanta sete di essere amato!».
«Così dicendo mi ha trasfuso un desiderio talmente ardente da farmi comprendere che non ho ancora neppur cominciato ad amarlo. L'ho pregato di insegnarmelo».
«Se sei disposta a restarmi fedele, riverserò nell'anima tua il torrente della mia Misericordia e conoscerai l'Amore che ti porto; ma non dimenticare che, se ti amo, è per la tua piccolezza e non per i tuoi meriti».
Questa lezione di umiltà si ripeterà spesso in seguito, e mentre suscita nel cuore di Josefa il desiderio ardente di amarlo, non cessa di collocarla, da un lato, di fronte alla sua piccolezza, dall'altro, in vista delle anime di cui Egli è assetato.
« Oggi, giovedì 21 ottobre, alla meditazione, Gli ho chiesto anime per amarlo: se desideri, o Signore, di essere amato, attira molte anime in questa Società perché vi apprenderanno ad amare il tuo Cuore».
«Durante il ringraziamento della Comunione, ho visto dapprima questo Cuore, coronato di spine e circondato da una fiamma che è, credo, quella dell'Amore. Dopo un momento mi è apparso Lui in persona, con le braccia tese e mi ha detto:
«Sì, Josefa, Io cerco soltanto l'amore delle anime, ma esse mi rispondono con l'ingratitudine! Vorrei ricolmarle di grazie ed esse Mi trafiggono il Cuore: le chiamo e fuggono lontane da Me!... Se accetti, ti farò come incaricata di anime che tu mi darai con i tuoi sacrifici e col tuo amore!».
«Così dicendo mi ha di nuovo accostata al Suo Cuore e ne ho uditi i palpiti che hanno immerso la mia anima come in un'agonia. Poi ha continuato:
«Sai bene che ti voglio vittima del mio Cuore, ma non ti lascerò sola: abbandonati al mio Cuore!».
Il sabato 23 ottobre, in un modo possibile soltanto a Lui, le insegnò che tutta la sua vita doveva svolgersi nell'amore come nell'atmosfera sua propria: Josefa stava lavorando nel guardaroba allorché Gesù le apparve. Siccome il lavoro era di premura, ella Gli chiese di poter continuare a cucire scusandosi.
«Non vorrei farti dispiacere, Gesù mio! Ma Egli disparve subito, ed ebbi un po' di rammarico di aver detto a quel modo - continua - perciò per consolarlo Gli ripetevo continuamente parole di tenerezza.
La sera, mentre ella saliva al terzo piano per chiudere le finestre di cui era incaricata, continuava camminando a ridire il suo amore a Colui che le stava sempre nel pensiero.
«Improvvisamente, arrivando nel corridoio di sopra - ella scrive - Lo vidi in fondo che avanzava verso di me».
Gesù era circondato di una luce splendente che rischiarava tutto il lungo e oscuro corridoio, camminava in fretta come se avesse premura di andarle incontro.
«- Da dove vieni?» le disse.
«Ho chiuso le finestre, Signore!».
«- E dove vai?».
«Vado a terminare di chiuderle, mio Gesù!».
«- Non sai rispondere, Josefa!».
«Non comprendevo ciò che volesse dire. Egli riprese:
«- Vengo dall'Amore e vado all'Amore, poiché sia che tu salga o tu scenda, sei sempre nel mio Cuore che è l'abisso dell'Amore! Io sono con te!».
«Disparve e mi lasciò una tale gioia che non so ridire».
Questo delizioso episodio rese sacro ai Feuillants il corridoio dell'incontro che fu denominato «corridoio dell'Amore». Però in quell'epoca le ore di consolazione non furono molte per Josefa! Ella doveva imparare per propria esperienza che cosa sia la desolazione e quanto costino le anime. Il mercoledì 27 ottobre, durante l'adorazione, scrive «Lo vidi nuovamente e mi ripeté»:
«- Voglio che tu salvi queste anime... guarda la fiamma del mio Cuore: è il desiderio di soffrire per esse da cui devi essere consumata. Le guadagnerai con i tuoi sacrifici. Riposati in Me e non temere di niente!».
L'indomani di quel giorno le appare in quello stesso stato doloroso che le fa scrivere:
«Quanta compassione ho provato! Mi ha guardato in tal modo che ho compreso quanto il mio patire è un'ombra in paragone del Suo! Nello stesso tempo vidi dietro di Lui una fila sterminata di anime, ed Egli fissandomi mi ha detto:
«Tutte queste anime ti aspettano!... Ti feci scegliere, Josefa! Ma se Mi ami davvero non temerai di nulla!».
«Gli confidai di nuovo il mio timore che tutte queste cose possano essere conosciute, ed Egli: «Che t'importa? Se così puoi glorificare il mio Cuore!». «Signore, ma sono novizia!».
«- Lo so, ma se rimarrai fedele, nessuna di queste cose ti nuocerà. Non temere!».
«Allora mi sono offerta a servirlo, affinché disponga di me come vorrà». «Sì, farò di te una vittima, poiché, se sei mia sposa, Josefa, devi rassomigliarmi, e tu vedi come sono ridotto!». «Disparve e non Lo vidi più».

LEZIONI E PERDONI DI TUTTI I GIORNI ♦ 29 ottobre -18 dicembre 1920 pag.92

Ti cercherò nel tuo nulla per unirti a Me (N. Signore a Josefa - 8 novembre 1920).

L'offerta fatta da Josefa doveva sospingerla sempre più innanzi nel cammino tracciatole dal Maestro. Nei giorni seguenti più che mai ella sperimenta ciò che la volontà divina sta per chiederle di coraggio e di fiducia.
«Mi trovo in una tale tentazione di freddezza e di turbamento - scrive alla fine di ottobre - che mi sembra non aver più né vocazione né fede, tanto mi sento insensibile e immersa nell'oscurità. Offro le mie sofferenze per consolare il Sacro Cuore e guadagnargli anime, ma questo stesso pensiero rimette sotto i miei occhi tutta la mia vita infedele. Vedermi come sono e ardire di pregare per altre anime, mi sgomenta!».
Così Nostro Signore pareva si compiacesse di abbandonarla e questi abbandoni apparenti, non rari nella vita spirituale, siccome succedevano immediatamente ai privilegi d'amore, lasciavano Josefa insolitamente sconvolta. Tuttavia reagiva decisa a restare fedele attraverso ogni difficoltà.
«Mio Dio! - scrive - voglio consolare il tuo Cuore! Non Ti vedo, non Ti sento, ma credo in Te e Ti amo! Eppoi, occorre dirlo? ricorro continuamente alla mia celeste Madre!».
Trascorrono così otto giorni. Il sabato 6 novembre 1920, Josefa si sveglia convinta di aver perduto la vocazione e che tutto sia ormai inutile.
«In mezzo a tale tormento - scrive - non potevo che ripetere quest'invocazione: Gesù, Gesù non mi abbandonare! Così passò la meditazione, poi la Messa, e mi comunicai, ma non potevo che chiamare Gesù in mio aiuto e ripetere: credo che Tu sei nell'anima mia, lo credo, mio Dio!
«La Sua voce ad un tratto mi rispose:
«- Sono qui!».
«In quell'istante mi sentii pervasa da una grande pace e Lo vidi. Aveva in capo la corona di spine e la fronte rigata di sangue. La ferita era aperta e con le mani Egli mi mostrava il Cuore».
«Gesù mio, come mi lasci sola! e per tanto tempo, e tentata».
«- Quando ti lascio così fredda - disse – è perché prendo il tuo ardore per riscaldare altre anime. Quando ti abbandono all'angoscia, la tua sofferenza placa la collera divina. Quando ti sembra di non amarmi eppure mi ripeti il tuo amore, allora tu consoli maggiormente il mio Cuore. Ecco quello che voglio: che sii pronta a consolare il mio Cuore ogni volta che ho bisogno di te».
«Gli risposi che ciò che mi tormenta di più è il timore di offenderlo, poiché poco importa il soffrire, ed Egli lo sa bene».
«- Vieni, Josefa, non temere di niente, non sei sola! Non posso abbandonarti... Più sei piccola e umile, più hai bisogno d'essere custodita...».Di fronte a tali assicurazioni divine, ella confessa di nuovo le sue debolezze e ripete il suo amore e il suo abbandono...
«L'ho supplicato di darmi le virtù di cui ho tanto bisogno, soprattutto l'umiltà. Mi interruppe:
«- Ho dell'umiltà per il tuo orgoglio».
«Sono poi così vile, così debole nelle sofferenze!».
«- Io sono la forza stessa!».
«Infine mi sono offerta senza nulla ritenere per me».
«- Tu dici bene, Josefa: nulla per te... tu, tutta per Me, ed Io tutto per te! Quando ti lascio sola nell'angoscia abbraccia la mia Volontà, abbandonati al mio Amore».
L'indomani, 7 novembre, il Maestro dell'Amore insiste di nuovo, e apparendole durante la meditazione ripete:
«- Dimmi che Mi ami: è ciò che più Mi consola!».
«Gli ho risposto - scrive - che non voglio altra cosa se non amare Lui solo».
«- Sì, serba per Me il cuore che ti ho dato e in tutto non cercare che l'Amore. E quanto desidero. Il mio Cuore ardente vuole consumare le anime nel fuoco di questo Amore».
Ma nello stesso tempo Gesù le faceva conoscere le esigenze di quell'Amore che doveva a poco a poco consumare in lei ciò che ancora restava nella sua natura troppo impulsiva e imperfetta. Le minime mancanze le appaiono come vere infedeltà, di cui si rimprovera e non cessa di chiedere perdono.
«La sera dell'8 novembre (era di lunedì) mentre spazzavo le scale, Gli dicevo il mio dispiacere per uno scatto di vivacità sfuggitomi quella mattina e di cui sentivo molto rimorso. Giunta quasi in fondo alle scale, improvvisamente Lo vidi davanti a me. Dal suo sguardo capii che voleva qualche cosa: finii di spazzare poi Lo seguii al noviziato. Là mi disse:
«- Non affliggerti troppo per le tue mancanze, poiché non ho bisogno di niente per fare di te una santa. Ma voglio che tu non resista mai a quanto ti domando. Lasciami agire. Umiliati».
Simili parole rischiarano il cammino in cui il Signore si compiace d'introdurla, fatto di umiltà e di obbedienza. Fin dal giorno seguente, martedì 9 novembre, Egli nuovamente insiste:
«- Ti faccio queste grazie soltanto per la tua fedeltà e la tua obbedienza a Me e alla Madre che Mi rappresenta. Te lo ripeto, abbandonati al mio Amore. Voglio che tu sia vittima della divina Giustizia e il sollievo del mio Amore. Ti immolerò, ma coi dardi dell'Amore. Ti farò prigioniera, ma con i lacci del mio Amore. Non temere di nulla, sei in fondo al mio Cuore. Abbandonati».
Questa azione divina prosegue durante la prova, in cui Josefa non scorge che la debolezza propria. Passano altri dieci giorni che la lasciano alle prese con uno sforzo penoso, lungo, oscuro, difficile a sostenersi contro le tentazioni interne ed esterne.
«Tuttavia scrive il venerdì 19 novembre in mezzo a tante lotte mi sembra di non averlo mai offeso!».
Però tale dubbio risorge nella delicata coscienza quando la sera stessa di quel giorno, stando in adorazione davanti al tabernacolo, Gesù le appare col Cuore ferito e lacerato dalle piaghe.
«Gesù mio, sono forse io che ho ferito il tuo Cuore?... non mi lasciò finire:
«No, Josefa, non sei tu! E la freddezza delle anime che non corrispondono al mio Amore. Se tu sapessi il mio dolore di amare e di non essere amato!».
«Allora il suo Cuore divenne ad un tratto come un incendio».
«- Ecco ciò che il tuo amore fa del mio Cuore, poiché sebbene ti senti fredda e credi di non amarmi, trattieni la mia Giustizia sul punto di punire le anime. Un atto solo di amore compiuto nella solitudine in cui ti lascio ripara le ingratitudini che si commettono contro di Me. Il mio Cuore conta questi tuoi atti di amore e li raccoglie come un balsamo prezioso».
Ogni angoscia di Josefa disparve nella fiamma che divampava dalla ferita divina.
«L'ho pregato per tutte le anime, supplicandolo che molte Lo amino e conoscano la bontà del suo Cuore».
«Mi compiaccio che tu sia così affamata del mio Amore e consumata dal desiderio di vedermi amato: soltanto questo consola il mio Cuore. Sì, prega per le anime che ti ho affidato: ancora qualche sacrificio e poi verranno».
Il sabato 20 novembre, dopo la Comunione le apparve come un povero per mendicare il suo amore:
«Molte piccole ferite Gli straziavano il Cuore», ella scrive.
«Dimmi, Josefa, che cosa non faresti per consolarmi?... Condividi un istante l'amarezza del mio Cuore!». «Allora l'anima mia si trovò come smarrita. Era rimasto lì. Poi, a poco a poco, il Cuore Gli si accese e le ferite sparirono». «Ascolta - disse - Voglio che tu Mi dia delle anime! Perciò non ti chiedo altra cosa che amore in ogni tua azione. Fa' tutto per amore, soffri per amore, lavora per amore e soprattutto abbandonati all'Amore. Quando ti faccio sentire l'angoscia e la solitudine, accettale e soffri nell'amore. Voglio servirmi di te come del bastone su cui si appoggia una persona stanca... Voglio possederti, consumarti interamente, ma tutto con grande soavità, in modo che soffrendo un martirio di amore, tu desideri maggiormente soffrire».
Queste visite infatti lasciano Josefa di fronte a sofferenze che talvolta la sgomentano, ma non ne stancano la generosità.
«Da qualche giorno - scrive - ho l'anima immersa nel timore di Dio e sotto il peso della sua Giustizia... Mi sembra che non potrò mai uscire da questo abisso».
Tuttavia Gesù la sostiene e la domenica 21 novembre durante la Messa ad un tratto le appare:
«Vengo a riposarmi in te, poiché sono così poco amato! Cerco amore e non incontro che ingratitudine! Sono così rare le anime che Mi amano davvero!».
«Gli chiesi se non riceveva qualche consolazione da questo noviziato. Poi per consolarlo Gli offersi l'amore della Madonna, dei santi, di tutte le anime fedeli ed anche il mio». «Sì, amami, Josefa, e non stancarti di ripetermelo!».
Con tutto il cuore ella accetta il comando del Maestro nonostante l'interna oscurità.
«Mi sforzavo - scrive il giorno seguente - di ripetergli con tutta l'anima: Ti amo Gesù mio!».
«E anch'Io» mi rispose, improvvisamente durante la meditazione.
«Mi apparve senza luce, e pareva un povero. Io stavo in silenzio, ma siccome mi guardava tristemente, osai parlargli e dirgli soprattutto il mio ardente desiderio di consolarlo».
«- Sì, oggi devi consolarmi e, perché non ti dimentichi di Me neppure un istante, resterò al tuo fianco».
«Alla fine della meditazione, siccome restava lì Gli ho detto: Signore, ora bisogna che vada a spazzare, ma sai bene che tutto quello che faccio è unicamente per amor tuo. Per due volte ancora, durante il mio lavoro, mi chiese se Lo amavo».
«- Ripetimelo spesso, per supplire alla dimenticanza di tante anime!».
Quella giornata, lunedì 22 novembre, trascorse tutta intera in questa compagnia divina.
«Egli sempre lì - scrive Josefa - senza separarci un solo momento».
Ogni tanto Gesù la interrompeva nel suo lavoro. Mentre spazzava l'antico chiostro del vecchio convento dei Feuillants con l'ammattonato primitivo:
«- Perché fai questo? - le chiede».
Sembra compiacersi in anticipo della risposta che già sa, ma aspetta Gli sia ripetuta»
«Signore, perché Ti amo! Vedi tutti i mattoni di questo corridoio?... altrettante volte Ti ripeto che ti amo!».
Più tardi, mentre Josefa va in giardino a prendere il carbone.
«- Che fai? - le dice.
«Procuro, Signore, di provarti il mio amore in tutte queste piccole cose».
Egli riprese.
«- Molte anime credono che l'amore consista soltanto a dire: Ti amo, mio Dio! No, l'amore è soave, agisce perché ama e fa tutto amando. Voglio che Mi ami così nella fatica come nel riposo, nella preghiera e nella gioia come nella pena e nell'umiliazione, provandomi continuamente questo amore con le opere, perché questo è amore! Se le anime comprendessero bene tutto ciò, quanto progredirebbero in perfezione e quanto consolerebbero il mio Cuore!»
Tuttavia il fatto di questa presenza divina preoccupa Josefa, soprattutto quando si trova in mezzo alle sue sorelle. Talvolta le sembra di non poter più prestare l'attenzione necessaria a ciò che fa, di fronte alla Maestà divina che la domina interamente.
«Mio Dio! - scrive - che sto per diventare? Temo di dimenticare ogni cosa!... Un po' prima di mezzogiorno Gli chiesi di allontanarsi perché dovevo andare a servire le bambine in refettorio. Però, Signore, non ti dimenticherò lo stesso!» Gesù mi rispose.
« Va', di' alla Madre che sono con te e domandale ciò che bisogna fare. Andiamo insieme».
Docile ella va subito in cerca della Madre Assistente e le espone il suo imbarazzo. Non era possibile liberarla da quel servizio. Josefa torna dal buon Maestro e si scusa di non aver ottenuto niente.
«E’ vero, Josefa, ma intanto così hai fatto un atto di umiltà e di obbedienza».
Il pomeriggio trascorse tutto così. Se in quel giorno Gesù si rese visibile a Josefa non lo volle forse per rianimare poi in molte anime la fede nella realtà invisibile della sua Presenza di grazia, molto più sicura e autentica dell'altra? In quanto a Josefa, era così semplice nella sua fede che non si fermava a tali favori; al contrario, li paventava e ne tremava per sé, temendo sempre di non poter occultarli a chi le stava intorno.
«Come andrà a finire tutto questo, Signore? - ella dice - Non vedi quanto mi costa di stare attenta ad altra cosa che a Te, e presto si accorgeranno...».
«Senti, Josefa: se un bambino piccolo si trovasse ai piedi di un'erta faticosa da salire, e suo padre gli fosse vicino lo lascerebbe cadere?».
«Queste parole mi infusero molta fiducia e di nuovo mi abbandonai alla divina Volontà».
La sera Gesù che non l'ha lasciata neppure un solo momento completa le lezioni della giornata apparendole durante l'adorazione in cappella.
«- Quello che oggi Mi ha consolato - Egli dice - è che tu non Mi hai lasciato solo, e quel che Mi piace in te è la tua piccolezza. Devi tenermi sempre presente così. E più ti vedi miserabile e piccola, più puoi essere certa che sono contento di te.
Non dimenticare che sarò il tuo divino tormento e che tu sei la vittima del mio Amore. Ma sono il tuo sostegno e finché rimarrai fedele, non ti abbandonerò». Poi disparve.
Tuttavia Nostro Signore non le permetteva di ripiegarsi su se stessa. L'abituale presenza di cui era stata favorita, non aveva altro scopo nel pensiero di Dio che di rendere pieghevole lo strumento, adattandolo alla mano che voleva utilizzarlo per la salvezza del mondo. Sempre più ella doveva occuparsi delle anime. «Il giorno dopo, - scrive il martedì 23 novembre - nel momento stesso in cui Gli chiedevo di dare a tutte le mie sorelle, come a me, la gioia di sentirsi al suo servizio, venne e mi disse:
«- Sei felice anche quando soffri?».
«Sì, o Signore, perché è per Te».
«- Vuoi portare il peso di altre anime?».
«Sì, o Signore, perché Ti amino!».
«- Ebbene, tu soffrirai perché sei la vittima del mio Amore, ma nell'amore, nella pace, nella letizia in tutto e sempre». In uno di quei giorni Gesù le disse:
«- Unirò alla fedeltà tua quella di molte anime».
E per la prima volta, sempre in considerazione delle anime, la fa partecipare ai dolori della sua corona di spine.
«Ero nella cappellina di S. Stanislao - scrive il venerdì 26 novembre - Egli mi chiedeva di consolarlo ed io cercavo ciò che avrei potuto fare per questo».
«- Ti lascerò un momento la mia corona, Josefa, e proverai ciò che è la mia sofferenza».
«In quell'istante sentii il mio capo come cerchiato di spine che vi si confissero profondamente».
Più volte questo tormento si rinnovò, «così forte - ella scrive - che quasi stavo sul punto di lagnarmi, ma Egli mi disse:
«- Non ti lamentare per questa sofferenza poiché nulla varrà a sollevartene, tu partecipi al mio dolore».
Ormai la corona di spine entra nella vita di riparazione di Josefa. Sarà per lei la testimonianza della sua unione a Gesù Crocifisso, la parte di patimento affidata al suo amore, a volte un segno di perdono a lungo desiderato. Vi saranno tempi in cui la corona non lascerà la sua fronte; sofferenza però misteriosa, senza traccia visibile. Se ne potrà misurare l'intensità dall'estremo pallore del volto e dall'espressione dolorosa degli occhi. Il suo capo, un po' inclinato in avanti, non troverà riposo né giorno né notte, e non si potrà che tentare di sostenerla sotto l'intensità di un tale dolore.
Così ella prosegue il tirocinio dell'Opera redentrice a cui è stata eletta. Gesù progressivamente le rivela la sollecitudine del suo Cuore nella ricerca delle pecorelle smarrite con una bontà che nessuna lentezza scoraggia e verso la fine di novembre le affida un'anima della quale essa scrive la domenica 28 novembre:
«Ieri è venuto nel guardaroba dove lavoravo, col Cuore ferito e l'aspetto di un Ecce Homo».
«- Fino a che quest'anima non torna a Me - Egli disse - verrò a chiedere a te l'amore che mi rifiuta».
«Lo seguii fino al dormitorio e Lo adorai con gran rispetto».
«- Affinché tu comprenda meglio il mio dolore, Josefa, te ne farò partecipe».
«La mia anima venne allora assalita da grande angoscia. Gesù restava lì. Non diceva niente: Lo consolai come potei... quando mi disse:
«-Mi hai riposato perché Mi hai dato amore».
«Il lunedì 29 - scrive - durante la meditazione mi disse:
«- Ti lascerò la mia corona di spine e me ne offrirai il dolore per quest'anima. Se tarderà a ritornare, uniremo noi due il nostro desiderio ardente per il suo ravvedimento. Così il mio Cuore sarà consolato».
Nel tempo stesso in cui le comunica l'ardore con cui attende le anime, le lascia sperimentare in se stessa la longanimità del suo sacratissimo Cuore. Ella conosce la propria debolezza quando il Maestro l'abbandona alle proprie forze.
«Non posso esprimere ciò che soffro, prosegue il 29 novembre. Mi sembra aver l'anima lontana da Lui e il corpo affranto e senza coraggio».
Chiede al Maestro che cosa vuol fare di lei in quello stato di impotenza, di scoraggiamento.
«- Ciò che voglio - le risponde - è che tu viva così unita al mio Cuore che nulla sia capace di distaccartene». E incitando la sua generosità:
«- Voglio riposarmi in te - dice. - Non rifiutarmi ciò che Mi appartiene!».
Io che ho sempre tanta paura di vedermi mancare il tempo di lavorare - confessa Josefa - Gli dissi: ma, Signore, sarò in ritardo per il mio ufficio».
«- Non sai dunque che sono il padrone del tuo cuore e di tutto il tuo essere?».
Lo sa abbastanza?... si sottrae a quell'invito e Gesù sparisce. Molte resistenze per proseguire nella via straordinaria attireranno ancora nuovi perdoni. Attraverso numerose lotte, a poco a poco, imparerà «la scienza dell'abbandono». Fino alla fine il suo amore della vita comune sarà sorgente di ripugnanze e di tentazioni. Il divino Maestro sembra voglia lasciarle questo campo di combattimento per aver la gioia di scoprirle sempre più la sua instancabile misericordia.
«Non L'ho visto... ma non posso vivere senza di Lui... e da quando mi ha lasciata non cesso di chiedergli perdono - scrive. - Ieri, 3 dicembre, dopo aver finito di lavorare, sono andata un momento in Coretto davanti al Santissimo Sacramento esposto: Mio Gesù! non merito di vederti, ma dammi una prova del Tuo perdono! Stavo lì, senza dir nulla, quando improvvisamente tutte le tentazioni di questi ultimi giorni scomparvero e mi sentii il capo stretto dalla corona di spine».
Questo segno del perdono divino sarebbe stato seguito da uno di quegli incomparabili scambi di bontà e fiducia di cui è fiorita la vita di Josefa e che sono di per sé una rivelazione del Cuore di Gesù.
«Il giorno dopo, sabato 4 dicembre, dopo la santa Comunione si presentò a me come un padre che aspetti il suo bambino:
«- Vieni, dimmi i tuoi timori».
«E mostrandomi il Cuore:
«Se non sai soffrire, vieni qua!...
«Se temi di essere umiliata, vieni qua!...
«Se hai paura, accostati ancor più a Me!...
«Gli ho detto quanto queste grazie mi spaventino, poiché non le merito».
«So che non le meriti, ma ciò che voglio è che tu le riceva».
Tanta compassionevole bontà la riempie di ammirazione e di desiderio. Vorrebbe corrispondere e sente vivamente la sua impotenza e quella che essa chiama ingratitudine. Ma la Madonna è là per confortarla:
«E’ venuta - scrive - il lunedì 6 dicembre, mentre durante la meditazione chiedevo a Nostro Signore perdono e amore».
«- Figlia mia - mi ha detto - non rattristarti così! Non sai ciò che Gesù è per te? E’ utile che tu soffra in silenzio, ma senza angustiarti; che tu ami molto, ma senza considerare se ami e senza sapere che ami. Se cadi, non affliggerti troppo. Siamo ambedue lì per rialzarti e io non ti abbandonerò mai!».
«Le spiegai che la maggiore mia sofferenza sta nel non poter seguire interamente la vita comune e che ho paura di essere osservata».
«- Non dimenticare che questo è per le anime. Il nemico mette tanto accanimento per farti tornare indietro perché vede in te come un ruscello che, nel suo corso, trascinerà le anime a Gesù».
«Le ho chiesto di benedirmi e di non lasciarmi sola, poiché sa quanto sono debole!». «Si, ti benedico e ti amo!».
Il giorno seguente, martedì 7 dicembre, la dolce Madre riappare:
«- Se vuoi consolare Gesù, ti dirò ciò che Gli piace: offrirai tutto per le anime, senza alcun tuo interesse, unicamente per la gloria del suo Cuore».
E aggiunge precisando l'atto da compiere:
«Finché non ti dirò di cessare, reciterai ogni giorno nove Ave Maria con le braccia in croce. Lo farai umiliandoti e riconoscendo il tuo nulla, ma nello stesso tempo adorerai la divina volontà, lasciando al tuo Creatore piena libertà di disporre di te come vorrà. Confida nel suo Cuore e in Me, che ti sono Madre».
Nostro Signore, qualche momento dopo, afferma una volta ancora il diritto che la Madre Sua poco prima aveva fatto rilevare e ricorda a Josefa i Suoi Disegni su di lei.
«Durante il ringraziamento della Comunione mi ricoprì con la fiamma del Suo Cuore dicendomi:
«- Desidero che Mi lasci piena libertà per stabilire tra il mio Cuore e il tuo una corrente tale che tu viva in Me, senza vivere più affatto per te».
«Restò un momento in silenzio consumando l'anima mia nell'ardore di quella fiamma, poi soggiunse: «
Voglio che Mi aiuti con la tua piccolezza e la tua miseria a strappare al nemico le anime che costui tenta di divorare».
«Verso mezzogiorno m'apparve con volto radioso:
«- Vieni, riposa e gusta la gioia del mio Cuore... Un'anima di più è tornata a Me!».
Così attraverso un succedersi di combattimenti, di oscurità, di umili sforzi, Nostro Signore la rianima mostrandole fino a qual punto l'amore sa trar vantaggio dalle nostre lotte. Si avvicinava la festa dell'Immacolata Concezione e questo giorno non poteva sorgere senza che la Madonna lo illuminasse della sua presenza, fin dall'aurora.
«- Figlia mia, non temere mai né sofferenze, né sacrifici - le dice - le vie di Dio sono fatte così. Se vuoi uscir vittoriosa dagli assalti del nemico, ti raccomando due cose: prima di tutto umiliati, poiché sei un nulla e meriti nulla; tutto è grazia del tuo Dio. In secondo luogo, quando ti trovi abbandonata, circondata da tentazioni, con l'anima fredda e senza forza per combattere, non tralasciare mai la preghiera. Prega con umiltà e fiducia e va' subito ad aprire il tuo cuore a colei che mio Figlio ti ha dato per madre quaggiù. Credi, figlia mia, così non ti ingannerai mai. Ricevi la mia benedizione. Sai bene che sono la Madre tua!».
Questi materni consigli fanno chiaramente presentire che si avvicina l'ora d'una prova più forte e che già il demonio sta preparando le sue batterie contro quelle di Dio. Bisogna che Josefa si fortifichi con la lotta giornaliera ed è ancora la Madonna che le viene in aiuto.
Il venerdì 10 dicembre, dopo la Comunione, Ella le porta la corona di spine, pegno delle predilezioni di Gesù.
«- Guarda - disse - sono Io che te la porto, perché ti sia più soave».
«Ella stessa me la calò sul capo» scrive Josefa che di nuovo ripeté a Maria quanto temeva queste grazie.
«- Se tu rifiuterai, figlia mia, ti esporrai a perderti. Se le accetti soffrirai, ma la forza non ti verrà mai meno. Io non ti abbandonerò perché sono tua Madre, e tutti e due ti aiuteremo».
Fin dal mattino del giorno dopo, 11 dicembre, Nostro Signore le chiede un'altra prova d'amore.
«- Oggi - le dice nel ringraziamento della Comunione - voglio imprigionarti nel mio Cuore». Poi aggiunse:
«- Guarda il fuoco del mio Cuore... eppure ci sono anime così gelide che questa fiamma stessa non riesce a riscaldarle...».
«Gli ho domandato come avviene che non si infiammino a contatto del suo Cuore». «- Perché non si avvicinano!» rispose.
Allora con quella solennità che scolpisce in fondo all'anima ciascuna delle sue parole, Gesù rivela il segreto della generosità totale.
«- L'Amore non è amato: pensa a ciò e non Mi rifiuterà più nulla!».
La notte cala presto su queste ore luminose, e la sera stessa Josefa sente sollevarsi in sé una nuova ondata di ripugnanza e di timore di fronte a tali cose straordinarie. Tutto le sembra un inganno, e questo pensiero prende tale forza che l'animo suo ne rimane oppresso.
«Sono andata avanti così dall'11 al 17 di questo mese di dicembre - scrive dopo aver dato alcuni particolari intorno a questa tappa oscura. - Venerdì verso sera andai in Cappella e dissi a Gesù: Signore! non permettere che ti sia infedele e mettimi in fondo al tuo Cuore affinché muoia senza separarmi da Te».
Proprio in questo istante Gesù le appare, con il Cuore aperto e tutto ardente:
«- Come vuoi che ti metta più in fondo, Josefa? Quando credi di essermi lontana - aggiunge - proprio allora ti inabisso ancora di più nel mio Cuore, per custodirti con sicurezza».
E come se questa assicurazione non bastasse al Suo Amore, il giorno seguente, sabato 18 dicembre, le rivela l'Opera redentrice che si è effettuata con la sofferenza.
«-Mi servo della tua miseria per salvare le anime, Josefa. Voglio che tu sia vittima di questo Cuore. Non rifiutarmi nulla: consolami ogni volta che ne ho bisogno e ricordati che Io non ho risparmiato niente per provarti il mio Amore».
Dopo tali parole, altro non mancava a Josefa che la mano della Madre celeste per orientarla definitivamente verso quella generosità che nulla rifiuta e nulla risparmia per le anime.
«- Figlia del mio cuore - le disse apparendole qualche istante dopo - ti supplico di non rifiutare nulla a mio Figlio. Non soltanto la tua felicità, ma quella di molte anime dipendono dalla tua generosità. Se sarai fedele e ti abbandonerai, molte anime profitteranno delle tue sofferenze. Se sapessi ciò che vale un'anima! te lo ripeto: tu sei indegna di tante grazie, è vero, ma se Dio vuole servirsi della tua piccolezza hai tu il diritto di resistere?...».
«Le chiesi la benedizione: essa mi pose la mano sulla fronte e scomparve».


L'APPELLO ALLE ANIME ♦ 19 DICEMBRE 1920 - 20 GENNAIO 1921 pag.107

Voglio servirmi delle tue sofferenze per la salvezza di molte anime (Nostro Signore a Josefa - 25 gennaio 1921).

Da cinque mesi Josefa ha indossato il santo abito e Nostro Signore ha lavorato senza posa in quell'anima. Per renderla pieghevole sotto la sua azione le ha mostrato il valore redentore delle sue lotte e delle sue sofferenze e nello stesso tempo la ripercussione della sua fedeltà sulla salvezza delle anime. Ormai ella camminerà in questa doppia luce e si spingerà più oltre negli interessi del Cuore divino.
La domenica 19 dicembre, nella mattinata, ode la ben nota voce del Maestro:
«- Josefa!».
Guarda intorno e non vedendolo prosegue nella sua occupazione: ma giunta in fondo alle scale, vicino alla Cappella:
«Mi sentii attratta - scrive - e salii al noviziato: era là! Dal suo Cuore sgorgava un torrente d'acqua».
«- E la corrente dell'amore, Josefa, poiché il tuo martirio sarà di amore».
Ella che altro non ambisce se non di amare e farlo amare, esclama:
«Mio Dio! per guadagnarti anime non indietreggerò più, soffrirò quanto occorre, purché non mi lasci mai uscire dal tuo Cuore».
«- Così tu Mi consoli - rispose con ardore - e non voglio da te altra cosa. Se tu sei povera, Io sono ricco; se tu sei debole, Io sono la forza stessa. Ciò che ti chiedo è di non rifiutarmi nulla».
«Ascolta i palpiti di questo Cuore: sono per le anime che chiamo... Io le aspetto... le chiamerò di nuovo e finché non risponderanno le aspetterò con te. Soffriremo, ma verranno, sì, verranno presto».
Così l'unione diviene più stretta in questa comunanza di sofferenze. Nostro Signore non lascia passare molto tempo senza ripetere i Suoi desideri e spesso viene a sorprendere Josefa in mezzo al lavoro.
«Ero al dormitorio rifacendo i letti delle alunne e ripetendogli il mio amore - scrive il martedì 21 dicembre - quando improvvisamente è venuto a cercarmi».
«- Vieni, ho bisogno di te».
«- Voglio che oggi ti offra come vittima e che tutto il tuo essere soffra per guadagnarmi queste anime. Umiliati e domanda perdono. Io sono con te».
Allora, avvolgendola nel fuoco del suo Cuore, aggiunge:
«- Coraggio! Soffrire è il dono migliore che possa farti, poiché è la via che ho scelto per Me».
Sembra che ella abbia compreso il valore del dono e si può misurare il progresso compiuto dal giorno in cui Nostro Signore le domandava: «Mi ami?». Adesso può dirle: «Vuoi soffrire?». Ecco ciò che le ridice l'indomani:
«- Cerca oggi ciò che ti costa e ti mortifica e moltiplica per Me gli atti d'amore. Se le anime conoscessero questo segreto, come si trasformerebbero! Come morirebbero a se stesse e quanto consolerebbero il mio Cuore!».
Col succedersi dei giorni e delle notti Josefa non cessa di offrirsi.
«L'unica cosa che chiedo - scrive - è la fedeltà e il coraggio, poiché non voglio godere su questa terra».
Gesù risponde alla sua preghiera:
«- Io pure non ti chiedo che una cosa: amore e abbandono». E spiegandole ciò che intende con questo desiderio:
«- Voglio che tu sia come un vaso vuoto che penserò Io a riempire. Lascia al Creatore di incaricarsi della sua creatura. In quanto all'amore, non aver limiti!».
La sera stessa, venerdì 24 dicembre, le ricorda il perché di questo amore «senza misura» sul quale vuol contare. «Stavo in guardaroba e udii la sua voce:
«- Josefa, mia sposa».
«Non Lo vedevo, ma Gli dissi: Che vuoi Signore?... Egli non rispose; poco dopo in Cappella, durante l'adorazione mi chiamò ancora:
«- Josefa, mia sposa».
«Signore perché mi chiami sposa mentre non sono che novizia?».
«- Non ricordi il giorno in cui Io scelsi te e tu scegliesti me? Quel giorno ebbi compassione della tua piccolezza, non volli lasciarti sola e ci siamo uniti per sempre. Perciò non avrai altro amore che quello del mio Cuore... Io ti chiederò e ti darò ciò che mi piace. Tu non resistermi mai!».
«Alla Messa di mezzanotte - scrive il sabato 25 dicembre - ero già in mezzo alla Cappella per andare alla sacra Mensa, quando vidi venirmi incontro la Madonna. Teneva tra le braccia Gesù Bambino ricoperto di un velo bianco che tolse dopo che ebbi fatto la Comunione: Egli aveva una camicina bianca e le manine incrociate sul petto. Poi non L'ho più visto... Ritornata al mio posto la Madonna si è di nuovo avvicinata a me, ha sollevato leggermente il Bambino disteso tra le sue braccia. Egli ha aperto le braccine e ha accarezzato sua Madre. Quindi con la manina destra sembrò cercare la mia che Gli porsi: afferrò il mio dito e lo tenne stretto con la mano. Un profumo delizioso li circondava ambedue. La Madonna mi sorrideva e mi disse:
«- Figlia mia, bacia i piedi di Colui che è il tuo Dio e sarà il tuo compagno inseparabile se tu non Lo respingi.
Non temere... accostati, è tutto Amore!».
«Gli baciai i piedini ed Egli mi guardò; poi incrociò sul petto le braccine. Allora la Madonna Lo ricoprì col suo velo. Ella mi guardò ed io Le chiesi la sua benedizione: me la diede posandomi la mano sulla fronte e disparvero.
«Questa volta - spiega Josefa, con l'occhio esperto di sarta - la Madonna era vestita di una tunica bianca e di un manto rosa molto pallido, e il velo era anch'esso rosa, ma di una stoffa più fine. La camicina del Bambino era di un tessuto che non conosco, leggero come spuma. Attorno al piccolo capo splendeva un'aureola di luce, come pure intorno alla testa della SS. Vergine».
La luce di Natale si estende ai giorni seguenti e Gesù dopo averla associata ai Suoi dolori redentori, la fa partecipe delle Sue gioie di Salvatore. Fin dal mattino seguente le appare, splendente di bellezza, facendole conoscere che le anime attese così a lungo erano tornate al suo Cuore.
«- Vedi, mia sposa - le dice - le abbiamo salvate! Le tue sofferenze hanno consolato il mio Cuore!».
Un'altra prova della predilezione di quel Cuore adorabile l'aspetta ancora. La data del 27 dicembre segnerà due volte la breve vita di Josefa con un impronta speciale. Si tratta di una parentela di grazie con l'Apostolo S. Giovanni, il prediletto, di cui non tarderà a ricevere le visite celesti.
La forma dei resoconti varia poco. Quel giorno, lunedì 27 dicembre 1920, ella nota la preghiera che incessantemente rivolgeva a Gesù: «dopo la Comunione chiedevo l'amore!», preghiera a cui il Signore risponde sempre, anche nell'oscurità della fede. Essa lo sa. Ma oggi il Maestro dell'Amore si compiace di dargliene la prova, colmandola di grazie come raramente ha fatto finora.
«Gesù venne - ella scrive con la consueta semplicità - e mi sono trovata come la prima volta, il 5 giugno, nella ferita del Suo Cuore!... Non mi ha detto nulla: tuttavia mai ho avuto l'anima così inondata di felicità! Poi, tutto è scomparso!».
E subito dopo aggiunge:
«Quella stessa sera Gesù mi ha lasciata sola!».
Occorre ancora rilevare questo metodo divino con cui Nostro Signore la distacca bruscamente da quegli stessi godimenti soprannaturali e purissimi, che non sono quaggiù se non un lampo per rischiarare lo scosceso cammino che sale verso le altezze?
«Il giorno dopo - ella continua - l'anima mia si è trovata così arida e fredda che dovevo fare un grande sforzo per dire qualche parola a Nostro Signore. Mi provavo tuttavia a moltiplicare gli atti di amore e di fiducia, ma presto non riuscì più a dominare le tentazioni che insorgevano nell'anima mia».
Ella narra umilmente i particolari di questa lotta in cui le sembra che il coraggio venga meno. Infatti, benché gli assalti del demonio varino ben poco quanto all'oggetto, perché sempre diretti contro la sua vocazione, nondimeno assumono un'acutezza tale che Josefa ne è scossa.
«Ho vissuto così dal 27 dicembre fino alla domenica 9 gennaio - prosegue - soffrendo più di quanto possa dire. Svegliandomi quella mattina il mio primo pensiero fu che non potevo più sostenere una simile lotta. Trascorsi la meditazione in un'agonia inesprimibile».
Tuttavia, nonostante il suo abbattimento, non cessa di cercar forza nell'obbedienza che sola può difenderla e con commovente fedeltà si prova a seguire i consigli che vorrebbero sollevarla e mantenerla fedele.
«Ho promesso a Nostro Signore - scrive - di fare oggi molti atti di umiltà per attirare su di me la Sua Misericordia, e, alla Messa, al momento della Consacrazione, ho ripetuto il mio atto di offerta con tutta la forza della mia volontà. Ad un tratto, prima dell'Elevazione del calice, ho visto Gesù col volto pieno di bontà, il Cuore molto infiammato. Mi sono prostrata per implorare il Suo perdono ed umiliarmi ai suoi piedi».
«- L'Amore non si stanca mai di perdonare - Egli disse».
E con una compassione incomparabile proseguì:
«- Ma tu non Mi hai offeso, Josefa! Come tu dici, i ciechi inciampano... Vieni, accostati al mio Cuore e riposati in Lui! Se tu potessi capire quanto Mi hai consolato nei giorni scorsi!... Ti tenevo così vicina al mio Cuore, che non avresti potuto cadere se non in Lui!».
E siccome ella Gli chiede perché permette tale oscurità e tante tentazioni:
«- Ti sembra di non vedere niente e di cadere in un precipizio - rispose - ma che bisogno hai di vedere se sei guidata? Devi dimenticarti, abbandonarti, e non opporre resistenza ai miei disegni. Per merito degli atti da te compiuti durante la sofferenza parecchie di quelle anime, che più tardi vedrai, si sono avvicinate al mio Cuore. Erano lontane... anzi lontanissime... ora sono vicine e presto verranno a Me».
«Gli dissi che quando mi trovo così tentata e sola, Lo cerco da tutte le parti, ma non Lo trovo».
«- Quando non Mi trovi in nessuna parte cercami presso la tua Madre. Abbandonati a lei, poiché ella ti conduce a Me. Te l'ho data per questo e sappi che se tu fai ciò che ti chiede, tu Mi piaci come se obbedissi a Me direttamente. Ama, soffri, obbedisci, così potrò realizzare i miei disegni in te».
La sera stessa, con una di quelle deliziose «lezioni simboliche» quali Gesù si compiace dare alle anime semplici, le rinnova le raccomandazioni più care al suo Cuore. Le appare mentre ella prega davanti al Tabernacolo.
« Tenendo nella mano destra - scrive - una catenina di brillanti da cui pendono tre chiavine, dorate e graziosissime».
«- Guarda - dice - una... due... tre... sono d'oro. Sai che cosa rappresentano queste chiavi? Ciascuna custodisce un tesoro, di cui voglio che tu ti impossessi.
«Il primo di questi tesori è un completo abbandono a tutto quello che ti chiederò direttamente o indirettamente, affidandoti continuamente alla bontà del mio Cuore che sempre ha cura di te. Riparerai così i peccati di tante anime che dubitano del mio Amore.
«Il secondo tesoro è una profonda umiltà che dovrà consistere nel riconoscere che tu sei nulla, nell'abbassarti davanti a tutte le tue sorelle e, quando te lo dirò, nel chiedere alla tua Madre che voglia umiliarti. Così riparerai l'orgoglio di tante anime.
«Il terzo è il tesoro di una grande mortificazione nelle parole e nelle azioni. Voglio che ti mortifichi nel corpo, tanto quanto l'obbedienza ti consentirà, e che riceva con vivo desiderio le sofferenze che Io stesso ti invierò. Così riparerai l'immortificazione di molte anime e Mi consolerai delle offese che Mi vengono da tanti peccati di sensualità e di godimenti cattivi.
«Infine, la catenina da cui pendono le tre chiavi è l'amore ardente e generoso che ti aiuterà a vivere abbandonata e immolata, umile e mortificata».
Josefa conserverà un incancellabile ricordo di quelle chiavine simboliche e più volte Nostro Signore si compiacerà di usare con lei queste semplici similitudini, che abbondano nel Vangelo e nascondono gli insegnamenti più profondi!
Ma le ore di riposo si fanno sempre più rare. Gesù non cessa di ricordare a Josefa le anime che le ha affidato. Questo gran lavoro deve, nella vita di Josefa, prevalere su tutti gli altri.
«- Non stancarti mai di soffrire - le ripete - se sapessi quanto la sofferenza giova alle anime!».
E non tarda infatti ad esigere da lei la sofferenza delle sofferenze, quella che già conosce e che si ripete così spesso! Di nuovo una violenta tempesta di dubbi e tentazioni insorge nell'anima sua.
«Non Gli chiedo - scrive - di togliermi questa angoscia, ma di darmi la forza!».
Allora gli appunti divengono più lunghi e particolareggiati quasi trovasse un sollievo a manifestare la sua debolezza e le sue mancanze. Alcuni giorni passano così.
«Il lunedì 24 gennaio - scrive - ho invocato tutto il giorno la Madonna perché mi liberasse. Ad un tratto, durante l'adorazione del pomeriggio, mi sono trovata in una grande pace».
La Madre celeste è lì, sorridente con materna bontà:
«- Eccomi, figlia mia – dice - occorre che tu soffra. Ma l'amore e la sofferenza tutto possono ottenere... Non stancarti, è per le anime!».
La Madonna sparisce, ma la visita è stata un'aurora su cui non tarda a levarsi la figura luminosa di Gesù: Egli stesso si riserva di portare a Josefa l'assicurazione che niente è mutato tra lei e il divino Maestro.
«É venuto al principio della Messa - scrive il martedì 25 gennaio. - Gli ho chiesto se Gli avessi ferito il Cuore. Egli sa che ciò mi affligge più di ogni altra cosa».
«- No - risponde con bontà - ascolta questa parola: L'oro si purifica nel fuoco, e così l'anima tua si purificherà nella tribolazione, e il tempo della tentazione giova assai a te e alle anime».
Incoraggiata da tanta compassione, Josefa confida al Maestro la sua più grande ansia, il tormento più doloroso di quei giorni di prove:
«Il timore - ella dice - che simili lotte finiscano col mettere in pericolo la mia vocazione!».
«- Chi dunque potrà dubitare della tua vocazione, Josefa, se hai potuto resistere a tali tribolazioni?...».
E prevenendo la domanda che legge nell'anima sua:
«- Le permetto per due fini - dice - prima di tutto per convincerti che da sola non sei capace di nulla e che le mie grazie hanno origine solo nella mia bontà e nel mio grande Amore per te. «In secondo luogo perché voglio servirmi delle tue sofferenze per la salvezza di molte anime».
Poi afferma nuovamente:
«- Tu soffrirai per guadagnare delle anime perché sei la vittima scelta dal mio Cuore, ma nulla ti nuocerà, perché non lo permetterò mai...».
A tale promessa Josefa risponde con l'offerta di tutta se stessa.
Il giorno seguente, mercoledì 26 gennaio, Gesù insiste ancora sulla necessità della sofferenza.
«Durante l'adorazione venne - scrive. - Non mi disse nulla, ma mi fece ascoltare i palpiti del suo Cuore. Gli chiesi di mantenermi fedele, di insegnarmi ad amarlo, e di non permettere che io contristassi il suo Cuore. Mi sembrò che Egli si rallegrasse a questa preghiera e mi disse:
«- L'anima amante desidera soffrire. La sofferenza accresce l'amore. L'amore e la sofferenza legano strettamente l'anima a Dio e la fanno una sola cosa con Lui».
E siccome ella Gli ripete la propria debolezza:
«- Non temere affatto: Io sono la stessa forza. Quando il peso della croce ti sembra superare le tue forze, chiedi aiuto al mio Cuore». Poi le ricorda dove cercare il suo Cuore: «Non sai forse dove sono, Josefa, e con tutta sicurezza? Lasciati guidare! Tengo gli occhi fissi su di te, tu fissa i tuoi su di Me e abbandonati».


VITA FERVIDA E NASCOSTA ♦ 27 GENNAIO – 21 FEBBRAIO 1921 ♦ pag.116

Dimmi: che cosa hai da offrirmi per le anime? (N. Signore a Josefa - 20 febbraio 1921).

La Quaresima si avvicina e i giorni delle Quarantore chiamano la comunità dei Feuillants ad un raddoppiamento di amore e di riparazione. Era l'orizzonte che si apriva sempre più davanti all'anima di Josefa. Fino a quel momento Gesù non aveva cessato di ripeterle:
«Sei la vittima del mio Cuore».
Ora sta per provarglielo. Il primo venerdì del mese, 4 febbraio, anniversario della sua entrata ai Feuillants, Gesù le appare e mostrandole il Cuore infiammato:
«Tutti i venerdì - dice, - e soprattutto il primo venerdì del mese, ti farò partecipe dell'amarezza del mio Cuore e soffrirai in maniera speciale i tormenti della mia passione».
Quindi soggiunge:
«In questi giorni in cui l'inferno si apre per travolgere tante anime, voglio che ti offra a mio Padre come vittima, per salvarne il più gran numero possibile».
Dopo essere rimasto qualche istante in silenzio, scompare. La domenica delle quarant'ore, 6 febbraio, Egli rinnova quello stesso invito. Fin dal mattino Josefa si è offerta per riparare le offese dei peccatori. Verso le tre del pomeriggio, mentre si trova in Cappella, Gesù la raggiunge:
«Faceva compassione - scrive; - il volto, le braccia, il petto erano coperti di contusioni e di polvere e il capo grondava sangue, mentre il Cuore risplendeva di luce e di bellezza!».
«- Sono ridotto così dalla mancanza d'amore, - Egli dice, - e dal disprezzo degli uomini che corrono come pazzi verso la perdizione».
«Perché dunque, Signore, malgrado i peccati del mondo il tuo Cuore è oggi così bello e ardente?».
Egli rispose: «- Il mio Cuore non viene ferito se non dalle anime consacrate!».
Questa parola colpisce profondamente Josefa e le scopre il dolore più intenso che Gesù spesso le chiederà di condividere con Lui, per consolarlo. Ma in quei giorni, ella deve riparare davanti alla giustizia di Dio le colpe del mondo leggero e insensato. Perciò trascorre davanti al Santissimo esposto tutti gli istanti liberi e tiene il pensiero costantemente fisso alle tante offese che si commettono contro la Maestà divina. Gesù, che la carica di questo peso, viene però anche a rianimare il suo coraggio e le appare il martedì 8 febbraio alle otto di sera in Cappella, in atto di chi è oppresso da un pesante fardello.
«- I peccati che si commettono, - dice, - sono tanti e così gravi che la collera divina traboccherebbe se non fosse trattenuta dalla riparazione e dall'amore delle mie anime scelte. Quante anime si perdono! Ma un'anima fedele può riparare e ottenere misericordia per molte anime ingrate».
Così la riconduce al pensiero della missione redentrice a cui l'ha chiamata fino dalle sue prime visite. Ma un altro disegno divino si svela a poco a poco, e il 9 febbraio, mercoledì delle ceneri, ella ne riceve il primo cenno rivelatore.
Quella mattina, per la prima volta, Gesù le confida i suoi piani:
«- L'Amore mio per le anime e specialmente per la tua è così grande - dice, - che non posso più contenere le fiamme della mia ardente carità. Nonostante la tua indegnità e la tua miseria, mi servirò di te per effettuare i miei disegni».
Quest'invito andrà determinandosi un poco alla volta, e farà intravedere a Josefa l'entità del dono e dell'abbandono con cui dovrà corrispondere. Ma già fin da oggi il Maestro vuole che ella acconsenta e che un segno tangibile suggelli il suo consenso.
«- Vuoi darmi il tuo cuore? le domanda».
«Sì, o Signore, e più che il mio cuore...».
«Gesù me lo strappò, - scrive, - lo prese e l'accostò al Suo... Come era piccolo accanto a quel Cuore! Quindi me lo rese, ardente come una fiamma. Da quel momento sento in me un intensissimo fuoco e bisogna che mi sforzi molto per contenermi affinché nessuno si accorga di nulla...».
Josefa si propone di tener segreta questa grazia insigne, raccontata con tanta semplicità. Ma Gesù non vuole segreti, e il giovedì 10 febbraio, le appare dicendole:
«- Senti Josefa, voglio che tu non nasconda niente alla Madre tua: essa ha ragione: devi scrivere». Due giorni dopo, 12 febbraio, Gesù rivela di nuovo l'importanza che dà a questa assoluta dipendenza.
«- Di' sempre tutto alla Madre tua» insiste. Siccome ella teme anche la minima ombra di compiacenza segreta a parlare di queste cose, Egli la interrompe con forza: «- Il tuo silenzio sarebbe orgoglio: la tua semplicità e la tua fiducia invece sono umiltà. Sappi dunque che se Io ti chiedessi una cosa e la Madre un'altra, preferirei che tu obbedissi a lei piuttosto che a Me».
A questa data, sabato 12 febbraio, troviamo scritto di sua mano, in una larga parentesi, l'ingenua spiegazione del suo atteggiamento in ogni visita di Nostro Signore.
«Per obbedire, Madre mia, le scriverò ciò che provo ogni volta che Gesù viene. Prima di tutto sento un gran bisogno di umiliarmi e comincio sempre col domandargli perdono di tutti i miei peccati, poiché vedo l'anima mia piena di colpe, e se non fosse per un movimento irresistibile che mi spinge verso di Lui; non ardirei avvicinarmi né parlargli quando mi trovo alla Sua divina Presenza. Ma un certo non so che mi attira... l'anima mia si riposa... Più mi umilio e più credo che Egli si compiaccia. Qualche volta non posso dirgli nulla, sentendomi annientata nell'adorazione. Talvolta mi trovo in un torrente di consolazioni, anche quando mi fa soffrire con Lui. Mi sembra che il mio cuore si dilati e si inabissi in Dio. Altre volte provo come se, dentro di me, ardesse un fuoco divorante: Gesù mi brucia nel fuoco del suo Cuore. Nello stesso tempo mi fa conoscere a tal segno la mia piccolezza, che non arrivo a capire come un Dio possa amarmi in questa maniera!
Ciò accresce sempre di più il mio desiderio di amarlo e di guadagnargli molte anime. Egli mi infonde un tale orrore di me stessa che non so che farei per sradicare le mie cattive inclinazioni e riparare i miei peccati e le mie ingratitudini. L'anima mia è come strappata a forza da questa terra e dopo, quanto mi costa occuparmi delle cose di quaggiù!... Se sapesse che pena è per me di trovarmi ancora nel mio povero corpo! poiché spesso, quando sono con Gesù, credo di esserci per sempre».
In seguito e sempre per obbedienza ella spiega come si è abituata a far tutto con Nostro Signore e a confidargli tutto.
«A mezzogiorno - scrive, - del lunedì 14 febbraio servivo in refettorio come al solito. Venne a mancare la prima portata e andai in cucina per prenderne: ma non ce n'era più! Non sapevo che fare, e siccome ho l'abitudine di dirgli tutto, esclamai:
«Mio Gesù! Non c'è più niente da mangiare!».
«Uscendo una seconda volta dal refettorio, Lo vidi ad un tratto che stava davanti alla fontana, presso la cucina, con le braccia stese, e mi disse sorridendo: É colpa mia, Josefa, se non c’è più niente?».
«Disparve subito e non so come potei continuare a servire a tavola. Era così buono, così bello, che si sarebbe detto il cielo stesso!
«In questo modo Gli racconto tutto quello che mi accade. Se, spazzando, lascio cadere qualcosa, subito dico: "O Gesù, ti ho svegliato con questo rumore!". Se smarrisco un oggetto, Gli chiedo: "Signore, dove l'ho lasciato?... andiamo a cercarlo insieme". Se mi sento stanca, io lo confido a Lui. Se sono in ritardo nel mio lavoro (cosa che mi accade spesso per le corse che devo fare in cerca di ciò che ho dimenticato) Gli dico: "Presto, Signore, dobbiamo affrettarci quest'oggi, perché è già tardi e c'è tanto da fare!". Soprattutto il sabato, con i pacchi di biancheria e le scarpe da distribuire nei dormitori delle alunne. Insomma, Gli racconto tutti i miei piccoli crucci. Spesso non Lo vedo, ma Gli parlo ugualmente, sicura che è lì con me. Alle volte Gli dico tutto quello che mi passa per la testa, e ogni tanto mi chiedo se non sia una mancanza di rispetto; ma credo di no, perché l'anima mia si sente così felice, e allora ricomincio i miei discorsetti.
«Spesso invoco anche la Madonna, specialmente quando mi siedo per cucire: "Vieni, Madre mia, con noi due. Gesù è qui, e ci devi stare anche Tu". Così trascorrono le mie giornate: le ho narrato tutto, Madre mia, meglio che ho potuto».
Questi intimi colloqui, così spontanei, non impedivano a Josefa di condurre con le consorelle una vita del tutto semplice e operosa. Dopo il postulato che passò come aiutante in cucina, ella diede tutta la sua attività al guardaroba delle alunne. Là si dedicò da mattina a sera al lavoro, sistemata in modo molto primitivo, poiché si era appena usciti dalla guerra e i locali del convento dei Feuillants che erano stati occupati da un ospedale militare, soltanto in parte avevano potuto essere rimessi in ordine. Parecchie altre occupazioni riempivano le giornate di Josefa, senza che nulla trapelasse al di fuori dell'intervento di Dio nella sua vita vera, celata sotto il dono e la dimenticanza di sé. Continuiamo dunque a seguirla nell'oscurità della vita comune e del lavoro quotidiano.
Non possiamo tacere un piccolo episodio che si riferisce a quel tempo e che ha il suo valore. Josefa lo narra così:
«Stavo davanti al Tabernacolo pregando per la mamma e mia sorella. Mi sentivo triste a loro riguardo e avrei voluto poterle consolare; pensavo a quello che avrei fatto se fossi stata con loro, e in quel momento non contavo abbastanza su Gesù. Improvvisamente Egli mi apparve col Cuore tutto infiammato e con voce grave e piena di maestà, mi disse:
"- Da sola, che potresti fare per loro?".
«E mostrandomi il Cuore: "- Fissa qui il tuo sguardo!". «E disparve».
La domenica 20 febbraio, seconda di Quaresima, ella scrive:
«Durante la santa Messa, dopo la Consacrazione, Gesù è venuto, bellissimo! "hermosissimo!" - superlativo intraducibile che ella impiega spesso per descrivere quella beltà che la rapisce.
«Dimmi, Josefa, che cosa hai da offrirmi per le anime che ti ho affidate. Metti tutto nella piaga del mio Cuore, per dare alla tua offerta un valore infinito".
«Gli ho detto di prendere tutto, poiché quello che ho è per le anime». «- Dimmelo nei particolari».
«Allora Gli ho tutto enumerato: l'ora santa, le mie piccole penitenze e mortificazioni, la sofferenza della corona di spine, i miei respiri, il mio lavoro, i miei timori, la mia debolezza e miseria, tutto quello che faccio e che penso... Tutto è per amor Tuo e per le anime, Signore, ma è ben poca cosa!...
«Alla Messa delle nove è ricomparso con il Cuore infiammato. "Guarda, - disse, - queste anime... ora stanno proprio in fondo al mio Cuore"».
L'indomani, 21 febbraio, dopo la Comunione Gesù le si mostrò e, guardandola, con infinita bontà, - ella scrive, - le ripeté le Sue esigenze:
«- Ti voglio così dimentica di te e abbandonata alla mia Volontà, che non lascerò passare la minima imperfezione senza avvertirtene. Devi tenere sempre presente da una parte il tuo nulla e dall'altra la mia Misericordia. Non dimenticare che dal tuo niente sgorgheranno i Miei tesori».
Nella mattinata del lunedì, mentre ella nel dormitorio delle educande metteva in ordine le uniformi della festa, Nostro Signore le apparve con le mani legate e la corona di spine sul capo insanguinato.
«- Mi ami?», le chiede con ardore. «Non so ciò che ho risposto... mille cose... Egli sa che Lo amo!..». «- Voglio che la tua sete aumenti, che tu mi salvi molte anime, e che questo desiderio ti consumi!...».


I DISEGNI DELL'AMORE ♦ 22 FEBBRAIO - 26 MARZO 1921 ♦ pag.123

Il mondo ignora la misericordia del mio Cuore! Voglio servirmi di te per farla conoscere. (N. Signore a Josefa  24-2-1921).

L'ora è suonata in cui Josefa udrà per la seconda volta un invito solenne.
Il giovedì 24 febbraio ella narra l'apparizione del Maestro durante l'adorazione del pomeriggio. Già le aveva espresso il desiderio che ogni venerdì fosse per lei un giorno di offerta con speciale unione al suo Cuore. Ora viene per ricordarglielo.
«- Domani tu offrirai al Padre mio tutte le tue azioni unite al Sangue che ho sparso nella mia Passione. Procurerai di non perdere un solo istante la divina Presenza e di rallegrarti per quanto ti sarà possibile di tutto ciò che dovrai soffrire. Non cessare mai di pensare alle anime, ai peccatori. Sì, ho sete di anime!». «Mi offrii per consolarlo e dargli anime... Signore! non dimenticare però che la mia è la più ingrata e la più miserabile di tutte!...».
«- Lo so, ma io la lavorerò!».
«E partì. Io mi offersi ancora una volta a Lui per tutto quello che volesse fare di me, e compresi che mi aveva presa in parola: O Gesù mio! so bene che avrai pietà di me e mi darai forza...
«La sera, all'ora santa, pensavo ai peccatori che sono in numero così grande... Ma la Sua Misericordia è ancora più grande... Ad un tratto è venuto e, con voce solenne, come quella di un re, mi ha detto:
«- Il mondo ignora la misericordia del mio Cuore! Voglio servirmi di te per farla conoscere!»
Presa da timore Josefa esclama:
«Ma, Signore, dimentichi dunque che sono tanto debole e che cado al minimo ostacolo?...»
Come se non l'avesse neppure udita, Gesù proseguì solennemente:
«- Ti voglio apostola della mia Bontà e della mia Misericordia. Ti insegnerò ciò che questo significa: tu dimenticati!».
«Lo supplicai - scrive, - di aver compassione di me e di lasciarmi senza queste grazie di predilezione a cui non so corrispondere, e di scegliere altre anime più generose di me». Gesù rispose soltanto:
«Dimentichi forse, Josefa, che sono il tuo Dio?».
Tuttavia il suo Cuore non è offeso. Sa troppo bene che ella Gli appartiene nel più profondo dell'anima e che gli stessi timori sono una prova dell'umile diffidenza di sé, così cara al Suo Amore. Già fin dal giorno seguente, venerdì 25 febbraio, durante la Messa, Egli torna pieno di bontà.
«Mi ha guardato - scrive, - e L'ho supplicato di lasciarmi come tutte le mie consorelle, senza cose straordinarie, poiché così non posso vivere!».
«- Se tu non lo puoi, Josefa, lo posso Io!».
«Ma io non lo voglio - ella timidamente prosegue; - vorrei essere come le altre!».
«- E Io lo voglio: non ti basta ciò?».
Poi soggiunge con forza:
«- Dove sta il tuo amore?
«Ama e non temere nulla. Io voglio ciò che tu non vuoi, e posso ciò che tu non potrai! A te non tocca scegliere, ma abbandonarti!».
Quante lotte questa sottomissione ai disegni dell'amore costerà all'anima di Josefa!... Dio le permette, senza dubbio, per attestare con più evidente certezza l'autenticità della sua azione ed eliminare, agli occhi di tutti, ciò che avrebbe potuto suscitare il dubbio, o anche solo prestar motivo di equivoco. Si può dire con verità che Josefa non cesserà mai di temere questa missione e i tre anni che seguiranno saranno continuamente segnati dalle alternative dolorose tra un abbandono che essa vuole e i timori che sempre risorgono.
Qualche giorno dopo la data memorabile del 25 febbraio 1921, nota con confusione che non ha il coraggio di dire ciò che Gesù le comanda di trasmettere.
«Allora ella aggiunge, - Egli è scomparso».
Si può facilmente immaginare il dolore di Josefa, dopo una tale partenza. Si sforzò, lì per lì, di dissimulare, ma il demonio sfruttò il suo silenzio convincendola che ormai tutto era inutile e perduto per lei. La parola «martirio» che usa non sembra troppo forte per mostrare la potenza diabolica alla quale Dio lascia tanta libertà in quelle ore di tenebre.
«Oh, Madre mia, che martirio! - ella scrive qualche giorno dopo: - non ne potevo più... non so che cosa sarei stata capace di fare se la fede non mi avesse sorretta».
E prosegue rendendo conto particolareggiatamente di quella lotta umiliante:
«La sera del 3 marzo stavo per venire da lei per chiederle il perdono, che già avevo implorato da Gesù, e cominciai subito a vedere le cose in modo diverso... So bene che Egli è sempre disposto a perdonarmi perché conosco il Suo Cuore!...
«Durante l'ora santa (era il giovedì della terza settimana di Quaresima), mi gettai ai Suoi piedi e non so ciò che Gli dissi... Ma mi sentii sollevata, benché l'anima mia restasse fredda come una pietra».
Il giorno seguente, primo venerdì, 4 marzo, mentre la pace e la luce ritornavano in quell'anima, il demonio tenta uno sforzo che vorrebbe definitivo.
Josefa si trova in giardino a cogliere qualche fiore per la cappellina di cui è sacrestana, quando improvvisamente si sente urtata con violenza e cade su di una vetrata che si spezza sotto di lei. Il sangue sgorga dal braccio destro profondamente ferito. Le cure immediate arrestano a poco a poco l'emorragia, ma il braccio rimane immobilizzato per vari giorni. Durante questo tempo, fedele all'obbedienza, ella detta gli appunti che non può scrivere di sua mano. Vi si legge, in data del mercoledì 9 marzo (quarta settimana di quaresima):
«Durante l'adorazione è venuta la Madonna tanto buona e compassionevole: teneva le braccia aperte come una madre. Le ho chiesto perdono e Le ho detto il mio desiderio di sapere se potrò ancora consolare Gesù e guadagnargli delle anime».
Il suo pensiero dominante è sempre questo:
«Poiché - ella aggiunge, - conoscendo il Suo Cuore non posso dubitare del Suo perdono!».
«- Sì, figlia mia, tu sei perdonata, - risponde la Madre celeste. - Però la rabbia infernale ti prepara nuovi agguati... Ma, coraggio, non soccomberai...».
«Mi diede la sua benedizione e disparve».
Questa materna visita si ripete due giorni dopo, il venerdì 11 marzo: «Stavo ridicendo alla Madonna quanto vorrei che Gesù dimenticasse tutto, quando, all'improvviso, è venuta e così buona! Teneva le mani incrociate sul petto. Mi sono inginocchiata e mi ha detto:
«- Sì, figlia mia, Gesù t'ama come prima, e vuole che tu Gli dia delle anime». Poi, alludendo al braccio malato:
«- Se il demonio avesse potuto ucciderti l'avrebbe fatto, ma non ne aveva il potere!».
Gesù stesso non tarda a mostrare alla figliola prediletta che il Suo Amore e la sua predilezione rimangono immutati. La grande quindicina della passione e della settimana santa si apre opportuna per dare occasione a Josefa di riparare e partecipare alle sofferenze redentrici del divino Maestro.
«Il 14 marzo, lunedì di passione, dopo la Comunione, Egli è venuto, - scrive. - Il suo sguardo penetrante e compassionevole mi fece molta impressione.
«- Non posso più resistere alla tua miseria» mi disse.
«Poi, dopo un istante di silenzio, aggiunse:
«- Non dimenticare che la tua piccolezza e il tuo nulla sono la calamita che attira il mio sguardo verso di te».
«La sera stessa mi trovavo in Cappella, sempre sotto l'impressione ricevuta dallo sguardo di Gesù».
Per la prima volta Josefa rivela espressamente la forza dello sguardo divino.
«Non mi aveva mai guardato così - ella continua, - Credo che quegli occhi in un istante mi hanno fatto vedere tutto quello ch'Egli ha operato in me, e ciò che io ho fatto per Lui... corrispondendo, ahimè, con mille ingratitudini al Suo Amore!... Ma quello sguardo mi diceva altresì che ciò non importa, se sono decisa ad essergli fedele, perché Egli è sempre pronto a provarmi il Suo Amore ed a concedermi nuove grazie. Tutto questo era presente alla mia mente e non cessavo di chiedergli perdono, ripetendo il mio desiderio di non far più resistenza alla Sua Bontà.
«Ad un tratto è ricomparso:
«- Guarda, Josefa. Io sto sempre intercedendo per le anime e perdonando loro».
«Mi guardò in silenzio, come al mattino, ma quante cose diceva tacendo!... Anche io tacevo.
Dopo un istante aggiunse: «- Sai tu davvero ciò che ho fatto per te?».
«Allora vidi nuovamente tutte le Sue Grazie e tutte le mie ingratitudini. Dal profondo dell'anima mia Gli dissi che ero risoluta a compiere non solo ciò che mi avrebbe chiesto, ma tutto quello che sapessi potergli piacere. Mentre parlavo, il Suo Cuore cambiò completamente, si dilatò, eruppero fiamme dalla sua ferita, ed il Suo Volto divenne splendente. Poi disse:
«- Durante questi giorni ti farò assaporare l'amarezza della mia Passione e soffrirai in qualche modo gli oltraggi ricevuti dal mio Cuore. Unita a me, ti offrirai a mio Padre per ottenere il perdono a molte anime».
«Mi guardò ancora come se volesse infondermi fiducia e scomparve».
Dopo le sue mancanze, Josefa non cessa un istante d'implorare il perdono di Gesù: è un bisogno dell'anima, è la tendenza del suo cuore delicato: il Cuore di Gesù non resiste mai a quelle suppliche.
«Il 15 marzo, festa delle cinque piaghe e martedì di Passione, dopo la Comunione Gli domandavo ancora perdono - scrive. - Come un lampo passò davanti a me, arrestandosi un istante, e mi disse soltanto: «- L'amore tutto cancella!».
Questa lezione si scolpisce sempre più nell'anima sua, essa ne vive, mentre sta occupata al lavoro. Quella stessa mattina si trovava in soffitta e:
«Preparavo - così scrive, - la biancheria da lavare; e siccome non desidero che riparare, chiedevo con molta semplicità a Nostro Signore di guadagnargli tante anime quanti erano i fazzoletti da contare. Ho offerto a questo scopo tutta la mia giornata, unendo le mie sofferenze al Suo Cuore e ai Suoi meriti».
Verso sera, precedendo di qualche istante l'ora dell'adorazione generale, ella entra in Cappella dove era esposto il Santissimo. Nostro Signore le appare:
«- Se ti occupi della mia gloria, - dice, - Io mi occuperò di te. Renderò saldo in te il mio regno di pace e nulla potrà più turbarti. Stabilirò in te il mio regno d'Amore e nessuno potrà rapirti la tua gioia».
«Si accostò a me, la ferita si aprì. Vidi una fila di anime prostrate in adorazione, e mi fece comprendere che erano quelle che io gli avevo chiesto quella stessa mattina».
Il giovedì di Passione, 17 marzo, ricorre il ventesimo anniversario del suo ritiro di Prima Comunione, data che non passa mai inosservata per l'anima di Josefa.
«Vent'anni - scrive, - che Gesù mi ha scelta per Lui: mai sono stata così indegna del Suo Amore!».
Allora si umilia pensando a tante grazie a cui le sembra aver sempre troppo poco corrisposto, e aggiunge:
«Stavo decidendomi a cambiare completamente e, mentre prendevo questa risoluzione.
Egli mi è apparso con le braccia aperte. Con voce amorevole mi ha detto:
- Sì, Josefa, ti ho chiamata in quel giorno e poi non ti ho più abbandonata. Ti ho custodita senza mai separarmi da te. Quante volte saresti caduta se non ti avessi sostenuta!... Oggi te lo ripeto una volta di più: Voglio che tu sia tutta mia... che tu mi sia fedele e corrisponda al mio Amore. In cambio Io mi dono a te come sposo e ti amo come la sposa privilegiata del mio Cuore. Io farò tutto il lavoro: a te non resta che amare e abbandonarti. Poco m'importano il tuo nulla e le tue stesse cadute: il mio Sangue cancella tutto. Ti basti sapere che ti amo: tu abbandonati!».
Ma sempre questa predilezione divina riconduce Josefa al pensiero delle anime. Il martedì santo, 22 marzo, dopo la Comunione, Gesù le appare con le braccia aperte. Piena di ardire per quella che chiama «l'immensa bontà del Maestro»:
«Vorrei chiederti tante cose, Signore!» - Gli dice.
«- Non sai dunque, Josefa, ciò che sta scritto nel mio santo Vangelo? Chiedete e riceverete!».
«Lo scongiurai d'avere compassione di tutto il mondo, e d'incendiarlo col fuoco del Suo Cuore divino...».
«- Ah, se si conoscesse il mio Cuore!... Gli uomini ignorano la Sua Misericordia e la Sua Bontà: ecco il maggior dolore!».
«Allora Lo supplicai d'infiammare le anime dello zelo per la sua gloria, di moltiplicare i suoi sacerdoti, di suscitare molte vocazioni religiose. Poi mi fermai, ma, pur tacendo, Gli parlavo ancora. Quante cose Egli mi diceva con lo sguardo. E soprattutto quanta fiducia m'infondeva! Infine mi mostrò le mani e mi fece baciare le piaghe. Quindi disparve».
Righe come queste non bastano forse da sole a dimostrare fino a qual punto lo zelo ardente del Cuore di Gesù consuma già quello di Josefa? Le anime sono ormai divenute il grande orizzonte della sua vita e di esse si occupa sempre nei suoi incontri con Gesù. Durante la meditazione, il mercoledì santo, 23 marzo, mentre ella Gli chiede che cosa intenda per «salvare le anime».
«Egli mi è apparso - scrive, - e dopo avermi guardata con grande amore, rispose:
«- Ascolta, Josefa: ci sono delle anime cristiane, e anche pie, che un semplice attacco del cuore basta a rallentare nel cammino della perfezione. Però se un'altra anima offre per loro le proprie azioni, unite ai Miei meriti infiniti, può ottenere che escano da quello stato e riprendano la loro corsa nella via del bene.
«Molte anime vivono nell'indifferenza, ed anche nel peccato. Aiutate anch'esse nella stessa maniera potranno rientrare in grazia e salvarsi un giorno.
«Ve ne sono poi altre, e assai numerose, ostinate nel male e accecate nell'errore. Sarebbero dannate se le suppliche di qualche anima fedele non ottenessero che la grazia tocchi infine il loro cuore. Ma essendo estremamente deboli, correrebbero il rischio di nuove cadute: quelle le prendo senza ritardi nell'eternità, e così le salvo!».
«Gli chiesi come potrei fare per salvarne molte».
«- Unisci tutte le tue azioni alle mie, sia nel lavoro che nel riposo. Unisci al mio Cuore i palpiti del tuo e i tuoi respiri stessi. Quante anime potrai così guadagnare!».
Gli ultimi giorni di Quaresima l'assoceranno più intimamente alle sofferenze del Calvario. Per la prima volta ella segue passo passo il Maestro lungo la passione e la giornata del venerdì santo, 25 marzo, la trascorre continuamente alla sua dolorosa Presenza.
«Dopo aver finito di spazzare - scrive, - sono salita a fare una visitina alla Madonnina del noviziato. Appena entrata, Gesù è venuto con le mani legate e il capo coronato di spine, il volto sanguinante e contuso. Mi ha guardato soltanto con grande tristezza, poi è scomparso».
«Verso le tre del pomeriggio lo rividi ancora - scrive, - e mi mostrò la piaga del costato, dicendomi:
«- Guarda ciò che ha fatto l'Amore».
« La ferita si aprì ed Egli continuò:
«- Si è aperta per gli uomini, per te!... Vieni... avvicinati... ed entra!».
La Madre addolorata conferma le grazie di questo giorno con una di quelle parole che rivelano il suo cuore. Verso le cinque Josefa si trova nell'oratorio del noviziato:
«Là, in silenzio, ai piedi della Madonna, riandavo col pensiero a ciò che avevo visto e compreso. Improvvisamente è venuta: aveva una veste di color violetto scuro, come il velo, e teneva tra le mani la corona di spine insanguinata. Me la mostrò dicendomi:
«- Sul Calvario, Gesù mi ha dato per figli tutti gli uomini: vieni, poiché sei mia figlia! E tu, non sai già quanto io ti sia Madre?»
«Le chiesi il permesso di baciare la corona, e mentre me la porgeva e mi metteva la mano sulla spalla, mi disse:
«- Oh! qual ricordo Egli mi ha lasciato di sé dandomi le anime...».
L'alba del sabato santo, 26 marzo 1921, segna il compimento di questo periodo con uno di quei favori celesti che lasciano in Josefa un'impronta incancellabile.
«- Sai con quale intento ti do le mie grazie con tanta abbondanza?» le domanda Nostro Signore, apparendole nella meditazione con le piaghe risplendenti di luce. E ripete quello che un tempo aveva detto, quasi con le stesse parole, a Santa Margherita Maria:
«- Voglio fare del tuo cuore un altare, sul quale arda continuamente il fuoco del mio Amore. Però voglio che esso sia puro e che niente lo tocchi di ciò che potrebbe macchiarlo»
«Egli mi lasciò - scrive Josefa, - e discesi in Cappella per assistere alla Messa. Dopo la Comunione gustai le gioie del paradiso!... Vidi dentro di me, sopra un trono risplendente, tre persone biancovestite. Tutte e tre simili e bellissime! L'anima mia ardeva di un fuoco che, senza bruciare, mi consumava di felicità. Poi tutto scomparve».
Questa grazia, del tutto interiore, si ripeterà il 5 aprile seguente. Davanti alle tre Persone Josefa è pervasa da una pace indicibile. Tenta di spiegare qualche cosa di ciò che è avvenuto in lei con una semplicità ignara dell'importanza di un così insigne favore.
«Di solito - scrive, - la divina Presenza mi avvolge tutta, ed anche quando entro nel Cuore di Gesù, mi trovo inabissata in Lui. Ma queste due ultime volte, nel momento della Comunione, è avvenuta come una gran festa che si è celebrata nell'anima mia. Gesù entrò in me come nel proprio palazzo. Non so come spiegarmi... e siccome ero fermamente decisa ad abbandonarmi interamente a Lui perché facesse di me secondo il Suo volere, fu davvero una festa di cielo!».
Dopo tali contatti con l'Ospite divino, si capisce quale violenza Josefa doveva farsi per ritornare al lavoro abituale. Questo sforzo fu spesso l'occasione propizia al nemico per tenderle i suoi agguati.


L'OPPOSIZIONE DI SATANA ♦ 27 MARZO - 31 MAGGIO 1921 ♦ pag.133

Il demonio si adopererà con accanimento per farti cadere, ma la mia grazia è più forte di ogni malizia infernale.
(N. Signore a Josefa - 6 aprile 1921).

I mesi che seguirono la Quaresima del 1921 furono contrassegnati, infatti, da una recrudescenza degli sforzi diabolici. Tuttavia, dapprima, nulla di straordinario manifesta la presenza del nemico. La tentazione violenta sfrutta abilmente le attrattive e le ripugnanze di Josefa davanti alla via in cui il Maestro la sospinge passo passo.
La fedeltà di questo Maestro incomparabile e la potenza della Madre celeste continuano ad intervenire per custodirla, perdonarla, rimetterla sul retto cammino, poiché più volte soccombe alla propria debolezza. Ma intanto ella approfondisce questa grande lezione per trasmetterla un giorno: l'amore ha il segreto di servirsi anche delle nostre mancanze per il bene delle anime. Mentre il giorno di Pasqua, 27 marzo, si è levato radioso, ella scrive:
«Questa mattina durante la meditazione mi sono un po' lagnata con Gesù, poiché se mi tiene così assorta in Lui, come posso fare ad applicarmi al lavoro?... e c'è tanto da fare! Non sarei più al mio posto se mi trovassi in altro luogo?»
Ha appena il tempo di finire il suo lamento che Gesù le appare con un'ombra di tristezza sul volto:
«- Perché ti lamenti, Josefa, mentre ti ho attirata a questa porzione preferita dal mio Cuore?...».
«Mi ha detto queste parole con ardore, poi è sparito».
Josefa lo aspetterà per vari giorni, conservando in cuore il ricordo della tristezza letta sul volto divino.
«Il 6 aprile, mercoledì dopo la domenica in Albis, dopo la Comunione, Egli è ricomparso, con le braccia aperte, mentre Gli dicevo il mio desiderio di amarlo davvero. Mi ascoltò in silenzio, come se volesse che Glielo ripetessi. Gli chiesi perdono dicendo: Signore, mi abbandono a Te! Mi guardò con grande bontà e disse:
«- L'anima che si abbandona davvero a me, mi piace tanto che, nonostante le sue miserie e le sue imperfezioni, trovo in lei il mio cielo e mi compiaccio di dimorare in lei.
«Io stesso ti dirò - aggiunse, - ciò che mi impedisce di lavorare nell'anima tua per effettuare i miei disegni».
Quindi, rispondendo all'inquietudine che scorge in lei:
«- Sì, il demonio si adopererà accanitamente per farti cadere; ma la mia grazia è più potente di tutta la sua malizia infernale. Affidati a mia Madre, abbandonati a me e sii sempre molto umile e semplice con la Madre tua».
Josefa capisce l'opportunità di questa raccomandazione poiché è presaga dell'avvicinarsi del nemico. Prega e rinnova la sua offerta:
«Lo supplicavo in modo speciale - scrive il giovedì 7 aprile, - di insegnarmi ad umiliarmi e ad abbandonarmi nella maniera che Gli piace. Credo che questa preghiera Gli sia gradita perché, subito, è comparso:
«- Tu puoi umiliarti in vari modi, - mi ha detto: - in primo luogo adorando la divina Volontà, che malgrado tu ne sia indegna, vuol servirsi di te per effondere la sua Misericordia. Poi ringraziando di essere stata collocata nella Società del mio Cuore senza alcun tuo merito. Non lagnarti mai di ciò».
«Scolpì queste parole così profondamente in me che lo supplicai di dimenticare la mia ingratitudine e gli ripetei il mio desiderio di riparare le pene che avevo potuto procurare al Suo Cuore divino».
«- Tu mi consolerai, mia Josefa, col ripetere spesso questa preghiera: O Cuore divino! Cuore del mio Sposo, il più tenero e delicato dei cuori, ti ringrazio che, malgrado la mia indegnità, mi hai scelta per effondere sulle anime la Tua divina Misericordia!».
«Mi guardò di nuovo e mi lasciò».
Quella stessa sera nella cella di Santa Maddalena Sofia, dove era andata per supplicarla di non dubitare mal del desiderio che aveva di essere sua vera figlia, Gesù viene inaspettato, ed aprendole il Cuore, ve la fa entrare, dicendole una volta ancora:
«- Qui troverai il perdono!».
Tuttavia la sollecitudine della Madonna veglia senza posa sull'inesperienza della sua figliola.
«- Ciò che soprattutto temo, - venne a dirle prima della Comunione di sabato 9 aprile - è che tu non sia abbastanza aperta con la tua Madre e così tu non ti accorga dei lacci del nemico. Non lasciarti andare, Josefa. Veglia sui tuoi pensieri per non dar adito alla tentazione. E se provi in te stessa qualche compiacenza, dilla subito ed umiliati. Ti raccomando di nuovo di essere molto semplice con la tua Madre. E l'unico modo per preservarti dalle astuzie diaboliche».
Qualche giorno dopo Gesù ribadisce la lezione. Il lunedì 11 aprile, durante la meditazione, ella Gli ripete la preghiera imparata il giovedì precedente.
«Subito è apparso. Con lo sguardo sembrava dirmi la sua compiacenza nell'ascoltarmi, ed io Gliela ripetei di nuovo».
«- Ogni volta che tu Mi ripeti queste parole, le pongo nel mio Cuore in modo che esse siano per te e per le anime una nuova sorgente di grazie e di misericordia». «Gli ho domandato o piuttosto l'ho supplicato di usarmi compassione, poiché sono io la prima ad aver bisogno di misericordia!».
«- Se è per mezzo tuo che voglio effondere i tesori della mia bontà, Josefa, come non li effonderei anzitutto su di te?».
Poi Gesù le ricorda la necessità di nulla nascondere alla Madre a cui l'ha affidata.
«- Tu devi imparare a dire ciò che ti umilia di più e nella maniera che più ti costa, - le dice. - Se non avessi voluto assoggettarti all'obbedienza, - ha aggiunto con forza, - ti avrei lasciata nel mondo, ma ti ho condotta al mio Cuore, affinché tu non respiri che per obbedire».
Due giorni dopo Josefa sperimentava quanta grazia si nasconda nell'obbedienza.
«Il mercoledì 13 aprile - scrive - ricevetti una lettera di mia sorella, e il pensiero che una sua possibile entrata al Carmelo avrebbe lasciata sola la mamma mi sconvolse. Tuttavia non smisi di dire a Gesù la mia volontà di restargli fedele. Ma, il giorno dopo, la tentazione fu così forte che venni da lei, Madre mia, a dirle tutto, giacché so che la luce mi viene da lei.
«E lei mi ha detto una cosa che più di ogni altra si è profondamente scolpita nell'anima mia.
«Il Cuore di Gesù ama la mia mamma infinitamente più di quello che posso fare io! Ho meditato su ciò e ho risoluto di tutto abbandonare a Dio.
«Il giorno dopo, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù, che conosce la mia debolezza, è venuto pieno di bontà e mi ha detto:
«- Se abbandoni tutto a me, ritroverai tutto nel mio Cuore.
Con questo invito ad aspettare ogni cosa da Lui, Nostro Signore la prepara ai giorni di tenebre, ormai imminenti. Il venerdì 22 aprile ella riferisce che il demonio fa di tutto per toglierle la pace.
«Sono salita all'oratorietto della Madonna in noviziato per supplicarla di non lasciarmi cadere. Subito Ella è comparsa e molto maternamente mi ha detto:
«- Figlia mia voglio darti un insegnamento di grande importanza. Il demonio è come un cane furioso, ma ha la catena, cioè una libertà limitata. Non può dunque afferrare e divorare la preda, se non quando questa si avvicina a lui e, per attirarla, la sua tattica abituale è di trasformarsi in agnello. L'anima inesperta gli si avvicina a poco a poco, e comprende la sua malizia solo quando egli sta per afferrarla. Allorché ti sembra lontano, tu, figlia mia, vigila, poiché i suoi passi sono taciti e dissimulati, per riuscire inosservati».
«Mi benedisse e sparì».
La tentazione, infatti, è vicina, e questa volta Josefa imparerà quanto sia grande la potenza infernale, anche quando Dio le lascia solo «una certa libertà».
«Due o tre giorni dopo, - ella scrive, - mi trovavo sola e in desolazione. Tutto il furore satanico sembrò scatenarsi su di me per accecarmi e strapparmi la vocazione. Soffrii molto fino al sabato 7 maggio, senza cessare però d'invocare aiuto da Gesù e da Maria.
«Nel pomeriggio di quel giorno andai con le mie sorelle all'adorazione e per aiutarmi un poco mi misi a leggere qualcuna delle parole di Gesù nel mio quaderno di appunti. Ma questa lettura invece di calmarmi aumentò il mio turbamento suscitandomi il pensiero che tutte quelle grazie sarebbero state la mia rovina. Mi sforzai, alla meglio, di ripetere la mia prima offerta, ma in quell'istante stesso si riversò su di me come una tempesta di colpi. Spaventata, uscii di cappella per riporre il quaderno e vedere se la Madre Assistente si trovasse in cella per raccontarle tutto. Ma, arrivata in fondo al chiostro di S. Bernardo, fui con violenza afferrata per un braccio e sospinta in cucina con l'idea di gettare nel fuoco il quaderno. Stavo per farlo, ma non potei sollevare la marmitta. Una Madre, che era là e mi vide, mi suggerì di gettarlo nella cassa della legna da bruciare».
Josefa lo accartoccia, lo butta nella cassa ed esce sollevata, senza rendersi conto di ciò che ha fatto. Va nella stanza dove si stira per cominciare il suo lavoro. Ma a poco a poco comprende la gravità dell'atto che le era stato come strappato. Che accadrebbe, infatti, se quel quaderno, passato in altre mani, rivelasse il segreto con cui Nostro Signore, con formale volontà, vuole circondare l'opera sua?
«In altre circostanze - ella continua, - mi sarei sentita disperata. Questa volta no; pregavo con tutta la mia fede per essere liberata e soprattutto per ottenere il perdono... Ritornai in cucina sperando che non avessero ancora bruciato il quaderno essendo l'ora già tarda; ma non lo trovai più e supplicai la Madonna di occuparsene lei stessa...».
Il giorno dopo, domenica, sembra lungo a Josefa che non osa manifestare la sua colpa alla Madre Assistente e cerca, invano, un motivo per tacere. Ma la sera, non riuscendo più a sostenere da sola una tale inquietudine, confessa tutto alla Madre.
«Quando vidi i suoi timori - scrive la Madre stessa, scongiurai la Madonna di calmarla e di rimettere il quaderno nelle sue mani».
Maria può rimanere sorda ad una supplica così filiale?
«Il lunedì 9 maggio, spazzavo il corridoio delle celle, sempre col pensiero fisso al quaderno... ma avevo perduto la speranza di ritrovarlo!».
Ad un tratto Josefa sente la nota voce della Madonna:
«- Va' in cucina, lo troverai!».
«Tuttavia, - ella scrive, - non volli badarci e continuai a spazzare, pensando che avevo perduto la testa. Ma, una seconda volta, udii le stesse parole. Salii allora all'oratorio del noviziato, e una terza volta la voce si ripeté:
«- Va' in cucina, là lo troverai!».
In fretta scese le scale, giunse in cucina e là nella cassa della legna scorge il quaderno!... ricoperto di carta bianchissima e posato contro un lato della cassa. Josefa lo afferra e, con grande commozione, se lo porta via. Due o tre giorni trascorrono pieni di riconoscenza, mista a confusione per tanta bontà...
Il venerdì 13 maggio, durante l'adorazione, Gesù, con le braccia aperte, le appare.
«Subito Gli chiesi perdono», ella scrive.
«- Lascia andare, - dice - il mio Cuore ha cancellato tutto».
Poi continua:
«- Non scoraggiarti poiché nella tua fragilità risplende meglio l'infinita mia misericordia».
Allora ella lo supplica di non stancarsi di lei, della sua debolezza, delle sue stesse cadute!...
«- Il mio Cuore non rifiuta mai il perdono all'anima che si umilia - Egli risponde avvicinandosi, - e soprattutto a quella che lo chiede con vera fiducia: comprendilo bene, Josefa! Io innalzerò un grande edificio sul nulla, cioè sulla tua umiltà, il tuo abbandono, il tuo amore».
L'ultima parola di questa prova spettava alla Madre celeste. Il giorno seguente, sabato 14 maggio, mentre Josefa terminava la Via Crucis, Ella le apparve più bella del solito, con la veste scintillante di riflessi argentei e il volto radioso. Le annunziò l'ingresso nella patria beata di un'anima per la quale aveva chiesto a Josefa molti giorni di preghiera e di sofferenza.
«Poi siccome era sul punto di andar via - scrive Josefa, - la ringraziai nuovamente del quaderno ritrovato».
«- Che cosa volevi dunque farne?» le domanda la Madonna. «Con dispiacere le ho detto la verità:
Ahimè, stavo per bruciarlo !».
«- Sono io che ti ho impedito di farlo, figlia mia. Quando Gesù pronunzia una parola, tutto il cielo l'ascolta con ammirazione». Josefa che più che mai capisce il valore degli accenti divini, non sa come esprimere la sua pena.
«Le ho chiesto perdono e l'ho ringraziata di non aver permesso che quel quaderno andasse perduto».
«- Quando l'hai gettato, l'ho raccolto Io... Le parole di mio Figlio, - aggiunge qualche giorno dopo, - non le lascio qui in terra che per il bene delle anime, altrimenti le riporto in cielo».
Josefa non cessa di ripetere la sua riconoscenza a questa Madre così compassionevole che non l'abbandona mai.
«Pensavo, - scrive il martedì di Pentecoste, 17 maggio, - fino a qual punto la Madonna mi ama e di qual tenerezza mi circonda».
«- Ah, figlia mia, - le risponde la Madre celeste, - come potrei non amarti? Mio Figlio ha sparso il suo sangue per tutti gli uomini... tutti sono figli miei. Ma quando Gesù fissa il suo sguardo su un'anima, Io riposo in essa il mio cuore».
Quest'unità di predilezione del Figlio e della Madre Gesù sta per confermarla. Ella scrive il giorno dopo, mercoledì 18 maggio:
«Dopo la Comunione l'anima mia ha gustato una tal pace che non ho potuto fare a meno di dire: O Gesù, so che sei qui, ne sono sicura... Non avevo neppure terminato, che l'ho visto davanti a me, con le mani tese, il volto pieno di tenerezza, il Cuore che sembrava uscirgli dal petto, tutta la persona circonfusa di una luce splendente. Si sarebbe detto che una fornace ardesse dentro di lui».
«-Sì, Josefa, sono qui!».
«Mi sentivo come fuori di me... ma potei dominarmi per chiedergli perdono e esporgli di nuovo le mie miserie, i miei peccati, i timori che mi assalgono».
«- Se tu sei un abisso di miseria, io sono un abisso di bontà e di misericordia!».
Poi, tendendo le braccia verso di lei, aggiunse:
«- Il mio Cuore è il tuo rifugio!».
Così ha fine in una effusione di misericordia l'episodio del quaderno di Josefa. Il demonio tenterà ancora, con altri mezzi, di sopprimere quegli scritti preziosi, ma non ci riuscirà mai.
Il mercoledì 25 maggio, ricorre la festa di Santa Maddalena Sofia, che nel 1921 era solamente beata. Per la prima volta Josefa vede intervenire la Madre Fondatrice ch'ella ama con cuore filiale. Con la consueta semplicità narra questo nuovo favore che rapisce e fortifica l'anima sua.
«Oggi, festa della nostra Beata Madre, mi sono recata più volte nella sua cella per dirle una parolina, e una di queste volte, entrando e rimanendo lì in piedi, col mio grembiule di lavoro, le ho detto alla sfuggita: O Madre mia, te lo chiedo di nuovo, rendimi tanto umile, affinché sia davvero tua figlia! Nella cella non c'era nessuno e questa preghiera sfuggì ad alta voce dal mio cuore, quando ad un tratto vidi davanti a me una Madre sconosciuta. Mi prese il capo tra le mani e, stringendolo con ardore, mi disse:
«- Figlia mia, deponi tutte le tue miserie nel Cuore di Gesù, riposa nel Cuore di Gesù, sii fedele al Cuore di Gesù!».
«Presi la sua mano per baciargliela, poi ella con due dita tracciò sulla mia fronte il segno di croce e disparve».
Questo primo incontro doveva essere seguito da molti altri. Lungo i chiostri dei Feuillants, così spesso percorsi dalla Fondatrice, nella sua cella, davanti al tabernacolo ove ella tanto pregò, Santa Maddalena Sofia apparirà alla sua figlia con l'aspetto vivace ed espressivo come quando era in vita e sul quale il riflesso del cielo ha segnato l'impronta soprannaturale. Josefa le parlerà come parla alle sue Madri della terra, semplicemente e fiduciosamente: ascolterà le sue raccomandazioni, raccoglierà i suoi consigli e le confiderà le sue difficoltà. Sotto questa egida materna si sentirà al sicuro nella grazia della sua vocazione.
Tuttavia Gesù, che le vuole insegnare l'umiltà mediante l'esperienza delle proprie miserie, non la libera del tutto dalle debolezze della sua natura. Sembra che Egli si compiaccia nel vederla piccola e confusa ai suoi piedi per ricordarle senza posa la bontà del suo Cuore. I paragoni più semplici servono al Maestro divino per inculcare alla discepola le Sue lezioni preferite.
«Lo supplicai, - ella scrive il giorno della festa del Corpus Domini, giovedì 26 maggio, - di darmi la forza di vincermi, poiché ancora non so umiliarmi nella maniera che Gli piace».
Diceva questo durante la meditazione, quando il Signore le apparve.
«- Non preoccuparti, Josefa, - dice con bontà; -se getti un granello di sabbia in un vaso ricolmo d'acqua fino all'orlo, qualche goccia ne uscirà. Se ne getti un secondo, altre ne usciranno e, via via che il vaso si riempirà di sabbia, si svuoterà d'acqua. Nello stesso modo, a mano a mano che Io entrerò nell'anima tua, tu ti libererai di te stessa, ma un po' alla volta».
E tre giorni dopo, domenica 29 maggio:
«- Perché temi? So quello che sei, ma te lo ripeto una volta di più... poco m'importa la tua miseria!
«Quando un fanciullino comincia a dare i primi passi, la mamma dapprima lo tiene per mano, poi lo lascia per incitarlo a proseguire da sé, ma gli tende le braccia perché non cada. Devi dire alla Madre tua che, più un 'anima e debole, più ha bisogno di sostegno. E chi è più fragile di te?...
«Il mio Cuore trova la sua consolazione nel perdonare. Non ho desiderio più grande né gioia più grande che quella di perdonare!
«Quando un'anima ritorna a me dopo una caduta, la consolazione che mi dà è per lei un guadagno, poiché la guardo con più grande amore».
E aggiunse: «- Non temere di niente. Non sei che miseria e perciò voglio servirmi di te. Supplisco Io a quello che ti manca... lasciami agire in te».
Questo continuo scambio di misericordia da una parte, di umile e generoso amore dall'altra, si rinnova in ogni pagina di questa vita come uno dei più importanti insegnamenti divini. Ma Colui che l'impartisce con tanta perseverante bontà non vuole che Josefa si ripieghi sulla propria debolezza: tutto deve servire alle anime.

SOMMARIO

CAPITOLO 04 ♦ LE IMPRESE DELL'AMORE

TRE ANIME SACERDOTALI UN PECCATORE ALTRE DUE ANIME 1 ° GIUGNO-LUGLIO 1921 ♦ pag.145

«Un po' prima della festa del Sacro Cuore, non ricordo bene la data, - scrive Josefa, - Nostro Signore è venuto. Il suo Cuore era trafitto da tre nuove ferite e da ciascuna sgorgava il sangue in gran copia». «Guarda ciò che desidero per la mia festa!».
E siccome ella esprime la propria pena davanti al dolore di Gesù:
«Sono tre sacerdoti che feriscono il mio Cuore. Offri per essi tutto ciò che farai».
«Gli ho detto quanto sia povera affinché supplisca a ciò che mi manca, ed Egli ha risposto con infinito amore e bontà:
«Quanto più la tua miseria è grande, tanto più la mia potenza ti sosterrà. Ti farò ricca dei miei doni. Se mi sarai fedele, farò della tua anima la mia dimora e ivi mi rifugerò quando i peccatori mi respingeranno. Mi riposerò in te, e tu avrai vita in me! Tutto quello di cui hai bisogno vieni a cercarlo nel mio Cuore, anche se si tratta di ciò che ti chiedo. Fiducia e amore!».
Da quel momento, molte sofferenze d'anima e di corpo affliggono senza tregua Josefa fino al venerdì 3 giugno, festa del Sacro Cuore, che le rivelerà come la misericordia risponda alla potenza della preghiera.
«Durante la meditazione scrive mi aprì il Cuore dicendomi:
«Entra qui e continua ad affidarmi ciò che ti ho chiesto».
«Mi ha riposato di tutte le angosce dei giorni trascorsi, poi è rimasto presso di me tanto bello e come se traboccasse di gioia. Gli domandai dei tre sacerdoti».
«- Chiedili al mio Cuore. Non sono ancora tornati... ma si ravvicinano a me».
Rapita davanti a così splendente bellezza, Josefa Gli parla di quella festa che deve dargli tanta gloria.
«Il suo Cuore si è acceso maggiormente a queste parole, e mai l'avevo visto così...».
«Sì, oggi è il giorno del mio Amore. Le anime, queste anime che amo tanto, mi riempiono
di gioia venendo a cercare forza e rimedio nel mio Cuore che desidera tanto arricchirle. Ecco quello che mi glorifica e mi consola di più!».
«É rimasto fino alla fine della meditazione e mi ha seguita alla Messa».
In quel giorno nella Società del Sacro Cuore tutte le religiose rinnovano solennemente i voti, davanti alla sacra Ostia, al momento della Comunione. Josefa non sa come contenere la sua emozione assistendo a questa rinnovazione, ripetuta con ardore da ciascuna delle sue Madri e Sorelle.
«Oh! come sono felice nella mia cara Società! scrive. Poi continua: Ad un tratto ho visto il suo Cuore!... dapprima solo, immerso in una fornace ardente, poi, come se una nube leggera si dissipasse, mi è apparso tutto Gesù. Così affascinante! Non so ciò che gli ho detto... Come ringraziarlo di tutto quello che fa per me?».
«Ora te lo dirò, Josefa! Prendi questo Cuore e offrilo al tuo Dio. Per mezzo suo puoi pagare tutti i tuoi debiti. Tu sai adesso ciò che ho voluto fare attirandoti qui. Desidero che tu corrisponda ai miei disegni con docilità, lasciandoti maneggiare, abbandonandoti al mio amore, che altro non cerca se non possederti e consumarti. L'amore ti spoglierà del tuo io e non ti lascerà pensare che alla mia gloria e alle anime».
Con insistenza più ardente Egli aggiunge:
«- Ora pregami, dimmi ciò che vuoi, chiedi!».
«L'ho pregato per tutto quello che desidero - scrive - e anzitutto per la Società, naturalmente, mentre Gli offrivo tutti quegli atti di rinnovazione per i tre sacerdoti... Durante l'intera giornata non ho smesso di pregare per loro... Non so quante volte gli ho ripetuto: Signore, mi hai detto che oggi le anime rapiscono il tuo Cuore e le tue grazie... non potremo dunque guadagnarti quelle tre anime? Oh! lasciati commuovere!».
Verso le tre del pomeriggio, Josefa sale al noviziato. Passando davanti alla tribuna dell'organo vi entra di nuovo,
«per bussare - scrive - alla porta di quel Cuore, affinché non possa più resistere alle nostre suppliche. Egli è venuto subito e mi ha detto, come se non avesse inteso la preghiera:
«- Che vuoi? dimmelo!».
«Ma Gesù mio, non lo sai forse? e i tre sacerdoti?... Te ne supplico, poiché lo desideri tanto... Tu solo puoi far ciò!...».
Allora, con solennità maestosa e, ad un tempo, con letizia divina, Gesù mostrando il suo Cuore disse:
«- Josefa, sono tornati al mio Cuore!».
Poi, come pervaso da commozione intensa, proseguì: «- Se avessero respinto la mia grazia, sarebbero stati responsabili della perdita di molte anime».
E mentre, prostrata dinanzi al suo Maestro, essa non sa che dire - nella sua immensa gioia, Egli aggiunge:
«- Tu ripeterai ogni giorno queste parole: O Gesù, per il tuo amatissimo Cuore, ti supplico d'infiammare dello zelo del Tuo amore e della Tua gloria tutti i sacerdoti del mondo, tutti i missionari e quelli che sono incaricati di annunziare la Tua parola divina affinché, accesi di un santo zelo, strappino le anime al demonio per condurle all'asilo del Tuo Cuore, dove possano glorificarti in eterno».
Il ricordo di questa festa del Sacro Cuore non si cancellerà più dalla memoria di Josefa. Ella aveva compreso l'infinita gioia del Cuore divino quando i suoi sacerdoti Gli danno la totalità dell'amore che da loro aspetta. D'ora in poi, la preghiera imparata dalle labbra del Salvatore rimarrà la sua preghiera quotidiana e le anime sacerdotali la prima e la più grande intenzione della sua vita immolata.
Una piccola annotazione custodita segretamente fino alla morte, prova che a quest'epoca Nostro Signore la teneva sempre di fronte alla sua missione.
«Il giorno 11 giugno, mentre temevo al solito che qualcuno attorno a me potesse accorgersi di qualche cosa, apparve all'improvviso Nostro Signore al quale espressi i miei timori, ed Egli con indicibile tenerezza mi rispose:
«Ricordati le mie parole e credi. L'unico desiderio del mio Cuore è d'imprigionarti in esso, di possederti nel mio amore e di fare della tua piccolezza e fragilità un canale di misericordia per molte anime che si salveranno per mezzo tuo. Fra qualche tempo ti scoprirò gli ardenti segreti del mio Cuore che serviranno al bene di un gran numero di anime. Desidero che tu scriva e conservi tutto ciò che ti dirò. Tutto verrà letto quando tu sarai in cielo!
«Non è per i tuoi meriti che voglio servirmi di te, ma perché le anime vedano come la mia potenza si serve di strumenti deboli e miserabili».
«Gli domandai se dovevo dire anche tutto ciò riferisce ingenuamente e mi rispose: «Scrivilo, lo leggeranno dopo la tua morte».
Così, a poco a poco, le rivelava il grande disegno d'amore preparatosi nel silenzio e nel lavoro delle sue giornate. Le sofferenze non potevano mancare, e Josefa, che camminava coraggiosamente verso l'umiltà, incontrava assai spesso la tentazione. Il demonio cercava di trasformare in ostacoli degli atti che, altra volta, il suo amore le aveva fatto compiere con tanta semplicità. Ma, come sempre la Madonna era pronta per illuminarla, guidarla, difenderla.
«Le raccontavo tutto quello che mi accade - scrive il lunedì 13 giugno, - ma non l'aspettavo affatto, quando ad un tratto e venuta come una Madre, così buona!.
«Ascolta, figlia mia, non badare a ciò che senti. Credi: più forte è la tua ripugnanza, più acquisti meriti agli occhi di mio Figlio. Vigila su questi tre punti, che sono quelli per cui il nemico cerca di farti cadere: prima di tutto, non lasciarti trascinare dagli scrupoli ch'egli ti suggerisce allo scopo di farti abbandonare la Comunione.
«Poi, quando mio Figlio ti chiede qualche atto di umiltà, o altra cosa, devi compierlo con molto amore, ripetendogli di continuo: Signore, tu sai quanto ciò mi costi... ma Tu, prima di me! «In terzo luogo, non far caso della suggestione diabolica, la quale vorrebbe farti credere che la tua confidenza verso la Madre toglie qualche cosa alla tenerezza per Gesù. Se il demonio vince su questo punto, ha tutto guadagnato.
«Apri con fiducia l'anima tua e ama la Madre senza timore; manifestale con grande semplicità tutto ciò che pensi, ciò che ti agita, ciò che ti turba. Anche Gesù in terra ha voluto amare quelli che gli rappresentavano il Padre, e si compiace quando sei aperta e semplice. Soprattutto non dimenticare di non lasciare mai la Comunione».
Chi non ammirerà la prudenza e la delicatezza materna di tali consigli? Col seguirli esattamente Josefa diventerà nella mano del Maestro quello strumento malleabile e docile di cui Egli potrà servirsi in molte imprese redentrici.
«Il martedì, 14 giugno, durante l'adorazione, Gesù è venuto bellissimo - scrive - e aveva in mano la corona di spine. Con espressione di infinita bontà mi ha detto:
«- Vuoi consolarmi?».
«Naturalmente ho risposto: sì...»,
ed Egli ha ripreso: «Voglio il tuo aiuto per ravvicinare al mio Cuore un'anima carissima. Metti l'intenzione di offrire tutto per lei. Presenta spesso al Padre mio il sangue del mio Cuore. Bacia la terra per adorare quel sangue oltraggiato e calpestato da questo peccatore a me molto caro! Col permesso della Madre tua ti dirò ciò che potrai fare per lui. Rispetterò pienamente l'osservanza della regola».
Questa premura del Maestro per la fedele osservanza manterrà sempre Josefa sul retto cammino.
«- Hai il permesso della Madre?»
le ripeté il giorno dopo, nel ringraziamento della Comunione.
«Lo sai bene, Signore - rispose Josefa - che la Madre non desidera che di farti piacere!».
«- Lo so, ma tu devi sottometterti alla volontà della tua superiora, prima di fare ciò che ti chiedo».
Allora Egli le traccia il piano della sua giornata di offerta spirituale.
«- Al tuo svegliarti, entra subito nel mio Cuore e, penetratavi bene in fondo, offri al Padre celeste tutte le tue azioni unendole ai miei palpiti. Tutti i tuoi movimenti uniscili ai miei, affinché non sia più tu ma Io che agisco in te. Durante la santa Messa, presenta al Padre mio l'anima che voglio salvare, affinché faccia ricadere su lei il sangue della Vittima che si immola.
«Quando ti comunicherai, offrigli la ricchezza divina di cui disponi per pagare il debito di quell'anima.
«Durante la meditazione collocati vicino a me, al Getsemani. Partecipa alla mia angoscia, offriti al Padre come vittima pronta a soffrire tutto quello di cui è capace l'anima tua.
«Quando prendi il cibo, pensa che tu offri a me quel sollievo, e così pure quando troverai soddisfazione in qualsiasi cosa. Non separarti da me neppure per un istante!
«Bacia spesso la terra.
Non lasciare nemmeno un giorno la Via Crucis.
«Se avrò bisogno di te, te lo dirò.
«In quel che fai non mirare che alla mia volontà, e adempila con piena sottomissione. «Umiliati profondamente, unendo sempre all'umiltà la fiducia e l'amore.
«Fa' tutto per amore, avendo sempre di mira ciò che ho sofferto per le anime.
«Durante la notte riposerai nel mio Cuore, che accoglierà i palpiti del tuo come altrettanti atti di desiderio e di amore.
«In questo modo mi ricondurrai quell'anima che mi offende tanto».
«Gli ho detto di perdonarmi se qualcuna di queste cose non l'avessi fatta come Egli desidera, poiché ho buona intenzione ma sono tanto debole!
«Nel pomeriggio, durante l'adorazione, è venuto con le mani e con i piedi sanguinanti e, fissando il cielo, mi ha detto:
«- Offri al Padre per quest'anima la divina Vittima, offri il sangue del mio Cuore».
«Ha ripetuto tre volte queste parole e io gli ho rinnovato il desiderio di consolarlo e di fare tutto quello che mi ha indicato».
«- Non metterti in pena: per tutto questo hai il mio Cuore!».
Josefa imparerà quale prezzo occorre sborsare per il riscatto di un'anima! Per parecchie settimane verrà associata all'offerta e alle sofferenze redentrici di Gesù, e seguirà passo passo la via del ritorno di quest'anima smarrita. Dopo alcuni giorni, infatti, fu assalita da un acuto dolore al lato sinistro del petto, che veniva ad aggiungersi a quelli che abitualmente la tormentavano. Riusciva appena a respirare ad intervalli. Invano si cercò di sollevarla, quantunque il medico non trovasse nulla di anormale. Ma ella nascondeva in cuore il timore che quel male fosse un ostacolo alla sua vita religiosa. Anche questa volta ricorre alla Madonna per confidarle la sua preoccupazione più che la sua sofferenza.
Il lunedì, 20 giugno, ella prega nell'oratorio del noviziato.
«La SS.ma Vergine venne ad un tratto e con tenerezza mi disse:
«- Non preoccuparti, figlia mia, e di' alla Madre di non temere di niente. Questo tuo dolore è una scintilla del Cuore di mio Figlio! Quando si fa sentire più acuto, offrilo generosamente: vuol dire che in quel momento un'anima lo ferisce profondamente. Non temere di soffrire: è un tesoro per te e per le anime!
«Mi benedisse e sparì».
Quella stessa sera, al refettorio, Josefa fedele alla direzione del Maestro:
«Offrivo il cibo che prendevo a Nostro Signore, come mi ha insegnato - scrive - ed ecco che ad un tratto apparve e mi disse:
«- Sì, dammi da mangiare, perché ho fame... dammi da bere, perché ho sete!...
«- Tu lo sai, di che cosa ho fame e sete?... delle anime... di quelle anime che amo tanto... Tu dammi da bere!».
«Rimase lì tutto il tempo della cena - continua Josefa - poi disse:
«- Vieni con me... non lasciarmi solo!».
Il giorno dopo, 21 giugno, durante il ringraziamento della Comunione Egli le chiede di seguirlo in una via di crescenti dolori.
«- Offri tutto al Padre mio in unione con le mie sofferenze - le dice. Tutti i giorni ti farò passare tre ore nell'angoscia e nello spasimo della mia croce, e ciò sarà molto utile a quell'anima».
Josefa non esita a camminare nella via dolorosa. Mentre tanto paventa i favori, di cui conosce la responsabilità, è pronta invece a condividere la croce che deve salvare le anime. Nostro Signore lo sa, conta su di lei e moltiplica le richieste. Il giovedì 23 giugno, alla S. Messa, le appare di nuovo:
«- Voglio che oggi tu chieda il permesso di fare l'ora santa. Presenta questo peccatore al Padre mio, ricordandogli che per quell'anima ho sofferto l'agonia nell'orto. Tu gli offrirai il mio Cuore e le tue sofferenze unite alle mie... Dirai alla Madre che queste sofferenze sono un nulla paragonate alla gioia che quest'anima mi darà tornando a me».
«Stanotte - continua Josefa - mi sono svegliata sotto la stretta del dolore e poco dopo è venuto Gesù coronato di spine».
«- Vengo per soffrire insieme con te».
«Congiunse le mani e pregò a lungo.
«Se avesse visto, Madre mia, com'era bello! Teneva gli occhi volti in alto, e l'aspetto era improntato ad una tristezza piena d'incanto... Sul suo volto batteva una grande luce come un riflesso del cielo».
Parecchi giorni e parecchie notti trascorsero così. Josefa riferisce le visite del Maestro divino che le ripeteva senza posa la sua sete e la sua attesa. Ella assiste, per così dire, alla persecuzione dell'amore che insegue quell'anima in pericolo. Ma benché Gesù gliene lasci la responsabilità davanti a Dio, pure vuole nella sua collaborazione il più grande disinteresse. Quando Josefa domanda se il peccatore si lascia commuovere, Egli risponde, il martedì 28 giugno, apparendole mentre sta al lavoro.
«- Ascolta ciò che sto per dirti: vuoi piacermi davvero? Non occuparti che di soffrire e di darmi ciò che ti chiedo senza voler sapere il "come" ed il "quando". Nella notte del mercoledì 29 giugno, verso le due, ad un tratto è comparsa la Madonna:
«Io le ho parlato di quell'anima, - scrive Josefa supplicandola di voler chiedere a Gesù di allontanare da lei l'occasione del peccato e di infonderle la forza di rimettersi sul retto cammino. I Suoi occhi si sono riempiti di lacrime e ha detto:
«- E' caduto molto in basso! Si è lasciato ingannare come un agnello! Ma, coraggio! Fa' tutto quello che mio Figlio ti dice e chiedigli di far pesare su te ciò che merita quel peccatore. Così verrà risparmiato dalla giustizia divina. Non temere di soffrire, non ti mancherà la forza necessaria, e allorché non ne potrai più, Io ti darò coraggio e ti aiuterò. Sono il rifugio dei peccatori: quest'anima non andrà perduta!».
Il giorno seguente, giovedì 30 giugno, dopo la Comunione, Gesù, mostratosi a Josefa, le presenta le ferite delle mani e dei piedi, insegnandole a scoprirvi la ferita invisibile dell'amore:
«Guarda le mie piaghe, - dice - e adorale... baciale... Non sono state fatte dalle anime, ma dall'amore!».
E siccome Josefa non sa che cosa dire, Egli ripete:
«Sì, è l'amore mio per le anime... l'amore di compassione che nutro per i peccatori... Ah! se sapessero!».
Allora nel silenzio dell'anima, Josefa lascia che il Maestro imprima in lei quell'invisibile ferita
che ella deve condividere e sollevare.
« - La più grande ricompensa che possa dare ad un'anima - prosegue - è di farla vittima del mio amore e della mia misericordia rendendola somigliante a me, che sono la Vittima divina per i peccatori».
Il 1° luglio, festa del Preziosissimo Sangue e primo venerdì del mese, la Madre celeste viene ancora una volta a ricordare alla figlia sua la potenza redentrice di quel sangue che ella deve far valere per quel peccatore.
«- Adora il sangue divino di Gesù, figlia mia, e supplicalo che lo sparga su quell'anima per commuoverla, perdonarla, purificarla».
Così ogni giorno rimette Josefa di fronte alla sua missione.
«- Non cessare mai di unire i tuoi atti ai miei e di offrire al Padre mio il mio sangue prezioso».
«- Non dimenticare che sei vittima del mio Cuore...», le ripete Nostro Signore.
D'altra parte Egli non limita l'orizzonte di Josefa. Il venerdì, 8 luglio, le affida altre due anime di cui le dice:
«- Guarda come feriscono il mio Cuore e trafiggono le mie mani!...».
«Durante l'adorazione Gesù è tornato - ella scrive - dicendomi:
«- Guarda il mio Cuore! E tutto amore e tenerezza, ma ci sono anime che non lo conoscono!...»
Si può supporre l'energia e la generosità dello sforzo sostenuto da Josefa: da una parte nottate e giorni a contatto con l'Invisibile con tutte le esigenze di offerta che ciò comportava; dall'altra, la fedeltà al dovere che la teneva sempre assidua al lavoro e alla regola. Perciò, con incomparabile bontà, Gesù la conforta facendole condividere la sua gioia di Salvatore:
«Egli è venuto, bellissimo, durante l'adorazione - scrive sabato 9 luglio - e mi ha detto:
«- Vedi, Josefa, una di quelle due anime finalmente mi ha dato ciò che mi rifiutava, ma l'altra sta molto vicina a perdersi se non riconosce il suo niente...
«Sì, offriti per ottenerle il perdono. Se un anima si umilia, anche dopo aver commesso i più gravi peccati, acquista un gran merito. Ma l'orgoglio provoca lo sdegno del Padre mio che lo odia con odio infinito.
«Cerco anime che sappiano umiliarsi per riparare quest'orgoglio».
Il martedì 12 luglio scrive di nuovo:
«E' ritornato verso le quattro del pomeriggio con l'aspetto bellissimo e triste, col Cuore squarciato da una larga ferita».
«- Dammi il tuo cuore, Josefa, affinché lo ricolmi dell'amarezza del mio e offriti continuamente per riparare l'orgoglio di quest'anima. Non rifiutarmi niente, Io sono la tua
forza».
«Quindi ha detto fissando il cielo:
«- L'orgoglio l'accieca...! Essa dimentica che Io sono il suo Dio e che senza di me è nulla! Che vale elevarsi quaggiù?... Voglio che ti prostri continuamente davanti al Padre mio e che tu gli offra l'umiltà del mio Cuore. Non dimenticare che senza di me l'anima non è che un abisso di miseria... Innalzerò gli umili...: le loro debolezze, le loro stesse cadute, poco m'importano... ciò che voglio è l'umiltà e l'amore!».
Le settimane trascorrono così, senza che Josefa possa gustare un istante di riposo. Il dolore al fianco, quello della corona di spine, tutte le membra tormentate, l'anima affranta sotto il peso dello sdegno di Dio, tutto le ricorda l'incarico di cui l'amore le ha fatto dono. Ma la Madre celeste la conforta:
«Erano, credo, circa le tre del mattino, scrive il 22 luglio, venerdì - ed Ella è venuta improvvisamente, e mettendomi le mani sulle spalle mi ha detto:
«- Figlia del mio cuore! Vengo per sostenerti poiché sono la Madre tua. Nulla di ciò che soffri è inutile. Avrai ancora da subire una grande prova per salvare quell'anima orgogliosa. Appena sentirai l'avvicinarsi della tentazione, manifestala subito. Poi obbedisci, obbedisci, obbedisci!».
«Le ho detto che proprio quello che adesso mi costa tanto è parlare e obbedire». «Ascolta, Josefa: questo è il momento buono di sottomettere il tuo giudizio all'obbedienza e con questo atto di umiltà, compiuto nel forte della tentazione, tu espierai l'orgoglio di quell'anima. Mentre tu combatti, il potere diabolico su quell'anima è meno forte».
E insistendo maggiormente:
«- Tu devi soffrire per le anime, devi essere tentata, poiché, comprendilo bene, il demonio ha paura della tua fedeltà... Ma, coraggio!».
«Mi benedisse e mi lasciò».
All'alba di quella notte dolorosa Gesù venne per confermare le parole di sua Madre e si mostrò a Josefa, dopo la Comunione, meritata con lotte così aspre:
«Era bellissimo, ella scrive, - nonostante la corona di spine sul capo e le piaghe sanguinanti».
«Guarda le mie piaghe e baciale. Sai chi me le ha fatte? L'amore! Sai chi mi ha calcato questa corona?... L'amore! Sai chi ha aperto il mio Cuore?... L'amore! Se ti amo al punto di non avere nulla rifiutato per te, dimmi, Josefa, non potrai tu pure soffrire senza rifiutarmi nulla?... Abbandonati!».
Con queste parole Egli stringe a sé, con più forza che mai, la volontà di Josefa. Il frutto di tante sofferenze era andato maturandosi durante quelle lunghe settimane di offerta e di lotta. Josefa non tarda a saperlo. La sera del lunedì 25 luglio Gesù ricorda la scambievole promessa
del 5 agosto 1920.
«Se mi sarai fedele, ti farò conoscere la ricchezza del mio Cuore. Tu gusterai la mia croce, ma ti consolerò come sposa privilegiata».
Poi aggiunge: «Non manco mai alla parola data!».
Quella stessa sera, notizie piene di speranza relative al peccatore giunsero indirettamente
al convento dei Feuillants.
«Non sapevo come ringraziare - scriveva il giorno dopo, martedì 26 luglio - tanto più che mi trovavo sotto l'impressione di ciò che mi aveva detto: «Non manco mai alla parola data!».
«Egli mi apparve continua e mi disse:
«- L'opera non è del tutto compiuta. Manifesterò maggiormente la mia bontà per quell'anima. Ti chiedo una cosa sola: che tu mi sia fedele».
Il mercoledì 3 agosto, verso le sette e mezzo di sera, Gesù apparve raggiante e finalmente disse:
«Quel peccatore che mi ha fatto tanto soffrire, Josefa, ora sta nel mio Cuore!».
Il giorno dopo le ricorda l'anima il cui orgoglio continua a ferirlo profondamente:
«Voglio che quest'anima ritorni al più presto a me! Vuoi soffrire per lei? Offri oggi tutto quello che farai per questa intenzione. Ritornerò presto».
«Nel pomeriggio, verso le quattro, Gesù mi fece presentire una sua visita - scrive, - e andai al coretto nel noviziato, dove mi raggiunse subito. Nel suo Cuore non appariva più la ferita che lo straziava dacché mi aveva parlato di quell'anima orgogliosa».
«- Vieni! - mi disse, accostati e riposa! Quell'anima è nel mio Cuore...».
Il venerdì 14 agosto Nostro Signore confermerà definitivamente la salvezza di quelle anime che erano state acquistate a sì caro prezzo.
«La sera - scrive Josefa, - Gesù è venuto, bellissimo, e mi ha detto:
«Quell'anima che era rimasta in terra per purificarsi interamente, ora è in cielo! In quanto a quel peccatore, il mio Cuore ha riportato su di lui una vittoria definitiva. D'ora innanzi mi consolerà e corrisponderà al mio amore.
«E tu, - ha continuato il Maestro, - mi ami?...
«Ho su di te i miei disegni e sono disegni di amore!... Non rifiutarmi nulla!».

UNA COMUNITÀ RELIGIOSA Agosto 1921 pag.158

Voglio servirmi di te per un'opera grande (N. Signore a Josefa, 26 luglio 1921).

Quella stessa data, agosto 1921, segnava la conclusione di un'impresa di riparazione a cui Nostro Signore aveva invitato Josefa.
Bisogna, per seguirne lo svolgimento giorno per giorno, tornare indietro al martedì 26 luglio, in cui, dopo la Comunione, Gesù chiedeva nuovamente alla sua sposa:
«- Sei disposta ad essermi fedele?»
«Gli dissi tutto quello che temo della mia debolezza - scrive Josefa - ma Egli sa bene i miei desideri!»
«- Voglio adesso servirmi di te per un'opera grande. Tu devi ricondurre al mio Cuore una comunità che se n'è allontanata. Voglio che le mie spose ritornino qui».
«Ed accennava al Cuore. Gli domandai ciò che aspettava da me».
«- Continua a fare tutto ciò che ti ho insegnato per quel peccatore. Offri tutto il mio sangue divino, il cui prezzo è infinito».
«A mezzogiorno è tornato carico di una gran croce - ella prosegue:
«- Vengo a portarti la mia croce - ha detto - perché voglio che tu ne assuma il carico in vece mia».
«Allora è rimasto senza croce e mi sono sentita oppressa da tale sofferenza che, se Gesù non mi avesse dato una forza speciale, non avrei potuto sopportarla».
«- Per quest'impresa - Egli ha continuato - ho scelto nove anime. Ora sono con te, poi ti lascerò e andrò da un'altra. Così sarà sempre una delle mie spose che mi consolerà».
Dopo essere rimasto un istante in silenzio ha proseguito, come parlando a se stesso:
«- Sì, è vero, molte anime mi feriscono con le loro ingratitudini, ma quante di più sono quelle in cui mi riposo e che formano la mia delizia!»
Sotto il peso della croce Josefa si è rimessa al lavoro, in presenza del suo Signore che le dice:
«- Lavora in mia compagnia».
Trovandosi sola, ogni tanto s'inginocchia per adorarlo ed offrirsi a lui:
«- Voglio non soltanto che mi avviciniate quelle anime - le spiega Nostro Signore - ma che paghiate per loro affinché non abbiano più alcun debito verso il Padre mio».
«Alle quattro - ella prosegue - mi ha detto:
«- Ora me ne vado. Ritornerò quando sarà nuovamente il tuo turno».
«Prese la croce e disparve; e sono rimasta senza soffrire».
D'ora innanzi lunghe ore di espiazione ritorneranno esattamente al momento fissato da Nostro Signore che va dall'una all'altra anima da Lui prescelta per portare la sua croce.
Il mercoledì 27 luglio, dopo la Comunione, si manifesta a Josefa:
«- Vengo a riposarmi in te: - le dice - voglio che tu ti dimentichi, che mi consoli e che pensi talmente a me, che mi ami con tale ardore da non avere nei tuoi pensieri e nei tuoi desideri altro che me! Non temere di soffrire... Sono abbastanza potente per prendermi cura di te».
Ella gli parla subito dell'opera di amore intrapresa la vigilia.
«Come se gli avessi ricordato una cosa penosa - scrive - mi rispose:
«- Si tratta di una comunità tiepida e rilassata...».
«Restò in silenzio e, un momento dopo, aggiunse:
«- Ma diventeranno mie! Ritorneranno al mio Cuore! Per ricondurvele ho scelto nove vittime.
Niente ha più valore della sofferenza unita al mio Cuore. Questa notte ti porterò la mia croce; sarò da te a mezzanotte, poiché è questa la tua ora di turno».
Quella stessa sera apparve anche la Madonna per affidare Ella pure alla figlia sua un'anima in pericolo:
«- Fino a domani - le dice, - vorrei che tu mettessi tutto il tuo fervore a salvare una figliuola che amo!... Gesù la voleva per sé e le aveva dato il tesoro della vocazione, ma ella l'ha perduto con la sua infedeltà. Sta per morire domani, ma purtroppo (ecco quello che mi dispiace) ha respinto il mio scapolare. Quale consolazione sarebbe per il mio cuore di Madre se questa figlia si salvasse!»
« Mi benedisse e disparve.
«Non ho potuto dormire questa notte, angustiata com'ero per quell'anima così vicina alla morte, senza dire ch'ero sofferente per il dolore al fianco, la corona di spine e per tutti i miei abituali patimenti di ogni notte. Verso mezzanotte è venuto Gesù per darmi la sua croce, ed è rimasto accanto a me, senza la croce, che io sentivo gravare sul mio corpo come un peso che lo schiacciasse, mentre la mia anima era oppressa da un dolore inesprimibile».
Infatti il peso di quella croce invisibile che gravava sulla sua spalla destra la teneva piegata in due, come se la schiacciasse. Il respiro, già penoso per il dolore al fianco, diveniva ancora più difficile e nulla valeva a sollevarla.
«- Soffri con coraggio, - le dice Nostro Signore - affinché le mie spose si lascino penetrare dal dardo del mio amore».
E dal suo Cuore uscì un raggio infuocato.
«- Bacia le mie mani, bacia anche i miei piedi. Ripeti con me: Padre mio, il sangue del Figlio vostro non ha dunque abbastanza valore? Che desiderate di più? Il suo Cuore, le sue
piaghe, il suo sangue... Tutto vi offre per la salvezza di quelle anime!».
« Ripetevo queste parole con Lui - scrive Josefa il giorno dopo - Egli stava in silenzio, e credo che pregasse, poiché teneva le mani giunte e guardava il cielo... Alle quattro del mattino mi ha detto:
«- Ora ti lascio; un'altra delle mie spose mi aspetta. Come sai siete nove... le scelte del mio Cuore! Ritornerò domani all'una e ti lascerò nuovamente la croce, addio! Avevo sete e mi desti da bere. Sarò la tua ricompensa!»
Il venerdì 29 luglio, all'una del pomeriggio, come aveva detto, Gesù ritornò con la sua croce.
«- Eccomi, - disse - per farti partecipare alle sofferenze del mio Cuore oppresso e pieno di amarezze».
Le affidò la sua croce e la immerse subito in quella angoscia sperimentata nei due giorni antecedenti.
«Molto sangue sgorgava dalla ferita del Cuore», ella scrive.
«- Ripeti con me: - Egli dice: - Eterno Padre, guardate queste anime imporporate dal sangue del Figlio vostro Gesù Cristo, di quella Vittima che incessantemente si offre a Voi. Quel sangue che purifica, accende e consuma, non sarà abbastanza potente per commuovere queste anime?...»
«Rimase in silenzio qualche minuto. Ripetei parecchie volte le sue parole. Poi disse con forza:
«- Sì, voglio che ritornino a me! Voglio che s'infiammino di amore ardente mentre Io mi consumo per loro di amore doloroso».
«Quindi aggiunse con tristezza:
«Se le anime comprendessero fino a qual punto giunge il mio ardentissimo desiderio di comunicarmi ad esse!»
«Ma quanto sono poche quelle che capiscono, e come il mio Cuore ne rimane ferito!»
«L'ho consolato come ho potuto e gli ho detto di dimenticare un poco le ingrate e di pensare, piuttosto, alle anime che lo consolano e l'amano. Il suo Cuore parve dilatarsi a queste parole e disse:
«Sono l'unica felicità delle anime, perché si allontanano da me?»
«Signore, non tutte si allontanano, e, se cadiamo, spesso è per debolezza, lo sai bene!»
«- Poco m'importano le cadute... conosco la miseria delle anime. Quello che voglio è che non siano sorde al mio richiamo e che non rifiutino le mie braccia allorché le tendo per rialzarle...»
«Dall'una alle quattro del pomeriggio andai offrendo così al Padre il sangue di Gesù e tutti i suoi meriti, ripetendo le parole che mi aveva insegnato».
Nel silenzio che la circonda Josefa prosegue il suo lavoro, dopo che Gesù ha ripreso la sua croce, ma internamente non dimentica la dolorosa intenzione di cui porta il segreto.
La sera del sabato 30 luglio, ritorna la sua ora di turno.
«Salivo la scala dell'educandato - scrive - quando l'ho incontrato con la croce e mi ha detto:
« - Ti aspetto».
Dopo avergli chiesto il permesso di rimettere a posto il lavoro che teneva tra le mani.
«Andai - scrive - e lo trovai che mi aspettava».
Allora ella Gli parlò dell'anima infedele alla vocazione, che le era stata affidata dalla Madonna.
Già dal giorno precedente, in cui la rabbia diabolica si era duramente scatenata su di lei, ella sapeva dalla sua Madre celeste che quest'anima, così amata da Maria, era uscita trionfatrice degli assalti infernali. Ma la notte le era apparsa immersa nelle pene del purgatorio, supplicandola di intercedere affinché la sua sofferenza venisse abbreviata. Molto impressionata di questo primo incontro col purgatorio, Josefa confida al Maestro i suoi timori:
«Signore, se tale è il tormento di un'anima del mondo, che cosa sarà di un'anima religiosa che non corrisponde alle grazie di cui è ricolmata?»
«- È vero», risponde Gesù. Poi, consolandola con bontà:
«- Quando cade una delle mie anime care, sono sempre lì per rialzarla, se si umilia con amore. Poco m'importa la miseria di colei il cui unico desiderio è di glorificarmi e di consolarmi. Nella sua piccolezza ottiene grazie per molte altre...
«Amo l'umiltà... e quante si allontanano da me per orgoglio!...
«Voglio che i tuoi sacrifici e il tuo zelo attirino al mio Cuore le anime, e specialmente quelle a me consacrate; che questo desiderio di darmi anime e di vedermi amato ti consumi e che il tuo amore mi consoli».
«Quindi rimase a lungo in silenzio - ella prosegue, - e gli dissi tante cose per consolarlo... Gli parlai anche di un'anima che ha bisogno del suo aiuto».
«- Se essa non cerca la forza nel mio Cuore, rispose, dove mai la troverà?... L'amore dà la forza, ma bisogna dimenticare se stessi».
«Allora gli dissi: «Signore, perdonaci, siamo tanto deboli».
«Quando un'anima desidera con ardore di restarmi fedele, Josefa, Io sostengo la sua debolezza e le sue stesse cadute invocano con maggior forza la mia bontà e la mia misericordia. Altro non chiedo se non che, dimentica di sé, si umilii e si sforzi non per soddisfazione propria, ma per darmi gloria».
Si è giunti al mercoledì 3 agosto, in cui Gesù, terminata la conquista di quel peccatore, che era costato tanto a Josefa, si manifestò dicendole:
«- Quel peccatore!... Ora è qui, nel mio Cuore!»
La stessa sera, andando in dormitorio, trova il Maestro che sta ad aspettarla con la croce:
«- Prendi la mia croce - le dice - vengo a riposarmi in te. Se le anime religiose sapessero quanto le amo e come mi feriscono con la loro freddezza o tiepidezza!... Queste anime non comprendono il pericolo a cui si espongono facendo poco conto delle loro miserie. Cominciano con una piccola infedeltà e finiscono con la rilassatezza. Oggi si concedono un piccolo piacere, domani trascureranno un'ispirazione della grazia e, a poco a poco, senza accorgersene, si raffredderanno nell'amore».
E per farle comprendere dove si trova la salvaguardia della fedeltà, le impartisce questa importante lezione:
«- T'insegnerò, Josefa, come devi aprire l'anima alla Madre tua, con semplicità ed umiltà.
«Ti voglio santa, grande santa, e non lo sarai che percorrendo il cammino dell'umiltà e dell'obbedienza. Ti mostrerò ciò un po' alla volta».
Poi, prima di lasciarla, aggiunge:
«- Ti raccomando di avere sempre sotto gli occhi e radicate nel cuore queste due convinzioni:
«Primo: che se Dio ha fissato il suo sguardo su di te, è stato per manifestare maggiormente la sua potenza innalzando un grande edificio sopra un abisso di miseria;
«Secondo: se Egli vuole condurti a destra e tu volessi andare a sinistra, la tua rovina sarebbe sicura.
«Infine, Josefa, tutto questo ti serva per avere una conoscenza più vera della tua miseria e un più completo abbandono nella mani di Dio».
Questa lezione di fiducia e di umiltà è così cara al Cuore di Nostro Signore che insisterà di nuovo e assai spesso sul medesimo argomento. Tra le note di Josefa si sono anche trovati i consigli seguenti custoditi gelosamente:
«- Voglio farti conoscere le più delicate attrattive del mio Cuore. Ti ho già detto con quale semplicità devi confidarti alla Madre tua e aprirle l'anima, senza che la minima piega le rimanga nascosta. Oggi voglio raccomandarti di star attenta a non perdere una sola occasione di umiliarti. Allorché ti trovi libera di fare o no uno di quei piccoli atti costosi, va' e compilo!
«- Voglio che tu renda conto fedelmente alla Madre degli sforzi che hai fatto e delle occasioni che hai perduto o di cui hai profittato. Quanto più conoscerai ciò che sei tu, tanto più saprai ciò che sono Io.
«Non andare mai la sera al riposo con un'ombra sull'anima. Te lo raccomando caldamente: appena commetti una mancanza, riparala immediatamente. Desidero che l'anima tua sia pura come il cristallo.
«Non turbarti se cadrai ancora più di una volta. L'agitazione e l'inquietudine allontanano l'anima da Dio.
«Ti voglio piccola, piccola, molto umile e sempre sorridente. Sì, ti voglio sempre nella gioia, ma procura di farti sempre un po' carnefice di te stessa. Scegli spesso ciò che ti costa di più, restando allegra e contenta, poiché, servendomi con pace e letizia, glorificherai maggiormente il mio Cuore».
Questa direzione, così lineare, mantiene Josefa nella via retta, la sola via per la quale devono camminare gli operai della redenzione se vogliono seguire il Maestro.
Così prosegue la «grande impresa» come Nostro Signore l'aveva chiamata. Josefa continua a portare la croce che Gesù offre via via alle sue nove anime scelte, per quelle religiose che Egli vuole ricondurre al suo Cuore. Però quest'opera sta per finire.
«Durante la Messa - scrive il 5 agosto, primo venerdì del mese - è venuto splendente di bellezza.
«- Voglio - mi disse, che tu ti consumi nel mio amore. Te l'ho già fatto comprendere: tu non troverai felicità che nel mio Cuore. Voglio che tu mi ami, giacché ho fame di amore, ma che tu
bruci anche dal desiderio di vedermi amato e che il tuo cuore non abbia più altro alimento che
questo desiderio.
«Tutti i giorni dopo la Comunione, ripeti col massimo ardore possibile: "Cuore di Gesù, che il mondo intero si accenda del tuo amore!"»
In questo ardore di fuoco ella trascorse quel giorno «infiammata di desiderio», come scrive essa stessa. Verso le sette di sera sale in dormitorio. Gesù è là che l'aspetta.
«Prendi la mia croce - le dice - e andiamo a soffrire per le anime».
Dopo un istante di silenzio, prosegue:
«- Se le mie spose hanno ben meditato che io sono tutto amore e che il mio più gran desiderio è di essere amato, perché mi trattano così?»
E spiegandole il valore che l'amore dà ad ogni minimo sforzo di virtù:
«Quando un'anima compie un atto, sia pure costoso, ma per interesse o per piacere, e non per amore, ne ricava ben poco merito. Invece una minima azione offerta con grande amore consola il mio Cuore a tal punto che lo inclina verso quell'anima, dimenticando tutte le sue miserie.
«Sì! - ripete - l'ardente mio desiderio è d'essere amato. Se le anime sapessero l'eccesso del mio
amore, potrebbero non corrispondervi? Perciò corro a cercarle e nulla risparmio per ricondurle a me!»
«Diceva queste parole in modo commovente, era un grido d'amore! Quindi rimase per un lungo tempo in silenzio, quasi assorto in preghiera. Verso le undici di notte scomparve dopo aver detto:
«- Soffri con grande amore... Offri continuamente il mio sangue per le anime... E ora rendimi la mia croce».
Trascorsero tre giorni ancora, in cui ai dolori misteriosi che l'associavano alla croce del Maestro venne ad aggiungersi il sacrificio imposto a tutta la casa dei Feuillants. I cambiamenti abituali alle famiglie religiose, chiedevano allora a quella del Sacro Cuore il cambiamento della superiora. Josefa, con le sue Madri e Sorelle, partecipa a questa offerta meritoria di cui Nostro Signore si servirà per compiere l'opera sua.
Il lunedì 8 agosto sarà ai Feuillants una di quelle giornate preziose per il Cuore di Gesù, in cui la Madre e le figlie, unite nello slancio di un solo e profondo sacrificio, offrono insieme la loro separazione.
Dopo la Comunione, Gesù si manifesta a Josefa:
«- Voglio che quelle anime ritornino a me al più presto. Prega continuamente affinché si lascino penetrare dalla grazia. Anche se tu non potrai fare altro che desiderare di vedermi amato, sarà già molto. Il mio Cuore sarà consolato poiché questo desiderio è amore!
«Presto - continuò - quelle anime religiose entreranno in ritiro. Offriti affinché si lascino trafiggere dall'amore».
La sera verso le sette, Gesù tornò nello splendore radioso del suo Cuore e delle sue piaghe. Tornò, ma, questa volta, senza croce! Josefa non osa credere alla felicità che presagisce dall'aspetto luminoso del Maestro. Gli chiede la croce.
«- No! - risponde - quelle anime non feriscono più il mio Cuore. E poi - aggiunse - oggi ho accettato per esse il sacrificio di questa casa ove ho trovato molto amore.
«Domani quella comunità religiosa comincerà il ritiro e presto diverrà per il mio Cuore un rifugio di grande consolazione».
Così terminò quest'episodio della misericordia divina. Intanto Josefa stava per entrare in una nuova tappa del suo cammino.

SOMMARIO

CAPITOLO 05 • LA GRANDE PROVA

I PRIMI ASSALTI 26 AGOSTO - OTTOBRE 1921 ♦ pag.171

Non temere di soffrire! Se tu vedessi quante anime si sono avvicinate al Cuore di Gesù nel tempo della tentazione!
(La Madonna a Josefa - 24 ottobre 1921).

L'ammirabile disegno di Dio sulla vita di Josefa entra in quest'epoca in una nuova fase.
Dalla fine del mese di agosto 1921 le fu imposta una dipendenza più stretta. Ella non doveva più, all'infuori del tempo della preghiera comune, rispondere alla chiamata del Maestro, senza previo permesso. Questo comando indicava forse il dubbio intorno a lei?... La nuova superiora dei Feuillants, informata di tutto fin dal suo arrivo e per indicazione espressa di N. Signore, doveva con prudenza usare la cautela di una savia lentezza e di una grande circospezione prima di prestar fede a quella misteriosa condotta di Dio.
Josefa con tutta l'anima si sottomise alle prescrizioni dell'obbedienza. Troppo da vicino aveva conosciuto il Cuore di Gesù perché un'ombra potesse sfiorare la sua fiducia, e sapeva inoltre quali esigenze di fedeltà la tenessero legata ai disegni del Maestro. Nessuna esitazione alterò la facilità, la semplicità, la franchezza soprannaturale con cui abbracciava ogni decisione delle sue superiore. Ma quanto costava alla sua indole così riservata in questo genere di cose dover parlare, spiegare, rispondere alle domande che le si facevano, esporre tutto al doppio controllo delle sue due Madri e sentirsi oggetto di una sorveglianza sempre più stretta!
Ma tutto si concatena divinamente in questa vita. L'ora e giunta in cui l'azione divina deve apparire così evidente nell'umile figliuola da non ammettere alcun dubbio intorno a lei. Gesù ne dà il più autentico segno concedendole la fedeltà di un'obbedienza e di un disinteresse inalterabile. E’ giunta l'ora in cui il nemico sta per ricevere il formidabile potere di vagliare il grano prezioso delle divine predilezioni e Gesù vuol circondare l'opera sua con un baluardo di protezione tale da far fronte ad ogni assalto di Satana.
In tal modo si apre per Josefa questa nuova e impreveduta fase che dovrà condurla ai voti religiosi.
Nella gran casa dei Feuillants, dove abbondano le alunne, in mezzo alla numerosa comunità, la decana del piccolo noviziato che aumenta a poco a poco, resta nell'ombra, attiva, tutta data al dovere. Soltanto la sua Superiora e la Madre Assistente custodiscono in segreto l'opera che va compiendosi sotto i loro occhi. L'appoggio sicuro e vigile del R.P. Boyer, priore dei Domenicani, che viene designato in quest'epoca da Nostro Signore stesso come cooperatore dei disegni divini, farà svanire ogni ansia e sventerà i tranelli diabolici.
Così, mentre tutte le garanzie di sicurezza circonderanno Josefa, il Signore la sospingerà nelle tenebre della grande prova che non cesserà se non il giorno della sua consacrazione religiosa (luglio 1922). Sarà il battesimo del dolore che la consacrerà all'opera di redenzione, di cui deve essere testimone e collaboratrice prima di divenirne la messaggera.

L'ora del principe delle tenebre è dunque giunta e Josefa sta per misurarsi con lui. Ormai ella lo incontrerà ad ogni passo del suo cammino, ma Gesù, che combatte in lei, prepara al nemico la più umiliante sconfitta. Gli fa sentire i limiti dei suoi sforzi, l'inutilità dei suoi mezzi e l'impotenza delle sue astuzie. Se lascia al demonio l'apparenza di facili trionfi, se abbandona Josefa ad un avversario che sembra superarla, se permette che venga trascinata negli abissi ove è spento l'amore, Egli abita nelle profondità dell'anima che ha scelto per vittima e la sostiene con la fedeltà del suo amore. Non sarà mai tanto presente come in quelle ore di vero martirio in cui solo l'azione divina può controbilanciare prove ed umiliazioni superiori all'umana esperienza. Attraverso la fragilità del suo strumento avviene la vera lotta tra Dio e Satana, tra l'amore e l'odio, tra la misericordiosa bontà, che vuol rivelarsi ancora una volta al mondo, e il nemico delle anime che presagisce il disegno divino e dirige contro di esso la sua satanica rabbia.
Ogni sforzo diabolico, in questo lungo periodo di nove mesi, si concentra infatti contro la vocazione di Josefa, ora che c'è ancora tempo di rovinarla. Nulla è risparmiato per stroncare la volontà della novizia: tentazioni violente, timori di una responsabilità che il demonio ingigantisce rendendola schiacciante, insinuazioni bugiarde che allarmano la sua coscienza, apparizioni minacciose o ingannatrici, colpi, rapimenti e bruciature... tutto tormenta la fragile creatura come un turbine in cui pare debba rimanere sommersa.
Tuttavia resiste con energia incredibile, frutto dell'abituale sua semplicità nell'adempimento del proprio dovere e, ancor più, della sua fedeltà a lasciarsi guidare; specialmente frutto della forza divina che la sostiene, sempre presente, benché celata in certe ore; della forza dell'Eucaristia da cui Josefa mai si separerà.
Negli ultimi giorni di agosto alcune visite celesti fortificano ancora l'anima sua in vista delle prossime lotte.
Il venerdì 26 agosto, alle nove del mattino Josefa, fedele alla consegna ricevuta, va dalla sua superiora. E tutta immersa in un raccoglimento che fa sentire la presenza divina. Con poche parole chiede il permesso di seguire per un momento N. Signore, poiché, ella dice:
«Gesù sta qui».
I suoi occhi bassi, la sua fisionomia, il suo atteggiamento di preghiera, lo sforzo stesso che fa per parlare, lo dicono più che le parole.
«Quando l'ho lasciata, Madre mia - scrive - ho detto a N. Signore: ho il permesso. Egli camminava al mio fianco e mi ha condotta al coretto. Ho cominciato col dirgli ciò che lei mi ha raccomandato: se tu sei veramente colui che credo, Signore, non offenderti se mi si obbliga ogni volta a chiedere il permesso di ascoltarti e di seguirti. Egli mi ha risposto:
«- Non ne sono offeso, anzi! Voglio che tu obbedisca sempre, e Io pure obbedirò».
«Mentre diceva così pareva un povero. Quindi ha aggiunto:
«- Le tue Madri mi consolano volendo accertarsi con tanta premura che sono Io. Oggi rimani unita al mio Cuore e ripara per molte anime».
Con delicatezza incomparabile N. Signore permette che le sue visite siano d'ora innanzi circondate da precauzioni continue. Questa fedeltà del suo Cuore, che sostiene quella dell'umile figliola, sarà il divino sigillo testimone della Sua presenza. D'altra parte in questi mesi di agosto e settembre 1921, pur assoggettandosi al controllo impostogli, non cambia niente dei suoi rapporti con Josefa e continua a chiederle come prima le sue oblazioni a vantaggio delle anime.
«Il giovedì 1° settembre dopo la Comunione, è venuto bellissimo - ella scrive - e quando ha cominciato a parlare la sua voce era triste».
«- Desidero che tu mi consoli, ha detto. La freddezza delle anime è grande... e quante precipitano ciecamente nella perdizione! Se potessi come prima lasciarti la mia croce!»
«Poi, dopo che ebbi chiesto il permesso, mi ha condotto nell'oratorietto di S. Stanislao e là mi ha detto:
«- Se non trovassi anime per consolarmi e attirare la mia misericordia, la giustizia divina non sarebbe più contenuta».
Quindi ha soggiunto:
«L'amore mio per le anime è così grande che mi consumo dal desiderio della loro salvezza. Ma quante si perdono! Quante altre aspettano, per uscire dallo stato in cui si trovano, che sacrifici e sofferenze ottengano loro questa grazia! Tuttavia, ho molte anime che mi appartengono e mi amano. Una sola di esse ottiene il perdono per molte altre fredde e ingrate.
«Voglio che ti accenda del desiderio di salvarmi delle anime, che ti getti nel mio Cuore e che non ti occupi più di altro che della mia gloria.
«Ritornerò questa sera perché tu estingua la mia sete divorante e mi riposerò in te».
«Infatti al principio dell'ora santa Egli ritornò e disse:
«- Offriamoci come vittime all'Eterno Padre. Prostriamoci con profondo rispetto alla sua presenza... adoriamolo... presentiamogli la nostra sete della sua gloria... Offri e ripara unita alla divina Vittima».
«Ha detto queste parole lentamente, quindi è sparito un po' prima della fine dell'ora santa».
Dopo qualche giorno la Madonna è apparsa a Josefa per sostenerla, poiché le intime lotte non mancavano alla figlia sua.
«- Se sapessi quanto desidero, Io che ti sono Madre, che tu sia fedele - le ha detto. - Ma non rattristarti: la sola cosa che Gesù ti chiede è che ti abbandoni alla sua volontà. Il resto lo farà Lui».
«Le risposi quanto mi costasse di dover dire tutte queste cose, non soltanto alla Madre assistente, ma ora anche alla mia Superiora».
«- Più Gesù ti chiede, più devi essere contenta, figlia mia, rispose la Madre celeste e, quindi, come per radicarla nell'umile diffidenza di sé:
«Davanti ad un capolavoro - continuò - non è il pennello, ma la mano dell'artista che si ammira. Così, Josefa, se accadesse che grandi cose si compissero per mezzo tuo, non attribuirti nulla, poiché è Gesù che agisce, Lui che vive in te e di te si serve. Ringrazialo per tanta bontà... Sii molto fedele nelle piccole cose e nelle grandi, senza badare se esse ti costano. Obbedisci a Gesù, obbedisci alle Madri e conservati molto umile e abbandonata. Gesù fa sua la tua piccolezza ed io ti sono Madre!»
Il giovedì 8 settembre N. Signore calma i suoi timori dandole il segreto per avere coraggio:
«- Non occuparti d'altro che di amarmi: l'amore ti darà forza».
E l'amore dovrà mantenerla sempre occupata delle anime.
«- Ho un 'anima che molto mi offende - le dice Gesù apparendole il martedì 13 settembre - e vengo da te per consolarmi. Va' a chiedere il permesso di rimanere un momento con me. Non ti tratterrò a lungo. Non temere se ti sentirai smarrita, poiché ti farò condividere l'angoscia del mio Cuore. Povera anima, come si precipita verso l'abisso!...»
«Durante tre ore, nella notte dal 14 al 15 settembre, mi ha lasciato la sua croce e la corona», aggiunge Josefa.
Così pure durante le notti seguenti e in tal modo ella coopera per parecchi giorni al ritorno della pecorella smarrita. Al termine della notte, dal 24 al 25 settembre, notte terribile di angoscia e di sofferenza...
«Ad un tratto - scrive ancora Josefa - ogni pena è scomparsa. Una pace immensa subentrò nell'anima mia. Gesù era lì, risplendente di luce, bellissimo, con la tunica che sembrava d'oro e il Cuore come un incendio!»
«- Quell'anima, Egli mi ha detto, l'abbiamo conquistata!»
«Lo ringraziai e adorai con rispetto profondo, poiché in Lui traspariva la maestà di Dio. Gli chiesi perdono dei miei peccati e lo supplicai di mantenermi sempre fedele, poiché mi vedo così debole!... Tuttavia sa bene che non desidero altro che amarlo e consolarlo!»
«- Non ti affliggere per la tua miseria. Il mio Cuore è il trono della misericordia in cui i più miserabili sono i meglio accolti, purché vengano a sprofondarsi in questo abisso di amore.
«Ho fissato su te il mio sguardo perché sei piccola e misera. Io sono la tua forza! E adesso andiamo a conquistare altre anime!... Ma prima riposa un poco sul mio Cuore!»
Questo riposo doveva essere di corta durata e per «guadagnare altre anime» Josefa doveva dare più di quello che non aveva mai dato fino allora. Quello stesso giorno, domenica 25 settembre, si aprì il periodo delle grandi tentazioni, che resteranno dapprima nel dominio silenzioso dell'anima, ma presto prenderanno un potere e una forza straordinaria.
E infatti giunta l'ora degli assalti accaniti. Alle prese con la violenza di Satana, Josefa non cessa di ripetere nella sua volontà: «Essere fedele, o morire».
Ma tuttavia presto si crede abbandonata e respinta da Dio. Due o tre volte la pace ritorna improvvisa al ricordo di qualche parola del Maestro. In quei rari minuti l'anima sua rientra in pieno possesso di sé con amore così ardente che non trova espressioni sufficienti. Allora si può constatare fino a qual punto questa figliuola è sincera e qual martirio sostiene... quanto è attaccata a una vocazione che le costa tanto cara, e che ama al di sopra di tutto. Altre volte è una desolazione tale che non lascia alcun mezzo umano per aiutarla. Ella è come inabissata nel dolore. Le sue Comunioni sono frutto di uno sforzo di fede e di coraggio, talvolta non ottiene vittoria che all'ultimo minuto poiché il nemico, pur senza riuscirvi, si accanisce per privarla di quella Eucaristia il cui desiderio la consuma! Trascorre così un mese, senza che nulla esteriormente tradisca la violenza della lotta. Malgrado la continuità di una tale sofferenza Josefa attende invariabilmente al suo lavoro e ai doveri della vita religiosa e la si trova sempre silenziosa e coraggiosa al suo posto. Ma intanto il demonio raddoppia i suoi attacchi.
«Ero come disperata, scrive il lunedì 17 ottobre, festa di S. Margherita Maria. Dopo la Comunione supplicai la Santa di ottenermi dal Cuore di Gesù la grazia di essere fedele o di morire senza mai separarmi da Lui. Tutto il giorno trascorse in questa terribile tentazione».
L'indomani sotto la forza di questa tentazione si alza decisa di tutto lasciare e partire.
«All'ora della Messa - scrive - stavo andando a spazzare il corridoio delle celle, quando ad un tratto fui pervasa di pace, mentre questo pensiero s'imprimeva nel mio cuore: potrei fare a meno di Lui?
«In quell'istante tutto disparve come se non avessi mai sofferto... come se non avessi mai avuto quelle tentazioni... Corsi in cappella e potei ancora fare la Comunione!»
Quante volte in mezzo agli assalti infernali Josefa conoscerà questa liberazione improvvisa e piena, che non può provenire che da Dio!
Solo per poco tempo, tuttavia, il demonio allenta la stretta. Egli si aggira intorno a lei cercando di sfruttare le circostanze propizie per farne vacillare la volontà. Da parte sua, Gesù chiede una fiducia semplice ed assoluta che raddoppierà le forze, mantenendola nell'umiltà. Ma al tempo stesso non le nasconde le imminenti tribolazioni.
Il giovedì 20 ottobre, N. Signore le appare col Cuore infiammato. Le mostra una coppa che tiene in mano, e le dice:
« Non ne hai bevuto che una parte, Josefa. Ma sono pronto a difenderti».
Sconvolta davanti alla prospettiva di tante prove, Josefa non sa come decidersi a consentire e, per un istante, il suo coraggio sembra soccombere. Non è che una debolezza momentanea, ma quanto dolorosa al suo amore!
Trascorrono quattro giorni in tale angoscia, poi la Madonna viene a ricondurre la pace con la sua presenza. Le appare «piena di tenerezza» - scrive Josefa - la sera del lunedì 24 ottobre.
«- Non temere di soffrire, dice. Se vedessi quante anime si sono ravvicinate al suo Cuore nel tempo della tentazione!»
E il Maestro, pieno di bontà e sempre vicino a coloro che soffrono, risponde al richiamo il giorno dopo, 25 ottobre:
«- Vengo perché mi hai chiamato!»
Nello sbigottimento a cui il demonio la spinge con le sue insidie, Josefa, che teme sempre di aver ceduto alla tentazione, chiede a Gesù ciò che può fare per riparare.
«- Quello che devi fare, lo sai: amare, amare, amare!»
L'amore rimarrà dunque la prima e l'ultima parola della grande battaglia che sta per cominciare.

LA PERSECUZIONE APERTA NOVEMBRE 1921 - 14 FEBBRAIO 1922 ♦ pag.178

Ti darò il coraggio per tutto quello che ti chiederò di soffrire. (N. Signore a Josefa - 29 novembre 1921).

Per qualche settimana ancora Josefa continua fedelmente a scrivere i suoi appunti. Questo sforzo di obbedienza è tanto più meritorio quanto più è sincero.
«Dal venerdì 11 novembre, scrive, non ho più avuto un istante di pace e ho trascorso i giorni e le notti soffrendo intensamente».
«Ho trovato sollievo, aggiunge il lunedì 21 novembre, nel patto che mi hanno fatto fare con N. Signore, chiedendoGli che tutti i miei respiri e i palpiti del mio cuore siano altrettanti atti di fede e di amore che Gli dicano il mio desiderio d'esserGli fedele fino alla morte. Ciò mi ha dato una gran pace».
Un raggio di cielo attraversa la notte. Il martedì 22 novembre, nella mattinata Josefa al solito spazza la stanza di cui è incaricata.
«Improvvisamente ella scrive due mani si posarono dolcemente sulle mie spalle. Mi volsi e vidi la Madonna, così bella e così materna. Mi disse teneramente:
«Figlia mia! Povera piccola!»
«Le chiesi perdono e la supplicai di intercedere per me presso Gesù».
Questo è sempre il primo moto dell'anima sua delicata, che teme, al di sopra di ogni pena, di ferire il Cuore del Maestro, anche inconsapevolmente.
«- Non temere di nulla, Josefa, rispose la Madre celeste, Gesù ha fatto con te un patto di amore e di misericordia. Tu sei interamente perdonata ed io ti sono Madre».
«Mi sono sentita così traboccante di gioia che non so ciò che le ho risposto. È sempre più Madre! L'ho ringraziata e le ho chiesto di ottenere da Gesù che mi restituisca la sua corona».
«- Sì, figlia mia, te la renderà, e se non te la porterà Lui stesso, verrò a portartela io».
«La sera durante l'adorazione, Gesù è venuto, bellissimo - scrive - e teneva in mano la corona di spine. Appena lo vidi Gli chiesi perdono e supplicai che avesse compassione di me.
«Si avvicinò con bontà e posandomi sul capo la corona, disse: «- Voglio che tu penetri profondamente le parole della Madre mia: ho fatto con te un'alleanza d'amore e di misericordia.
L'amore non si stanca, la misericordia non si esaurisce mai».
Tre giorni dopo Gesù le appare «con la maestà di un Dio» nel ringraziamento della Comunione - scrive Josefa il venerdì 25 novembre:
«Mi mostrò il Cuore tutto infiammato; la ferita si aprì e mi disse:
«- Vedi come il mio Cuore si consuma di amore per le anime, tu pure devi infiammarti dal desiderio della loro salvezza. Voglio che oggi tu entri ben a fondo in questo Cuore e che ripari in unione con Lui. Si, dobbiamo riparare - ripeté. Io sono la grande Vittima e tu una piccolissima vittima; ma, unita a me, tu puoi essere ascoltata dal Padre mio».
«Rimase ancora un istante e poi scomparve».
Il sabato 26 novembre, verso le tre del pomeriggio, Josefa cuciva col solito ardore le uniformi per le educande nel laboratorio del noviziato. Gesù improvvisamente la raggiunse:
«- Voglio - disse - che tu chieda alla Madre il permesso ch'io resti un momento con te (3) ».
Se resta con ragione un po’ sorpresi di questa frase che si ripete in due o tre occasioni. Nostro Signore è il padrone assoluto : non ha bisogno di chiedere alcun permesso per parlare a chi vuole. Ma se ha voluto dimostrare questa deferenza verso quella a cui aveva dato autorità sopra Josefa, non sarà stato forse per inculcare l'umile sottomissione che ella dovrà sempre avere verso le superiore? Del resto Egli confermava ciò che aveva detto: «io pure obbedirò» (p. 173). La lezione doveva penetrare profondamente e portare i suoi frutti; Josefa la riceve per trasmetterla alle anime.
«Sono andata subito a chiedere il permesso, quindi alla cappella delle Opere, dove Egli mi ha raggiunta con la sua croce».
«- Ti ho lasciata riposare un poco, Josefa. Ora lascia ch'Io riposi in te. Desidero darti per qualche istante la mia croce: la vuoi?
«Ho tante anime che mi abbandonano, e tante che si perdono. Ma ciò che mi addolora di più è che sono proprio le mie anime, quelle sulle quali ho fissato i miei sguardi e che ho ricolmato dei
miei doni. In ricambio esse non hanno per me che freddezze e ingratitudine. Ah! Quanto poche ne trovo che corrispondano al mio amore...»
Le consegnò la croce e sparì senza aggiungere parola.
Il lunedì 28 novembre riferisce laconicamene la prova che d'ora in poi non la lascerà più in riposo. Al demonio è stato dato un nuovo potere. Per la prima volta ascolta la voce diabolica che ormai la perseguiterà giorno e notte nei corridoi, al noviziato, al laboratorio, al dormitorio: «Tu sarai nostra... sì, tu sarai nostra!... ti stancheremo... ti vinceremo... ecc.». Questa voce la terrorizza, ma non le toglie il coraggio. Scrive la sera di quel giorno:
«Durante l'adorazione Gesù è venuto con la Croce. Gliel'ho chiesta e mi ha risposto:
«- Sì, vengo per dartela. Voglio che tu mi riposi e che ripari ciò che le mie anime rifiutano al mio Cuore. Quante di esse non sono quelle che dovrebbero essere!»
«Mi lasciò per un'ora la croce, e quando tornò per riprendersela mi disse soltanto:
«- Ritornerò presto».
«La notte, credo verso mezzanotte, mi sono svegliata di colpo. Egli era lì:
«- Ti porto la croce e ripareremo insieme».
Josefa confessa umilmente di essersi sentita mancare sotto il gran peso che l'opprimeva.
«L'ho supplicato di aiutarmi - scrive - poiché sa bene quanto sia piccola!»
«- Josefa, non considerare la tua piccolezza. Considera la forza del mio Cuore che ti sostiene. Io sono la tua forza e il riparatore della tua miseria. Ti darò coraggio per tutto quello che ti chiederò di soffrire».
«Allora mi ha lasciata sola ed è ricomparso verso le tre».
«Rendimi la croce, te la riporterò presto».
Già all'alba del martedì 29 novembre, alla meditazione, Egli gliela riporta. Pesa molto sulla spalla di Josefa mentre Gesù la segue al lavoro e l'accompagna alla Messa. Dopo la Comunione le ricorda il segreto della generosità:
«Ora hai la vita in me: Io sono la tua forza. Coraggio, porta la mia croce!»
«Da quel giorno prosegue il demonio mi ha tormentata assai».
Nella notte della domenica 4 dicembre le sopravvenne una nuova prova. Strappata violentemente dal letto, venne gettata a terra, sotto i colpi del nemico invisibile che la ricopriva d'ingiurie. Trascorsero così lunghe ore e il martirio si rinnovò, anche più accentuato, nelle due notti seguenti.
«Al termine di una notte terribile - scrive nella mattinata del martedì 6 dicembre - non sapendo più che fare, sono rimasta in ginocchio ai piedi del letto. Improvvisamente, ho udito uno stridore di denti e un grido di rabbia. Poi tutto è finito, ed ho visto, bellissima, davanti a me la Madonna».
«Non temere di nulla, figlia mia, sono qui Io».
«Le ho detto quanta paura avevo del demonio che mi tormenta tanto».
«Può martoriarti, ma non ha il potere di nuocerti. È furibondo per le anime che gli sfuggono... valgono tanto le anime... Se tu sapessi il prezzo di un'anima!...»
«Quindi mi ha benedetta aggiungendo:
«Non temere di nulla».
«Le ho baciato la mano e se ne è andata».
Dopo questa apparizione materna, la Madre e il Figlio si eclissano per un certo tempo dal cammino doloroso di Josefa.
Josefa non scriverà più nulla delle lotte quotidiane attraverso le quali, di sofferenza in sofferenza, andrà maturandosi e fortificandosi la generosità del suo amore. Tuttavia la relazione di questo periodo fu fatta giorno per giorno, via via che i fatti si svolgevano, e ci permette di gettarvi uno sguardo per misurarne, in parte, la straziante realtà.
Il martedì 6 dicembre, uscendo dalla cappella ove si è confessata, Josefa si trova improvvisamente, per la prima volta, in faccia all'infernale visione: un enorme cane nero, con gli occhi e le fauci aperte che lanciano fiamme, le sbarra il cammino facendo sforzi per avventarsi su di lei. Josefa non indietreggia, ma dominando la paura che le stringe il cuore, afferra la corona protendendola davanti a sé e prosegue per la sua via.
Da allora in poi il demonio le appare visibilmente. Dopo il cane minaccioso che la insegue per i corridoi, ecco un serpente che si erge sul suo cammino. Ben presto prende forma umana, la più spaventosa di tutte.
Ormai questi incontri diabolici si moltiplicheranno nelle giornate di Josefa, la cui fedeltà e la dedizione al dovere non si smentiranno mai, ma a costo di quale coraggio!
Tuttavia sta per suonare l'ora in cui una più dura prova esigerà un abbandono ancora maggiore.
Il mercoledì 28 dicembre, verso le sette di sera, ritornando dal lavoro con le consorelle si trova ad un tratto di fronte al nemico. Con la rapidità del lampo la prende e la trasporta come una festuca di paglia, gettandola a terra in una soffitta di accesso difficile all'altra estremità della casa. Da quel giorno Josefa non avrà più un istante di pace. Il demonio si impadronirà di lei sventando ogni custodia, eccetto quella di Dio. Questi ratti diabolici si moltiplicano; anche sotto gli occhi delle Madri che cercano di non perderla di vista ella sparisce improvvisamente, senza che si possa dire come, perché sempre avviene con la velocità di un lampo. Dopo lunghe ricerche la si trova in qualche parte remota della casa dove il demonio l'ha trasportata, perseguitandola. Ma Gesù, che l'ama più di ogni altro, veglia. Vuol provare che è padrone e che riserva a sé la custodia divina. Interviene nell'ora voluta da Lui per affermare i suoi diritti. Il demonio con una bestemmia s'inabissa sotto i colpi della sua potenza. Allora Josefa liberata si rialza; sfinita, ma pienamente cosciente, riprende coraggio, prega, ritorna di nuovo al lavoro.
Il nemico non riuscirà, infatti, a dominare l'invitta energia di quella piccola creatura che Gesù riveste della sua forza e ricopre del suo sangue.
La rabbia del demonio sembra centuplicarsi di fronte a così imprevista resistenza. Egli tenta di svelare a tutti gli sguardi il segreto di cui viene circondata la sua vittima, ma i malvagi sforzi vanno a vuoto, poiché nessuno si accorge della scomparsa di Josefa.
Però di tanto in tanto qualche schiarita proietta la sua luce sul sentiero tenebroso. Allora Josefa per obbedienza ricomincia a scrivere:
«Il 1° gennaio 1922 - narra - durante la Messa delle nove, poco dopo l'Elevazione, udii una voce infantile che mi fece sobbalzare di gioia:
«-Josefa!... mi riconosci?».
«Subito vidi davanti a me Gesù come un bambino di circa un anno, con una tunica bianca, ma più corta del solito. Aveva i piedini nudi e i capelli d'un biondo acceso... Era incantevole. Lo riconobbi subito e gli dissi: Certo che ti riconosco: sei il mio Gesù; ma come sei piccolo, Signore mio! Sorrise e rispose:
«- Sì, sono piccolino, ma il mio Cuore è grande!»
«Dicendo queste parole mise la sua manina sul petto e vidi il suo Cuore. Non posso dire ciò che il mio provò a quella vista... Oh, Signore! Se tu non avessi il Cuore che hai, non potrei amarti come ti amo, ma il tuo Cuore mi rapisce! Con una tenerezza indicibile Egli mi disse:
«- Perciò ho voluto fartelo conoscere, Josefa, e per questo ti ho collocata nel più profondo di questo Cuore».
«Gli ho chiesto se ormai tutte quelle sofferenze erano finite».
«- No, occorre che tu soffra ancora». Ed ha aggiunto:
«Ho bisogno di cuori che amino, di anime che riparino, di vittime che s'immolino... ma soprattutto di anime che si abbandonino!»
Poi, alludendo alla parola che più d'una volta nei giorni scorsi l'ha fortificata:
«- Le tue Madri hanno trovato le parole dell'abbandono, disse. Il demonio non ha altro potere che quello che gli vien concesso dall'alto. Di' loro che Io sono al di sopra di tutto».
Un'ultima raccomandazione d'umiltà, completa l'insegnamento di Gesù Bambino.
«Vedi come mi sono fatto piccolo, Josefa! L'ho fatto per aiutarti a divenire piccola piccola anche tu.
«Mi sono umiliato fino a questo punto per insegnarti ad umiliarti a tua volta».
«Con la Sua manina mi ha benedetta ed è scomparso».
Qui gli appunti di Josefa s'interrompono un'altra volta. La sera stessa ricomincia la prova, più violenta che mai.
Il mercoledì 11 gennaio, il suo Padre direttore per confortarla le propose di anticipare il giorno dei voti religiosi pronunciando quello di castità.
In ginocchio, in una gioia celeste, Josefa rinnova questa donazione già fatta la vigilia della prima Comunione e promette a Gesù fedeltà fino alla morte.
L'indomani, 12 gennaio, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù stesso le si mostra e, alludendo al voto pronunciato la vigilia:
«Josefa, sposa mia - dice - sai ciò che i tuoi superiori hanno ottenuto con questo voto?... Hanno obbligato il mio Cuore a prendere cura di te in modo speciale. Di' loro che questo atto mi ha dato molta gloria».
«Gli ho chiesto se la prova era passata».
«Voglio che ti abbandoni e che tu sia sempre pronta tanto a subire i tormenti del demonio come a ricevere le mie consolazioni».
Nostro Signore la vuole dunque tener sempre ed attraverso qualunque cosa nella stessa via di abbandono. Ella deve procedere ad occhi chiusi, sicura di Lui, senz'altra garanzia. Il R.P. Boyer che la segue da vicino la mantiene su questa via di fede e di umiltà.
«Mi ha raccomandato - scrive - di farmi piccola piccola e di mettermi al di sotto di tutti, considerandomi come la più indegna delle creature».
Gesù insiste di nuovo su questa raccomandazione che corrisponde al desiderio del suo Cuore:
«Josefa, hai ben compreso i consigli che il Padre ti ha dati? Si, desidero che tu sia piccola piccola».
«Voglio - ha continuato con forza - che tu sia umiliata e stritolata. Lasciati fare e disfare secondo i piani del mio Cuore».
Quella stessa sera per la prima volta la Madonna le fa intravedere che il suo passaggio qui in terra sarà presto compiuto. Josefa Le esprime il suo desiderio di non voler mai ritirare il sacrificio della patria.
« Sì, le risponde la Madre immacolata, morirai qui in Francia, in questa casa di Poitiers: non passeranno dieci anni che sarai già in cielo4 ».
4 Il 21 luglio di quell’anno 1922, animando Josefa di fronte alla missione di cui le fa prevedere le ore difficili:
« Non passeranno tre anni, le ripete, e tu sarai già in cielo. Te lo dico per darti coraggio.
Il 13 o 14 gennaio il demonio ricomincia i suoi assalti:
«Egli cerca con un furore sempre crescente di farmi abbandonare la vocazione. Ha perfino provato d'ingannarmi prendendo l'aspetto di Nostro Signore».
Qui nuovamente gli appunti di Josefa restano interrotti.
Dal venerdì 13 gennaio il demonio riprende i suoi assalti senza però giungere a smuoverla e la sentono rispondere alle minacce del nemico con queste energiche parole: «Ebbene uccidimi!».
Allora, come narra ella stessa, il demonio si trasforma in angelo di luce e per meglio sedurla le si presenta sotto l'aspetto di Nostro Signore. Dapprima sbigottita, comprende tosto l'impostura. Le parole che ascolta non hanno l'impronta umile e grande, forte e soave di quelle del Maestro. L'anima sua indietreggia invincibilmente davanti a quella visione che non le infonde né pace, né sicurezza.
Più volte, in seguito, la prova si ripeterà. L'umile diffidenza di Josefa, la sua fiducia in chi la guida, l'obbedienza alla direzione che le vien data, la salveranno dal nuovo pericolo. Per ordine del Padre spirituale d'ora innanzi in ogni apparizione qualunque essa sia, dovrà rinnovare il voto di verginità, in attesa dei voti religiosi. L'astuzia del demonio non potrà sopportare questo atto di fede e di amore pronunziato alla sua presenza. Muterà di aspetto e di atteggiamento, si agiterà, si tradirà da se stesso e scomparirà d'improvviso bestemmiando, come un impostore sorpreso in flagrante delitto di menzogna.
Alla rinnovazione dei voti più tardi Josefa aggiungerà per obbedienza alcune lodi a Dio e chiederà ai suoi visitatori di recitarle con lei. Gesù stesso, la sua santissima Madre, la santa Fondatrice parafraseranno queste invocazioni con un ardore incomparabile, mentre il principe delle tenebre non potrà mai pronunziare queste parole di lode e di benedizione, lui che non può più amare! Allora, scoperto, raddoppia di furore e di violenza.
Tuttavia - ed è ben questo che rivela quale spirito la conduce e quale amore la sostiene - in mezzo a questa vita di sofferenze, umiliazioni e prove, Josefa rimane fedele alla regola, alla vita comune ed al suo lavoro quotidiano. Dopo la meditazione e la Messa è intenta a spazzare le stanze assegnatele; è fedele in tutto al suo ufficio: la si vede stirare, curare la cappella delle Opere; se le resta tempo, cuce e rammenda. I piccoli servizi straordinari, che non mancano mai in casa, sembra le spettino di diritto. Essa è preziosa, poiché la si trova sempre attiva, intelligente nel suo lavoro e, quel che conta, interamente data e dimentica di sé.
Durante i due mesi di dicembre 1921 e gennaio 1922, come pure in tutti i seguenti, niente cambia nella sua vita. Benché sfinita, riprende il lavoro appena il demonio scompare, con un coraggio spesso eroico, come se niente fosse accaduto.
Vedendola sempre uguale a se stessa, chi mai potrebbe sospettare le prove da lei subite e quelle che da un momento all'altro stanno per assalirla?... Un gran mistero l'avvolge e, malgrado gli sforzi diabolici nulla appare al di fuori della via dolorosa per cui Nostro Signore vuol farla passare. Questo è uno dei segni che attestano la presenza e l'azione di Dio.
Come sempre la Madonna farà brillare in quella notte qualche raggio di pace. Il 3 febbraio, primo venerdì del mese, il R.P. Boyer accondiscende ad un desiderio di Josefa, permettendole, per fortificarla nella sua vocazione, di aggiungere al voto di verginità quello di rimanere sempre nella Società del Sacro Cuore, fin tanto che le superiore vorranno tenerla. Questo secondo voto le infonde una intrepidità senza pari e la dispone a tutto soffrire e a lottare senza tregua finché piacerà a Dio.
La domenica 12 febbraio dopo una mattinata in cui il demonio ha messo tutto in opera per vincerla, verso sera si trova con le consorelle nella cappella delle Opere, ove viene impartita la benedizione col Santissimo. Improvvisamente, dopo la Benedizione, avvolta nella luce e molto vicina a lei compare la Madonna. Josefa trasalisce di gioia. Da tanto tempo non vedeva la sua Madre celeste. Esita, teme... Ma una gran pace che non inganna accompagna la nota voce materna:
«- Non temere, figlia mia, sono la Vergine immacolata, la Madre di Gesù Cristo, del tuo Redentore, del tuo Dio!»
L'anima di Josefa vorrebbe slanciarsi verso di lei: ma, fedele all'obbedienza e per sventare i tranelli sempre possibili del diavolo:
«Se tu sei la Madre di Gesù, dice - permettimi di rinnovare davanti a te il voto di verginità che ho fatto fino al giorno in cui avrò la felicità di pronunziare i voti di religione nella Società del Sacro Cuore, e rinnovare anche tra le tue mani il voto di restare in questa carissima Società fino alla morte e di morire piuttosto che essere infedele alla mia vocazione».
Mentre parla non stacca gli occhi dalla dolce visione che la fissa con tenerezza. La Vergine, stendendo la mano destra sul capo della figlia sua prosegue:
«- Non temere di niente, Gesù è qui per difenderti e così pure la tua Madre».
Poi traccia sulla sua fronte il segno della croce, le dà la mano da baciare e scompare.
Quell'istante di paradiso, inonda, Josefa di gioia e di pace; quantunque affranta, rimane piena di fiducia nel ricordo del luminoso sguardo e del sorriso incomparabile della celeste Madre.
Durante qualche giorno la prova sembra cessata. La mattina di lunedì 13 febbraio 1922, ode la chiamata del suo Signore:
«- Vieni, non temere, sono Io!»
«Non ero certa che fosse Lui - riprendono gli appunti. - Andai ad avvertire le Madri e quindi mi recai al coretto ed Egli già vi si trovava:
«- Sì, sono Io, Gesù, il Figlio della Vergine Immacolata!»
Mai il demonio, malgrado la sua audacia infernale, riuscirà a pronunciare simili parole.
«Signore, unico amore mio, - risponde - se sei tu, degnati di permettere ch'io rinnovi alla tua presenza i voti fatti per te». Mi ha ascoltata con compiacenza e appena ebbi finito, rispose:
«- Di' alle tue Superiore che, siccome sei stata fedele a fare la mia volontà, Io pure vi sarò fedele. Di' loro che questa prova è passata, e quanta gloria ne ha ricevuto il mio Cuore. Tu, Josefa, riposa in me, nella mia pace, come Io mi sono riposato nelle tue sofferenze!»


UN PÒ DI SERENO - LE QUARANTORE 14 FEBBRAIO - 3 MARZO 1922 pag.188

Non credere che Io abbia più amore per te ora che ti consolo che quando ti chiedo di soffrire
(N. Signore a Josefa - 14 febbraio 1922).

Un'oasi di pace sta aprendosi per Josefa, un lembo di serenità in un cielo tempestoso, qualche giorno di calma tra due tempeste. Così possono chiamarsi le tre settimane che vanno dal 12 febbraio al 3 marzo 1922.
Nostro Signore riprende con lei le divine condiscendenze. Ma Josefa, così coraggiosa nella lotta e così abbandonata nella sofferenza, lo è ora altrettanto di fronte agli inviti del Maestro? Gesù spesso l'interrompe nelle sue occupazioni e l'attrattiva della vita comune sembra crescere in lei ogni volta che la deve sacrificare. Questa ripugnanza alla singolarità è sempre per lei la porta aperta alle tentazioni abituali, ma è altresì la sorgente dell'umile contrizione e delle generose riprese, attraverso le quali il Cuore sacratissimo ha voluto insegnare alle anime l'incomparabile ricchezza dei suoi perdoni.
Occorre ora riprendere in mano i quaderni che narrano giorno per giorno le visite celesti.
« Il martedì 14 febbraio 1922, durante la Messa - scrive - mi preparavo alla santa Comunione con una vera fame di Lui! Poco dopo l'elevazione Egli mi apparve e mi disse:
« Se hai fame di ricevermi, Io pure ho fame di essere ricevuto dalle mie anime. Provo tanta gioia nel discendere in esse!»
« Dopo la Comunione venne:
«- Non credere che Io abbia per te più amore adesso che ti consolo che quando ti chiedo di soffrire.
« D'altra parte, non posso lasciarti senza soffrire. Ma l'anima tua deve restare in pace, anche in mezzo alla sofferenza».
« Quella sera stessa narra umilmente - entrai in una forte tentazione».
Il demonio, vinto per un certo tempo, la circuisce, infatti, cercando di divorare la sua preda. Josefa rimane vulnerabile: risorgono vive le sue ripugnanze di fronte a quella via straordinaria: se ne accusa e narra tutti i particolari delle sue debolezze. Scorrono così quattro giorni di lotta finché Gesù, pieno di compassione, le rende la luce e la perdona.
«Povera Josefa! - le dice la sera del venerdì 17 febbraio, apparendole mentre ella si umilia delle proprie debolezze davanti al tabernacolo. - Che faresti se non avessi il mio Cuore? Ma più trovo miseria in te e più ti amo con tenerezza...»
«L'ho supplicato di darmi un vero amore - scrive il giorno dopo, sabato 18 febbraio - perché mi pare che se sapessi amarlo saprei meglio vincermi. Stavo facendo la meditazione e Gesù è venuto ad un tratto e mi ha detto:
«Sì, Josefa, il tuo cibo sia l'amore e l'umiltà. Ma non dimenticare che ti voglio anche abbandonata e sempre felice perché il mio Cuore ha di te una cura tenerissima».
«Allora gli manifestai la mia pena di non sapermi vincere, né corrispondere a tanta sua bontà».
«Non temere, gettati nel mio Cuore!... Lasciati ben guidare... questo basta».
L'indomani, domenica 19, dopo l'elevazione, Gesù le mostra le sue piaghe risplendenti di luce:
«Qui attiro le mie anime per purificarle e infiammarle nel vortice dell'amore! Qui trovano la vera pace e da loro Io aspetto la vera consolazione».
«Gli ho chiesto come si fa per consolarlo allorché siamo piene di miserie e di debolezze. Rispose mostrandomi il suo Cuore:
«Poco importa, purché le anime vengano qui con amore e fiducia: supplisco Io alla loro fragilità».
Si avvicinava il carnevale e quei giorni in cui nel mondo si accumulano tanti piaceri peccaminosi, tante offese a Dio, non dovevano trascorrere senza che le anime ritornassero in primo piano nei richiami giornalieri del Salvatore.
Il giovedì 23 febbraio Josefa sta nella stireria con le consorelle quando Gesù improvvisamente le appare e le dice:
«Vorrei che tu venissi con me».
Sempre fedele, avverte il Maestro che deve chiedere il permesso, ed Egli la segue fino alla cella della superiora.
«Bussai due volte - scrive - ma nessuno rispose. Stavo per andarmene, ma Egli insistette: Picchia un'altra volta».
«Ottenuto il permesso mi recai al coretto mentre Gesù mi camminava al fianco. Strada facendo, Gli chiesi perdono di lasciar passare tanti piccoli atti di virtù che Egli desiderava e promisi d'essere fedele nelle piccole cose che gli piacciono: Se Tu, o Signore, vuoi di più, dimmelo che lo farò».
«Ama, Josefa: l'amore consola, l'amore s'umilia, l'amore è tutto!...
«Durante questi giorni in cui ricevo tante offese voglio averti per cireneo. Sì, tu mi aiuterai a portare la croce. E la croce dell'amore... La croce del mio amore per le anime! Tu mi consolerai e tutt'e due soffriremo per esse».
Il giorno dopo la Madonna conferma l'invito del Figlio.
«Sì, figlia mia, se sei docile e generosa consolerai il suo Cuore ed il mio, e Gesù si glorificherà nella tua miseria».
«Poi posandomi la mano sul capo ha continuato:
«Guarda come il suo Cuore viene oltraggiato nel mondo! Non perdere la minima occasione di riparare in questi giorni. Offri tutto per le anime e soffri con grande amore».
Non passa giorno senza che le offese del mondo si ripresentino al pensiero di Josefa attraverso i dolori del Maestro divino.
Il sabato 25 febbraio, verso le otto della mattina, mentre va a chiudere le finestre del chiostro delle celle, scorge nell'oratorio di S. Stanislao Gesù carico della croce.
«Sono entrata - scrive - e mi ha detto:
«Josefa, consolami perché le anime mi crocifiggono un'altra volta. Il mio Cuore è un abisso di dolore. I peccatori mi disprezzano, mi calpestano... Niente per essi è meno degno di amore di Colui che li ha creati».
«Mi ha lasciato la croce ed è scomparso.
«Questa notte - continua - è tornato con una pesante croce sulle spalle, la corona di spine sul capo e il volto rigato di molto sangue».
«- Guarda, in che stato mi trovo (5).
Nostro Signore si mostrava a Josefa come rivestito attualmente dei dolore dei peccatori del presente. Sappiamo che la sua santa e gloriosa Umanità non può più soffrire, ma Egli rendeva come presenti davanti a lei, come fece per S. Margherita Maria e molte altre anime privilegiate, le sofferenze che gli causarono nella sua passione i peccati e le colpe degli uomini di oggi. Josefa non si ingannava e nella vitalità della sua fede comprendeva anche le consolazioni che la sua partecipazione alle sofferenze del Maestro potevano recare al Cuore di Lui, a cui tutto era presente nell'ora della passione.
«- Quanti peccati si commettono, quante anime si perdono! Questo è il motivo per cui vengo a cercare sollievo presso le anime che vivono unicamente per consolarmi».
«Rimase un momento in silenzio con le mani giunte; i Suoi occhi parlavano più che le labbra. Poi disse:
«- Le anime corrono verso la rovina ed il mio sangue è perduto per esse!
«Ma le anime che mi amano, si immolano e si consumano come vittime di riparazione attirando la misericordia divina e questo salva il mondo».
«Ciò detto è sparito e credo fosse l'una di notte: ho avuto la croce fino a poco dopo le quattro».
Intanto la domenica 26 febbraio giungono i giorni delle Quarantore, come un invito più insistente alla riparazione. Gesù, esposto sull'altare, vede tutte le persone della casa succedersi ai suoi piedi, guardie di amore ininterrotto che vorrebbero risarcirlo e consolarlo degli oltraggi del mondo. Josefa, inavvertita tra le consorelle, partecipa ai loro desideri e accoglie in nome di tutte le confidenze del Maestro.
«Durante la Messa delle nove - scrive in quella domenica - Gesù è venuto con il Cuore risplendente di luce. Lo si sarebbe detto un sole».
«Ecco quel Cuore che dà la vita alle anime ha detto. Il fuoco di quest'amore è più forte dell'indifferenza e dell'ingratitudine umana.
«Ecco quel Cuore che dà alle sue anime scelte l'ardore per consumarsi e per morire, se occorre, per provarmi il loro amore».
«Queste parole avevano una tal forza che penetravano nell'intimo dell'anima. Poi mi ha guardato ed ha proseguito:
«I peccatori mi straziano e mi ricolmano di amarezza... Non vorrai tu, piccola vittima che ho scelta, riparare tanta ingratitudine?»
«Gli ho chiesto ciò che voleva da me, poiché ben conosce la mia piccolezza».
«Voglio che oggi tu entri nel profondo del mio Cuore. Là troverai la forza per soffrire. Non pensare alla tua piccolezza: il mio Cuore è abbastanza potente per sostenerti. E a tua disposizione: prendi in lui tutto ciò che ti occorre. Consumati in lui. Offri al Padre celeste quel Cuore e quel sangue. Non vivere più che di questa vita di amore, di sofferenza, di riparazione».
«Nel pomeriggio verso le tre è tornato e mi ha detto: «Vengo a rifugiarmi qui poiché le anime fedeli sono per il mio Cuore come i baluardi per una città: mi difendono e mi consolano.
«Il mondo corre alla rovina. Cerco anime che riparino tante offese fatte alla Maestà di Dio e il mio Cuore si consuma dal desiderio di perdonare... Sì, perdonare a questi figli carissimi per i quali ho versato tutto il mio sangue. Povere anime, quante se ne perdono, quante precipitano
all'inferno...»
Di fronte a così infiammato dolore, Josefa non sa come esprimere il suo desiderio di soffrire e di riparare.
«Non preoccuparti. Se non ti separerai da me sarai forte della mia stessa forza, e la mia potenza sarà tua!».
«Allora è scomparso e mi ha lasciato la croce».
Il lunedì delle Quarantore e la notte seguente vedono accumularsi in lei le sofferenze del corpo e le angosce dell'anima che accompagnano la croce di Gesù.
Nella mattinata di martedì 28 febbraio si trova alla lavanderia come al solito, ma dopo qualche ora:
«Il dolore al fianco è divenuto così forte che non riuscivo più a respirare», scrive.
Si ritira nella mansarda dove ha il proprio letto, già consacrato da tante sofferenze e da tante visite divine.
«Gesù è venuto subito - prosegue - sempre così bello e col Cuore tutto fiammante».
«- Quanto mi offendono le anime!... Ma ciò che mi strazia di più il Cuore è di vederle da se stesse precipitare ciecamente nella perdizione... Comprendi, Josefa, ciò che soffro per la perdita di tante anime che mi sono costate la vita? Ecco il mio dolore: il mio sangue è inutile per esse! Mettiamoci tutt'e due a riparare e a risarcire il Padre celeste di tanti oltraggi che riceve».
«Allora mi sono unita al suo Cuore offrendogli le mie sofferenze».
Josefa nota l'atteggiamento supplichevole del Maestro: le mani giunte, gli occhi volti al cielo, il silenzio, tutto in Lui esprime la divina e continua offerta al Padre.
«- Dirai alle tue Madri - Egli prosegue con bontà - che questa casa è il mio giardino di delizia. Vengo qui per consolarmi quando i peccatori mi fanno soffrire.. Di' loro che in questa casa sono veramente il padrone e che in questo rifugio il mio Cuore si riposa!...
«Non cerco e non chiedo cose grandi. Ciò che desidero, ciò che mi consola, è l'amore che spinge ad agire, si, l'amore solo e questo le mie anime me lo danno».
Nel pomeriggio, durante la benedizione del Santissimo, Gesù le appare di nuovo circonfuso della luce che irraggia dal Cuore.
«- Un piccolo gruppo di anime fedeli ottiene misericordia per un gran numero di peccatori - ha detto. - Il mio Cuore non può rimanere insensibile alle loro suppliche... Ho cercato chi mi consolasse e l'ho trovato».
I primi giorni di Quaresima sospingono ancor più Josefa in questa via di riparazione. Il 1° marzo, mercoledì delle Ceneri, durante l'adorazione del pomeriggio, Gesù le appare col volto sanguinante e le dice:
«- Non c'è al mondo creatura così oltraggiata e disprezzata quanto Io lo sono dai peccatori.
«Povere anime: Io ho dato loro la vita ed esse cercano di darmi la morte! Queste anime che mi sono costate così care non solo mi dimenticano, ma giungono fino al punto di farmi oggetto dei loro scherni e del loro disprezzo!
«Tu, Josefa, accostati a me, riposati nel mio Cuore, partecipa alla sua amarezza, consolalo col tuo amore. Sono tante le anime che lo ricolmano di dolore...
«Ripara per quelle che dovrebbero farlo e non lo fanno».
«A questo punto - scrive - la campana ha segnato il termine dell'adorazione e sono uscita dalla cappella. Gesù camminava al mio fianco».
«- Va, Josefa, va a chiedere il permesso ch'io resti con te mentre lavori».
Quando lo ebbi ottenuto andai un momento al coretto e poi ripresi il mio lavoro in guardaroba, perché credo che sia ciò che Gli piace di più. Gesù era là e mi diceva:
«- Chiedi perdono per i peccati del mondo... Quanti peccati... quante anime si perdono... anime che mi conoscono e che nel passato mi hanno amato... E ora preferiscono al mio Cuore i godimenti e i piaceri...
«Perché mi trattano così? Non ho forse dato loro più volte prova del mio amore? Ed esse mi hanno anche corrisposto! Oggi invece mi calpestano, mi fanno oggetto di derisione e rendono vani i miei disegni su loro... Dove troverò consolazione?...»
«Gli ho detto: - Signore, in questa casa, nelle nostre anime. Ci sono ancora, dappertutto, molte anime che ti amano».
«- Sì, lo so, ma Io desidero quelle anime. Le amo infinitamente!»
«Mi offersi di nuovo a soffrire per esse. Gesù rimaneva lì e di tanto in tanto ripeteva:
«- Raccogli il sangue che ho sparso nella mia passione. Chiedi perdono per tutto il mondo... per quelle anime che, pur conoscendomi, mi offendono, e offriti in riparazione di tanti oltraggi».
«E rimasto fin verso le undici di notte, poi se n'è andato lasciandomi la croce, il dolore al fianco e l'angoscia nell'anima. Poco prima delle tre tutto è cessato e mi sono addormentata perché ero sfinita».
Si avvicina nuovamente l'ora della tentazione.
Parrebbe che Josefa non dovesse mai più vacillare dopo aver conosciuto così da vicino il Cuore trafitto del Maestro. Gesù preferisce lasciarla in preda alla sua debolezza. Questo disegno particolare del suo amore per lei, scelto dalla sua sapienza per custodirla sicura in mezzo a tante grazie da una parte, a tanti pericoli dall'altra, nella continua esperienza della propria debolezza.
Già attorno a lei si può presagire una ripresa dell'offensiva diabolica.
Il 2 marzo, primo giovedì di Quaresima, essa umilmente confessa che verso sera alla richiesta del Maestro: «- Vorrei che tu mi consolassi» ha resistito nell'anima sua.
«Poiché - scrive - non avevo ancora terminato il mio lavoro in guardaroba avendo dovuto spazzare la cappellina».
«- Va' subito a chiedere il permesso - insiste il Signore. - Ho bisogno di vittime che mi consolino e riparino, e se non le trovo qui, dove andrò?»
«Sono andata a chiedere il permesso, ma Gesù non è tornato. Anche la croce e la corona erano sparite... e non so dire tutta la mia angoscia, poiché desidero vivere solo per consolarlo; ma sono tanto debole!»
Il giorno seguente, primo venerdì del mese, 3 marzo, lo trascorre addoloratissima. Durante l'intera giornata Josefa supplica Nostro Signore e soprattutto la Madonna di perdonarle,
«perché - ella scrive - sanno bene che è colpa della mia debolezza più che della volontà».
Maria non resiste all'ansia della sua figliuola e viene a rassicurarla mentre essa sta terminando la Via Crucis:
«- Rimani in pace, figlia mia. Se lo vuoi, Gesù continuerà a consolarsi in te: lo desidera tanto! Ma non dimenticare che il tuo amore è libero».
Allora essa prosegue la confessione di quella colpa che chiamerà sempre la più grande della sua vita.
Quella sera stessa, al principio della notte, Gesù comparve. Era bellissimo come sempre, ma con una certa espressione di tristezza negli occhi.
«- Ti riporto la mia croce e la mia corona, Josefa. Riposami: tante anime mi offendono... tante si perdono... queste anime che amo tanto!».
E siccome essa implora perdono e si offre ad assecondare i suoi desideri:
«- Sì! - le dice - non rifiutarmi mai la consolazione che aspetto da te. Ho molte anime che mi amano e mi consolano, è vero: ma nessuna può occupare il posto che ti ho riservato, poiché su di te ho fissato in maniera speciale il mio sguardo».
A queste parole Josefa, che conserva in fondo all'anima il timore invincibile di tale straordinaria predilezione, sente insorgere in lei, come una forte ondata, l'opposizione che riesce a dominare con tanta difficoltà. Quest'istante in cui indietreggia, lo chiamerà poi «la sua ingratitudine». Gesù, che vede il fondo delle anime, scorge in quella di Josefa questo timore che ella non riuscirà mai a vincere interamente.
«- Se tu misurassi le offese che ricevo, non rifiuteresti la mia croce - le dice. - Sai quale è questa croce?... E la libertà che devi darmi di prenderti quando ho bisogno di te, senza riguardo all'occupazione, al luogo, all'ora: bastandoti sapere che ti chiedo di consolarmi. Se sono con te, che importa che tutti ti vadano contro?»
«A questo punto - scrive lealmente Josefa - dirò per mia maggior confusione che l'ho supplicato di lasciarmi fuori da questa via straordinaria; Mi ha guardato tristemente e mi ha detto:
«- Non posso abbandonarti, perché il mio Amore per te è senza misura. Ma poiché tu vuoi così, sia fatto come desideri. La ferita del mio Cuore nessuno, invece di te, la potrà chiudere...»
Ha preso la croce e la corona ed è scomparso.
Dopo qualche giorno Josefa aggiunge :
«Non so dire ciò che soffro da quel momento. Nessuna altra cosa della terra potrebbe cagionarmi un tormento simile! Anzitutto so che l'ho ferito e poi, se, non ritorna, la mia vita sarà un continuo martirio perché sono stata io a cambiare i disegni del suo amore...»
Essa non aveva ancora scandagliato la profondità della misericordia del Cuore di Gesù... Malgrado la sua debolezza, niente era cambiato nei disegni di questo amore. Essi si svolgeranno su di un altro piano, che la Sapienza Divina ha previsto e che avrà inizio il 3 marzo di quell'anno.


L'ENTRATA NELLE TENEBRE DELL'ALDILÀ • 4 MARZO - 15 APRILE 1922 pag.198

Non dimenticare, figlia mia, che tutto quello che accade rientra sempre nei disegni di Dio
(S. Maddalena Sofia a Josefa - 14 marzo 1922).

Ed eccoci ora ad un periodo che è forse il più misterioso di tutta la vita di Josefa. Sembra a prima vista che la sua resistenza alla chiamata di Nostro Signore le abbia attirato un castigo. Ma su questa oscura trama si delinea ben presto un disegno ben diverso, che manifesta la predilezione divina intenta a profittare di un istante di debolezza per far progredire rapidamente l'opera sua in lei e per mezzo di lei. Mentre viene concesso al demonio un più ampio potere e gli stessi abissi infernali sembrano aprirsi davanti a Josefa, immersa in una sofferenza mai provata finora, Gesù la stritola nel dolore e, nello stesso tempo, scava nell'anima sua profondità di fede, di abbandono, di umiltà, che nessuno sforzo personale avrebbe mai realizzato. Il Maestro divino si è riservato questo compito nell'ora da Lui voluta e con mezzi che oltrepassano ogni umana previsione.

Santa Teresa, in una pagina mirabile, ha descritto la sua discesa nell'inferno che le lasciò nell'anima tracce incancellabili6. Josefa ha più volte steso per obbedienza la relazione delle sue lunghe discese nell'abisso del dolore e della disperazione. Questa documentazione, altrettanto impressionante che semplice, si ricollega, dopo quattro secoli, alla descrizione classica della grande contemplativa di Avila. Ha la medesima risonanza di sofferenza e di contrizione, di amore riparatore e di zelo ardente. Il dogma dell'inferno, così spesso combattuto o semplicemente taciuto da una spiritualità incompleta, con danno reale delle anime e perfino con pericolo della loro salvezza, viene così rimesso in luce. Chi potrà dubitare dell'esistenza di una potenza infernale accanita contro Cristo e il suo Regno leggendo in queste pagine ciò che Josefa ha visto, inteso e sofferto? Chi potrà inoltre, misurare il merito riparatore di quelle lunghe ore trascorse in quella prigione di fuoco?... Josefa, che vi si crede imprigionata per sempre, testimone degli sforzi accaniti del demonio per rapire eternamente le anime a Gesù Cristo, sperimenta il dolore dei dolori, quello di non poter più amare. Qualche estratto dei suoi scritti potrà giovare a molte anime, che debbono risalire un pendio e, soprattutto, sarà un richiamo dell'amore per quelle che decideranno di non risparmiare nulla per strappare le anime alla perdizione... Fu nella notte dal mercoledì al giovedì 16 marzo che Josefa conobbe, per la prima volta, questa misteriosa discesa nell'inferno. Già fin dal primo lunedì di Quaresima, 6 marzo, poco dopo la scomparsa di Nostro Signore, voci infernali l'hanno a più riprese dolorosamente impressionata. Anime cadute nell'abisso vengono, senza che ella le veda, a rimproverarle la sua mancanza di generosità. Ne rimane sconvolta... Ode grida di disperazione come queste:
6 Cfr. Vita di S. Teresa di Gesù, scritta da lei stessa, cap. XXXII
«- Sono per sempre là dove non si può più amare... Quanto breve è stato il piacere! E la disgrazia è eterna... Che mi resta?... Odiare con odio infernale e questo per sempre!»
«Oh - scrive - sapere la perdita di un'anima, e non poter ormai far nulla per lei!... Sapere che per tutta l'eternità un'anima maledirà Gesù e che non c’è più rimedio!... Neppure se potessi soffrire tutti i tormenti del mondo... Che terribile dolore!... Sarebbe meglio mille volte morire che essere responsabili della perdita di un'anima».
La domenica 12 marzo scrive alla sua Superiora, lontana per qualche giorno dai Feuillants per un viaggio verso Roma.
«Madre mia, se sapesse con quanta pena vengo a lei! Dal 2 marzo non ho più nessuno dei miei gioielli (così chiama la corona di spine e la croce di N. Signore) perché un'altra volta ho ferito Gesù, tanto buono per me. Tuttavia spero che anch'Egli un'altra volta avrà compassione di me: ma intanto ora la pago ben cara perché dalla notte del primo venerdì la più grande sofferenza ha sostituito le sue visite… Infine, Madre mia, al suo ritorno saprà quanto è grande la mia debolezza.
E per non rattristare troppo la sua superiora aggiunge con la sua delicatezza abituale:
«Quanto mi rallegro dei lieti giorni che lei trascorre alla Casa Madre! Qui credo che tutte, eccetto me, si sforzano di consolare Gesù e che il suo Cuore trova davvero ciò che attende dal suo giardino di delizie, Quanto a me, continuo la mia vita come prima: mi sforzo di essere amabile, fedele a dir tutto alla Madre Assistente, e il resto lei lo sa …
«Preghi, Madre mia, perché la Madonna mi tenda le sue braccia di Madre e mi ottenga il perdono».
Questa volta sarà Santa Maddalena Sofia l'ambasciatrice di Gesù e della sua misericordia, Il martedì 14 marzo le appare nella sua cella, ascolta la sua umile confessione, ne rianima la fiducia e l'incoraggia dicendole:
“- Non dimenticare, figlia mia, che tutto quello che accade rientra sempre nei disegni di Dio”.
Josefa le confida l'immensa sua pena e il dolore che l'opprime quando misura la conseguenza della sua debolezza, che crede irreparabile.
«- Sì, figlia mia, tu puoi riparare - riprende prontamente la santa Madre - se da questa tua caduta ritrarrai molta umiltà e una grande generosità».
«Le ho chiesto se Gesù non sarebbe ritornato mai più, Lo desidero, lo chiamo, poiché non posso pensare che non lo rivedrò più, e per colpa mia!».
Allora con forza veramente materna, Santa Maddalena Sofia l'interrompe vivacemente:
«- Sì, figlia mia, aspettalo: il desiderio e l'attesa della sposa sono la gloria dello sposo!»
Questa celeste visita porta dunque la testimonianza dell'amore che mai non cambia e del perdono che non si stanca mai. Gesù ha voluto darlo a Josefa al principio dell'ardua prova per dimostrarle ch'Egli le rimane vicino, sempre lo stesso.
«Nella notte da mercoledì a giovedì 16 marzo, verso le dieci - scrive - cominciai ad udire, come nei giorni scorsi, un rumore confuso di grida e di catene. Mi alzai, mi vestii e tremante di paura mi misi in ginocchio, vicino al letto. Il rumore si avvicinava: uscii dal dormitorio e, non sapendo che fare, mi recai nella cella della nostra Beata Madre, poi ritornai al dormitorio. Lo stesso rumore terribile mi circondava. Ad un tratto vidi il demonio di fronte a me, che gridava:
«- Incatenatele i piedi, legatele le mani!»
«Improvvisamente non vidi più dove stavo e sentii che mi legavano strettamente e mi trascinavano via. Altre voci ruggivano:
«- Non sono i piedi che bisogna legarle, ma il cuore!».
Il demonio rispondeva:
«- Quello non mi appartiene».
«Allora fui trascinata per una lunga strada che si addentrava nell'oscurità. Cominciai ad udire da ogni parte grida orribili. Nelle pareti di questo angusto corridoio, le une di fronte alle altre, si aprivano delle nicchie da cui usciva del fumo senza fiamma e un fetore intollerabile. Di là delle voci proferivano bestemmie e parole impure. Alcune di quelle voci maledicevano i loro corpi, altre i loro genitori. Altre si rimproveravano di non avere approfittato dell'occasione o della luce per abbandonare il male. Era una confusione di grida piene di rabbia e di disperazione.
«Fui trascinata lungo questo cunicolo interminabile. Poi mi si diede un colpo violento, che mi sprofondò piegata in due in una di quelle nicchie. Mi trovai come schiacciata tra assi incendiate e trafitta da parte a parte da aghi scottanti. Dirimpetto a me, accanto a me, c'erano delle anime che mi maledicevano e bestemmiavano. Fu ciò che mi fece soffrire più di ogni altra cosa. Ma quello che supera ogni tormento è l'angoscia dell'anima di sentirsi separata da Dio.
«Mi sembra aver trascorso lunghi anni in quell'inferno - proseguono gli appunti - e tuttavia non vi sono rimasta che sei o sette ore... Ad un tratto sono stata violentemente strappata di là e mi sono trovata in un luogo oscuro ove il demonio, dopo avermi battuta, è scomparso e mi ha lasciata libera... Non posso esprimere ciò che ho provato nell'anima mia quando mi sono accorta di essere viva e di poter ancora amare Dio!
«Per evitare quest'inferno, quantunque abbia una gran paura di soffrire, non so che cosa sarei pronta a sopportare! Vedo chiaramente che tutti i patimenti terreni sono un nulla a paragone del dolore di non poter più amare, poiché laggiù non si respira che odio e sete della perdita delle anime».
Da allora Josefa sperimenta spesso questo strazio misterioso in quei lunghi soggiorni nel tenebroso
«al di là». Le discese vengono ogni volta preannunziate dai rumori di catene e dalle grida lontane che si avvicinano, la circondano, l'assediano. Essa tenta di fuggire, di distrarsi, di lavorare per sottrarsi a questa furia diabolica che finisce però con abbatterla. Ha appena il tempo di rifugiarsi nella sua cella, e tosto perde coscienza delle cose circostanti. Dapprima, si trova gettata in quello che chiama «luogo buio» di fronte al demonio, che trionfa su di lei e sembra credere di averla in suo potere per sempre. Egli ordina imperiosamente che sia gettata al suo posto e Josefa, legata strettamente, cade nel caos di fuoco e di dolore, di odio e di disperazione.
Riferisce tutto questo semplicemente e oggettivamente, come ha visto, inteso, sperimentato.
All'esterno solo un leggero sussulto dava indizio di tali misteriose discese. Nell'istante stesso il corpo di Josefa diventava del tutto floscio, senza consistenza, come quello di chi, da pochi momenti, non ha più vita. Il capo, le membra, non si sostengono più, mentre il cuore batte normalmente: essa vive come senza vivere!
Questo stato si prolunga più o meno, secondo la volontà di Dio che l'abbandona così all'inferno, e tuttavia la custodisce nella sua sicurissima mano.
Nel momento da Lui voluto un altro impercettibile sussulto, e il corpo accasciato riprende vita.
Ma non è ancora liberata dalla potenza del demonio in quel luogo buio dove la ricolma di minacce.
Quando infine la rilascia ed essa a poco a poco riprende contatto con i luoghi e le persone che la circondano: «Dove sono... e voi chi siete? vivo ancora?» chiede. I suoi poveri occhi cercano di ritrovarsi in un ambiente che le sembra così lontano nel passato. Talvolta grosse lacrime scorrono dai suoi occhi silenziosamente, mentre il volto porta l'impronta di un dolore che non si può esprimere. Riconquista alla fine il senso pieno dell'attuale realtà e non è possibile esprimere l'emozione intensa da cui viene pervasa quando, ad un tratto, comprende di poter ancora amare! Lo ha narrato più volte con semplicità incomparabile:
«Domenica 19 marzo 1922, terza domenica di Quaresima. Sono nuovamente discesa in quell'abisso e mi è sembrato dimorarvi lunghi anni. Vi ho molto sofferto, ma il maggior tormento è di credermi per sempre incapace di amare N. Signore. Cosicché quando ritorno alla vita sono pazza di gioia. Mi pare di amarlo come mai L'ho amato e di essere pronta a provarglielo con tutte le sofferenze che Egli vorrà. Mi sembra soprattutto di stimare ed amare pazzamente la mia vocazione».
E, un po' più sotto aggiunge:
«Quello che vedo laggiù mi dà un gran coraggio per soffrire. Comprendo il valore dei minimi sacrifici. Gesù li raccoglie e se ne serve per salvare anime. Accecamento grande è quello di evitare la sofferenza, anche nelle cose più piccole, poiché, oltre ad essere molto preziosa per noi, serve a preservare molte anime da così grandi tormenti».
Josefa ha tentato, per obbedienza, di narrare qualche cosa di quelle discese all'inferno, così frequenti in quel periodo. Tutto non può essere raccontato qui, ma qualche altra pagina servirà d'insegnamento prezioso. Esse inciteranno le anime a consacrarsi ed a sacrificarsi per la salvezza di quelle che ogni giorno e ad ogni ora sono sull'orlo dell'abisso.
«Quando arrivo in quel luogo -‐ scrive domenica 26 marzo -‐ odo grida di rabbia e di gioia satanica perché un'anima di più viene a sprofondarsi tra i tormenti...
In quel momento non ho più coscienza di essere scesa altre volte nell'inferno: mi sembra sempre che sia la prima volta e mi sembra di esservi per l'eternità, ciò che mi fa tanto soffrire, poiché ricordo che conoscevo ed amavo Nostro Signore... che ero religiosa... che Dio mi aveva fatto grandi grazie e dato numerosi mezzi per salvarmi. Che cosa ho dunque fatto per perdere tanti beni?... Perché sono stata così cieca?... Ed ora non c’è più rimedio... Mi ricordo pure delle mie comunioni, del mio noviziato. Ma ciò che mi tormenta di più è il ricordo che amavo tanto il Cuore di Gesù! Lo conoscevo ed era tutto il mio tesoro... Non vivevo che per Lui... Come vivere ora senza di Lui?... senza amarlo?... circondata da tante bestemmie e da tanto odio?
«L'anima mia rimane oppressa e schiantata a tal segno da non potersi esprimere perché è indicibile».
Spesso anche assiste agli sforzi accaniti del demonio e dei suoi satelliti per strappare alla misericordia divina qualche anima che Dio è sul punto di conquistare. Si direbbe che, nei disegni di Dio, le sue sofferenze siano il riscatto di quelle povere anime, che le dovranno la grazia vittoriosa dell'ultimo istante.
«Il demonio -‐ scrive giovedì 30 marzo -‐ è più furioso che mai perché vuole perdere tre anime. Ha gridato rabbiosamente agli altri:
«-‐ Che non sfuggano!... se ne vanno... su! su! tenete fermo!»
«Udivo grida di rabbia che rispondevano di lontano».
Per due o tre giorni consecutivi Josefa fu testimone di questa lotta.
«Ho supplicato Nostro Signore di fare di me tutto ciò che vorrà perché quelle anime non vadano perdute, scrive di ritorno dall'abisso sabato 10 aprile.
«Mi sono rivolta anche verso la Madonna che m'infonde una gran pace, perché mi sento disposta a soffrire qualsiasi cosa per salvarle. Credo che Ella non permetterà al demonio di riportare vittoria».
Il 2 aprile, domenica di Passione, scrive nuovamente:
«Il demonio gridava:
« Non lasciatele andare... State attenti a tutto quello che può turbarle... che non sfuggano!.. fate in modo che si disperino...»
«Era una confusione orribile di grida e di bestemmie. Improvvisamente, emettendo urla di rabbia, gridò:
« Poco importa! Me ne restano ancora due! Togliete loro la fiducia!».
«Compresi che una di quelle anime gli era sfuggita per sempre!»
« - Presto, presto! ruggiva ‐ che le altre due non vi sfuggano! Afferratele... che si disperino! Presto... ci scappano!»
«Allora nell'inferno si udì un digrignare di denti e con un furore indescrivibile il demonio ruggì:
« - Oh, potenza... potenza di questo Dio!... che ha più forza di me... Me ne resta una; e quella non me la lascerò scappare!...»
« L'inferno non fu più che un grido solo di bestemmia, confusione di gemiti e di lamenti. Compresi che quelle anime si erano salvate! Il mio cuore ne fu pieno di gioia, benché nell'impossibilità di fare un solo atto di amore... Tuttavia non provo quell'odio verso Dio che hanno le anime infelici che mi circondano, e quando le odo bestemmiare e maledire, ne sento un tale dolore che sopporterei qualsiasi patimento perché Dio non sia così offeso e oltraggiato. Soltanto ho paura di diventare anch'io, col tempo, come quegli altri. Ciò mi tortura, perché ricordo quanto L'ho amato e quanto era buono verso di me!
«Ho molto sofferto specialmente in questi ultimi giorni. Sentivo come un rivolo di fuoco passarmi dalla gola e attraversarmi tutto il corpo, mentre avevo la persona stretta tra assi infuocate, come ho già detto altra volta. Mi sembra allora sentirmi uscire gli occhi dall'orbita come se fossero strappati, i nervi stirati; il corpo piegato in due non può muoversi e un odore fetido invade tutto (7). E tuttavia questo è nulla in paragone di quello che prova l'anima che conoscendo la bontà di Dio si trova obbligata ad odiarlo, sofferenza tanto più grande se essa lo ha molto amato».
(7) Questo intollerabile odore avvolgeva Josefa al termine di queste discese all'inferno, come pure nei rapimenti e nelle persecuzioni diaboliche: odore di zolfo e di carne putrida e bruciata, che restava percepibile attorno a lei, dicono i testimoni, per lo spazio di un quarto d'ora o mezz'ora: essa però ne serbava molto più lunga.
Altri misteri dell'al di là stanno per rivelarsi a Josefa. In questa stessa epoca, Quaresima 1922, mentre giorno e notte porta il peso di tali persecuzioni, Dio la mette in contatto con un altro abisso di dolore, quello de purgatorio. Molte anime vengono ad implorare i suoi suffragi e i suoi sacrifici con espressioni di profonda umiltà. Dapprima ne resta impressionata: poi si abitua poco a poco alle confidenze di quelle anime penanti. Le ascolta, domanda il loro nome, le incoraggia e si raccomanda con fiducia alla loro intercessione. I loro insegnamenti sono preziosi e degni di essere raccolti. Una di esse, venendo ad annunziarle la sua liberazione dice:
«L'importante non è l'ingresso in religione, ma l'ingresso nell'eternità!». «-‐ Se le anime religiose sapessero come bisogna scontare qui le piccole carezze prodigate alla natura...», diceva un'altra chiedendo preghiere. « Il mio esilio è terminato, ora salgo all'eterna patria».
Un sacerdote diceva:
«Quanto infinita è la bontà e la misericordia divina che degna servirsi delle sofferenze e dei sacrifici di altre anime per riparare le nostre grandi infedeltà. Quale alto grado di gloria avrei potuto conquistare se la mia vita fosse stata diversa!»
Un'anima religiosa, entrando in cielo, confidava ancora a Josefa:
« Come si vedono diversamente le cose terrene, quando si passa all'eternità! Le cariche non sono niente agli occhi di Dio: solo conta la purità d'intenzione con cui vengono adempiute, anche nelle più piccole azioni. La terra e tutto ciò che contiene sono poca cosa... tuttavia quanto è amata!... Ah, la vita, per lunga che sia, è nulla in paragone dell'eternità! Se si sapesse ciò che è un istante solo passato in purgatorio e come l'anima si strugge e si consuma per il desiderio di vedere Nostro Signore!»
Anche altre anime, sfuggite per misericordia divina all'estremo pericolo, venivano a supplicare Josefa di affrettare la loro liberazione.
«- Sono qui per l'infinita bontà di Dio - diceva una di esse - perché un orgoglio eccessivo mi aveva portata sull'orlo dell'inferno. Tenevo sotto i piedi molte persone: ora mi precipiterei ai piedi dell'ultimo dei poveri!
«Abbi compassione di me, fa' degli atti d'umiltà per riparare il mio orgoglio. Così potrai liberarmi da questo abisso.
«- Ho passato sette anni in peccato mortale - confessava un'altra - e sono stata tre anni ammalata.
Ho sempre rifiutato di confessarmi. Mi ero preparato l'inferno e ci sarei caduta se le tue sofferenze di oggi non mi avessero ottenuto la forza di rientrare in grazia. Sono ora in purgatorio e ti supplico, poiché hai potuto salvarmi: liberami da questa prigione tanto triste!»
«- Sono in purgatorio per la mia infedeltà non avendo voluto corrispondere alla chiamata di Dio, veniva a dirle un'altra anima.
« - Dodici anni ho resistito alla vocazione e ho vissuto in gran pericolo di perdermi, perché per soffocare il rimorso mi ero data in braccio al peccato. Grazie alla bontà divina che si è degnata di servirsi delle tue sofferenze ho avuto il coraggio di tornare a Dio... e ora fammi la carità di liberarmi di qui!»
«- Offri per noi il sangue di Gesù - diceva un'altra nel momento di lasciare il purgatorio. Che sarebbe di noi se non ci fosse nessuno per sollevarci?»
I nomi delle sante visitatrici, sconosciuti a Josefa, ma accuratamente annotati, con la data e il luogo della morte, furono a sua insaputa controllati minuziosamente più di una volta.
La Quaresima stava per terminare in queste alternative di dolori e di grazie austere. Come avrebbe potuto Josefa, senza un aiuto speciale di Dio, sostenere tali contatti con l'invisibile e condurre nello stesso tempo la sua consueta, uniforme vita di lavoro e di dedizione? Eppure era questo lo spettacolo di virtù che il suo amore eroico offriva quotidianamente al Cuore di Colui che vede nel segreto, mentre chi la circondava non poteva non ingannarsi circa il valore di quelle giornate sempre uguali all'esterno, spese tutte nel compimento del dovere.
Due fatti sono da segnalarsi negli ultimi giorni di quella settimana santa. La sera del giovedì santo, 13 aprile 1922, Josefa scriveva:
«Verso le tre e mezzo mi trovavo in cappella quando davanti a me vidi qualcuno vestito come Nostro Signore, ma un poco più alto di statura, molto bello, con un'espressione di pace nella fisionomia che attraeva. Indossava una tunica di colore rosso violaceo scuro. In mano aveva una corona di spine simile a quella che Gesù mi portava nel passato».
«- Sono il Discepolo del Signore - disse. - Sono Giovanni l'Evangelista e ti porto uno dei gioielli più preziosi del divino Maestro».
«Mi diede la corona ed egli stesso me la posò sul capo».
Josefa lì per lì fu turbata da questa apparizione inaspettata, ma a poco a poco si rassicurò sentendosi pervasa da una dolce pace. Si fece ardita e osò confidare al celeste visitatore l'angoscia che l'opprimeva per tutto ciò che il demonio le faceva soffrire.
«- Non temere. L'anima tua è un giglio che Gesù custodisce nel suo Cuore», le risponde l'Apostolo vergine. Poi continua:
«Sono stato mandato per rivelarti qualcuno dei sentimenti che traboccavano dal Cuore del Maestro in questo gran giorno.
«L'amore stava per separarlo dai suoi discepoli dopo di averlo battezzato con un battesimo di sangue. Ma l'amore lo spingeva a rimanere con essi e l'amore gli fece inventare il sacramento dell'Eucaristia.
«Quale lotta sorse allora nel suo Cuore!! Come si sarebbe riposato nelle anime pure! Ma quanto la sua passione si sarebbe prolungata nei cuori contaminati!
«L'anima sua esultava all'avvicinarsi del momento in cui sarebbe ritornato al Padre, ma come fu stritolata dal dolore vedendo uno dei Dodici, scelto da lui, tradirlo a morte e, per la prima volta, rendere inutile il suo sangue per la salvezza di un'anima!
«Il suo Cuore si consumava di amore, ma la poca corrispondenza delle anime da Lui tanto amate immergeva questo stesso amore nella più profonda amarezza... E che dire dell'ingratitudine e della freddezza di tante anime consacrate?»
«Così dicendo, disparve in un lampo».
Questa celeste apparizione consolò Josefa un istante, ricordandole l'invito alla riparazione che dall'Eucaristia si rivolge alle anime consacrate. Ma la sera stessa la corona di spine spariva, lasciandola in un'ansiosa perplessità. Il demonio semina il dubbio e l'inquietudine nell'anima della sua vittima. Una domanda assillante si presenta al suo spirito: sono zimbello d'illusione e menzogna? Tutte queste visioni dell'al di là sono fantasmagorie delle mia immaginazione?... il prodotto di una natura squilibrata o di una incosciente suggestione?
Tali punti interrogativi non si presentavano soltanto a lei. Niente in questa creatura può, neppure da lontano, fisicamente o moralmente, dare motivo a incertezze. Tuttavia la prudenza che la circonda veglia senza posa e aspetta un segno autentico che permetta di discernere e di affermare in lei l'azione diretta del demonio. Dio sta per darlo, troncando ogni dubbio.
Il sabato Santo, 15 aprile, verso le quattro del pomeriggio, dopo aver trascorso i due giorni precedenti in dolorosi combattimenti, ode, mentre è occupata nel cucire, i rumori che preannunziano l'inferno. Sostenuta dall'obbedienza resiste con la più grande energia per sottrarsi al demonio che si avvicina e infine l'atterra. Allora, come sempre, il suo corpo sembra restare inanimato. Inginocchiate vicino a lei, le Madri pregano chiedendo al Signore di non lasciare incertezze sul mistero che si svolge sotto i loro occhi. Improvvisamente, al lieve sussulto abituale, si accorgono che Josefa sta per riprendere vita. Il suo viso disfatto lascia intuire ciò che ha visto e sofferto. Ad un tratto, portando vivacemente la mano al petto grida: «Chi mi brucia?» Ma non vi è nessun fuoco lì. L'abito religioso è intatto. Si spoglia rapidamente; un odore di fumo acre e fetido si diffonde nella cella e si vede bruciarle addosso la camicia e la maglia! Una larga ustione resta «vicino al cuore», come dice lei, attestando la realtà di quel primo attentato di Satana. Josefa ne è sconvolta:
«Preferisco partire - scrive nel primo momento - che essere più a lungo lo zimbello del demonio!»
La fedeltà divina nel manifestare tangibilmente la potenza diabolica sarà di conforto nei mesi seguenti. Dieci volte Josefa sarà bruciata: questo fuoco lascerà tracce non solo sugli abiti, ma ancor più sulle sue membra. Piaghe vive, lente a chiudersi, imprimeranno sul suo corpo cicatrici che ella porterà con sé nella tomba. Vari oggetti di biancheria bruciati si conservano ancora e attestano la realtà della rabbia infernale e il coraggio eroico che sostenne quegli assalti per rimanere fedele all'opera di Amore.


SPRAZZI DI LUCE NELLA TEMPESTA 16 APRILE - 8 LUGLIO 1922  Pag.210

Io sarò la luce dell'anima tua! (N. Signore a Josefa - 17 aprile 1922).

Sorge il giorno di Pasqua, 16 aprile 1922, e Gesù risuscitato schiacciando con la sua vittoria la potestà infernale permette un po' di riposo alla sua dolce vittima.
Fin dal mattino, durante la santa Messa, Josefa lo vede apparire, per la prima volta dopo il 3 marzo.
«Era splendente di bellezza e di luce - scrive - ma Gli dissi subito che non avevo il permesso di parlargli».
«- Non hai il permesso, Josefa? Rispose con bontà. - E per guardarmi?...».
«Non sapevo che dire... e continuò:
«- Guardami e lascia che ti guardi. Questo ci basta».
«Lo guardai ed Egli fissò i suoi occhi su di me con tale amore che non so ciò che avvenne nell'anima mia. Dopo un istante mi disse:
«- Quando la Madre ti chiamerà, tu chiedile il permesso di parlarmi».
«E disparve».
L'obbediente figliuola, sebbene incontri pochi istanti dopo la sua Superiora, aspetta secondo il comando di Nostro Signore di essere chiamata.
«Verso le undici e mezzo - continua - la Madre mi chiamò ed ebbi il permesso. Andai in cappella e Gesù venne subito».
«- Eccomi, Josefa!... Perché volevi che Io tornassi, almeno per una sola volta?»
«Oh, Signore! per chiederti perdono perché ne ho bisogno. Allora gli ho raccontato tutte le mie debolezze, le mie miserie, ed Egli, con un amore inesprimibile, mi ha risposto:
«Colui che non ha avuto mai bisogno di perdono non è il più felice, ma piuttosto chi molte volte ha dovuto umiliarsi».
Allora, aprendogli interamente l'animo, versa nel suo Cuore divino tutto ciò che ha riempito di timori e di oscurità l'anima sua nelle antecedenti settimane. Gli espone anche la sua inquietudine perché dubita che sia stato proprio Lui ad inviarle la corona di giovedì scorso per riprendergliela subito dopo. Gesù la rassicura:
«Sì, sono stato io che ti ho affidato quel prezioso tesoro del mio Cuore. Ma per te, Josefa, era troppa consolazione e tu mi hai consolato assai più accettando questa incertezza che portando sul capo la mia corona».
«Allora Gli ho parlato della bruciatura di sabato scorso e gli ho detto che ero rimasta molto sconvolta per essermi sentita lo zimbello del demonio. Egli con forza ha risposto:
«Dov'è la tua fede? Se permetto che tu sia lo zimbello del demonio, sappi che lo faccio per dare una prova irrefutabile dei disegni del mio Cuore sopra di te».
Quest'aurora pasquale si prolunga per qualche giorno. Come un tempo ai suoi apostoli confusi e smarriti dopo le ore della passione, Egli le appare per ripeterle le parole che tranquillizzano, consolano e fortificano. Ella scrive il lunedì 17 aprile:
«Oggi il Vangelo era quello dell'apparizione ai discepoli d'Emmaus. Mentre io Gli dicevo:
«Signore, resta con me, perché si fa tardi», mi è apparso ad un tratto bellissimo, e mi ha detto:
«Sì, resterò con te. Sarò la luce dell'anima tua. Hai ragione: si fa tardi... Dimmi, che faresti senza di me?...»
Il venerdì, 21 aprile, dopo una notte in cui il ritorno del demonio e dei tormenti dell'inferno hanno sconcertato la sua speranza di trovarsi finalmente libera, scrive così:
«Questa mattina durante la Messa Nostro Signore è venuto. Siccome avevo creduto che tutti quei supplizi fossero ormai finiti, lo supplicai di lasciarmi libera per poter lavorare un poco.
Gesù risponde con autorità:
«- Ascolta, Josefa. Ti ho già detto che voglio servirmi di te come di uno strumento della mia misericordia per le anime. Ma se tu non ti abbandoni interamente alla mia volontà, che vuoi ch'Io faccia? Ci sono tante anime bisognose del mio perdono! Il mio Cuore vuole servirsi di vittime che l'aiutino a riparare gli oltraggi del mondo e a diffondere la sua misericordia. Che t'importa il resto se Io ti sostengo? Io non ti abbandono mai: che vuoi di più?»
La settimana pasquale finisce dunque con il richiamo ad una missione per la quale bisognerà soffrire molto. Infatti il demonio non si allontana dal cammino di Josefa. Le anime del purgatorio continuano anch'esse ad implorare l'aiuto delle sue sofferenze. Ma Gesù, fedele alla Sua promessa, le rimane vicino, facendosi la luce della sua vita.
«É venuto durante la Messa, così bello!... scrive il sabato 22 aprile. - Ho rinnovato i miei voti, e mi sembra che ciò Gli piaccia, poiché il suo Cuore fiammeggiava con ardore».
Ella Gli esprime le sue ansie per quelle anime dell'al di là che vengono ad implorare da lei preghiere e sacrifici. Nostro Signore la rassicura con la sua abituale bontà, facendole intravedere le grazie di salvezza acquistate con tanti dolori.
«- Ti faccio sapere tutte queste cose - Egli dice - affinché tu non indietreggi davanti ad alcun sacrificio e ad alcuna sofferenza. Non dubitare mai: quando tu soffri di più mi consoli maggiormente, ed è quando meno te ne rendi conto che tu riesci ad avvicinare un maggior numero di anime al mio Cuore».
E siccome ella confida al divino Maestro l'esaurimento fisico a cui l'han ridotta le terribili settimane trascorse:
«- Non ho bisogno delle tue forze, ma del tuo abbandono - le risponde con infinita tenerezza. - La vera forza è quella del mio Cuore. Rimani in pace e non dimenticare che la misericordia e l'amore agiscono in te».
Dunque nel Cuore sacratissimo di Gesù Josefa dovrà attingere quella forza di cui ha sempre bisogno per progredire nella via dell'abbandono, che è sempre più la sua via.
«Da vari giorni - scrive il lunedì 24 aprile - il demonio mi trascina nell'inferno, alla stessa ora, e là mi tiene pressappoco il medesimo tempo ogni volta. Ciò mi turba e mi chiedo se ne sono in qualche modo responsabile».
Infatti questa è la prima cosa che espone a Nostro Signore quando le appare quella stessa mattina dopo la Comunione:
«- Non turbarti - le risponde. - C'è un'anima che dobbiamo strappare al demonio e questa è l'ora del pericolo. Ma con la sofferenza la salveremo. Sono tante le anime in pericolo di perdersi... Ma ce ne sono anche tante che mi consolano e tante che ritornano al mio Cuore!»
«Allora gli ho chiesto che cosa avremmo potuto fare per la conversione di un peccatore che è stato raccomandato alle nostre preghiere e che dà molto scandalo».
«- Bisogna mettere il mio Cuore tra questo peccatore e il mio eterno Padre, Josefa. Il mio Cuore mitigherà la sua collera e inclinerà verso quell'anima la divina clemenza. Addio: consolami col tuo amore e col tuo abbandono».
I giorni di prova succedono ai giorni di grazie, poiché Satana moltiplica i suoi sforzi per risvegliare in lei un'ondata di ripugnanze. Intanto l'opprime con ogni specie di tormenti: le viene incontro un po' dappertutto, la colpisce, la brucia, la trascina all'inferno... e venerdì 29 aprile tanto la terrorizza con le minacce, che essa non osa fare la Comunione, mentre il rammarico di una Comunione perduta le trafigge l'anima come una spada.
Questi giorni dolorosi servono al riscatto dei peccatori senza che essa ne abbia quella conoscenza che la fortificherebbe.
Il martedì 2 maggio, verso le dieci della mattina, mentre sta spazzando la cappella delle Opere, Gesù improvvisamente le appare nella sua luminosa bellezza.
«Era in piedi in mezzo ai banchi», scrive.
«- Josefa, vuoi che venga con te?... non t'impedirò di lavorare...»
«Rinnovai i miei voti e Gli dissi che dovevo prima chiedere il permesso».
«- Sì, vai!»
«Disparve, e corsi subito a dirlo alla Madre. Quando tornai in cappella, Lo vidi dalla porta aperta: era sempre allo stesso posto come se mi aspettasse... talmente pieno di tenerezza che non so ridire... Una tenerezza di Padre che non si può esprimere...»
«- Desidero tanto venire a te, Josefa... e tu vorresti ricusarmi l'entrata?...»
Questa domanda è come un dardo che le trapassa il cuore. Ella gli espone la sua debolezza di fronte al demonio che si accanisce per impedirle di fare la Comunione.
«Ma non sai che può tormentarti, ma non può nuocerti? Chi dunque fra lui e me è più potente?»
Il mercoledì 3 maggio, dopo la Comunione, Gesù appare improvvisamente.
«- Josefa!»
«Gli chiesi il permesso di rinnovare i miei voti e poi, come sempre quando lo vedo, sentii il bisogno di dirgli tutte le mie debolezze».
«- Non puoi sapere - rispose quanto il mio Cuore si compiace di perdonare quelle colpe che non sono altro che fragilità. Non ti preoccupare. Appunto perché sei così debole ho fissato gli occhi su di te».
Egli è così buono, così condiscendente, che Josefa osa esporgli il suo ardente desiderio: vorrebbe tanto, malgrado tutte le prove delle sue giornate, seguire gli esercizi comuni.
«- Lasciami disporre di te secondo la mia volontà - risponde il Signore. - A chi credi che la vita comune piaccia di più? A te o a me?...»
Così il Maestro dell'abbandono non cessa, attraverso tante vicende, di proseguire il suo lavoro nell'anima di Josefa. Talvolta le concede un po' di riposo durante la lotta, e nei suoi appunti si leggono ancora pagine luminose come questa:
«Nel pomeriggio, all'adorazione e mentre veniva cantato O Crux Ave! Essendo la festa dell'Invenzione della Santa Croce, fui presa da un ardente desiderio di baciare le piaghe di Gesù. Baciai il mio Crocifisso e chiesi alla Madonna di farlo per me.
«Ella venne ad un tratto, con le mani incrociate sul petto, e dolcemente mi disse:
«- Che vuoi, figlia mia, che vuoi?»
«Oh! Madre mia, baciare i piedi e le mani di Gesù e, se tu me lo permetti - continua esitando un poco - baciare anche la tua mano».
«E porgendomi la mano aggiunse:
«- Vorresti baciare le piaghe di Gesù?...»
«Non mi lasciò neppure il tempo di rispondere... Gesù era già lì, bellissimo, con le piaghe fiammeggianti».
«- Che vuoi, Josefa?»
«Baciare le tue piaghe, Signore».
«- Baciale!»
Egli stesso le mostrò i piedi, quindi le mani e infine il suo Cuore:
«- Questa piaga è tua, ti appartiene. Vedi che non ti rifiuto niente. E tu mi rifiuteresti qualcosa?...»
Josefa gli ripete i suoi desideri, ma non sa come esprimere la sproporzione che prova in certe ore, fra ciò che vuole e ciò che realizza.
Gli faccio così spesso la promessa di non rifiutargli nulla e poi non la mantengo quando giunge l'occasione. Subito dopo sento vivamente il dispiacere che gli procuro, mentre Egli mi ama tanto ed è così buono con me».
«- Sì, il mio cuore ti ama e si compiace della tua miseria. Sai che cosa puoi fare per consolarmi?... Amarmi e soffrire per le anime senza rifiutarmi nulla».
Queste grazie di predilezione sono sempre per Josefa il preannunzio di sofferenze prossime, e il demonio, che non ha cambiato i suoi intenti su di lei, glielo fa duramente comprendere nei giorni che seguono. Però prima di abbandonarla alla potenza del nemico, Gesù vuole riaffermare ancora i disegni del suo amore per lei.
«Gli avevo detto quanto desiderio avevo di riceverlo - scrive il giovedì 11 maggio - perché ho fame di Lui, e quanto più mi sento miserabile, tanto più Lo supplico di recarmi Lui stesso il rimedio per tanta miseria. Lo vidi dopo la Comunione con le braccia tese.
«- Desidero imprigionarti tutta nel mio Cuore - le disse - poiché il mio Amore per te è infinito. E nonostante le tue colpe e le tue miserie mi servirò di te per far conoscere a molte anime il mio Amore e la mia misericordia. Ce ne sono tante che ignorano la bontà del mio Cuore! Ed è il mio unico desiderio che queste anime si gettino e si perdano nell'abisso senza fondo del mio Cuore».
Così, già per la seconda volta, le rivela la sua prossima missione. E siccome Egli legge nell'intimo dell'anima ciò che ella non osa esprimere, aggiunge subito:
«- Quando sentirai la tua debolezza e la paura ti invaderà, vieni qui a cercare la forza! Addio».
Quest'addio di Gesù apre l'ultimo periodo che la separa dai voti. Nostro Signore sparisce ora dalla sua vita e il demonio vi entra da padrone. Tutti i tormenti dei mesi scorsi ritornano in atto per smuovere la sua fede e la sua fedeltà. La rabbia di Satana nulla risparmia contro quella vocazione che egli vede così feconda per la salvezza delle anime. Josefa sembra diventata la sua personale nemica e durante quei due mesi è una battaglia singolare che si combatte tra la potenza scatenata dall'inferno e questa piccola creatura, fragile per natura, ma forte della forza stessa di Dio.
Ormai i giorni e le notti trascorrono quasi senza tregua in una lotta la cui violenza supera tutto ciò che finora ha sofferto. È un miracolo se le forze la sostengono, se il suo lavoro non s’interrompe, se nessuno sguardo giunge a penetrare il mistero di una simile prova.
Gesù e la Madonna vegliano su di lei in mezzo ai flutti della tempesta che s'infrangono nell'ora fissata da Dio.
Il venerdì 19 maggio l'esame canonico richiesto per l'ammissione ai voti religiosi trascorre nella pace di una mattinata in cui il demonio non compare. Josefa prova l'intima gioia di aver potuto affermare la sua volontà di seguire Nostro Signore e di essergli fedele fino alla morte. Ma il nemico raddoppia il suo furore.
L'Ascensione, 25 maggio e la Pentecoste, 4 giugno, trascorrono senza che la luce illumini questa tempesta.
La domenica 11 giugno la posta reca dalla Casa Madre la lieta notizia dell'ammissione ai primi voti. Josefa riceve l'annunzio della grande grazia con immensa gioia, non potendo quasi credere ad una felicità così desiderata. Il foglio di ammissione porta la data: Roma, 5 giugno. Questa coincidenza la riempie di ammirazione, poiché proprio il 5 giugno, due anni prima, Gesù le aveva mostrato per la prima volta il suo Cuore.
Queste grazie sembrano esasperare il demonio, la cui rabbia cresce sempre più e ripete con tenacia:
«Quel giorno non giungerà... ti annienterò... ti tormenterò... ti strapperò di qui!»
In mezzo a questi combattimenti accaniti giunge il mese di luglio. La funzione dei voti è stata fissata per la domenica 16, festa della Madonna del Carmelo, e Josefa deve entrare in ritiro il venerdì 7, primo venerdì del mese. Ma proprio in quel giorno il demonio le fa subire il più spaventoso assalto che abbia mai provato. Più tardi dirà che non si è mai vista così vicina all'abisso come allora.
Furono ore d'indicibile sofferenza, che tuttavia non riuscirono a strappare dal profondo dell'anima sua il bisogno di Dio. Anche in quel giorno la Madre dei dolori si prese la cura di sventare l'agguato di Satana.
La sera di quel primo venerdì e il sabato 8 luglio segnarono il punto culminante degli sforzi diabolici.
Sono le cinque del pomeriggio; Josefa è seduta nella piccola cella ove ha trascorso le ore terribili di quella giornata e appare sfinita. Sembra non udire le Ave Maria che sommessamente si moltiplicano vicino a lei, per ricordare alla Madonna il potere dei suoi dolori e supplicarla di accorrere in aiuto della sua figliuola. Ad un tratto il viso contratto si distende, le labbra si aprono e a poco a poco mormorano la stessa preghiera. Allora nella tranquillità che va riacquistando, le Madri cercano di rileggerle alcune delle parole della Madonna che Josefa ha conservato nei suoi appunti. Quando si giunge a queste:
«- Figlia mia, non è vero che non abbandonerai mai mio Figlio?»
«No, Madre mia, mai!»
Così dicendo si precipita in ginocchio col volto illuminato. Davanti a lei, ormai libera, sta la Madonna Immacolata!... In un trasporto d'amore ben difficile a descrivere ripete con ardore:
«No, Madre mia, mai!»
Istante meraviglioso, in cui tutto il potere di Satana si infrange e si eclissa di fronte all'intervento sovrano della Regina del cielo! Per una coincidenza che può chiamarsi una delicatezza divina, in quel momento arriva al Sacro Cuore il Rev. padre Boyer, suo direttore. Josefa può vederlo e le sue parole di coraggio e di fiducia la gettano definitivamente nelle braccia di Dio.

SOMMARIO

CAPITOLO  06 IL TRIONFO DELL'AMORE

L'AURORA DEI VOTI • 8 - 16 LUGLIO 1922 ♦ pag.221

Te lo ripeto, Signore, mai mi separerò da Te. Ti seguirò dove mi condurrai. (Appunti del ritiro di Josefa).

Josefa è entrata nel silenzio del ritiro. Restano ancora otto giorni prima del 16 luglio, tuttavia non ne passerà alcuno senza che il demonio si accanisca per indebolire la sua volontà. Gli appunti del ritiro rivelano questa lotta, ma mettono soprattutto in luce l'amore che tiene Josefa radicata in quella volontà di Dio pur tanto contraria alle sue naturali attrattive e tanto esigente d'immolazione.
«Signore - scrive sabato 8 luglio, la sera stessa di quel giorno tempestoso - Tu vedi ciò che sono... ma piuttosto che abbandonarti e mancare di fedeltà al tuo invito, preferisco mille volte soffrire.
«Incomincio questo ritiro senz'alcuna attrattiva: tuttavia fa' di me e in me tutto quello che vuoi. L'unica cosa che ti chiedo è di tenermi stretta alla tua volontà e che quaggiù io non faccia mai altra cosa che il tuo beneplacito.
«Questo giorno, invocato da me con tanto entusiasmo è giunto finalmente; ma quale gelo in cuore! Mi sento senza forze e senza amore... però, che diverrei senza il mio Gesù? -riprende subito
• poiché l'amo immensamente, quantunque non senta di amarlo... Mi lascerò dunque guidare e farò questo ritiro perché so che è la Sua volontà. Sono sicura che anche in mezzo alla più grande oscurità Egli prepara l'anima mia all'unione con Lui».
I primi tre giorni del ritiro scorrono in una pace relativa. Il demonio tenta invano di turbarla e tormentarla in ogni maniera. Fedele, malgrado tutto, Josefa continua appena le è possibile, a notare il risultato delle sue meditazioni. Quelle pagine, scritte per lei sola, rivelano la semplicità, la rettitudine, l'equilibrio del suo spirito.
«Gesù mi ha dato l'essere, la vocazione, i mezzi di servirlo secondo i suoi disegni -scrive. - Egli ha su di me ogni diritto. Debbo abbandonarmi al suo volere con piena sottomissione. Poco importa se il cammino mi costa... La misura del mio abbandono sarà un giorno quella della mia felicità e troverò sempre la vera pace nel compiere la volontà divina rinunciando interamente a me stessa...
«Nella meditazione della morte ho trovato la forza di soffrire pensando che sarà una grande gioia nell'ultimo giorno l'aver sofferto per Dio. - Tu sai, o Signore, quanto desideri unirmi a Te per non perderti più! Perciò non è la morte che mi spaventa, bensì la vita... Tuttavia so che non mi abbandonerai e se vorrai farmi soffrire sarò contenta, purché possa consolarti... Fa' che la mia vita sia tutta fedeltà affinché la mia morte non sia che letizia!
«Con il figliuol prodigo ho un desiderio vivo di gettarmi nel tuo Cuore, Gesù, e là deporre il carico delle mie miserie... Sono certa di essere ben ricevuta, poiché, per quanto grandi siano le mie colpe, molto più grandi sono la tenerezza e la misericordia del tuo Cuore!»
Quando arriva il momento in cui l'anima purificata si mette davanti alla chiamata del Maestro, nella meditazione del Regno, secondo il pensiero di S. Ignazio, Josefa si trova immersa nella notte e nell'angoscia:
«Signore - scrive - tu vedi la mia estrema povertà... tuttavia chi può vederti il primo al combattimento, senza desiderare di seguirti? Io non mi arresterò dinanzi ai timori della natura, ma guarderò piuttosto alla gioia di camminare sulle tue tracce. Adoperami secondo il tuo desiderio: Tu sei il mio re! Abbandono tutto per trovare il tutto... e ti ripeto: mai mi separerò da Te, ti seguirò dove vorrai condurmi.
«La meditazione dell'Incarnazione mi ha infuso coraggio prosegue - vedendo Gesù umiliarsi per fare la volontà del Padre. Così debbo sottomettermi umilmente alla volontà sua, qualunque essa sia... amare questa dipendenza e questa soggezione. L'anima mia deve trovarsi nella disposizione abituale di tutto fare, tutto soffrire, tutto sacrificare per compiere la volontà di Dio. Voglio vivere in uno spogliamento assoluto affinché Egli possa realizzare in me i suoi disegni».
La contemplazione della Natività riconduce nell'anima sua la gioia del giorno di Natale:
«Gesù, vita mia! Potrei desiderare qualche cosa contemplandoti in questo estremo spogliamento? Gesù mio, così piccino, quanto sei bello!... Mi avvicino a quella paglia ove riposi, bacio il tuo piedino, la tua manina... guardami con i tuoi occhietti incantevoli, dimmi di non temere poiché sei il mio Salvatore e mi ami di un Amore infinito.
-    Figlia mia, voglio che tu sia tutta mia.
-    Lo sono già, Signore, lo sono per sempre!»
Il mercoledì 12 luglio l'ombra di Satana si stende maggiormente sul cammino di Josefa. Ella soffre, in preda alla desolazione che l'invade. Quella sera, una lunga discesa all'inferno la mette di fronte a posti vuoti, mentre il demonio fa strazio di lei vendicandosi così, come egli dice, delle anime che le sue sofferenze gli hanno sottratto. Ritorna in vita, annientata e stremata di forze, ma pronta a tutto soffrire per la salvezza del mondo... Questa offerta non è mai fatta invano e subito l'anima sua rientra nella notte oscura.
Il giovedì 13 luglio è un giorno eccessivamente doloroso. Già nei giorni precedenti il manoscritto portava l'impronta di queste ondate di dolore il cui flusso e riflusso l'assaliva.
«Gesù, - scrive - vieni in mio aiuto! Vedi in quali tenebre sono immersa! Non abbandonarmi nelle mani dei miei nemici!»
Poi, dopo la meditazione «dei due stendardi»:
«Tu sai, Signore, che da molti anni non ho altro desiderio che di appartenerti, vivere per Te ed amarti. Adesso mi sento sul punto di cedere... Oh, guardami! E sparirà il pericolo;
ma guardami, Signore! Mancano soltanto due giorni... se non trovo la pace in Te, dove andrò a cercarla?».
Quale accento doloroso nel ricordo dei suoi desideri più ardenti!
«Tu sai, Gesù, quanto ho sospirato questo ritiro dei miei voti! Ed ecco che lo trascorro in giorni di timore e di disgusto, di turbamento e di sofferenze... Perché il demonio ha tanta libertà...?»
Poi, rianimandosi nella fede:
«Signore, attendo tutto dal tuo Cuore: voglio essere tutta tua, e te lo ripeto nel momento più terribile che abbia mai attraversato! Tu sai bene in quale desolazione sono immersa!».
Sembra volere attingere coraggio riaffermando a se stessa la sua volontà di rimanere fedele e confidando al suo taccuino suppliche come questa:
«Signore! Dove andrò! A chi darò me stessa, se non a Te? Non provo più nessun desiderio né attrattiva, ma voglio rimanere fedele! Sono pronta a fare tutto quello che vorrai, a soffrire quanto vorrai, a seguirti dove mi condurrai, a donarmi con la più completa generosità, poiché Tu sei il mio Signore e il mio Dio e sei Tu che mi hai scelta... O Cuore pieno di amore e di misericordia! usami compassione... non permettere che soccomba, dammi forza per resistere, costanza per perseverare, amore per soffrire...»
L'ora è ormai giunta in cui un tal grido di desolazione e di amore commuoverà il cielo. La sera del 13 luglio, inginocchiata nella cappellina di Santa Maddalena Sofia, essa incomincia l'ora santa immersa in quell'angoscia difficile a descriversi. Improvvisamente si trova inondata di grande pace. Gesù, ancora una volta, manifesta la sua potenza. Nell'indicibile gioia di questa trasformazione Josefa, libera, trasformata, radiosa, rinnova i voti che già l'hanno legata al Cuore di Gesù e alla sua Società. Il demonio è in fuga.
E sul mattino di
venerdì 14 luglio ella scrive con tutta l'espansione del suo cuore riconoscente:
«Gesù, quanto Ti ringrazio di avermi reso la luce e la pace! Sono pronta per tutto quello che vorrai da me».
Poi aggiunge, quasi parlando a se stessa:
«Tutta la vita ho amato Te solo e nessuno sapeva che Ti appartenevo. Adesso il cielo e la terra sapranno che ci amiamo e che siamo sposo e sposa in eterno!»
I due ultimi giorni del ritiro restano circonfusi da questa pace. Ella non può credere a tanta felicità, ma prosegue a lavorare seriamente nell'anima sua, mentre il demonio cerca fino alla fine di rapirle l'intima gioia.
«Gesù nel deserto è tentato: - scrive - permette che il diavolo si accosti a Lui, per darmi coraggio ed insegnarmi che la tentazione è il crogiuolo della virtù.
«Non so se Gesù ha sperimentato la tentazione nella vita nascosta, ma vuol passare per questa prova quando sta preparandosi alla vita pubblica.
«Così quando il Signore vuol servirsi di un'anima tiene la stessa linea di condotta: per renderla solida nella vita interiore comincia col nasconderla; poi, quando si avvicina il tempo di realizzare i suoi disegni, l'abbandona alla tentazione per fortificarla, preservarla da ogni vanità e renderla mediante la propria esperienza più utile al prossimo.
«Devo aver fiducia nel suo Cuore che veglia su di me. E la misura della sofferenza (non me l'ha mostrato più di una volta?...) sarà, un giorno, quella della consolazione».
La vista di Gesù agonizzante viene ancora a confermarla nella sua generosità:
«Qual insegnamento Tu mi dai qui, o Signore! Nel tempo della tentazione e della desolazione devo ricorrere alla preghiera per aver sollievo, ma soprattutto per trovare la forza di compiere la tua volontà.
«Quanto duro sarebbe il mio cuore se davanti alla passione di Gesù non mi decidessi a seguirlo nel cammino che mi ha assegnato, quello dell'umiliazione, della rinuncia, del completo abbandono di me stessa!»
Quel venerdì sera, dopo aver contemplato il Redentore crocifisso, scrive:
«Signore, eccoti sulla croce! Tu stai per morire e il tuo Cuore sta per aprirsi per me. Cuore del mio Gesù, mostrami quell'apertura e lasciami penetrare fino in fondo!
«La mia dimora è nel suo Cuore. Là resterò nascosta, là lavorerò, soffrirò, mi consumerò!... Più sarò piccola, più potrò discendere fino in fondo a quell'abisso di Amore... Che gioia conoscere quel Cuore e divenire sua sposa!...»
Poco dopo Josefa rinnova le sue promesse con tutta la spontaneità del suo fervore.
«Signore! Sono capace di ben poco, ma ti prometto di seguire il cammino che mi hai indicato. Se vacillerò (ed avverrà più di una volta) non perderò coraggio, ma Ti amerò più ancora per la tenerezza che hai per me, Tu che mi ami come se non Ti avessi mai offeso! Anche se cadrò, mi rialzerò subito per correre al tuo Cuore».
Il sabato 15 luglio, vigilia dei voti, Josefa trascorre la giornata nell'attesa della sua felicità. La sua gioia è così fresca e grave nello stesso tempo che deve rapire il Cuore di Colui che si compiace nella semplicità e nell'ardore dell'amore.
«Giorno per me di profonda pace, mentre aspetto il momento che mi unirà per sempre a Lui - scrive. - Quando verrà, non deve trovare niente in me che gli dispiaccia o che possa impedire il suo ingresso... Purificare bene la dimora dell'anima mia. Sto per sposare un Re che porta ricchezze sovrabbondanti. Mettere da parte il mio povero giudizio per pensare come Lui, volere come Lui, assoggettarmi in tutto ai suoi gusti».
Verso mezzogiorno il nemico tenta un ultimo sforzo, ma invano... Josefa non lo vede e ne ode soltanto la voce:
«Sei ancora in tempo - ruggisce- se vuoi essere felice: parti, altrimenti ti brucerò!»
Ma quest'ombra non diminuisce affatto la sua gioia. Durante la serata ella scrive a lungo ciò che il suo cuore contiene d'intenzioni e di desideri,
«così numerosi - dice - che domani non avrò il tempo di esporli tutti a Nostro Signore. Metterò questa lettera sul mio cuore ed Egli la leggerà durante il mio ringraziamento, mentre avrò appena pronunciato i voti, e non potrà rifiutarmi nulla!»
Questo foglio, conservato preziosamente, testimonia l'affetto purissimo di Josefa per le persone che conosce. Ella moltiplica i nomi cari al suo cuore e con una scrittura sempre più serrata, accumula le intenzioni che le prorompono dall'anima con una carità che si estende fino all'estremità della terra e abbraccia la Chiesa, la Francia, la Spagna e tutto il mondo. In questo momento solenne della vita si sente potente sul Cuore divino e partecipa più che mai alla sete infinita del Redentore.
«Quanto a me - scrive nel terminare - mi do tutta a Te corpo e anima, col solo desiderio di glorificare il tuo Cuore che amo tanto... Fa' che tutto il mondo ti conosca e che le anime a Te consacrate ti amino sempre di più... Nulla potrà più separarci, né la vita, né la morte! Infiammami del tuo amore e non darmi altra consolazione che quella di consolare il tuo Cuore...
«Ricevi questa lettera dalle mani della santissima Vergine. Quaggiù e per l'eternità sono ormai:
«Maria Josefa Menéndez di Gesù».
La giornata ha fine nella luce radiosa di Nostro Signore che si avvicina e la notte è piena di desideri. Tutto ormai è pronto per l'offerta che sta per compiersi.

L'OFFERTA • 16 LUGLIO - 7AGOSTO 1922 ♦ Pag.228

Vedi come ti sono stato fedele... ora comincerò la mia opera... (N. Signore a Josefa -16 luglio 1922).

Una giornata di cielo sta per sorgere nel vecchio convento dei Feuillants! In quella casa, dove le funzioni di vestizione e di primi voti si succedono frequentemente, un accrescimento di fervore e di letizia accompagna sempre le privilegiate che si accostano all'altare per la loro offerta. Tutta la famiglia religiosa vi prende parte e mai come in quella circostanza il motto del Sacro Cuore: «Cor unum et anima una in Corde Jesu» appare così vivo.
Ma in quel mattino del 16 luglio 1922 nessuno ha conoscenza delle meraviglie che si realizzano
nell'anima sposa che si consacra a Gesù, la piccola Josefa Menéndez. Dio l'ha gelosamente custodita all'ombra della Sua faccia, ne ha fatto l'opera Sua, l'ha formata, lavorata, stritolata, per adattarla alla Sua mano, l'ha guidata attraverso le Sue vie, annientando i piani di Satana. La misericordia divina trionfa in questa miseria, l'onnipotenza in questa debolezza! Oggi Egli la conduce all'adempimento dei Suoi disegni. L'unione che sta per compiersi tra poco in faccia al cielo e alla terra consacrerà Josefa, non per godere di Lui, ma per aiutarlo nell'Opera di amore destinata ad essere tra lei e il Cuore divino consumazione di unità.
Josefa era sola a darsi a Dio in quel giorno. Alle otto del mattino, nella cappella dei Feuillants, adorna di fiori estivi, piena di alunne che circondano le sue madri e sorelle, Josefa fa la sua entrata nell'allegrezza raccolta di una felicità che non è della terra. La sua cara mamma e la sorella Angela venute da Madrid sono là esse pure; le sa vicine e questi «due amori del suo cuore», come dice, fanno parte della sua offerta. La sorella Mercedes, religiosa del Sacro Cuore, si unisce alla gioia di famiglia dalla casa di Las Palmas (Isole Canarie).
Nulla nell'atteggiamento, nel volto calmo e raggiante, rivela la misteriosa vicinanza del cielo.
Nel silenzio della preghiera interrotta da canti liturgici, la cerimonia si svolge col suo rito abituale. Dopo la breve esortazione del celebrante, che rivela l'austera letizia della consacrazione religiosa, Josefa avanza verso la balaustra dell'altare. Risponde con voce ferma alle domande che le vengono rivolte e, a quest'ultima:
«Prendete Gesù Cristo per vostro sposo liberamente e con tutto il cuore?» L'anima sua vibra tutta nella risposta: «Sì, Padre, con tutto il cuore!» Riceve la croce sulla quale è confitto Colui che ormai deve essere il suo modello e l'unico oggetto del suo amore, e il velo nero di cui si dice: «Ricevi il giogo del Signore, poiché dolce è il suo giogo e leggero il suo peso».
Incomincia poi la santa Messa e al momento solenne della Comunione, sola alla sacra mensa, mentre il Sacerdote tiene elevata davanti a lei l'Ostia Santa, Josefa pronunzia lentamente, in tutta la pienezza della sua volontà e del suo amore, i voti che la uniscono per sempre al Sacro Cuore di Gesù... Momento commovente, se si pensa a quale prezzo è stato acquistato, e tra quali tempeste la navicella ha approdato al porto, e quali miracoli di amore le scopre per sempre il Cuore divino che ella ha rapito con la sua piccolezza.
Mentre gli sguardi di tutti si posano sulla semplicità dell'offerta, un altro spettacolo attira l'ammirazione del cielo.
Qualche istante dopo, ancora immersa nel rapimento, Josefa scrive, per non perderne mai il ricordo, ciò che il Signore si è compiaciuto di compiere in lei.
«Dopo l'esortazione - scrive - sono avanzata verso l'altare per ricevere il Crocifisso dei voti e il velo nero. Allora improvvisamente ho visto la Madonna, bellissima, tutta vestita di luce. Teneva tra le mani un velo e quando ritornai all'inginocchiatoio Ella lo posò sul mio capo. Intorno a Lei vidi apparire come a farle corona molte testoline risplendenti. Si sarebbero detti visetti di bimbi, con gli occhi e il volto illuminati di gioia. Con dolcezza incomparabile Ella mi disse:
«Figlia carissima, mentre tu soffrivi queste anime tessevano per te questo velo! Tutte quelle che desideravi hanno lasciato il purgatorio e sono ora in cielo per l'eternità! Là esse ti proteggono».
«Era proprio un quadro incantevole! La Madonna appariva come una Regina, con un aspetto tanto bello, pieno di purezza e di tenerezza. Aveva una tunica d'oro e le mani verginali, così bianche e delicate! E poi quelle anime... quelle testoline così numerose... era magnifico! Non posso dire quale impressione ne ebbi. Con quel velo sul capo e il mio Crocifisso non sapevo che dire... Mi lasciavo inondare di felicità... e non potevo far altro...
«Quando la Madonna ebbe finito di parlare, le testoline scomparvero una dietro l'altra. Ella mi diede la sua benedizione e disparve anche Lei. Credetti di trovarmi in cielo.
«Quindi giunse il momento di leggere, e con quanta gioia e con quanta emozione, la formula dei voti. Poi feci la Comunione. Allora vidi Gesù, così bello! Aveva il Cuore infiammato e la ferita tutta aperta; ne usciva come una forza che mi attirò, mi fece entrare fino in fondo e mi trovai perduta in quel Cuore.
«- Ora sono contento - disse - perché ti tengo prigioniera nel mio Cuore. Da tutta l'eternità sono tuo: ora tu sei mia per sempre! Tu lavorerai per me, Io lavorerò per te. I tuoi interessi sono i miei, i miei sono i tuoi. Vedi come ti sono stato fedele!
«Ed ora sto per cominciare l'opera mia».
«Quindi scomparve».
Qualche ora dopo nel suo taccuino lascia traboccare la pienezza dei suoi sentimenti in queste righe:
«Gesù è venuto, l'unione è compiuta! Ma sa bene Lui quanto io sia miserabile, e che malgrado il desiderio di piacergli e di amarlo, chissà quante volte ancora Gli farò dispiacere?... Sì, lo sa meglio di me! ma mi ama... e ciò non importa! Egli è pronto a riparare le mie mancanze, e per questo mi ha dato il suo Cuore».
Allora cerca di determinare gli impegni che la legano al Cuore di Gesù:
«O Gesù! Grazie per questo incomparabile dono dei voti!
«Il mio voto di povertà! Che cosa ho voluto con esso?... So che ormai non ho più diritto a niente:
tutto quello che mi vien dato in uso è un'elemosina che mi si fa. Ho poi lasciato tutto quello che più amavo sulla terra: la mamma, la sorella, la casa, la patria, per non possedere altro che Gesù Cristo... Ma sopra tutto devo spogliarmi di me stessa... Gesù sarà il mio tutto, e non avrò altro desiderio ed altra ambizione che Lui! Egli è la mia forza e la mia pace: non voglio che Lui, niente che non mi conduca a Lui.
«Il mio voto di castità! Oh, quanto sono felice nella vita religiosa! Chi potrà rapirmi tale tesoro? Il mondo non esiste più per me: mi trovo in un giardino chiuso, i cui fiori sono tutti differenti. Vivrò sempre in questo giardino, fra questi fiori, riservata al Giardiniere divino.
Egli mi coltiva e io lo rallegro. Mi ama e io l'amo! Tutto il resto, per me è nulla!... O purissimo Gesù! Sposo delle vergini! Ti amo perché sei la purezza per essenza, quella che ha attirato il mio cuore fin dai primi anni! "Gesù è lo sposo delle vergini". Questa parola è stata sufficiente per farmi gustare gli incanti riservati alle tue spose e fin d'allora la mia anima è stata il piccolo fiore che non desidera spandere profumo se non per te! O Gesù! concedi al piccolo fiore di non perdere mai il candore della grazia, né l'amore alla verginità.
«E il mio voto d'obbedienza? - aggiunge ancora. Esso mi lega alle mie legittime superiore, e mi fa vedere in esse Te che mi parli e mi manifesti la tua volontà. Ma il mio amore deve spingermi più in là, e non soltanto devo obbedire ad ogni autorità qualunque essa sia, ma anche alla voce interiore che mi parla all'anima e che talvolta fingo di non sentire, perché mi costa fare quanto mi dice, o dire ciò che mi ordina di trasmettere. Sì, Signore, obbedirò per amore, senza domandare il come, né il perché, senza esitare né mormorare, perché non è più la mia volontà, ma la Tua, Gesù, che vive in me, e tutto questo per amore tuo».
E conclude:
«Tutto il giorno mi sono sentita così felice che non sapevo più che cosa dire a Gesù e alla Madonna...»
Infatti sembrava avvolta di una pace celeste e tutta immersa in Dio. Ma semplice, buona come sempre, attenta a tutte e a tutto, passò la giornata dei voti ad irraggiare attorno a sé la gioia del suo cuore. Andò premurosa dalle malate e dalle inferme per il bacio di pace che non aveva potuto scambiare con loro in cappella. Incontrarla era per tutte come un raggio di gioia e un'espansione di carità. La mamma e la sorella poterono largamente goderla nelle ore che consacrò loro mostrandosi, qual era rimasta, tenera figlia e sorella maggiore piena di delicatezza e di soprannaturale tenerezza.
Venuta la sera, in una lunga adorazione davanti a Gesù esposto, ritrova il silenzio di cui ha tanta sete per ripetere a Gesù l'offerta che l'ha consacrata al suo Cuore. I giorni seguenti rendono più pieno il dono, fino al momento in cui il Signore le svelerà il piano del suo Cuore, realizzando così la parola intesa la mattina dei voti.
«- Adesso sto per cominciare la mia opera».
«Il martedì 18 luglio - scrive - al suono della campana della sera, lasciai la mamma e mia sorella per recarmi in cappella. Camminando dicevo a Gesù che non si dolesse se in questi giorni gli parlo poco direttamente e di prendere per sé ciò che dico a loro, perché Egli sa bene che faccio tutto per amore suo. Nel momento in cui entra nell'oratorio di S. Maddalena Sofia, improvvisamente Nostro Signore le appare:
«- Josefa, mia sposa, non temere! Io sono tanto contento come se tu stessi con me. Vedimi in loro, e vivi in pace!».
«Il sabato 22 luglio, al principio della Messa, Egli è venuto bellissimo - scrive. - Con una mano sosteneva il suo Cuore, con l'altra mi faceva cenno di avvicinarmi».
«- Ecco la prigione che ti ho preparata da tutta l'eternità, - disse. - Nel mio Cuore vivrai inabissata e nascosta per sempre!»
«Dopo la Comunione aggiunge:
«- Josefa, mia sposa, lascia che mi dilati in te. La mia grandezza farà sparire la tua piccolezza.
Ormai lavoreremo sempre uniti. Io vivrò in te e tu vivrai per le anime».
E siccome gli ricorda quanto è debole...
«- Lasciati condurre!... Il mio Cuore farà tutto, la mia misericordia agirà e il mio amore annienterà tutto il tuo essere».
«Ieri - scrive ancora - la Madonna è venuta nella mattinata».
Questa Madre veglia infatti quasi temesse che la figlia possa dimenticare i pericoli sempre nascosti sul suo cammino.
«- Sta' in pace, figlia mia - disse. - Non riservarti nulla e non occuparti che del momento presente. Gesù condurrà te e le tue Superiore. Non separarti mai da loro, conservati fedele e sottomessa al volere di mio Figlio, soprattutto nelle ore difficili».
Quindi dopo qualche raccomandazione aggiunge:
«- Il mio divin Figliuolo vuol servirsi di questo piccolo strumento per la sua gloria e ciò malgrado tutti gli sforzi del nemico».
Così ella viene a conoscere dalla Madre sua che il nemico non è scomparso per molto tempo, perché se non ha potuto strapparla alla sua vocazione, almeno tenterà di rovinare il piano d'amore che si svolge giorno per giorno nella sua vita. Josefa dapprima è sconcertata nel ritrovarsi così debole, nonostante la grazia dei voti, di fronte alle tentazioni di cui, purtroppo, ha la dolorosa esperienza8.
«Il mercoledì 26 luglio, confidavo alla Madonna questa mia grande pena - scrive. - La pregavo di chiedere perdono a Gesù, di ripetergli la mia felicità di appartenergli e che il mio unico desiderio è di amarlo! Ma che si degni considerare la piccolezza mia!... Le parlavo così a cuore aperto, quando Gesù comparve improvvisamente, mi si accostò e disse:
«- Non temere! Sono il tuo Salvatore e il tuo Sposo! Oh, quanto le anime poco comprendono queste due parole! Ecco l'opera che voglio compiere per tuo mezzo: il desiderio più ardente del mio Cuore è la salvezza delle anime, e voglio che le mie spose, specialmente quelle del mio Cuore, sappiano bene con quanta facilità possono darmi anime. Farò loro conoscere per tuo mezzo il tesoro che così spesso disperdono perché non approfondiscono bene queste due parole: Salvatore, Sposo».
Il giorno dopo, giovedì 27, la Madonna le si manifesta durante la preghiera della sera:
«- Figlia mia cara, non affliggerti per le tue mancanze. Cadrai ancora più di una volta9 ma l'amore ti rialzerà sempre, poiché sei sostenuta da uno sposo che ti ama e che è il tuo Dio».
Dopo alcuni giorni, la sera della domenica 30 luglio, Maria annuncia alla sua figliuola la croce di Gesù:
«- Questa notte Egli ti porterà la croce!»
«E, appoggiandomi la mano sulla spalla - scrive Josefa - aggiunse:
«- Non considerare la tua piccolezza: pensa al tesoro che ti appartiene; poiché se sei tutta sua, Egli è tutto tuo!»
Poche ore dopo, nella notte, Gesù, circonfuso di luce radiosa, le porta quella croce che da parecchio tempo non le aveva più dato.
«Josefa, mia sposa, vuoi condividere la croce del tuo sposo?»
«E posandola sulla mia spalla destra:
«- Ricevila con gioia e portala con amore, poiché è per le anime che amo tanto! Non ti sembra meno pesante ora che nel passato?... Adesso siamo uniti per l'eternità, e niente può più separarci!».
La lascia accudire al suo lavoro nella giornata: sa che è sempre pronta a consolarlo nelle ore di riposo.
«Nella notte tra il sabato 5 e la domenica 6 agosto -scrive - mi ero già addormentata quando la sua voce mi ha svegliata:
«- Josefa, sposa mia».
«Era lì, tanto bello, in piedi con la croce, tutto circonfuso di luce! Subito mi sono alzata».
«- Vengo a portarti la mia croce».
«La depose sulla mia spalla: Gli dissi la mia gioia e il mio desiderio di dargli sollievo, malgrado la mia piccolezza».
«- Te la porto di notte perché durante il giorno la do alle mie spose».
Allora Josefa gli parla subito delle anime e soprattutto dei peccatori, suo pensiero dominante:
«Sì: molte anime mi offendono, molte si perdono; - risponde con tristezza - ma quelle che feriscono più il mio Cuore sono anime che amo tanto e che tuttavia si riserbano sempre qualche cosa e non si danno interamente a me. Eppure, non do loro prove sufficienti di amore?... non do loro tutto il mio Cuore?»
«Gli ho chiesto perdono per quelle anime e per me, che tanto spesso mi riservo qualcosa:
- prosegue umilmente - l'ho supplicato di ricevere in riparazione gli atti e l'amore di quelle anime che desiderano consolarlo, ed Egli con bontà mi ha risposto:
«- Questo è ciò che voglio: riparare le miserie delle une con gli atti delle altre».
Quella notte passata sotto la croce fu davvero la preparazione immediata che conveniva alla domenica 6 agosto 1922 che rimarrà nella storia di Josefa una data memorabile come inizio e preludio dell'opera a cui viene destinata. Ma il Maestro divino, che non può agire se non per mezzo del nulla dei suoi strumenti, vuole anche sottolineare questa esigenza del suo Cuore.
Ella scrive:
«Dopo la Comunione, Gesù è venuto bellissimo. Il suo Cuore era dilatato e la ferita largamente aperta. Mi guardò dapprima, poi con una grande compassione mi disse:
«Miseria, nulla: questo è il tuo nome. Piccola vuol dire ancora qualche cosa, ma tu, Josefa, sei niente!»
«Diceva queste parole con tanto amore che l'anima mia si aprì alla fiducia e:
«Sì, è vero, o Signore, sono niente e vorrei essere ancora meno, perché il niente non ti resiste né ti offende, giacché non esiste, ed io, ti resisto... ti offendo!...»
«Durante la seconda Messa è ritornato e accostandomi al suo Cuore ha proseguito:
«- Sei proprio convinta del tuo nulla?... Ormai le parole che ti dico non si cancelleranno mai più!»
«Ho risposto quanto abbia paura che Egli voglia mettere nelle mie mani l'Opera d'amore, perché sono capace di guastar tutto, malgrado i miei buoni desideri. Dal suo Cuore scaturì allora una fiamma che m'infuocò».
«- Incomincia l'Opera mia aggrappata alla mano di mia Madre! Non basta ciò per darti coraggio?»
Il cuore di Josefa sussultò di gioia a questa domanda.
«Sì, o Signore - risponde con slancio - un gran coraggio e una grande fiducia! Dimmi ciò che potrei fare per ottenere da questa Madre cara che non mi lasci mai tradire l'Opera tua, che mi conservi sempre fedele ai tuoi disegni, che mi protegga e che il tuo Cuore mi sostenga perché è il mio unico desiderio!»
Allora, dopo un istante di silenzio, Gesù risponde come se si raccogliesse prima di pronunziare parole di somma importanza:
«- Poiché il mio Cuore vuole servirsi di vili strumenti per compiere la più grande Opera del suo amore, ecco ciò che farai in preparazione ad essa, durante i giorni che precedono l'Assunzione di mia Madre:
«Approfondirai bene il nulla dei miei strumenti.
«Ti affiderai interamente alla misericordia del mio Cuore e prometterai con tutta l'anima di non resistere mai alle mie richieste per quanto possano sembrarti crocefiggenti.
«Giovedì farai l'ora santa per consolare il mio Cuore delle resistenze delle anime scelte.
«Venerdì ti chiedo un atto di riparazione per le offese e le pene che ricevo da queste anime».
La sera mentre scrive queste righe, Josefa è colpita dal ricordo dell'accento grave e solenne con cui il Signore le ha parlato. Non osa proseguire temendo di non ricordarsi esattamente le sue parole e di alterare così il pensiero del Maestro. Ecco che improvvisamente le appare e:
«Lui stesso - scrive - mi ha detto così:
«- Poco m'importa! Quando tu scriverai Io ti dirò tutto. Nessuna delle mie parole andrà perduta!
Niente di ciò che ti dico verrà mai cancellato. Poco importa che tu sia miserabile e piccola fino a questo punto! Sarò Io che farò tutto!
«Dimostrerò che l'Opera mia poggia sul niente e sulla miseria e che questo è il primo anello della catena di Amore che preparo alle anime da tutta l'eternità. Mi servirò di te per mostrare che amo la miseria, la piccolezza, il niente.
«Farò conoscere alle anime fino a qual punto il mio Cuore le ama e le perdona, e come mi compiaccio delle loro stesse cadute... sì, scrivilo... me ne compiaccio! Leggo nel fondo delle anime e vedo il loro desiderio di piacermi, di consolarmi, di glorificarmi... e l'atto di umiltà che sono costrette a fare vedendosi così deboli, è proprio quello che consola e glorifica il mio Cuore.
«Poco importa la loro debolezza: supplisco Io a tutto ciò che loro manca.
«Farò conoscere come il mio Cuore si serve della stessa debolezza per dare vita a molte anime che l'hanno perduta.
«Farò conoscere che la misura del mio amore e della mia misericordia verso le anime cadute non ha limite. Desidero perdonare, mi riposo perdonando. Sono sempre pronto, aspettando con amore che le anime vengano a me. Non si scoraggino! Vengano e si gettino nelle mie braccia! No, non temano affatto: sono il loro Padre!
«Molte mie spose non comprendono abbastanza quello che possono fare per attirare al mio Cuore delle anime immerse in un abisso d'ignoranza, senza sapere quanto Io desidero avvicinarle a me per dar loro la vita... la vera vita.
«Sì, t'insegnerò i miei segreti di amore, Josefa, e tu sarai un esempio vivente della mia misericordia, poiché se ho tanto amore e predilezione per te, che non sei che miseria e niente, che cosa non farò per altre anime molto più generose di te?»
«Mi ha permesso di baciargli i piedi ed è scomparso».
D'ora innanzi ogni volta ch'ella dovrà trasmettere il Messaggio che il Cuore di Gesù vuole comunicare al mondo, Egli stesso sarà presente. Egli parlerà con la più ardente effusione di amore e Josefa trascriverà volta per volta gli inviti pronunziati dal labbro divino.
Nei suoi quaderni si trovano sottolineati con inchiostro rosso questi passi per farne rilevare l'eccezionale valore.
«Il lunedì 7 agosto, dopo la Comunione - dice - Gesù è venuto bellissimo».
«- Che vuoi dirmi, Josefa?»
«Signore, per obbedire, rinnoverò i miei voti alla tua presenza».
(Ricordiamo l'ordine che le era stato dato da parecchi mesi per evitare ogni inganno del demonio).
«Mentre li rinnovavo, Egli mi guardava con tenerezza e compassione.
«- Vieni: poiché sei niente, entra nel mio Cuore. È così facile al niente di perdersi in questo abisso di amore!»
«Allora mi ha fatto entrare nel suo Cuore» - continua Josefa, impotente ad esprimere qualcosa di quel misterioso privilegio.
Allorché esce da quell'abisso imperscrutabile, Egli dice:
«- In questo modo consumerò la tua piccolezza e la tua miseria. Agirò in te, parlerò per tuo mezzo, mi farò conoscere per mezzo di te.
« Quante anime troveranno la vita nelle mie parole! Quante riprenderanno coraggio comprendendo il frutto dei loro sforzi! Un piccolo atto di generosità, di pazienza, di povertà... può divenire un tesoro capace di acquistare al mio Cuore un gran numero di anime... Tu, Josefa, presto sparirai, ma le mie parole rimarranno» 10.
«Allora gli ho esposto i miei timori, poiché ho sempre paura di non essere fedele. Mi ha fissato e con una bontà inesprimibile ha aggiunto:
«- Non temere. Ti maneggerò come converrà meglio alla mia gloria e al bene delle anime. Abbandonati all'Amore, lasciati guidare dall'Amore, e vivi perduta nell'Amore! 11»


LIBRO SECONDO ♦ IL MESSAGGIO DELL'AMORE ♦ (PRIMA PARTE) ♦ Pag.243

PRELIMINARI
Allora il piano divino di quest'opera di amore apparirà meglio nel duplice disegno che sembra riassumerlo e permetterà di ammirarlo in tutti i suoi particolari, come Gesù stesso si esprimerà.
Ciò che anzitutto risalta negli insegnamenti del Cuore divino, come nella sua azione su Josefa è l'impronta dottrinale che mette in rilievo i principi direttivi della fede cattolica. Sembra che Nostro Signore abbia voluto ricordarli alle anime in una divina azione pratica.
Il sovrano dominio del Creatore sulla creatura, e ciò che esige di dipendenza e di abbandono alla sua condotta, appare in primo luogo come il solido fondamento del vero amore.
Nello stesso tempo tutta la storia di Josefa è quella della Provvidenza che non si inganna mai nelle sue vie: «Occorre - Egli aveva detto un giorno - che essendo così piccola, ti lasci condurre dalla mia mano paterna, potente e infinitamente forte (26 maggio 1923). Ti adopererò come conviene alla mia gloria e al bene delle anime (7 agosto 1922). Non temere affatto, poiché ti custodisco con cura gelosa, come la più tenera delle madri il suo bambino! (3 maggio 1923). Magnifica definizione della fedeltà divina che può sempre dirci, ad ogni svolta del nostro cammino, come diceva a Josefa: «Non manco mai alla mia parola!» (25 luglio 1921).
La presenza della grazia che vivifica l'anima, fondamento della sua incorporazione a Cristo, è ricordata incessantemente: «Io sono in lei - dice - vivo in lei. Mi compiaccio di fare una cosa sola con lei» (5 dicembre 1923). Ma in ricambio Egli chiede che non Lo lasci mai solo, che Lo consulti in tutto, che si rivesta di Lui e sparisca in Lui: «Più tu scomparirai, più Io sarò la tua vita» (5 giugno 1923). Ciò non commenta forse il detto di S. Paolo: «Vivo, però non più io, ma vive in me Cristo»?
Allora viene messo in luce il valore di quella vitale unione con Lui che trasforma le minime attività umane ricoprendole con l'oro del soprannaturale. Più volte, e in modo tangibile, Nostro Signore si degnò mostrare a Josefa ciò che l'amore può fare delle minime azioni compiute con Lui. Così intendeva rianimare nelle anime la felicità di credere a questa ricchezza alla portata di tutti.
«-Quante anime - diceva - riprenderanno coraggio comprendendo il frutto dei loro sforzi (7 agosto 1922) e quanto grande sia il valore di una giornata di vita divina!» (2 dicembre 1922).
Qui noi ci addentriamo nel dogma che è come il punto vitale di questo magnifico insegnamento, quello della partecipazione ai meriti infiniti di Cristo. Nostro Signore ricorda di continuo a Josefa il potere che l'anima battezzata possiede sopra i tesori della Redenzione. Se Egli le chiede di compiere in sé ciò che manca alla passione di Lui, di riparare per il mondo e di soddisfare la giustizia del Padre, è sempre con Lui, per Lui, in Lui. «Il mio Cuore è vostro, prendetelo e riparate per mezzo suo» (15 ottobre 1923).
Sgorgano allora dal labbro divino quelle offerte onnipotenti sul Cuore del Padre, che Josefa ha raccolte e trasmesse a noi: «Padre buono, Padre santo, Padre misericordioso! Ricevi il sangue del Tuo Figlio... le sue Piaghe... il suo Cuore! Guarda il suo capo trafitto di spine... non permettere che quel sangue sia una volta di più inutile...(26 settembre 1922).Non dimenticare che ancora non è giunto il tempo della giustizia, ma quello della misericordia!» (11 febbraio 1922).
La grande realtà della Comunione dei Santi appare infine come l'orditura della vocazione di Josefa, lo sfondo del quadro nel quale la sua vita si svolge. Maria, Mediatrice di tutte le grazie e Madre di misericordia, tiene un posto riservato nel centro di questo meraviglioso scambio di grazie e di meriti, tra i santi del cielo, le anime in purgatorio e quelle militanti quaggiù... solo l'inferno ne è escluso. Josefa, piccolissimo membro del Corpo Mistico di Cristo, impara dal Maestro quale ripercussione abbiano nel mondo delle anime la fedeltà, il sacrificio, la sofferenza e la preghiera.
Ma al di sopra di queste lezioni dottrinali, pur di tanto valore, il Messaggio diretto che il Cuore di Gesù le affiderà per trasmetterlo al mondo, è un invito di amore e di misericordia. Un giorno essa rivolgerà al Maestro questa domanda: «Signore, non comprendo che cosa sia quest'Opera di cui mi parli sempre».
«Non sai che cosa sia la mia Opera? - Egli risponderà - Essa è opera d'amore. Voglio servirmi di te per manifestare sempre più la misericordia e l'amore del mio Cuore. Le parole e i desideri che trasmetto per tuo mezzo risveglieranno lo zelo di molte anime e impediranno la perdita di molte altre, e sempre più si verrà a conoscere che la misericordia del mio Cuore è inesauribile» (22 novembre 1922).
«Di tempo in tempo - dirà un'altra volta - ho sete di fare udire un nuovo invito d'amore. (29 agosto 1922) È vero che non ho alcun bisogno di te... ma lascia che ti chieda amore, e che per mezzo tuo Mi manifesti una volta di più alle anime» (15
dicembre 1922).
Questo gran disegno di amore fu effettivamente confidato a Josefa attraverso le comunicazioni celesti che vanno scaglionandosi negli ultimi mesi della sua vita. Nell'ora e nel giorno di sua scelta Gesù le darà convegno nella piccola cella dove già così spesso le aveva aperto il Cuore e offerto la sua croce. Ma non potrà prevedere queste chiamate. A volte Egli la vorrà per parecchi giorni di seguito pronta a scrivere sotto la sua dettatura; a volte interromperà il seguito del suo Messaggio per intere settimane. Talora non le detterà che qualche riga in fretta; tal altra la terrà a lungo inginocchiata, per raccogliere, mentre Egli parla, i segreti del suo Cuore.
Egli vuole regnare mediante una conoscenza più sicura della sua bontà, del suo amore e della sua misericordia. Questa è la testimonianza che è venuto a rendere in questo mondo a suo Padre: Deus caritas est: questo è ciò che vuole che i suoi sappiano e dicano di Lui.
Egli vuole con questa nuova effusione del suo Cuore ottenere non soltanto la reciprocità di amore, ma la risposta di fiducia che Gli è ancora più cara, perché è la prova dell'amore più tenero e la sorgente dell'amore più generoso.
Eglivuoleattrarreerifareleanimeinquestafedenellamisericordiosabontàcheilmondonon comprende abbastanza e a cui soprattutto non crede abbastanza.
Egli vuole rianimare le sue anime scelte con una sicurezza più viva nel suo Amore, con una esperienza più profonda del suo Cuore adorabile di cui chiede ad esse di manifestare i lineamenti divini a coloro che Lo conoscono poco o non Lo conoscono affatto.
Egli vuole che questo invito risvegli le anime assopite... rialzi le cadute... sazi le affamate... e ciò fino all'estremità della terra... Ed esprime tale ardente desiderio in un modo così risoluto che non si può rimanere insensibili a questo ardente invito dell'Amore.
Nello stesso tempo Egli ricorda ai suoi, che, secondo l'ordine costante della Provvidenza, i suoi disegni dipendono in parte dalla libera cooperazione delle anime. Questa cooperazione la chiede a tutte quelle che valuteranno la portata dei suoi piani e l'ardore della sua attesa, come pure il senso dei suoi mezzi di redenzione: «Allorché le anime conosceranno i miei desideri - diceva - non risparmieranno nulla, né fatiche, né sforzo, né sofferenza!» (5 dicembre 1923). Fu così appunto che Josefa comprese quella sete e quella fame divine che dovevano in breve tempo consumare la sua vita.

SOMMARIO

CAPITOLO 07LA PREFAZIONE AL MESSAGGIO

LE PRIME RICHIESTE • 8 AGOSTO - 30 SETTEMBRE 1922 ♦ pag.251

Ho bisogno di far udire un nuovo invito d'amore! (Nostro Signore a Josefa, 29 agosto 1922).

Il mese di agosto è appena incominciato, tre settimane sono già trascorse dalle grazie celesti del 16 luglio e dei giorni seguenti, e sembra che nulla sia cambiato nella vita di Josefa. E tutta assorta nel suo lavoro come al solito, con la consueta fedeltà e l'ardore abituale. Forse il velo nero le conferisce un irraggiamento di più espansiva carità e di profondo raccoglimento mentre si è di nuovo nascosta nell'ombra che tanto conviene alla vita intima dell'anima sua. D'altra parte Dio si accinge a scavare in lei il nulla dello strumento, e questo ben delineato disegno d'amore non può compiersi che nell'ombra e nel silenzio. Il giovedì 10 agosto 1922 Josefa scrive:
«Non so come ciò avvenga, ma da otto giorni ho di me stessa una conoscenza tale, come mai nel passato. Non posso dire la tristezza e la confusione che mi hanno assalito a questa vista, soprattutto pensando alla bontà di Gesù!»
Il lunedì 14 agosto, vigilia dell'Assunzione, aggiunge:
«Oggi, mentre cucivo, mi è venuta questa idea: perché sono così poco generosa e temo sempre la sofferenza?... Ho capito che troppo poco tengo fisso lo sguardo su di Lui, e ancora troppo su me stessa! Non posso continuare così, tanto più che la mia vita sarà breve, e presto non potrò più lavorare alla Sua gloria! Ho chiesto di fare l'ora santa per consolarlo della mia poca generosità, e un giorno di ritiro per chiedergli di insegnarmi a fissare lo sguardo sulla sua volontà, la sua gloria, il suo Cuore... senza più occuparmi di me!»
Il martedì 15 agosto, sotto la protezione della Madre celeste, passa una giornata di ritiro.
«Appena svegliata scrive mi sono messa vicino a Gesù e Gli ho chiesto d'insegnarmi ad amarlo di vero amore: è l'unico mio desiderio!»
Nostro Signore risponde alla richiesta immergendola nell'abisso del suo nulla. La riduce a nulla e la tiene così annichilita davanti al suo Volto.
«L'ho supplicato durante il ringraziamento della Comunione di darmi tanta fiducia nel suo Cuore e altrettanta confusione per le mie colpe».
Ma il Maestro dell'amore vuol farla discendere ancor più a fondo nella conoscenza della sua bassezza. Gliene darà la cognizione nettissima sebbene simbolica ed ecco in quali termini Josefa cerca di esprimerla:
«Nella mattinata del 15 agosto, senza rendermi conto di dove mi trovavo, mi sentii ad un tratto di fronte ad un luogo oscuro e caliginoso. Sembrava un giardinetto umido e tetro, pieno di erbacce, di cespugli spinosi i cui rami, nudi di foglie, si aggrovigliavano tra loro.
«Un leggero chiarore si è poi levato, come un raggio di sole, e ho potuto scorgere che quello sterpaio d'erbe e di spine ricopriva un'acqua limacciosa da cui si sprigionava un fetido odore. Poi tutto è sparito. Non comprendevo cosa tutto ciò significasse e andai in cappella senza pensarci più. L'unica cosa che chiedo oggi a Gesù è di amarlo di vero amore e fissare gli occhi su Lui solo. Ad un tratto è venuto bellissimo. Dal suo Cuore scaturiva un fascio di luce e mi ha detto con molto amore:
«Mia diletta, Io sono il sole che ti scopre la tua miseria. Più la vedi grande e più devono crescere la tua tenerezza e il tuo amore per Me. Non temere: il fuoco del mio Cuore consuma le tue miserie. Se l'anima tua è una terra infetta incapace di fruttificare, Io sono il giardiniere che la coltiva, manderò un raggio di sole per purificarla... e la mia mano seminerà... Rimani piccola, molto piccola!... Io sono abbastanza grande; sono il tuo Dio, sono il tuo Sposo! E tu la miseria del mio Cuore!»
Quel giorno dell'Assunzione anche la Madonna venne a ricordare alla sua figliola che di questa miseria appunto Gesù intendeva servirsi per l'Opera sua. Mentre Josefa e le consorelle recitano il Rosario nella cappellina del noviziato, la Madonna appare improvvisamente.
«Vestita - scrive Josefa - come nel giorno dei miei voti, il capo coronato di diadema, le mani incrociate sul petto e il cuore circondato da una corona di piccole rose bianche».
«- Questi fiori - disse guardando le novizie inginocchiate attorno alla sua statua - si cambieranno in perle assai preziose per la salvezza delle anime!»
E voltandosi verso Josefa:
«- Sì, le anime... ecco ciò che Gesù ama di più! Io pure le amo, perché sono il prezzo del suo sangue e quante di esse si perdono!... Figlia mia, non resistere ai suoi disegni, non rifiutargli niente! abbandonati tutta all'Opera del suo Cuore che non è altro che la salvezza delle anime!»
Poi dopo qualche consiglio personale aggiunge:
«- Non temere, figlia mia! La volontà di Gesù si adempirà! L'Opera sua si farà!» E disparve.
Questa affermazione materna che apre a Josefa la prospettiva dell'Opera in cui la volontà divina gradatamente la impegna, non manca di suscitare in lei un tumulto di apprensioni. Nulla rifiutare al piano che la riguarda sarà sempre il campo della sua lotta.
Il sabato 19 agosto, mentre lavora di cucito, Gesù appare e la chiama:
«- Va' e chiedi il permesso!»
Poco dopo la raggiunge nella cella ove, inginocchiata, rinnova i suoi voti. Di fronte a tanta bellezza essa non sa come esprimere il suo amore.
«- Sì, ripetimi che Mi ami - risponde - Mi compiaccio nella tua miseria!»
E siccome Josefa Gli espone la ripugnanza che non riesce a vincere, allorché deve manifestare alle sue Madri i desideri ch'Egli le rivela:
«Ciò che t'impongo di dire per quanto ti sembri duro, Josefa, è per il bene delle anime... Non si può sapere quanto Io ami le anime!»
Allora il suo Cuore si dilata e prosegue:
«- Non si può sapere quanto ami questa casa... Qui ho fissato i miei occhi; qui ho trovato la miseria per farne strumento del mio Amore. Ho affidato la mia croce a questo gruppo di anime, ed esse non la portano da sole perché Io sono con loro e le aiuto. L'Amore si prova con le opere. Ho sofferto perché le amo: tocca a loro di soffrire per amor mio! »
Due giorni dopo Gesù ricorda a Josefa che lo sguardo di fede deve sempre custodirla nel sicuro cammino dell'obbedienza. Sembra che prima di confidare i suoi più ardenti desideri per il mondo, voglia salvaguardare l'autenticità con questa dipendenza che sarà fino alla fine l'esigenza e il segno della sua presenza.
«- Comprendilo bene le dice il lunedì 21 agosto - sono Io che conduco tutte le cose e non permetterò mai che tu sia guidata per un cammino che non sia il mio. Affidati, e non guardare che Me, la mia mano che ti conduce e la mia tenerezza che ti avvolge con amore di Padre e di Sposo».
Trascorrono i giorni lasciando Josefa in attesa delle disposizioni divine. Il giovedì 24 agosto, durante la meditazione, Gesù le appare e non le dice che queste parole:
«Chiedi per Me il permesso di parlarti!»
Josefa chiede il permesso, ma il Maestro non torna. Ciò non la turba, perché si abbandona alla libertà di Colui che solo desidera. Il martedì 29 agosto, nella mattinata, mentre essa cuce da sola nella sala comune delle sorelle, una voce ben nota la fa trasalire:
«Sono Io!»
Si getta in ginocchio e Gesù è là. Si prostra, adora, e lascia traboccare il suo cuore:
«Tu, mio Signore! Ti attendevo fin dall'altro giorno e cominciavo a temere di averti cagionato dispiacere!» «- No, Josefa; Io godo quando le anime Mi aspettano. Ce ne sono tante che non pensano a Me!»
«- Va' nella tua cella: verrò anch'Io».
Josefa si dirige subito nella stanzetta ove Gesù l'ha preceduta.
«Gli ho chiesto se era contento che rinnovassi i miei voti» - scrive.
«Sì - risponde - ogni volta che tu li rinnovi stringo con più forza i vincoli che ti legano a me».
«Allora L'ho supplicato di non permettere che io resista mai ai suoi disegni né che le mie mancanze Gli impediscano di compiere l'Opera sua».
«- Le tue miserie, Josefa, non Mi allontaneranno mai. Sai bene che sono esse che hanno attirato i miei occhi su di te!»
Dopo un lungo momento, Nostro Signore riprendendo a parlare:
«- Scrivi - dice con grande solennità - in qual modo le mie anime faranno conoscere il mio Cuore di Padre per i peccatori».
Mentre Gesù parla, Josefa scrive inginocchiata al suo tavolino:
«Io conosco il fondo delle anime, le loro passioni, la loro propensione per il mondo e i suoi piaceri. Da tutta l'eternità so quante anime ricolmeranno il mio Cuore di amarezza, e che per molte saranno inutili le mie sofferenze e il mio sangue... Tuttavia così come le amavo, le amo ancora... Non è il peccato che maggiormente ferisce il mio Cuore... ciò che lo strazia è che, dopo averlo commesso, le anime non vengono a rifugiarsi in Me.
«Sì, desidero perdonare e voglio che le mie anime scelte facciano conoscere al mondo come il mio Cuore, traboccante di amore e di misericordia, aspetti i peccatori!»
«A questo punto - nota Josefa - Gli ho detto che le anime lo sanno già, e che non dimentichi quanto io sia miserabile, capace solo di guastare i suoi piani».
«- So che le anime lo sanno - risponde con forza e bontà - ma di tanto in tanto ho bisogno di far udire un nuovo invito d'Amore. Ora è di te, piccola e vile creatura, che voglio servirmi. Tu non hai da fare altro che amarmi ed abbandonarti alla mia volontà. Ti terrò nascosta nel mio Cuore e nessuno potrà scoprirti.
Le mie parole saranno lette solo dopo la tua morte (12).
(12) Ja sé que las almas lo saben! Pero de tiempo en tiempo necesito hacer una nueva llmada de amor. Y ahora quiero servirme de ti, pequéna y miserable criatura. Nada tienes que hacer: ámame y queda abandonada a mi voluntad. Yo te tendré escondida en mi corazón. Nadie descubrirá, Sólo después de tu muerte se leeràn mis palabras"
«- Gettati nel mio Cuore: Io ti sostengo con immenso amore. Ti amo, non lo sai? Non te ne ho date prove bastanti?»
E siccome Josefa oppone ancora a questa predilezione le sue numerose mancanze:
«- Le ho viste da tutta l'eternità - Egli risponde semplicemente - e perciò appunto ti amo!» Due giorni dopo, il 31 agosto, Nostro Signore esprime nettamente la sua volontà.
«- Voglio che tu scriva, Josefa!»
E insiste ancora:
«Voglio parlarti delle anime che amo tanto. Voglio che esse possano sempre trovare nelle mie parole il rimedio alla loro infermità».
Tuttavia il giorno seguente non la invita a scrivere, ma propone alla sua generosità una di quelle imprese redentrici, lunghe e dolorose come ne ha già conosciute prima dei voti.
Anche quest'invito fa parte del Messaggio che Egli intende far leggere alle anime attraverso la vita stessa di Josefa.
Bisognadunque,inquestomesedisettembre1922,seguireilraccontodellaricercadiun'anima «amatissima» come Gesù stesso la qualifica, un'anima consacrata, un'anima di sacerdote. Al seguito di Josefa bisogna penetrare il dolore investigabile del Cuore divino per capire quale amore riparatore esso esiga e quale sofferenza redentrice.
«La sera del primo venerdì del mese, 1° settembre - scrive Josefa - al momento di coricarmi, mentre baciavo il mio crocifisso dei voti, Gesù è improvvisamente apparso bellissimo e mi ha parlato con grande amore delle anime, soprattutto di tre che ci ha affidate qualche giorno fa, e, come se improvvisamente questo pensiero opprimesse il suo Cuore, ha detto:
«- Due di esse sono ancora lontane, molto lontane da Me!... Ma quella che mi cagiona strazio maggiore è la terza! La mia giustizia non può agire con altrettanto rigore verso le due prime perché Mi conoscono meno: ma questa è un'anima consacrata, un religioso, un sacerdote... un'anima che Io amo... Essa stessa scava l'abisso ove cadrà se si ostina!»
La domenica 3 settembre, dopo la Comunione Josefa rivede il Maestro, splendente di quella bellezza che nessuna parola umana può esprimere.
Egli abbassa lo sguardo sulle religiose immerse nel ringraziamento della Comunione, il suo Cuore si infiamma e con ardore dice:
«- Ora sono sul trono che Io stesso mi sono preparato. Le mie anime non possono capire fino a qual punto riposano il mio Cuore accogliendolo nel loro, piccolo e misero certamente, ma tutto mio!... Poco m'importano le miserie, quello che voglio è l'amore. Poco M'importano le debolezze, ciò che voglio è la fiducia.
«Queste sono le anime che attirano sul mondo la misericordia e la pace: senza di esse la giustizia divina non potrebbe essere contenuta... Ci sono tanti peccati!»
«Allora - dice Josefa - il suo Cuore mi sembrò oppresso e ben presto fu tutto una ferita!... Ho tentato di consolarlo; mi ha guardato tristemente e ha continuato:
«- Sì: i peccati che si commettono sono innumerevoli ed innumerevoli le anime che si perdono... Ma ciò che strazia il mio Cuore riducendolo in questo stato sono le mie anime scelte... E quella che Mi offende!... Io l'amo ed essa Mi disprezza! Debbo sottomettermi fino a scendere sull'altare alla sua voce... a lasciarmi toccare dalle sue dita contaminate... e, malgrado lo stato orribile di quel cuore, penetrare in quel covo di peccati! Lascia che Mi nasconda nel cuore tuo, Josefa!
«Povera anima! Povera anima! Se sapesse quali tormenti si prepara per l'eternità!».
«L'ho supplicato di avere pietà di lei e Gli ho ricordato quanto il suo Cuore desideri perdonare. Gli ho offerto l'amore e i meriti della Santissima Vergine, dei Santi, di tutte le anime giuste della terra, anche le afflizioni della casa, in questo momento assai grandi!... Mi ha risposto:
«La mia giustizia non agirà fin tanto che troverò delle vittime che riparino».
Egli allora annunzia a Josefa che le farà sperimentare i tormenti dell'inferno riservati alle anime consacrate e infedeli.
«Così ecciterò il tuo zelo - dice - e le mie anime sapranno poi le pene a cui rischiano di esporsi».
Quindi parlando a Se Stesso ha proseguito:
«Anima che amo, perché mi disprezzi? Non è già troppo che i laici Mi offendano?... Ma tu, che Mi sei consacrata, perché Mi tratti così? Quale dolore per il mio Cuore ricevere tanti oltraggi da un'anima che ho scelto con tanto amore!»
Il lunedì 4 settembre, Josefa conobbe, secondo il preavviso del Maestro, l'inesprimibile dolore dell'inferno per le anime religiose. Dal luglio non aveva più avuto contatto con l'abisso dell'eterno dolore. Questa volta però aveva coscienza di portarvi l'impronta dei suoi voti, cioè di un'anima amata di preferenza.
«Non posso esprimere - dice - ciò che è stata questa sofferenza: perché se il tormento di un 'anima del mondo è terribile, tuttavia è nulla di fronte a quello di un'anima religiosa».
La sua penna rinuncia a descriverlo, tuttavia nota che queste tre parole: Povertà, Castità, Obbedienza si ripercuotono senza sosta nel fondo di quell'anima come un'accusa e un rimorso straziante.
«Hai pronunziato liberamente i voti, in piena conoscenza di ciò che esigevano... Tu stessa ti sei legata, e l'hai voluto! e la tortura inesprimibile dell'anima è di ripetersi continuamente: "L'ho fatto ed ero libera!"...»
E aggiunge:
«L'anima si ricorda continuamente di aver scelto Dio per Sposo e di averlo amato al di sopra di tutto... di aver rinunziato per Lui ai più legittimi piaceri e a tutto quello che aveva di più caro al mondo... che all'inizio della vita religiosa aveva gustato la dolcezza, la forza e la purezza di quest'Amore celeste, e adesso, per una passione non domata, deve odiare eternamente quel Dio che l'aveva scelta per amarlo!
«Questa necessità di odiare è una sete che la consuma... Non un ricordo che possa dare il più piccolo sollievo...
«Uno dei tormenti più dolorosi - scrive - è la vergogna che ricopre quell'anima. Sembra che tutti i dannati che la circondano gridino di continuo: "Che ci siamo perduti noi che non avevamo gli stessi soccorsi di te, nulla di straordinario... ma tu!... Che ti mancava?... vivevi nel palazzo del Re, mangiavi alla tavola dei privilegiati..."»
«Quello che scrivo - conclude - in paragone di ciò che soffre l'anima non è che un'ombra, perché non c'è parola che possa esprimere un simile tormento».
Josefa ritorna da queste visioni infernali più pronta a dedicarsi alla missione redentrice che Nostro Signore le ha assegnata. Ha meglio compreso la gravità della colpa in anime consacrate, la ferita che ne proviene al Cuore divino, e soprattutto l'ardore che Lo consuma per preservare da simili fiamme le anime da Lui tanto teneramente amate.
Il mercoledì 6 settembre, durante la Messa il Maestro le appare con un aspetto bello e triste insieme che la colpisce. Il Cuore di Gesù è largamente ferito e Josefa si offre subito per consolarlo. Egli risponde come un povero mendicante:
«- Non chiedo che il tuo cuore per potermici nascondere e dimenticare l'amarezza di cui Mi colma quell'anima allorché devo scendere in lei.
«Che le anime predilette Mi trattino così: ecco il mio dolore!»
«Dopo la Comunione - continua - mi ripeté:
«- Tu, amata come la pupilla degli occhi, nascondimi bene nel tuo cuore!»
«Gli ho risposto, con tutto l'amore di cui sono capace, ch'Egli vi discenda pure fino in fondo... Il mio rammarico è di avere solo un cuore così piccolo! Vorrei averne uno assai grande perché potesse riposarsi a suo agio».
«- Poco importa che sia piccolo: Io lo ingrandirò! Ciò che voglio è che sia tutto mio!»
Poi lentamente, fermandosi con lunghe pause, per immergerla in ogni desiderio del suo Cuore divino, Gesù le fa fare il ringraziamento della Comunione:
«- Consolami... Amami... Glorificami mediante il mio Cuore... Ripara per suo mezzo e soddisfa alla giustizia divina...Presentalo al Padre mio, come una vittima di amore per le anime... e, particolarmente, per quelle a Me consacrate».
Poi aggiunge:
«- Vivi con Me, Io vivrò con te. Nasconditi in Me, Io Mi nasconderò in te».
E ricordandole l'unione riparatrice che Egli vuole effettuare nell'anima sua:
«- Ci consoleremo vicendevolmente, poiché la tua sofferenza sarà la mia, e la mia la tua».
Non è forse la stessa comprensione di quella unione di vocazione, sgorgata altra volta dall'anima della Santa Fondatrice della Società del Sacro Cuore: «Che non esista mai altra croce per le spose del Cuore di Gesù, se non la croce stessa di Gesù»?
Ogni notte Nostro Signore porta a Josefa la croce chiedendole di portarla per l'anima consacrata che Lo ferisce.
«Vuoi la mia croce?» - Egli dice.
Ed ella si offre a togliere il carico dalle spalle divine.
La sera del venerdì 8 settembre, Egli è venuto «come un povero che ha fame» - scrive. Parola che rende bene l'espressione di supplica e di tristezza che avvolge la persona del Maestro.
«Sì, - Egli dice - estingui la mia sete di essere amato dalle anime, specialmente da quelle che ho scelto.
«Quell'anima dimentica quanto Io l'ami - prosegue alludendo al sacerdote infedele. - La sua ingratitudine Mi riduce in questo stato».
«Allora Gli ho chiesto di accettare tutti i piccoli atti che si fanno qui, le tribolazioni di questa casa, e soprattutto il desiderio che tutte abbiamo di consolarlo e di accontentarlo. Egli si degni purificare e trasformare tutto per dare valore a queste piccole cose».
«Io non guardo l'azione, considero solo l'intenzione - ha risposto. - Il più piccolo atto compiuto per amore acquista tanto merito e tanto Mi consola... Non cerco che l'amore, non chiedo che l'amore!»
Potrebbe la Madonna essere assente quando si tratta della conquista di un'anima? Ella viene a rianimare Josefa nelle ore più dolorose e le appare il giorno dopo, sabato 9 settembre:
«- Figlia mia, soffri con coraggio e con forza - le dice. - La sofferenza ottiene a quell'anima di non cadere in colpe più gravi ancora».
Infatti Josefa si sottomette a tutte le volontà del Maestro. Ogni mattina Egli le si presenta durante la Messa come un povero estenuato dalla fatica e dal dolore.
«- Tienimi dentro al tuo cuore e partecipa all'amarezza che Mi consuma - le ripete il 12 settembre durante il ringraziamento della Comunione. - Non posso più sopportare gli oltraggi che ricevo da quell'anima... Ma Io l'amo - soggiunge con ardore dopo un istante di silenzio - l'aspetto! Desidero perdonarle!... Con quale amore Io l'accoglierò quando ritornerà a Me!...
«Tu, Josefa, consolami, accostati al mio Cuore, condividi la mia sofferenza».
Quindi Gesù tace nuovamente, poi riprende:
«- Questo è il momento del mio dolore: partecipa a questo dolore che è anche tuo!»
«La sera di quel 12 settembre - racconta Josefa - al momento in cui ci alzavamo da tavola dopo la cena, vidi improvvisamente Nostro Signore. Stava in piedi in fondo al refettorio, splendente di bellezza; la sua tunica bianca spiccava luminosa nella penombra della sera. Teneva la mano destra alzata come benedicesse.
«Passò davanti a me e disse:
«- Sono qui tra le mie spose, perché in loro trovo conforto e riposo».
Essa Lo seguì fino alla propria cella, dove le ripeté le stesse parole e aggiunse:
«Coraggio, ancora qualche sforzo e poi quell'anima tornerà a Me!»
Altre offerte contribuiscono a questo riscatto: in quel tempo al Sacro Cuore dei Feuillants vi erano delle vittime sante, tutte abbandonate alla croce della malattia o dell'infermità. Appunto di loro Gesù diceva il 13 settembre:
«- Molte anime Mi accolgono bene quando le visito con la consolazione. Molte Mi ricevono con gioia nella Comunione. Ma poche sono quelle che Mi aprono volentieri quando busso alla loro porta con la croce.
«Allorché un'anima si stende sulla croce e vi si abbandona, essa Mi glorifica... Mi consola... è la più vicina a Me!»
E precisava ancora:
«La sofferenza delle mie spose ottiene che quel sacerdote non cada in un pericolo maggiore; ma bisogna soffrire ancora molto per lui!
«Quando sarà tornato a Me - aggiungeva affinché Josefa non perdesse di vista la sua missione - ti farò conoscere i miei segreti d'amore per le anime, poiché voglio che tutte sappiano quanto il mio Cuore le ama!»
Nella festa dei suoi Dolori, il venerdì 15 settembre, la Madonna viene a confermare questo amore del Cuore ferito di Gesù. E vestita di una tunica color viola pallido e tiene le mani giunte sul petto.
«È così bella! - dice Josefa.
«Le ho chiesto di consolare lei stessa Nostro Signore poiché, quantunque non desideri altro che di amarlo, non so farlo e ho bisogno del suo cuore materno per amare e riparare».
«- Figlia mia - risponde con tristezza la Madonna quel sacerdote strazia il Cuore di mio Figlio... Però egli si salverà aggiunge dopo pochi istanti - ma occorreranno molte sofferenze ancora. Non invano Gesù ne incarica le sue spose... Felici le anime su cui fissa i suoi sguardi per affidar loro questo prezioso deposito!»
I giorni e le notti si susseguono per Josefa in patimenti fisici e morali, che non l'abbandonano mai.
«Non temere: quell'anima non andrà perduta le ripete Nostro Signore il 21 settembre - ritornerà presto al mio Cuore; ma per salvare un 'anima occorre molto soffrire!»
Ed infatti Josefa ne fa l'esperienza. Gli assalti diabolici si accaniscono contro di lei, come se il demonio sospettasse la missione redentrice che essa compie a favore dell'anima che egli crede di avere ormai in mano. Le discese nell'inferno si aggiungono alle altre espiazioni dolorose ed ogni notte la croce di Gesù viene a pesare fortemente sulle sue spalle!
Il lunedì 25 settembre, al termine di una notte più penosa del solito, appena riavuta, vede ad un tratto apparire il Maestro.
«Il suo Cuore era senza ferita ed irraggiava bellezza e splendore».
«Guarda!... esclama. - Quell'anima è tornata a Me: la grazia l'ha ferita e il suo cuore si è lasciato commuovere. Amami e non rifiutarmi niente per acquistarmi l'amore di molte altre anime!»
«- Sì, ripeté Gesù il giorno dopo, quel sacerdote si è gettato nelle mie braccia e ha confessato la sua colpa... Continua a offrire con Me le tue sofferenze per ottenergli la forza di risalire il pendio fino al termine».
Qualche giorno dopo il Signore, traboccante d'amore, aggiungerà:
«Quell'anima Mi cerca... Io l'aspetto con tenerezza per colmarla dei miei più dolci favori». Infine, il 20 ottobre seguente, confermando questo ravvedimento acquistato a si caro prezzo dirà:
«Ora quell'anima sta in fondo al mio Cuore, e nel suo non rimane che il merito del doloroso ricordo della sua caduta».
Chi leggendo queste righe potrà dubitare di quella misericordia così piena di delicatezza, per cui la pecorella smarrita sarà sempre la prediletta, e il figliuol prodigo il più ardentemente atteso e il più teneramente ritrovato?
Tuttavia Nostro Signore non lascia Josefa a lungo in riposo. La missione riparatrice delle anime prescelte è di ogni ora e di ogni giorno, come lo sono i peccati del mondo e i pericoli delle anime: sembra sia questo l'insegnamento che il Cuore di Gesù dà a Josefa invitandola continuamente a nuove conquiste:
«La sera stessa del martedì 26 settembre - scrive - Lo incontrai vicino alla cappella con il capo coronato di spine, il volto insanguinato e il Cuore infiammato».
«- Josefa, non dimenticare la Via Crucis».
«Sono andata a chiedere il permesso e dopo che l'ebbi terminata, Egli è riapparso e mi ha detto:
«- Abbiamo due anime da strappare ad un grave pericolo. Mettiti in stato di vittima».
E rilevando ciò che il suo Cuore intendeva con quella espressione:
«- Per far ciò, lasciami disporre di te come voglio».
«Subito l'anima mia fu assalita da angoscia e da sofferenza, e non sapevo che altro offrire per la salvezza di quelle anime».
Essa ottiene il permesso di fare qualche penitenza e non cessa di unirsi al sangue redentore. Verso sera Gesù la raggiunge nella sua cella.
«Egli giunse le mani - scrive - e volgendo lo sguardo al cielo disse con voce grave e distinta:
«- Eterno Padre, Padre misericordioso! Ricevi il sangue del tuo Figlio. Ricevi le sue piaghe. Ricevi il suo Cuore, per quelle anime!»
Tacque un istante, poi ricominciò:
«- Eterno Padre, ricevi il sangue del tuo Figlio! Prendi le sue piaghe, prendi il suo Cuore! Guarda quel capo coronato di spine. Non permettere una volta di più che quel sangue sia inutile! Vedi la mia sete di darti quelle anime... O Padre mio, non permettere che quelle anime vadano perdute!... Salvale affinché Ti glorifichino in eterno!...»
La notte seguente trascorre per Josefa in ansiosa preghiera poiché il pensiero di quelle anime non può lasciarla.
All'alba del mercoledì 27 settembre Gesù, bellissimo, le appare nel ringraziamento della Comunione. Sempre fedele all'obbedienza ella rinnova i suoi voti.
«- Dimmi una volta ancora che Mi ami - esclama con ardore. Poi prosegue: - Io pure ti voglio confidare un segreto del mio Cuore. Ascolta Josefa!... Aiutami in quest'Opera d'amore!»
«Signore - risponde non sapendo come corrispondere a quell'ardore - Tu sai che non desidero altra cosa... darti anime!... che le anime Ti consolino!... che Tu sia conosciuto ed amato! Ma la mia piccolezza come potrà servirti?»
Il Maestro glielo spiega:
«-Ci sono anime che soffrono per ottenere ad altre la forza di resistere al male. Se quelle due anime fossero ieri cadute nel peccato, si sarebbero perdute per sempre! I piccoli atti che avete moltiplicato hanno ottenuto loro il coraggio di resistere».
Josefa si meraviglia che così piccole cose possano avere una ripercussione tanto grande.
«- Sì - continua Gesù - il mio Cuore dà un valore divino alle piccole offerte poiché ciò che voglio è l'amore».
Quindi insistendo maggiormente:
«- Io cerco l'amore. Amo le anime e attendo la risposta del loro amore. Perciò il mio Cuore rimane ferito, poiché tanto spesso invece di amore non incontro che freddezza. Datemi amore e datemi anime! Unite strettamente le vostre azioni al mio Cuore. Dimorate in Me che sono con voi.
Sì, Io sono tutto Amore e non desidero che amore! se le anime sapessero come le aspetto pieno di misericordia! Io sono l'Amore degli amori! Non trovo riposo che perdonando!»
Così, alla fine di settembre, si concludono queste imprese di riparazione e di salvezza mediante le quali sembra che Nostro Signore abbia voluto tracciare Egli stesso la prefazione del suo Messaggio - Io parlerò per tuo mezzo, Io agirò in te, Mi farò conoscere attraverso te - aveva detto un giorno (7 agosto 1922). E come durante la vita terrestre cominciò col fare prima di parlare, resta fedele al suo metodo.
Prima di dettare e mentre detta le rivelazioni dell'amor suo e della sua misericordia, vuole che si leggano, una ad una e giorno per giorno, nella vita ordinaria di Josefa.
In tal modo le anime comprenderanno meglio, dal racconto vissuto dei suoi perdoni, il Messaggio che il suo Cuore si accinge a trasmettere loro.


INVITO ALLE ANIME PRESCELTE 1° OTTOBRE - 21 NOVEMBRE 1922 ♦ Pag.267

Le anime che ho prescelto sanno forse abbastanza di quale tesoro privano se stesse ed altre anime allorché mancano di generosità? (Nostro Signore a Josefa - 20 ottobre 1922).

Come accade spesso nella vita redentrice di Josefa, la prova non tarda a tener dietro alle ore più radiose in cui ella al seguito del Maestro ha cooperato alla salvezza delle anime.
Con una recrudescenza di assalti e di persecuzioni il demonio sembra prendere la sua rivincita su di lei. In realtà questa libertà rientra nei disegni divini. Ma è piuttosto l'amore che scava nell'anima di Josefa nuove capacità di grazia per unirla a Colui che solo deve possedere e maneggiare il suo strumento.
I primi giorni di quel mese di ottobre 1922 trascorrono dolorosamente, senza che Josefa abbandoni tuttavia il suo lavoro abituale.
Appunto in quell'epoca essa viene incaricata delle uniformi per le educande. La sua abilità come sarta la rende adatta a quest'ufficio senza che essa cessi per questo di prendere parte ai lavori comuni che in certi giorni richiedono la generosa cooperazione di tutte: lavare, stirare, spazzare. La pulizia della cappella delle Opere, situata in fondo a un cortile interno in un locale separato dalla casa, resta sempre la sua occupazione preferita. La cella di Santa Maddalena Sofia, trasformata in oratorio, nonché la contigua cappellina di S. Stanislao, dove ogni tanto risiede il SS.mo Sacramento, sono esse pure oggetto delle sue cure. Nello stesso tempo, e fino agli ultimi giorni della sua vita, è incaricata di una madre anziana, incapace di servirsi da sé. Josefa ne ha cura, la veste e vigila su di lei come se fosse la sua mamma con premuroso rispetto, e la cara inferma dimentica, a contatto con lei, le pene e i disagi del suo stato.
Faremo rilevare spesso questo incessante, umile ed attivissimo lavoro, perché ci si faccia un'idea dello sforzo con cui deve sostenerne la continuità mentre la sua vita interiore si svolge in tutt'altro campo. Con ciò si comprende meglio la generosità talvolta eroica, che traluce attraverso lo sgomento da cui l'anima sua viene assalita.
Il 6 ottobre, primo venerdì del mese, scrive in uno di quei momenti di sofferenza più acuta:
«Mi sentivo stanca di soffrire e pensavo all'inutilità di tutte quelle discese nell'inferno, quando ad un tratto vidi davanti a me una luce abbagliante, come quella del sole che non possiamo fissare e intesi la voce di Gesù:
«La santità di Dio è offesa e la sua giustizia esige soddisfazione. No, niente è inutile! Ogni volta che tu sperimenti le pene infernali il peccato trova la sua espiazione e si placa la collera divina. Che sarebbe il mondo senza la riparazione di tante colpe?... Mancano le vittime! Mancano le vittime!...»
«Come riparerò, o Signore? - risponde Josefa esponendo al Maestro le proprie infedeltà. - Io stessa sono piena di miserie e di colpe!»
«Poco importa! Questo sole d'amore ti purifica e rende le tue sofferenze degne di riparare per i peccati del mondo!»
Tale affermazione la fortifica, ma non diminuisce il peso che sostiene davanti alla giustizia di Dio. Dieci giorni dopo, il lunedì 16 ottobre, la Madonna viene a rialzare il suo coraggio concedendole una grazia segnalata che Josefa racconta così:
«Questa mattina verso le dieci cucivo a macchina, e avevo posato vicino a me la corona, dicendo durante il lavoro qualche Ave Maria. Mi sentivo angustiata come nei giorni scorsi e sfinita per i dolori che mi trafiggevano il capo e il fianco. Non ne potevo più e dicevo a me stessa; Come farei se tutto dovesse continuare così? D'improvviso vidi la Madonna in piedi davanti alla macchina da cucire. Essa rapiva con la sua bellezza ed aveva le mani incrociate sul petto. Con la mano sinistra prese la mia corona dalla parte della croce e, tenendola così sospesa, lentamente la fece passare nella sua mano destra. Allora mi appoggiò tre volte la croce sulla fronte dicendo:
«Sì, figliola mia, tu puoi ancora soffrire di più. Tu patisci per le anime, per consolare Gesù!»
Ed ecco il prodigio: nel momento stesso in cui la Vergine santissima compiva il gesto materno tre magnifiche gocce di sangue si impressero nel punto stesso in cui per tre volte la croce si era appoggiata sulla benda che copriva la fronte di Josefa. Essa però non se n'era accorta.
«Senza lasciarmi il tempo di proferir parola, la Madonna rimise la corona sul tavolino della macchina e sparì, lasciandomi nell'anima un gran coraggio di soffrire».
Dopo pochi istanti una novizia che cuce vicino a lei si accorge delle gocce di sangue e ne avverte Josefa che, commossa, si alza e corre alla sua cella... Confusa per l'accaduto vorrebbe far sparire quel segno così palese del favore celeste ma, come sempre, si rimette interamente alla guida delle sue Madri. La benda porta visibili, sulla parte esteriore della larga orlatura, tre macchie di sangue rosso vivo, mentre la parte interna, a contatto con la testa di Josefa, è intatta. La fronte di lei non mostra alcuna traccia di ferita.
Il giorno dopo, martedì 17 ottobre, Gesù dirà alla sua privilegiata:
«- Tu non puoi capire fino a che punto Io ti ami! Ricorda ciò che ieri ho fatto per te... Sì il mio Sangue! Custodiscilo come una carezza della Madre mia. Esso ti purifica e ti infiamma. In esso troverai la forza e il coraggio».
Quella piccola benda più d'una volta manifestò la potenza di Colui di cui portava il segno. Il demonio sarà più d'una volta ancora messo in fuga dalla benedizione data in nome di quel sangue prezioso.
Ma un giorno la rabbia satanica riuscì a rapire quel tesoro, custodito sotto chiave con la massima cura. Il 23 febbraio 1923, esso disparve e le ricerche per ritrovarlo furono vane, fino a che Nostro Signore stesso non venne a rassicurare Josefa:
«- Non temere! Le disse due giorni dopo, la domenica 25 febbraio - il demonio se n'è impadronito, ma il mio Sangue non è esaurito».
Quindi rispondendo ai timori di lei di fronte alle minacce del nemico che si vantava di bruciare i quaderni dove per obbedienza trascriveva le parole del Maestro, Egli proseguì:
«Sì, la sua astuzia diabolica ordisce mille piani per far sparire le mie parole. Ma non vi riuscirà e fino al termine dei secoli molte anime vi troveranno la vita».
La sera del successivo 15 marzo 1923, giorno della festa delle Sante Piaghe, la Madonna rinnoverà alla figlia diletta il dono delle tre gocce del Sangue preziosissimo di suo Figlio. E mentre appoggerà sulla fronte di Josefa la croce della sua corona con lo stesso gesto della mano verginale,
«- Offriti le dirà per tergere le ferite che Gli cagionano i peccati del mondo!
«Tu sai quale gioia provi il suo Cuore quando le anime consacrate si offrono a Lui per consolarlo».
Un'altra volta, il 19 giugno 1923, per mezzo della Madre sua, Nostro Signore darà a Josefa la stessa prova della sua infinita bontà.
Le due sottocuffie contrassegnate col Sangue divino sono religiosamente conservate e la Santa Fondatrice il giorno seguente dirà di questa grazia insigne:
«- La Società conservi questi due tesori e il ricordo del giorno in cui Gesù le ha lasciate tali preziose reliquie. Saranno in avvenire una delle prove che accrediteranno la bontà del suo Cuore in quest'Opera».
Dopo queste anticipazioni difatti bisogna tornare alla fine di ottobre 1922, in cui Nostro Signore si accinge a cominciare ufficialmente l'Opera sua, dettando le prime pagine del Messaggio.
Il venerdì 20 ottobre, verso le sette di sera, essa sta terminando la sua adorazione davanti al Santissimo, quando ad un tratto Gesù appare portando la croce.
«- Josefa - le dice - partecipa al fuoco che consuma il mio Cuore: ho sete della salvezza delle anime... che le anime mie si accostino a Me!... che le anime mie non abbiano paura di Me!... che le anime abbiano fiducia in Me».
Il suo Cuore si dilata e s'infiamma, come se non potesse contenere questo fuoco.
«- Sono tutto Amore - prosegue - non posso trattare con severità le anime che amo. Tutte indubbiamente sono care al mio Cuore, ma ve ne sono molte che sono le mie preferite. Le ho scelte per trovare in esse la mia consolazione e per ricolmarle dei miei favori. Poco M'importa se hanno difetti... ciò che desidero far loro sapere è che la mia tenerezza aumenta se, dopo le loro mancanze e cadute, si gettano umilmente nel mio Cuore: allora le perdono e le amo sempre».
Josefa davanti a tanta bontà si fa ardita.
«Gli ho chiesto se è per questo che mi ama tanto, perché quando Gli domando perdono subito mi dimostra con nuove prove d'amore che mi ha perdonato».
«- Non sai dunque, Josefa, che più le anime sono misere e più le amo?... Se più di altre hai rapito il mio Cuore, è stato a causa della tua piccolezza e miseria!».
«Allora L'ho supplicato di darmi la croce e Gli ho domandato perché oggi Egli la portasse... Forse per qualche anima che L'offendeva?»
«- Porto la croce perché fra le anime che prediligo ve ne sono parecchie che Mi oppongono qualche piccola resistenza e l'insieme di queste resistenze forma la mia croce...
«Vuoi sapere la causa di quelle resistenze? E’ la mancanza di amore... Sì, mancanza di amore per il mio Cuore... eccessivo amore di sé!»
Poi dopo un istante di silenzio.
«- Quando un'anima è abbastanza generosa da concedermi tutto quel che le chiedo, ella accumula tesori per sé e per le anime, strappandone un gran numero dal cammino della perdizione.
«È per mezzo dei loro sacrifici e del loro amore che le anime predilette del mio Cuore hanno incarico di spandere sul mondo le mie grazie.
«Sì - ha proseguito quasi parlando a se stesso - il mondo è pieno di pericoli... Quante anime trascinate verso il male hanno un bisogno continuo di un aiuto visibile o invisibile!... Ah! Lo ripeto, le mie anime scelte sanno di quale tesoro si privano e privano altre anime, quando mancano di generosità?
«Non intendo dire che un'anima sia liberata dai suoi difetti e dalle sue miserie per il fatto stesso che Io l'ho scelta. Quest'anima può cadere e cadrà ancora più di una volta; ma se si umilia, se riconosce il suo niente, se cerca di riparare la sua mancanza con piccoli atti di generosità e d'amore, se di nuovo confida e si abbandona al mio Cuore... ella mi dà più gloria e può fare maggior bene alle anime che se non fosse caduta mai!
«Poco M'importano la miseria e la debolezza, ciò che chiedo alle anime mie è l'amore!»
Nostro Signore ritornerà spesso su questa grande lezione che sembra la chiave del suo Messaggio di misericordia.
«- Sì, Egli aggiunge, un'anima anche se misera può amarmi fino alla follia!... Comprendi però, Josefa, che intendo solo parlare di mancanze inavvertite di fragilità, ma non di colpe premeditate e volontarie».
E siccome ella Gli chiede di dare alle sue anime scelte quell'amore che non deve aver limiti nella confidenza e nella generosità:
«- Sì, custodisci nel tuo cuore il desiderio di vedermi amato - risponde. - Offri la tua vita, quantunque imperfetta, affinché tutte le mie anime comprendano bene la missione così bella che possono compiere nell'esercizio delle azioni giornaliere e dei loro sforzi quotidiani. Si ricordino sempre che non le ho preferite ad altre a causa della loro perfezione, ma solo per la loro miseria!... Io sono tutto amore e il fuoco che Mi consuma brucia ogni loro debolezza».
Poi rivolgendosi direttamente a Josefa che Gli ha nuovamente esposti i suoi timori davanti a tante grazie e a una così grande responsabilità:
«- Non temere di nulla! Se ho scelto te così misera è perché si sappia una volta di più, che non cerco la grandezza né la santità... Cerco l'amore e tutto il resto lo faccio da Me!...
«- Ti dirò ancora i segreti del mio Cuore, Josefa... ma il desiderio che Mi consuma è sempre lo stesso: che le anime conoscano sempre più il mio Cuore!»
Così venivano tracciate, il 20 ottobre 1922, le prime linee del MESSAGGIO D'AMORE. Quelle dettature celesti da ora innanzi si alterneranno nelle giornate di Josefa con gli insegnamenti diretti di Nostro Signore e formeranno come la parte teorica della lezione vivente e pratica.
«- Vuoi che ti dia la mia croce?»
Le chiede il giorno dopo, sabato 21 ottobre.
«Gesù, Tu sai che non voglio se non ciò che Tu vuoi!... e Gli parlai delle anime... di tante anime che si perdono».
Egli risponde con dolore:
«- Povere anime! molte non Mi conoscono, è vero. Ma più grande è il numero di quelle che Mi conoscono e Mi abbandonano per condurre una vita di piacere. Quante anime sensuali si trovano nel mondo! E perfino tra le anime mie predilette ce ne sono tante che cercano di godere!... Così esse si sviano, perché la mia via è fatta di sofferenze e di croci! L'amore solo infonde la forza di seguirmi per essa. Perciò cerco l'amore».
E mentre le porge la croce:
«- Consolami - dice - tu che Io amo. Appunto perché sei piccola hai potuto penetrare così profondamente nel mio Cuore».
Con quanta cura occorre raccogliere queste parole, che contengono così bene il «senso di Cristo» di cui parla S. Paolo!
Il lunedì 23 ottobre, Nostro Signore viene ad associarla alla sua ferita più intima:
«- Ci sono anime molto amate dal mio Cuore che Mi offendono... Non Mi sono abbastanza fedeli! E proprio perché sono anime che amo maggiormente Mi fanno tanto soffrire!»
Questi lamenti riempiono Josefa di un'ardente brama di riparare e compensare.
«Ma, Signor mio, Tu vedi ciò che sono!... Non ho che desideri, non so tradurli in atto!... Con ardore inesprimibile allora mi ha detto:
«- Ti tengo, Josefa, talmente unita al mio Cuore, che il tuo desiderio è quello stesso che Mi consuma per le anime!... Il mio Cuore si riposa quando può comunicarsi: perciò vengo a riposarmi nel tuo quando un'anima Mi addolora e il mio desiderio di farle del bene passa in te e diviene tuo.
«Ci sono è vero molte anime che Mi offendono... ma altresì molte in cui trovo consolazione e amore!»
Quindi ritornando a quelle che Lo feriscono:
«- Quando due persone si amano - Egli spiega - la minima indelicatezza di una basta a ferire l'altra. Così accade al mio Cuore. Perciò voglio che le anime le quali aspirano a diventarmi spose si temprino bene, per poi più tardi nulla rifiutare all'amore!»
Si succedono parecchi giorni di sofferenza che Josefa offre per queste anime infedeli.
Il demonio tenta di raggirarla, i suoi tranelli e le minacce si moltiplicano, mentre i tormenti dell'inferno riempiono le sue notti. Non ardisce raccontare tutto ciò che vede ed intende in quell'abisso di dolore, tanto la sua anima ne è atterrita. Finalmente si decide a parlare e la Madonna, apparendole il mercoledì 25 ottobre, le fa comprendere come quell'atto di sincerità rientri nei disegni divini su di lei.
«- Figlia mia, vengo a dirti da parte di Gesù, quanta gloria hai dato quest'oggi al suo Cuore... Comprendilo bene... tutto ciò che Egli permette che tu veda o soffra nell'inferno non è solo per purificarti, ma anche perché tu lo faccia sapere alle tue Madri. Non pensare a te stessa, ma unicamente alla gloria dei Cuore di Gesù e alla salvezza di molte anime».
Le notti continuano a trascorrere quasi per intero in quei tormenti e il 5 novembre Josefa scrive dolorosamente:
«Ho visto cadere le anime a gruppi serrati... in certi momenti è impossibile calcolarne il numero!...»
Ella ne rimane sconvolta e insieme sfinita.
«Senza un aiuto speciale non sarei più capace né di lavorare, né di far niente».
Quella domenica, dopo una notte terribile di espiazione, le appare Nostro Signore. Ella non può contenere il suo dolore e Gli parla di quel numero incalcolabile di anime perdute per sempre. Gesù l'ascolta col volto improntato a grande tristezza; poi, dopo un istante di silenzio:
«- Tu hai visto quelle che cadono, ma non hai ancora visto quelle che salgono!»
«Allora scorsi una fila interminabile di anime strette le une alle altre. Entravano in un luogo spazioso, sconfinato, pieno di luce, e si perdevano in quella immensità».
Il Cuore di Gesù si infiammò ed Egli disse:
«- Queste anime sono quelle che hanno accettato con sottomissione la croce del mio amore e della mia volontà».
Qualche minuto dopo ritornando sulla parte di espiazione e di riparazione di cui intende farle dono, Gesù gliene spiega così il valore:
«- In quanto al tempo in cui ti faccio sperimentare i dolori dell'inferno non lo credere inutile e perduto! Il peccato è un'offesa fatta alla Maestà infinita e grida vendetta e riparazione infinita.
«Quando tu scendi nell'abisso, le tue sofferenze impediscono la perdita di molte anime, la divina Maestà le accetta in soddisfazione degli oltraggi che riceve da quelle anime e in riparazione delle pene che i loro peccati hanno meritato. Non dimenticare mai che è il mio grande Amore per te e per le anime che permette quelle discese!»
Josefa non lo dimenticherà in mezzo alle tempeste che seguiranno quella divina assicurazione. Pare che ella si trovi di nuovo ai giorni più duri del suo noviziato. La rabbia infernale che presagisce l'ora in cui le effusioni del Cuore di Gesù stanno per spandersi sul mondo, si accanisce contro lo strumento, del quale tuttavia non arriva a scuotere né la piccolezza né la fiducia!
«- Ti odio - le dice il nemico - tanto quanto è possibile alla mia rabbia d'inferno e ti perseguiterò fino a quando ti farò uscire da questa maledetta casa... Quante anime essa mi strappa!... confesserà egli un giorno e se è così adesso, che cosa sarà in avvenire? No, impedirò quest'Opera, farò sparire quei maledetti scritti... li brucerò... adopererò tutta la mia potenza... essa è forte come la morte!»
Josefa rimane irremovibile.
«Io troverò la pace presso le mie Madri!» - scrive semplicemente.
Ma chi può misurare il valore di questo sforzo continuo di fedeltà al dovere, attraverso giornate e notti di continua recrudescenza di tormenti? Non ci si palesa forse l'importanza dell'Opera che sta incominciando dalla rabbia che subito le si erge contro per sbarrarle il passo? Ma tutto è inutile di fronte ai piani di Dio.
Il martedì 21 novembre 1922, nonostante le minacce del demonio, Josefa rinnova ufficialmente per la prima volta i voti pronunziati quattro mesi prima. La festa della PRESENTAZIONE DELLA MADONNA è una delle più care alla Società del Sacro Cuore: ricorda infatti la prima consacrazione al Cuore di Gesù fatta dalla Santa Fondatrice. Ogni anno in questa data le giovani religiose non ancora professe rinnovano, davanti all'Ostia Santa al momento della Comunione, i voti di povertà, castità, obbedienza che hanno pronunciato il giorno della loro prima offerta. Josefa partecipa a questa rinnovazione. E un raggio di luce che si riflette sulle tribolazioni da cui si trova avvolta. Ella vi giunge con grande gioia e può offrire a Gesù la convinzione più profonda della propria debolezza, ma anche la testimonianza più assoluta della sua umile fiducia. Nel suo quaderno di ritiro si legge questa data:
«21 novembre 1922. Mio Gesù! Già da quattro mesi ho pronunziato i miei voti, quante volte in questo tempo sono stata infedele. Ho pensato più a me stessa che alla tua gloria e alle anime!... O Gesù, ti confido la pena che ne provo: con tutto il cuore ti chiedo perdono, perché la felicità di essere tua sposa non è cambiata. Oggi rinnovo i miei voti con gioia più grande di quando li feci, poiché Ti conosco meglio, e Tu mi hai perdonato più spesso... Non badare se talora sembro ingrata, poiché la mia volontà non cessa di amarti. Ma il demonio m'inganna. Tuttavia altro non desidero che esserti fedele fino alla morte».
Dopo aver firmato questa protesta aggiunge:
«O Gesù, mia vita! Vorrei essere santa e amarti tanto non per me, ma per darti molta gloria e acquistarti molte anime!»
Questa la pura fiamma che le brucia nel cuore e che il soffio di Satana non fa che attizzare. Gesù lo sa e il suo sguardo si posa con tenerezza su questa debolezza in cui scorge tanto amore!                                                                                             

IL SENSO REDENTORE DELLA VITA QUOTIDIANA • 22 NOVEMBRE - 12 DICEMBRE 1922 ♦ Pag.278

L'Amore trasforma e divinizza tutto! (Nostro Signore a Josefa - 5 dicembre 1922).

Come aurora dopo una notte tempestosa, nel mattino del mercoledì 22 novembre Gesù appare a Josefa poco prima dell'Elevazione della Messa. E più bello che mai! Il Cuore è infiammato e pare sfuggirgli dal petto; ha nella mano destra la corona di spine.
«Subito ho supposto - scrive ingenuamente Josefa che era per darmela, ma non ho osato chiedergliela. Ho rinnovato i voti e ripetuto le lodi divine 13 (1). Egli fissandomi con quei suoi occhi bellissimi mi ha detto:
13 Da qualche settimana l’obbedienza aveva comandato a Josefa questa aggiunta di garanzia contro il demonio che non poté mai ripetere con lei quelle parole di amore e di benedizione, mentre al contrario i visitatori celesti le ripetevano e le commentavano con ardore.
«- Josefa, Mi riconosci? Mi ami? Sai quanto ti ama il mio Cuore?».
Queste domande erano frecce ardenti con cui l'amore feriva e infiammava il suo cuore.
«Lo so che mi ama - essa scrive - ma non so comprendere fino a qual punto! Io pure desidero amarlo senza limiti, benché non sappia corrispondere alla sua bontà... Gli ho detto la mia gioia di aver ieri rinnovato i miei voti e L'ho supplicato di mantenermi fedele, poiché sa bene di che cosa sono capace!...»
«- Non temere, Josefa, malgrado la tua piccolezza e talvolta anche le tue resistenze, compio l'Opera mia in te e nelle anime».
«Signore, non capisco che cosa sia quest'Opera di cui parli sempre!»
Allora Gesù si è raccolto un istante, poi con forza gravemente ha risposto:
«- Non sai che cosa sia la mia Opera? E’ Opera di Amore. Voglio servirmi di te, che sei un niente e vali niente, per manifestare sempre più la misericordia e l'amore del mio Cuore! Perciò Io sono glorificato quando mi si dà la libertà di fare di te e in te ciò che voglio! Intanto la tua piccolezza e le tue sofferenze salvano molte anime... Ma più tardi le parole e i desideri che trasmetto per tuo mezzo, ecciteranno lo zelo di molte altre e impediranno la perdita di un gran numero di esse; si conoscerà sempre meglio che la Misericordia e l'Amore del mio Cuore sono inesauribili... Non chiedo grandi cose alle mie anime, chiedo loro soltanto l'amore!»
«A questo punto - ella continua - L'ho supplicato di darmi questo amore... e Gli ho ripetuto il desiderio di abbandonarmi interamente a Lui. Allora con bontà inesprimibile ha posato la sua corona sul mio capo e ha detto:
«- Prendi la mia corona! essa ti ricordi a ogni istante la tua piccolezza... Ti amo e ho così grande compassione di te che non ti abbandonerò mai! Amami, consolami, abbandonati!»
Quella sera mentre Josefa faceva la Via Crucis, Nostro Signore le apparve all'undicesima stazione e mostrandole la sua croce:
«- Josefa, sposa del mio Cuore! ecco la croce che ho portata per amor tuo! Dimmi ancora una volta che vuoi portare per amor mio la croce della mia volontà».
Il giorno dopo, 23 novembre, Nostro Signore le fa sapere quale sarà questa croce offerta alla sua generosità:
«- Nel mio Cuore - comincia col dirle - le anime che sanno rinunziare a se stesse per mio amore trovano la vera pace».
Quindi prosegue:
«- Chiedi alle tue Madri di concederti ogni giorno un momento in cui tu possa scrivere ciò che ti dirò».
Ormai è giunta l'ora in cui ella deve trasmettere al mondo i segreti del Maestro.
Il sabato 25 novembre, nella mattinata, Egli la raggiunge nella sua cella. Josefa si è prostrata per adorare la Maestà divina, e Gesù la lascia così ai suoi piedi. Dopo un momento di silenzio, Egli dice:
«Voglio che nel rinnovare i voti tu ti offra con piena sottomissione. Occorre che Io mi senta libero e che non trovi in te alcun ostacolo ai miei disegni... Adesso scrivi...»
Ella allora ascolta e trascrive le parole che escono, solenni e infuocate, dalle labbra divine.
«- Parlerò anzitutto per le anime scelte e per tutte quelle che Mi sono consacrate. Occorre che esse Mi conoscano per poi insegnare a quelle che loro affiderò la bontà e la tenerezza del mio Cuore e dire a tutte che se Io sono un Dio infinitamente giusto, sono anche un Padre pieno di misericordia! Le mie anime scelte, le mie spose, i miei religiosi, i miei sacerdoti facciano comprendere alle povere anime quanto il mio Cuore le ama!
«Tutto ciò te lo insegnerò a poco a poco e così Mi glorificherò nella tua miseria, nella tua piccolezza e nel tuo nulla.
«Non ti amo per quello che sei, ma per quello che non sei, cioè per la tua miseria e il tuo nulla, perché ho trovato così ove collocare la mia grandezza e la mia bontà».
Gesù si ferma un istante:
«- Addio Josefa. Ritorni domani, non è vero?
«- Continuerò a parlarti e tu trasmetterai alle anime le mie parole con ardente zelo. Lasciami agire poiché Io mi glorifico e le anime si salvano... Ricordati che voglio essere servito con gioia e non dimenticare quanto lo strumento sia inutile! Solo il mio amore può chiudere gli occhi sulla tua debolezza... Amami ardentemente per corrispondere alla mia bontà».
Al cader della notte Gesù le porta la croce.
«- Quanti peccati! - dice - e quante anime questa notte cadranno nell'inferno!».
Sembra che questo pensiero opprima il suo Cuore.
«- Tu almeno consolami e ripara tante ingratitudini. Quanto soffre il mio Cuore nel vedere l'inutilità di ciò che ho fatto per tante anime!... Condividi questa sofferenza... Prendi la mia croce e restami unita, ché non sei sola».
Egli sparisce dopo averle dato la croce. Così scorrono le ore della notte sotto quel peso a cui si aggiungono i molteplici patimenti dell'anima e del corpo, di cui da lungo tempo ha dolorosa esperienza.
Sul far del mattino Gesù ritorna. Le sue sembianze portano sempre l'impronta di quella tristezza e di quella bellezza che essa non sa descrivere.
«Povere anime! - dice - quante sono andate perdute per sempre!... Quante altre, però, ritorneranno in vita! Tu non puoi calcolare, Josefa, il valore redentore della sofferenza...
«Se acconsenti ti farò condividere spesso l'amarezza del mio Cuore. Così tu Mi consolerai e molte anime si salveranno. Addio! pensa a Me, alle anime, al mio Amore».
«Dacché Nostro Signore ha chiesto alle mie Madri di concedermi ogni giorno un momento in cui possa scrivere le sue parole - ella nota - mi ha detto di venire in cella, tra le otto e le nove del mattino. A quell'ora le postulanti sono occupate nelle loro faccende, e così posso scrivere senza che ciò m'impedisca di cucire e di preparare il loro lavoro».
Fedele al comando ricevuto, ella va ogni mattina nella propria cella e aspettando il Maestro si mette a cucire. A volte Egli non tarda a venire, altre volte essa aspetta inutilmente: Gesù la vuole sottomessa e abbandonata. Se non viene, verso le nove Josefa torna al suo lavoro.
La domenica 26 novembre, benché la vigilia le avesse dato appuntamento, Nostro Signore non ritorna. Essa non si turba ma, come le aveva raccomandato, continua a pensare «a Lui, alle anime, al suo Amore!» Nel pomeriggio, mentre Lo sta adorando davanti al tabernacolo, le appare ad un tratto portando la croce:
«- Sposa mia, Josefa! Vengo in te a riposarmi!... Non puoi comprendere ciò che è il mondo per il mio Cuore! I peccatori Mi feriscono senza compassione, e non soltanto i peccatori, ma quante altre anime Mi trafiggono con frecce che procurano gran dolore!»
«L'ho supplicato di venire qui, da noi, poiché quantunque siamo così miserabili (lo dico per me), desideriamo tanto amarlo e consolarlo!»
«- Tu sai bene che lo faccio! Non vedi come vengo qui per riposare il mio Cuore?...
«Ascolta - prosegue con bontà - quando ti chiedo riposo e consolazione non credere che tu sia sola a darmeli. Se sapessi quale gioia prova il mio Cuore quando le anime Mi lasciano libertà e mediante le opere loro Mi dicono: "Signore, Tu sei il padrone!". Credi forse che ciò non Mi consoli?...
Che ciò non Mi glorifichi?...
«Prendi la mia croce - soggiunse - e non pensare di essere tu sola a portarla. Mi riposo e Mi glorifico in te, ma anche nelle mie anime... in quelle anime che con amore e sottomissione ricevono e adorano la mia volontà, senza altro interesse che di darmi gloria.
«Prendi la mia croce, Josefa: chiedi misericordia per i peccatori, luce per le anime cieche, amore per i cuori indifferenti. Consolami, amami, abbandonati. Un atto di abbandono Mi glorifica più che molti sacrifici!»
Il giorno seguente, lunedì 27 novembre, alle otto del mattino, essa è al suo posto in attesa.
«Ho cominciato con lo scrivere tutto ciò che mi ha detto ieri - nota - e poi mi sono messa a sua disposizione».
E siccome Gesù non appare, sta sul punto di andarsene, quando improvvisamente le si mostra:
«Va' a lavorare, Josefa! Domani dirò alle mie anime che il mio Cuore è un abisso di Amore. Pensa continuamente a Me. Le anime Mi glorificano molto quando si ricordano di Me!»
Josefa se ne va al lavoro con la croce, invisibile agli occhi di tutti, ma pesantissima sulle sue spalle. Essa faticando porta su di sé il rude fardello che la sua generosità preferisce a ogni dolcezza.
Alle prime ore del martedì 28 è Gesù che l'aspetta nella cella.
Essa si precipita in ginocchio e seguendo l'impulso abituale dell'anima sua delicata Gli chiede perdono di ciò che, in lei anche a sua insaputa, ha potuto ferire lo sguardo divino.
«- Non temere - le risponde - ti conosco!... Ma ti amo tanto che nessuna miseria può distogliere da te lo sguardo del mio Amore».
Con un ardore che sembra incontenibile Egli parla, mentre Josefa raccoglie quelle parole infiammate. In un mirabile riassunto Gesù rivela alle anime nel succedersi della sua vita redentrice, il filo conduttore dell'Amore infinito.
«- Sono tutto Amore! Il mio Cuore è un abisso di Amore! L'Amore creò l'uomo e tutto ciò che esiste al mondo per metterlo al suo servizio.
«L'Amore spinse il Padre a dare l'unico suo Figlio per la salvezza dell'uomo perduto a causa del peccato.
«L'Amore condusse una Vergine purissima, quasi bambina, a rinunziare alle attrattive della vita al Tempio, per consentire a divenire la Madre di Dio, accettando tutte le sofferenze che la divina maternità doveva farle provare.
«L'Amore mi fece nascere nel rigore dell'inverno, povero e sprovvisto di tutto.
«L'Amore Mi tenne nascosto trent'anni nella più completa oscurità, occupato nei più umili lavori.
«L'Amore Mi fece preferire la solitudine e il silenzio... vivere da tutti sconosciuto e sottomesso volontariamente agli ordini di mia Madre e del mio Padre adottivo.
«Il mio Amore vedeva che nel corso dei secoli molte anime Mi avrebbero seguito mettendo la loro gioia nel conformare la loro vita alla mia!
«L'Amore mi fece abbracciare tutte le miserie della natura umana.
«L'Amor del mio Cuore vedeva molto lontano e sapeva quante anime in pericolo, aiutate dagli atti e dai sacrifici di altre, avrebbero ritrovato la vita.
«L'Amore Mi fece sopportare i disprezzi più obbrobriosi e i più terribili tormenti... Mi fece spargere tutto il mio sangue e morire sulla croce per salvare l'uomo e riscattare il genere umano.
«L'Amore vide anche nell'avvenire il gran numero di anime che avrebbero unito ai miei dolori e imporporato col mio sangue le loro sofferenze e le loro azioni, anche le più comuni, per darmi così un gran numero di anime!
«Io t'insegnerò, Josefa, con chiarezza tutto questo, affinché si sappia fino a qual punto arrivi l'amore del mio Cuore per le anime!
«Ora ritorna al tuo lavoro, e vivi in Me, come Io vivo in te».
Josefa esce dalla sua cella e rimette alle sue Madri le preziose pagine, appena scritte. Non le tiene per sé sapendo che ne è soltanto depositaria e il suo disinteresse soprannaturale aumenta a misura che meglio scopre l'importanza di ciò che le viene rivelato. Ma le resta impresso in fondo all'anima il ricordo di quegli istanti in cui ha toccato con mano la profondità dell'amore; ne è come investita e le occorre tutta l'energia della sua volontà per immergersi di nuovo nelle incombenze nelle quali la raggiungono ben presto le sue giovani sorelle. Fu questo il mistero di tutta la sua vita fino agli ultimi giorni!
Il giorno seguente, mercoledì 29 novembre, mentre lavora aspettando Nostro Signore, la sua cella si riempie d'un tratto di un dolce splendore. Non è Gesù, ma l'Apostolo prediletto del suo Cuore.
« L'ho subito riconosciuto - scrive. - Teneva tra le sue braccia la croce di Gesù. Ho rinnovato i voti ed egli mi ha detto:
«- Anima prediletta dal divino Maestro, io sono Giovanni l'Evangelista e vengo a portarti la croce del Salvatore. Essa non ferisce il corpo, ma fa spargere il sangue del cuore... I patimenti che la croce ti arreca diminuiscono l'amarezza con cui i peccatori straziano il nostro Dio e Signore... Il sangue del tuo cuore sia un vino delizioso che faccia conoscere a molte anime le dolcezze e le attrattive della verginità... Il tuo cuore stia unito in tutto al Cuore di Gesù! Custodisci bene queste preziose testimonianze del suo Amore! Tieni fissi gli occhi al cielo, poiché ciò che è di quaggiù non vale niente! La sofferenza è la vita dell'anima e l'anima che ne ha compreso il valore vive della vera vita».
Josefa aveva già osservato il giovedì santo 1922 l'espressione celeste del volto di S. Giovanni, di quest'amico dell'al di là che rivedrà più volte ancora e di cui ogni visita le darà pace e sicurezza.
La croce che egli le ha lasciata oggi pesa soprattutto sull'anima sua.
«Benché tranquilla - scrive - mi sento il cuore e l'anima oppressi e angosciati.
La notte dal 29 al 30 novembre è stata penosissima. La croce, la corona di spine, il dolore al fianco mi hanno impedito di dormire e sono stata obbligata a passare l'intera notte seduta accanto al letto».
Il giovedì 30 novembre Gesù è là alle otto del mattino, fedele al convegno.
«- Scrivi per le anime - dice - e senza preambolo prosegue:
«L'anima che vive una vita costantemente unita alla mia Mi glorifica e lavora molto al bene delle anime. Forse il suo lavoro è di per sé insignificante?... Se lo bagna nel mio sangue, o l'unisce a quello che ho fatto Io durante la mia vita mortale, quale frutto non produrrà nelle anime!... più grande forse che se avesse predicato a tutto il mondo... E ciò sia che studi, sia che parli o scriva, che cucia, spazzi, si riposi... purché l'azione sia prima di tutto regolata dall'obbedienza o dal dovere e non dal capriccio; inoltre che sia fatta in intima unione con Me, ricoperta del mio Sangue, e con grande purità d'intenzione.
«Desidero tanto che le anime comprendano questo! Non è l'azione in sé che ha valore, ma l'intenzione con cui è fatta! Quando spazzavo e lavoravo nell'officina di Nazaret davo tanta gloria al Padre come quando predicavo durante la mia vita pubblica.
«Ci sono molte anime che agli occhi del mondo hanno cariche importanti e procurano al mio Cuore una grande gloria: è vero. Però ho anche molte anime nascoste che nei loro oscuri lavori sono operaie assai utili alla mia vigna, poiché sono mosse dall'amore e sanno bagnare le minime azioni nel mio Sangue, e così ricoprirle con l'oro soprannaturale.
«Il mio Amore tanto può che dal nulla fa ricavare alle anime immensi tesori. Allorché unendosi a Me al mattino offrono tutta la loro giornata con l'ardente desiderio che il mio Cuore se ne serva per il vantaggio delle anime... quando con amore compiono ogni loro dovere ora per ora, momento per momento, quali tesori non accumulano in un giorno!
«Scoprirò loro sempre più il mio Amore... Esso è inesauribile ed è molto facile per l'anima che ama lasciarsi guidare dall'Amore!»
Gesù tace e Josefa posa la penna e resta un istante in adorazione davanti a Colui il cui Cuore così largamente le si dischiude.
«Addio! - le dice finalmente - torna al tuo lavoro, ama e soffri poiché l'amore non può separarsi dalla sofferenza. Abbandonati alla cura del migliore dei padri, all'amore del più tenero degli sposi!»
Questa è sempre la lezione più cara al divin Salvatore. La croce è un dono di predilezione che sorpassa i favori più insigni. In quel primo venerdì del mese la lascia a Josefa che la porterà il giorno e la notte.
Il sabato 2 dicembre ella scrive con semplicità:
«Ho fatto molta fatica ad andare alla meditazione, perché mi sento sfinita».
Tuttavia alle otto del mattino sta al suo posto, Gesù la raggiunge.
«- Scrivi per le anime» - le dice come due giorni prima.
Essa s'inginocchia davanti al tavolino, vicino a Gesù che le dice:
«- Il mio Cuore è tutto amore e questo amore abbraccia tutte le anime; ma come potrò far comprendere alle mie anime scelte la predilezione del mio Cuore che vuol servirsi di esse per salvare i peccatori e tante anime esposte ai pericoli del mondo?
«Perciò voglio che sappiano quanto il desiderio della loro perfezione Mi consuma e come questa perfezione consista nel fare tutte le azioni comuni e quotidiane in intima unione con Me. Se esse capiscono bene questo, possono divinizzare la loro vita e tutta la loro attività mediante questa intima unione al mio Cuore, e qual valore ha una giornata di vita divina!
«Quando un'anima è infiammata dal desiderio di amare, nulla le è difficile; ma se è fredda e inerte, tutto le diventa penoso e duro. Venga il mio Cuore ad attingere coraggio! Mi offra l'abbattimento in cui si trova! Lo unisca all'ardore che Mi consuma e rimanga sicura che la sua giornata avrà un valore incomparabile per le anime! Il mio Cuore conosce tutte le miserie umane e le compatisce assai.
«Ma non desidero soltanto che le anime stiano unite a Me in maniera generale: voglio che questa unione sia costante e intima, come quella di coloro che si amano e vivono insieme; poiché se anche essi non si parlano sempre, almeno si scambiano sguardi e si usano vicendevolmente le delicatezze ed attenzioni ispirate dall'amore.
«Se l'anima si trova calma e in consolazione certo le è facile pensare a Me. Ma se è oppressa dalla desolazione e dall'angoscia non tema! Mi basta uno sguardo; la capisco e quello sguardo solo otterrà dal mio Cuore le più tenere delicatezze.
«Ripeterò di nuovo alle anime quanto il mio Cuore le ami... Voglio che esse Mi conoscano a fondo per potermi far conoscere a quelle che il mio amore loro affida.
«Desidero ardentemente che tutte le anime da Me scelte fissino gli occhi su di Me, senza più distoglierli... che in esse non vi sia mediocrità, ciò che spesso proviene da una falsa comprensione del mio amore. No, amare il mio Cuore non è cosa difficile e dura, ma soave e facile. Non occorre nulla di straordinario per giungere a un alto grado d'amore: purità d'intenzione nelle azioni piccole e grandi... unione intima al mio Cuore e l'Amore farà il resto!»
Gesù tace un istante, poi chinatosi verso Josefa che si è prostrata ai suoi piedi:
«- Va' - le dice - e non temere! Sono il giardiniere che coltiva questo fiorellino affinché non avvizzisca. «Amami nella pace e nella gioia!»
La sera di questo primo sabato del mese, Nostro Signore risponde alle sue ansie, poiché ella teme i tranelli del demonio sempre in agguato per rapirle la pace, e la conforta così:
«- Ricordati di ciò che un giorno dissi ai miei discepoli: perché non siete del mondo, il mondo vi odia.
«Oggi ve lo ripeto: perché non siete del demonio, il demonio vi perseguita! Ma il mio Cuore vi custodisce e per mezzo di queste sofferenze si glorifica.
«Ama e soffri, Josefa, è per un'anima!»
E ancora una volta le affida un'anima consacrata che vacilla nell'amore e la cui generosità Gli sta molto a cuore.
«Gesù è sparito scrive lasciandomi la croce».
Questa croce con tutto il corteggio di sofferenze che l'accompagnano peserà sulle spalle di Josefa i giorni e le notti che seguiranno, mentre il suo pensiero resta fisso alla ferita che ella indovina nel Cuore del Maestro.
Tre giorni dopo, il martedì 5 dicembre, Gesù è già ad aspettarla nella cella quando ella vi giunge e rinnova subito i voti.
«- Si - incomincia col dirle. - Sono quel Gesù che ama teneramente le anime. Ecco quel Cuore che non cessa mai di chiamarle, di custodirle, di prender cura di loro! Ecco quel Cuore infiammato dal desiderio d'essere amato dalle anime, ma soprattutto dalle anime da Lui prescelte...»
Poi continua:
«Scrivi, scrivi di nuovo per esse:
«Il mio Cuore non è soltanto un abisso di Amore, ma è anche un abisso di Misericordia! E siccome conosco tutte le miserie umane da cui neppure le anime più amate vanno esenti, ho voluto che le loro azioni, anche le più piccole, potessero rivestirsi, per mezzo mio, di un valore infinito, a vantaggio di quelle che hanno bisogno di, essere aiutate, e per la salvezza dei peccatori.
«Non tutte possono predicare, né andare lontano ad evangelizzare i selvaggi, ma tutte, sì tutte, possono far conoscere e amare il mio Cuore... tutte possono vicendevolmente aiutarsi per aumentare il numero degli eletti impedendo a molte anime di perdersi... e tutto ciò per effetto del mio amore e della mia misericordia!
«Dirò alle mie anime come il mio Cuore si spinge ancora più in là! Non soltanto si serve della loro vita ordinaria e delle loro minime azioni, ma vuole utilizzare per il bene delle anime anche le loro miserie... le loro debolezze... le stesse mancanze.
«Sì, l'amore trasforma tutto e tutto divinizza e la misericordia tutto perdona!»
Dopo un istante di silenzio Gesù prosegue:
«- Addio, ritornerò ancora per dirti i miei segreti. Nel frattempo porta la mia croce con coraggio. Se Mi ami, io pure ti amo! Non dimenticarmi».
Il ritorno del Signore si farà attendere parecchi giorni, trascorsi sotto il peso della croce. Tuttavia la festa dell'Immacolata non passa senza che la Madonna venga ad assicurare la figliola della sua presenza e della sua protezione. Josefa ha molto sofferto tutto il giorno. Il suo cuore è nell'angoscia e la sera dopo la benedizione del Santissimo invoca in suo aiuto la Madre celeste.
«Le ho affidato tutta l'anima mia – scrive - e l'ho supplicata di tenermi per mano. Improvvisamente mi apparve tanto bella! Aveva le mani incrociate sul petto e un velo candidissimo sul capo con riflessi d'oro. Non mi disse che queste parole:
«- Figlia mia, se vuoi dare molta gloria a Gesù e salvargli le anime, lascialo fare di te ciò che vorrà e abbandonati al suo amore».
«Mi benedisse, lasciò che Le baciassi la mano e disparve».
Josefa riprende coraggio in quell'abbandono che esige da lei così grandi offerte e sofferenze per mantenersi fedele giorno per giorno.
Ma non può liberarsi da un'inquietudine: le sembra che attorno a lei si intuisca qualcosa dei disegni di cui è lo strumento, e la sua umiltà, il suo desiderio di nascondimento ne rimangono atterriti.
«Volevo parlare di questo con Nostro Signore durante i Vespri - scrive la domenica 10 dicembre
- e avevo appena cominciato quando Gesù è venuto:
«- Josefa, perché sei triste? Dimmelo!»
Essa rinnova i voti e Gli confida la sua ansietà.
«- Ti ho detto che vivrai nascosta nel mio Cuore: perché dubiti del mio amore? Lascia che le mie parole vadano a molte anime che ne hanno bisogno».
Poi, sprofondandola ancora più nel sentimento della sua inutilità:
«- D'altra parte, che te ne viene di tutto questo? «Quando una persona parla dal basso di un grande ambiente vuoto la voce risuona in alto. Così avviene di te. Tu sei l'eco della mia voce, ma se Io non parlo, che cosa sei tu, Josefa?»
Tali parole approfondiscono in lei la convinzione del suo nulla e la confermano nella fiducia e nella pace.
«Sono io, Signore - ella prosegue - che Ti impedisco di venire? Perché sono già cinque giorni che non sei venuto!»
«- No - risponde con bontà piena di compassione - tu non M'impedisci di venire, ma Mi piace quando Mi desideri e Mi chiami. Ritornerò presto a parlarti delle mie anime. Del resto se in qualche cosa tu Mi facessi dispiacere, ti mostrerei la tua miseria e il tuo nulla, e ti manifesterei il dominio che ho su di te!
«Addio, resta nascosta nel mio Cuore e lasciati coltivare dalle delicatezze del mio Amore».
Nostro Signore non tarda, infatti, a riprendere le sue confidenze e il martedì 12 dicembre ricompare all'ora abituale. Dapprima insiste sulla sua promessa:
«- Sì, Josefa, te l'ho detto: non devi rattristarti, perché il mio Amore prende cura di te e Io M'incarico di tenerti ben nascosta in fondo al mio Cuore. Voglio che tu non dubiti mai del mio Amore! Ricorda ciò che più volte ti ho detto: non sei che una piccola e miserabile creatura che deve abbandonarsi nelle mani del suo Creatore, con intera sottomissione alla sua divina volontà.
«E ora – prosegue - scrivi ancora qualche cosa per le mie anime:
«L'amore trasforma le loro azioni più comuni arricchendole di un valore infinito, ma fa di più:
«Il mio Cuore ama così teneramente queste anime che vuole utilizzare anche le loro miserie, le debolezze e spesso anche le loro mancanze.
«L'anima che si vede circondata da miserie non si attribuisce niente di buono e quelle stesse miserie l'obbligano a rivestirsi di una certa quale umiltà che non avrebbe se si vedesse meno imperfetta.
«Così quando nel suo lavoro o nel suo incarico apostolico essa sente al vivo la sua incapacità, quando prova ripugnanza ad aiutare le anime nel tendere a una perfezione che essa stessa non possiede, allora è costretta ad annientarsi. E se in questa umile conoscenza della propria debolezza essa ricorre a Me, chiedendomi perdono del suo scarso slancio, implorando dal mio Cuore forza e coraggio, quest'anima non può sapere fino a qual punto i miei occhi si fissano su di lei e quanto rendo feconde le sue fatiche!
«Altre anime sono poco generose nel fare, momento per momento, gli sforzi e i sacrifici di ogni giorno. La loro vita sembra trascorrere in belle promesse senza realizzazione.
«Qui s'impone una distinzione: se queste anime si formano una certa abitudine a promettere, senza tuttavia reprimere in nulla la loro natura, né dare prova affatto di abnegazione e di amore, Io non dirò loro che queste parole: "Fate attenzione che il fuoco non prenda a tutta questa paglia che ammassate nei vostri granai, o che il vento non se la porti via in un istante".
«Ma le altre - ed è di queste che intendo parlare - incominciano la giornata piene di buona volontà e animate da vivo desiderio di provarmi il loro amore: Mi promettono abnegazione e generosità in questa o in quell'altra circostanza... ma giunta l'occasione, il carattere, l'amor proprio, la salute, che so Io?... impediscono loro di attuare ciò che con tanta sincerità Mi avevano promesso qualche ora prima. Tuttavia subito dopo riconoscono la loro debolezza e tutte confuse Mi chiedono perdono, si umiliano, rinnovano le loro promesse... Ah! Si sappia bene che queste anime Mi piacciono come se non avessero nulla da rimproverarsi!»
La campana diede il segno d'un esercizio comune di religione e Gesù, fedele al primo segno dell'obbedienza, partì subito.

LE GRAZIE DELL'AVVENTO E DEL NATALE • 13 DICEMBRE - 31 DICEMBRE 1922  ♦ Pag.293

Hai compreso l'Amore che ho per le anime? (Nostro Signore a Josefa - 16 dicembre 1922).

Il mese di dicembre 1922 stava per procurare ai Feuillants una visita che doveva essere per Josefa una gioia ed una prova nello stesso tempo.
Una delle Madri Assistenti Generali della Società del Sacro Cuore, venuta da Roma, percorreva allora la Francia per visitare le case della Società. Poitiers si rallegrava di accogliere la cara Visitatrice e Josefa avrebbe voluto rallegrarsi di questa gioia di famiglia senza pensare ad altro, ma presentiva che le sue Madri avrebbero sottoposto a voce alla Madre Visitatrice varie cose che la riguardavano e che certamente ella stessa avrebbe dovuto rispondere a qualche interrogazione.
Le sue apprensioni di un tempo tentano di risvegliarsi quantunque essa non dubiti delle promesse del Maestro.
«Ho conosciuto una volta di più - scrive il mercoledì 13 dicembre - la fedeltà di Gesù nel mantenere la sua parola. La Rev. Madre Assistente generale mi ha vista per un solo momento... e mi ha ricevuto con una bontà che non avrei osato sperare. Nostro Signore più di una volta me l'ha detto: "Se tu Mi sei fedele non ti abbandonerò e niente potrà mai nuocerti". E questo lo vedo più chiaramente ogni giorno».
Il giorno dopo, giovedì 14 dicembre, Egli viene a trovarla nel silenzio della sua cella.
«- Vedi le dice come sono per te un Padre e uno Sposo fedele! Non temere mai niente, neanche se sembra che la tempesta stia per scoppiare su di te».
Poi con un ardore che il suo Amore non può contenere:
«- Dirai alla Madre che tutte le circostanze sono permesse o disposte dal mio Cuore in considerazione della mia Opera... che molte anime si salveranno per mezzo della mia Società... che le mie parole rianimeranno il fervore di molte mie spose... e che molte altre anime, che non apprezzano abbastanza il valore delle minime azioni fatte per amore, vi troveranno una sorgente di grazie e di consolazione».
E dopo aver risposto a tutte le ansie che turbano Josefa:
«- Addio - le dice con inesprimibile bontà abbandonati a Me e non dubitare mai dell'amore del mio Cuore. Poco importa se il vento verrà altre volte a scuoterti; le radici della tua piccolezza sono affondate nella terra del mio Cuore.
«Parlerò per le mie anime un'altra volta - aggiunge prima di sparire ora consolami! Bacia se vuoi i miei piedi. Più tardi ti darò la mia croce».
Infatti non tardò a portargliela.
«Stavo aspettando Nostro Signore mentre cucivo scrive il venerdì 15 dicembre - quando verso le otto e mezzo è venuto portando la croce, ma senza ombra di tristezza. Il suo Cuore, i suoi occhi erano più belli che mal!»
Josefa non sa come esprimere la sua ammirazione! L'atteggiamento di Gesù, la sua tunica di un candore sfavillante, la croce che si stacca cupa su tanta luce sono di una tale bellezza che essa non lo può esprimere.
«Mi sono inginocchiata, rinnovando i voti. L'ho adorato, Gli ho chiesto di infondermi un amore vero e Gli ho detto: Che gioia, Signore! Tu mi porti la croce!»
«- La vuoi? - disse Egli subito.
Ella allora si offre a tutto ciò che aspetta da lei.
«- Prendila e consolami! Occupati dei miei interessi, poiché Io ho cura di te».
Quindi rispondendo al pensiero che ha letto nel cuore di Josefa:
«- Sì, è vero che non ho bisogno di nessuno... ma lascia che ti chieda amore e che per mezzo tuo Io Mi manifesti una volta di più alle anime.
«Lascia che il mio Cuore si apra e si riposi diffondendo il suo amore su questo gruppo di anime scelte. Voglio che tutte le anime sappiano fino a qual punto questo amore le cerca, le desidera, le aspetta per ricolmarle di felicità.
«Le mie anime non abbiano paura di Me... i peccatori non si allontanino da Me... Vengano a rifugiarsi nel mio Cuore! Li riceverò con tenerissimo e paterno amore.
«Tu, Josefa, amami e non temere affatto la tua debolezza, poiché ti sosterrò. Tu Mi ami e Io ti amo. Tu sei mia e Io sono tuo. Che puoi volere di più?»
«Ha detto tutto ciò con tale ardente bontà - scrive Josefa - che sono rimasta perduta in Lui. Non so spiegare quello che ha provato l'anima mia. Gli ho chiesto di insegnarmi ad amarlo, poiché non desidero altra cosa quaggiù: vivere per amare il mio Gesù così buono!»
Il giorno dopo, sabato 16 dicembre, Nostro Signore le insegna il segreto del vero amore:
«- Oggi tu devi consolarmi: mettiti proprio in fondo al mio Cuore e presentati al Padre mio ricoperta di tutti i meriti del tuo sposo. Chiedigli perdono per tante anime ingrate. Gli dirai che sei pronta a consolarlo e a riparare nella tua piccolezza le offese che riceve. Gli dirai che sei una vittima molto misera, ma ricoperta del sangue del mio Cuore.
«Così passerai la giornata implorando il suo perdono e riparando.
«Voglio che tu unisca l'anima tua allo zelo e all'ardore che consumano il mio Cuore. Sappiano le anime che Io sono la loro felicità e la loro ricompensa! Non si allontanino da me! Sì, amo tanto le anime... tutte le anime, ma soprattutto voglio che le mie anime scelte comprendano la predilezione del mio Cuore per loro».
Quindi dopo aver parlato della Società del suo Cuore aggiunge:
«- E tu, Josefa, hai compreso l'Amore che ho per le anime?»
«Ma certo, Signore! - esclama essa. - Tu sei sempre occupato di loro!»
«- Per questo amo la mia Società e il mio Cuore si riposa in lei... Perché ha compreso il valore delle anime e la gloria del mio Cuore. Addio, Josefa, consolami e ripara!»
Gli addii di Gesù lasciano sempre la stessa consegna di amare. Via via che trascorrono i giorni e i mesi, la generosa figliola comprende sempre più la vita di riparazione e come la grazia della sua vocazione la incateni alla croce redentrice del Salvatore. Questo è ciò che Nostro Signore tiene a inculcarle in ogni colloquio. Non la conduce mai fuori di questa strada sicurissima della sua vocazione, ma la sospinge verso le vere conseguenze di una donazione piena e assoluta al suo Cuore.
La domenica 17 dicembre, un po' prima della Messa delle nove, Egli la raggiunge in cella:
«- Tu ieri Mi hai consolato - le dice - perché non Mi hai lasciato solo. Ci sono tante anime che Mi dimenticano e tante che si occupano di mille e mille futilità e Mi lasciano solo giornate intere... molte altre che non ascoltano la mia voce... e tuttavia parlo loro continuamente... ma hanno il cuore legato alle creature e alle cose terrene…
«Ti dirò tutto questo un'altra volta e ti farò conoscere la consolazione che Mi procurano le anime, specialmente le mie elette, quando non Mi lasciano solo!... Tu continuerai a scrivere perché sappiano fino a qual punto il mio Cuore le ami! Ora va'... Ritornerò!»
«La campana della Messa suonava» - essa scrive.
Gesù se n'era andato.
Passano cinque giorni. Ogni giorno Josefa aspetta il Maestro che le ha detto: «Ritornerò». Ma non ritorna! Questa libertà assoluta non è la meno importante tra le prove della sua azione. Senza dubbio Gli piace l'abbandono, ma sembra voler provare ancor più con l'incertezza e la subitaneità delle sue visite che il visitatore è proprio Lui e che non può esistere alcun dubbio in proposito. Il 22 dicembre Josefa scrive:
«Da cinque giorni Nostro Signore non è venuto. Tuttavia mi aveva detto che sarebbe tornato... Ciò che mi inquieta è di non sapere se Gli ho spiaciuto in qualche cosa, poiché non ho più né la sua croce, né la sua corona!»
E prosegue nelle note:
«Prima di coricarmi mi sono inginocchiata per dirgli addio come tutte le sere e ho aggiunto: Signore da cinque giorni Ti chiamo e non vieni!»
La frase non è ancora finita che Nostro Signore è lì risplendente di bellezza:
«Da cinque giorni Mi chiami, Josefa! Ed Io da quanti giorni, mesi, anni chiamo le anime ed esse non Mi rispondono!
«Quando tu Mi chiami Io non sono lontano da te, ma vicinissimo! Quando chiamo le anime molte non Mi ascoltano... molte si allontanano!... Tu almeno consolami, chiamandomi e desiderandomi! Calma la mia sete con la fame che hai di Me!»
Quante anime indovineranno in questi accenti sgorgati dal Cuore infiammato di Gesù, il motivo divino delle lunghe attese delle sue visite! Quante anime attingeranno il coraggio, anzi la gioia, al pensiero di poter estinguere la sete sua con la fame che hanno di Lui!
Questo periodo di vita che ha radicato Josefa nella sua missione riparatrice e ha inaugurato il Messaggio che essa deve trasmettere al mondo, termina a Natale con la scena più incantevole che si possa immaginare. Essa ce la descrive in tutta la sua semplicità..., la sua anima s’accorda sempre più con la piccolezza di Gesù Bambino, però tra loro non trattano d'altro che della redenzione delle anime: questo è il legame che stringe più che mai il loro amore.
Occorre riprodurre il racconto senza aggiungervi commento perché è sufficiente da se stesso a dir tutto.
«Lunedì 25 dicembre 1922. Durante i Vespri ripetevo a Gesù Bambino quanto Lo amo, poiché nonostante la grande tentazione dei giorni scorsi, Egli sa che è il mio unico amore, il mio re, il mio tesoro! Senza di Lui non posso vivere... Egli è la mia gioia e la mia vita... Mentre parlavo così, improvvisamente L'ho visto piccolo, piccolo. Era sostenuto da qualche cosa che non scorgevo e avvolto in un velo bianco che non lasciava scoperte se non le piccole braccia e i piedini. Le braccia erano incrociate sul petto ed i suoi occhi erano così incantevoli e sfavillanti di gioia che sembravano parlare. I capelli erano cortissimi; tutto in lui era piccolo. Con voce tenera e dolcissima mi ha detto:
«Sì, Josefa, sono il tuo re!»
«Ho provato una tale gioia nel contemplarlo così che ho continuato: Sì, mio Gesù, Tu sei il mio re, e se i miei nemici e le mie cattive tendenze cercheranno di farmi cadere, non ci riusciranno, perché combatterò per rimanere sempre tua!»
«Appunto perché tu combatti, Io sono il tuo re. Non aver paura che i nemici s’impadroniscano del tuo campo di battaglia, poiché ti difenderò Io, sebbene tu Mi veda tanto piccolo... e voglio anche te così.
«E ora Josefa, vengo a chiederti un regalo. Me lo darai, non è vero?»
«Ebbi paura di ciò che stava per dirmi - scrive umilmente Josefa. - Tuttavia Gli ho risposto: Sì, o Signore, con tutto il cuore, purché tu mi dia la forza, perché sai bene quello che valgo!»
«Voglio - prosegue il Santo Bambino - voglio che tu Mi faccia una piccola veste ornata di molte anime... di quelle anime che il mio Cuore ama tanto!»
Poi ritornando su ciò che aveva già detto:
« - Vedi come sono piccolo! Voglio che tu sia ancora più piccola. E sai come?... Con la semplicità, l'umiltà, la prontezza ad ubbidire. Eppoi, Josefa, il mio Cuore cerca il caldo dell'amore, e solo le anime possono darglielo. Dammi tu questo calore e dammi delle anime. Te ne ho preparate tante! Non ritardare l'Opera mia!...
«Se tu mi dai delle anime, Io ti do il mio cuore. Dimmi: chi di noi due fa il dono più grande?...
«Ritornerò presto! Intanto comincia la piccola tunica e dammi anime col tuo amore! Vedi quante si allontanano da Me... Non lasciarle fuggire... Povere anime!... non lasciarle andar via, Josefa. Non sanno dove vanno!»
«Diceva tutto ciò - essa narra - con voce piena di tenerezza. Quando ha cominciato a parlare ha
aperto le piccole braccia. Era così bello, così incantevole che mi faceva pena non potergli baciare i piedi, ma non ho osato chiederglielo. Appariva come di fuoco. Era così bello che non posso descriverlo, e pronunciava queste parole con tanta dolcezza che mi è impossibile farla comprendere».
Questa radiosa festa di Natale doveva avere un seguito il giorno dopo:
«Il martedì 26 dicembre - prosegue - preparandomi alla Comunione, ho chiesto alla Madonna che volesse proprio Lei far dono di me al suo Figlio ed insegnarmi ad amarlo e consolarlo. Le ho parlato come ad una madre con piena fiducia e dopo la Comunione l'ho supplicata di adorare Gesù per me, d'insegnarmi a ringraziarlo.
«Improvvisamente Essa è venuta, vestita come due anni fa, con un manto e il velo color rosa pallido. Stava in piedi e sul braccio destro teneva il Bambino Gesù avvolto in un velo bianco, come ieri, ma non si vedeva neppure la sua testolina. Subito mi ha detto con tanta materna bontà:
«- Guarda, figlia mia, ti porto il tuo Gesù!»
«E così dicendo l'ha scoperto».
«- Mettilo proprio in fondo al cuore. Vedi quanto ha freddo! Almeno tu riscaldalo col tuo amore. E tanto buono e ti ama tanto! Sia Lui solo il re del tuo cuore!»
«Mentre Essa mi parlava così il Bambino divino stava sempre disteso nelle braccia della Madre e alzava gli occhietti per guardarla e guardava pure me ogni tanto.
«Ho detto alla Madonna quanto desidero amarlo, ma purtroppo spesso non sono abbastanza fedele a tutto ciò che mi chiede, specialmente quando devo trasmettere ad altri qualcosa a nome suo...»
Questa è sempre la causa delle resistenze che si rimprovera.
«Allora Gesù con tenera voce infantile ha detto:
«- Madre mia, ho chiesto a Josefa di farmi una tunica guarnita di molte anime. Ce ne sono tante che Mi sfuggono... E tu sai quante ne affido alle anime che amo! Se esse rispondono alla mia richiesta daranno al mio Cuore la più grande delle consolazioni!»
«Subito la Madonna ha soggiunto:
«- Sì, figliola, dagli delle anime e non lasciarle allontanarsi da Lui... Vedi?... Sta per piangere!...»
«Le ho detto che questo è l'unico mio desiderio, ma talvolta senza volerlo Gli cagiono dispiacere e Gli resisto perché il demonio mi inganna».
«- Non temere, figlia mia, Gesù non vuole altro che la tua buona volontà. Sforzati, questo sì, e provagli così il tuo amore. Sai come lo puoi fare? Gesù ti vuole piccola, molto piccola, tanto piccola da poter stare qui!»
E con la mano indicava a Josefa lo spazio tra il suo cuore e il Bambinello, appoggiato al suo petto.
«Essa sorrideva dicendo così - scrive Josefa - e il santo Bambino sorrideva con Lei guardandola».
«- Tu non sai quanto ci starai bene!» - continuò la Madonna.
E Gesù agitando le braccine diceva:
«- Prova, Josefa, e vedrai!»
«Vedendoli tutt'e due così buoni ho di nuovo chiesto perdono delle mie resistenze, di quello che mi passa per la testa nei momenti di tentazione... La Santissima Vergine mi ha risposto:
«- Sì, è vero, in certi momenti sei molto ingrata! Sai perché? Tu pensi più a te stessa che a Gesù! Non badare a ciò che ti costa, ma dagli prova del tuo amore facendo tutto quello che ti chiede. Se ti dice di parlare, parla; se ti dice di tacere, taci; se ti dice di amare, ama. Che t'importa il resto se Egli prende cura di te?»
«Le ho promesso di obbedire e siccome Ella faceva l'atto di ricoprire il Bambinello, come per partire, le ho chiesto il permesso di baciargli i piedi!»
«- Sì, baciali».
«Mentre li baciavo Gesù faceva scorrere la sua manina sul mio capo, con molta dolcezza... Ho anche baciato la mano della Madonna. Essa ha ricoperto Gesù Bambino dicendomi:
«- Addio, figliola! Non dimenticare la piccola tunica! Riscaldalo e dagli anime!» Poi sono scomparsi».
Le grazie di questa deliziosa visita dovevano trovar compimento il mercoledì 27 dicembre con S. Giovanni, l'amico dei vergini. Josefa tenta questa volta di ritrarlo a modo suo scrivendo così:
«È venuto durante la mia adorazione; aveva un aspetto di maestosa bellezza. Col braccio destro teso e la mano sinistra posata sul petto. Di statura slanciata, è un po' più alto e robusto di Nostro Signore e ha i lineamenti più duri e marcati. Ha gli occhi neri, il volto pallido, i capelli castani scuri. È avvolto di luce purissima e quando parla ha un tono così grave e pacato che le sue parole penetrano in fondo all'anima. La sua voce è dolce e forte insieme ed ha qualcosa di celeste.
«Ho rinnovato i voti e subito mi ha detto:
«- Anima, sposa del Cuore divino, poiché questo Maestro adorabile ha voluto mettere le sue delizie nei cuori puri, vengo a ravvivare in te il fuoco che deve consumarti di amore per quel Cuore divino.
«È Lui che ci ha amati per primo. Bisogna che il nostro amore risponda al Suo con riconoscenza, costanza, tenerezza, generosità; che sia puro e senza mescolanza di interesse proprio. La bontà di questo Cuore divino ti sia sempre presente... e sia il movente primo di un amore che cerca solo il bene e la gloria di Colui che ama.
«Anima che il divino Maestro ha scelta con predilezione, fissa la tua dimora nel suo Cuore! Lasciati infiammare dal fuoco che lo consuma. Lasciati purificare ed inebriare dalle sue celesti dolcezze!
« Il tuo passaggio sulla terra sia come quello della colomba che appena sfiora il suolo. Come l'ape sul fiore, l'anima tua non si riposi in questa vita se non per prenderne il necessario alimento.
«Per un'anima che ama Gesù il mondo non è altro che un oscuro luogo di passaggio».
«Ha incrociato le mani sul petto e ha taciuto un istante: appariva così bello che lo si sarebbe detto un angelo! Non osavo parlare... Infine gli ho chiesto se Nostro Signore trovava consolazione tra le anime religiose, poiché predilige la verginità...
«S. Giovanni ha guardato il cielo, il suo volto si è illuminato e ha risposto:
«- Le anime vergini sono la dimora di amore dove l'Agnello Immacolato trova il suo riposo. Ma fra esse ce ne sono alcune che destano l'ammirazione del cielo. Il celeste Sposo le fissa col suo purissimo sguardo e in esse depone la soave fragranza che emana dal suo Cuore».
«Allora stendendo il braccio destro, mi ha benedetta dicendo:
«- Lasciati possedere e consumare da Lui! Tutta la tua cura e il tuo ardore siano nel procurargli gloria e amore. La sua pace ti custodisca!»
La sera di quel 27 dicembre Gesù rinnova a Josefa la grazia insigne concessale in tal giorno due anni prima.
«Verso le otto è venuto bellissimo, con la ferita del Cuore infiammata e largamente aperta».
«- Vieni - ha detto - entra nel mio Cuore e riposa in lui! Più tardi Mi darai il tuo per mio riposo»
e la inabissa nel suo Cuore.
«Ho creduto di essere in cielo! essa scrive incapace di proseguire. Non è possibile spiegare che cosa sia l'entrata in quel Cuore!...»
Dopo poco più di un'ora di quest'ineffabile riposo, Gesù ricorda alla sua sposa lo scopo di tutti i suoi favori.
«- Non dimenticare dice che le anime che Io scelgo debbono essere vittime!»
Josefa non può dimenticarlo! Il disegno d'amore del Maestro si è ormai troppo impresso nella profondità dell'anima sua: essa sa ormai che la loro unione non può compiersi che sulla croce.
Ma al momento in cui Gesù glielo ripete vuole, con uno di quei simboli attraverso i quali ama esprimere il suo pensiero, mostrarle che sarà sempre l'amore e segnarla con la sua croce.
«Mentre Egli parlava ho visto essa dice - una colombina bianchissima, con le ali grigie aperte, come se volesse slanciarsi verso il Cuore di Gesù. Ma ne era respinta da un dardo di fuoco che usciva dalla piaga e cadeva sulla testolina di un bianco smagliante. La colombina aveva una croce nera impressa un po' sotto la gola».
Josefa non si ferma a commentare questo fatto. In seguito e fino alla morte rivedrà ogni tanto questa stessa colombina. Ma già il Maestro divino le avrà spiegato il senso di quella visione, immagine della sua anima.
Per il momento la luce si oscura. Non è ancora tempo di spiccare il volo verso il Cuore di Gesù. Un anno di grazie, di lotte, di sofferenze, di prove d'ogni specie la separano ancora dall'entrata definitiva nel Cuore adorabile.
Il fuoco dell'amore la riterrà sua prigioniera nel dolore per continuare a rivelarsi per mezzo suo al mondo.

SOMMARIO

CAPITOLO 08LA QUARESIMA DEL 1923

LA VIA DOLOROSA 10 GENNAIO - 17 FEBBRAIO 1923  - Pag.307

L'opera di Gesù deve essere fondata su molte sofferenze e su molto amore. (La Madonna a Josefa - 21 gennaio 1923).

Siamo all'aurora del 1923, l'anno che terminerà con la morte di Josefa. Si apre dunque per lei l'ultimo periodo di vita e lo presagisce. Già il 3 dicembre dell'anno precedente, durante una funzione di Cresima nella cappella del Sacro Cuore, la Madonna le aveva annunziato che avrebbe dovuto trasmettere al Vescovo di Poitiers le parole di suo Figlio ed aveva aggiunto: «Quel Vescovo lo vedrai tre volte prima di morire».
Il cielo è dunque davanti ai suoi occhi, e la speranza di raggiungerlo presto rianima il suo coraggio. Ne ha bisogno, poiché molte ombre si addensano sul suo cammino e i primi giorni dell'anno la chiamano ad altre prove. Il demonio torna nuovamente sulla scena e ricomincia i suoi antichi attacchi. Ma in mezzo ai colpi, alle minacce, ai rapimenti, alle lunghe ore passate in inferno, Gesù scolpisce in lei le sue sembianze associandola all'Opera sua redentrice. Ella così salva le anime e prepara la via al Messaggio dell'amore. Invano la rabbia di Satana si esaspera e crede alle volte di trionfare; nel momento voluto dal padrone del cielo e dell'inferno è costretto ad arrendersi con una bestemmia.
Il lunedì 8 gennaio 1923 Josefa scrive così:
«Questa mattina provavo un gran desiderio di Gesù. In questi giorni in cui soffro molto la Comunione è un immenso sollievo. Oggi poi, dopo una notte terribile trascorsa in inferno, aspettavo Gesù con brama ancora più viva!
«Mentre ritornavo al mio posto, dopo essermi comunicata, ho visto ad un tratto Nostro Signore camminare davanti a me. Si è voltato e mi ha detto:
«Vieni, Josefa, il mio Cuore ti aspetta».
«Subito ho rinnovato i voti ed Egli ha ripetuto: Sì, il mio Cuore ti aspetta!»
«Ho rinnovato i voti una seconda volta e Gesù ha proseguito:
«Tu mi hai dato riposo, ora a mia volta voglio farti riposare!»
«Il suo Cuore si è aperto e vi sono penetrata!»
Pochi istanti, che Josefa chiama «istanti di cielo» trascorrono in quella divina dimora.
«Appena ne sono uscita - ella scrive - gli ho confidato tutto il mio timore per il demonio e le sue minacce, supplicandolo di non permettere mai che riesca ad ingannarmi».
Gesù rispose:
«Perché temi? Non sai che sono più potente di lui e di tutti i tuoi nemici? Il demonio con tutta la sua rabbia non può fare più male di quello che gli permette il mio amore. Sono Io che permetto i patimenti delle anime che amo. La sofferenza è necessaria a tutti, ma quanto più alle anime prescelte! Essa le purifica e così posso servirmi di loro per strappare molte anime all'inferno».
E facendo allusione alle vane minacce che di continuo essa deve ascoltare:
«Non temere - insiste: - affidati al mio Cuore che vi custodisce come la pupilla dei miei occhi! Sì, Josefa, il mio Cuore ama grandemente questa casa... benché più di una volta vi riversi l'amarezza del mio calice!
«Ritornerò presto affinché tu scriva ancora i segreti del mio amore... Intanto, continua... continua a lavorare alla mia tunica!»
Con questo richiamo alla sua richiesta di Natale Gesù sparisce, e Josefa si trova nuovamente immersa nelle cupe tempeste che deve attraversare. Ancora una volta, il 21 gennaio, un raggio di cielo brilla tra le tenebre oscure. La Madonna non è sempre vicina alla figlia diletta nelle ore tenebrose?
Josefa, in quella mattinata più libera della domenica, sta completando i suoi appunti intimi: lavoro costoso alla sua obbedienza, soprattutto quando deve dire ciò che ha visto e inteso nell'abisso ove a quel tempo discende spesso:
«L'ho fatto - ella scrive - per obbedire e provare a Gesù il mio amore».
La Madonna, che le appare verso sera in cappella, rileva dapprima il merito di quell'atto:
«- Perché hai vinto le tue ripugnanze per amore le dice - il cielo si è aperto per l'eternità ad un'anima la cui salvezza era in pericolo.
«Se sapessi quante anime possono essere salvate da questi piccoli atti!»
«Ella è così buona e materna che ho avuto l'ardire di confidarle parecchie cose e mi ha risposto:
«- Gesù vuole che, finché tu vivi, le sue parole rimangano nascoste. Dopo la tua morte saranno conosciute da un capo all'altro della terra e molte anime alla loro luce si salveranno per la via della fiducia e dell'abbandono al Cuore misericordioso di Gesù».
E siccome Josefa, sempre timorosa di fronte a cose così meravigliose, manifesta tutte le sue ansietà a questa Madre impareggiabile:
«- Figlia mia - le risponde con tenerezza - non ti spaventare: l'opera di Gesù deve essere fondata sopra molta sofferenza e molto amore... Non temere: Gesù è onnipotente ed è Lui che agisce! È forte, ed è Lui che vi sostiene! È misericordioso, ed è Lui che vi ama!»
Poi, quasi preparandola alle tribolazioni per cui dovrà passare:
« - Egli conosce ciò che sta nell'intimo dei cuori e dispone Lui tutte le circostanze. Se a volte ti sembra che i suoi piani vengano ostacolati, è perché vuol custodirti così molto umile e molto piccola».
Josefa ripete ancora il suo timore di essere essa stessa ostacolo ai disegni divini.
«- Certo - risponde la Madonna con compassione tu sei ben misera, ma è proprio a causa di questa tua miseria che Gesù ha compassione di te e ti mette al sicuro in fondo al suo Cuore, affinché nulla possa nuocerti. Figlia mia, umiliati nella tua piccolezza e nella tua miseria, ma confida in Lui, perché ti ama e non ti abbandonerà mai. Tutta la tua ambizione sia di dargli molte anime, molta gloria, molto amore!»
«Le chiesi di benedirmi ed Ella tracciò sulla mia fronte con due dita il segno di croce dicendo:
«- Sì, ti benedico con tutto il cuore».
«E scomparve».
Il cielo sembra chiudersi di nuovo e il demonio ritrovare la sua potenza nelle giornate e nelle notti di Josefa.
Tuttavia, il giovedì 1° febbraio, Santa Maddalena Sofia le appare come messaggera di pace. La invita a recarsi nella cella che un tempo Ella santificò con la sua preghiera e santità. Le annuncia l'ingresso nel cielo di cinque sue figlie, di cui le dice il nome, e quasi approvando la sua presenza in quel luogo di benedizione aggiunge:
«- Tu non puoi comprendere con quale gioia vedo venire qui le mie figlie dilette! Dall'alto del cielo le benedico con tenerezza di madre e spargo su di loro molte grazie... Il mio desiderio è che ciascuna di esse sia per il Cuore di Gesù un luogo di riposo e di amore».
Qualche giorno dopo, il 4 febbraio, la riconforta con queste parole:
«- Non stancarti di soffrire. Le anime che soffrono per amore vedranno cose grandi, non dico nel tempo, ma nell'eternità!»
E il sabato 10 febbraio, dopo giornate di dure prove, viene ad annunciare il prossimo ritorno di Gesù:
«- La pace di Lui custodisca il tuo cuore, o figlia mia!... Presto Egli verrà: consolalo con grande fiducia. Non dimenticare che se è il tuo Dio, è anche tuo padre, e non soltanto tuo padre, ma anche tuo sposo. Non temere, e parlagli di tutto, poiché è sempre pronto ad ascoltarti. Il nostro Dio è così buono! Il suo Cuore così compassionevole!...»
E siccome è la vigilia delle Quarantore:
«- Consolatelo e amatelo - aggiunge. - Il suo Cuore trovi riposo in questa casa, e la tua piccolezza Gli salvi molte anime!»
Poi, insistendo sul pensiero dominante di tutta la sua vita:
«- Sì, consolatelo con la vostra umiltà, poiché dove c’è umiltà tutto va bene: non così dove essa manca!»
Quindi, dopo averle confidato il suoi desideri materni:
«- Addio! - le dice benedicendola; - non rifiutare niente al tuo Dio!»
Fin da quella sera il demonio s'irrita furiosamente contro l'intrusione della Santa e soprattutto contro i suoi consigli.
«Quella Beata annienta il mio potere anche con la sua sola umiltà».
E come se fosse obbligato a rivelare il suo infernale segreto:
«- Ah! Ruggisce bestemmiando - se voglio possedere del tutto un'anima non ho che da istigare in lei l'orgoglio... se voglio perderla non ho che da lasciarla andare dietro all'istinto del suo orgoglio!
«E’ l'orgoglio che mi dà le mie vittorie, e non avrò riposo finché il mondo non ne sovrabbondi! Mi sono perduto per orgoglio, non consentirò che le anime si salvino con l'umiltà!
«Questo è certo - conclude con un grido di rabbia tutte le anime che raggiungono la più alta santità si sono maggiormente sprofondate nell'abisso dell'umiltà!»
Josefa trascriverà questa confessione diabolica con grande emozione, e il suo amore filiale esulterà, in mezzo ai suoi dolori, per una testimonianza così inattesa tributata all'umiltà della santa Madre Fondatrice.
Il tempo delle Quarantore è sempre stato per lei un tempo di più intensa vita riparatrice. Ma quest'anno è l'ultimo di quaggiù, in cui Nostro Signore la invita a portare con Lui la croce delle anime che si perdono in questi giorni di piaceri sregolati e di divertimenti sfrenati.
L'amore di Josefa è molto aumentato da un anno, ed ora si accinge a partecipare in qualità di sposa alle amarezze del Cuore ferito del suo Maestro. Essa sta aspettando, poiché Santa Maddalena Sofia l'ha preparata al prossimo incontro. La domenica delle Quarantore, 11 febbraio, durante la santa Messa, improvvisamente Gesù le appare. Ormai è un mese che non l'ha più visto:
«- Josefa le dice, - vuoi consolarmi?»
Ella rinnova i voti e gli esprime il suo ardente desiderio, benché non senza qualche reticenza, «…poiché - soggiunge - temo di me stessa, sentendomi ogni giorno più misera...»
«- Non pensare a quello che sei - risponde Nostro Signore. - Ti darò la forza per tutto quello che ti chiederò. Non dimenticare, Josefa, che Io permetto le tue miserie e le mancanze affinché tu rimanga continuamente davanti al tuo nulla, nonostante le grazie che ti concedo».
Poi il suo Cuore s'infiamma:
«- Ora, occupiamoci delle anime!... Molte si perdono... ma noi potremo strapparne molte altre alla via della perdizione, e il mio Cuore sarà almeno consolato delle offese che riceve.
«Sai tu, Josefa, quanto i peccatori mi straziano e quanto ho bisogno di anime che riparino?
«Perciò vengo a riposarmi tra quelle che Io stesso ho scelto. Sappiano esse, per mezzo della loro fedeltà e del loro amore, cicatrizzare le ferite inflittemi dai peccatori! Quanto è necessario che ci siano delle vittime per riparare l'amarezza del mio Cuore e alleviarne il dolore! Quanti peccati!... quante anime si perdono!...»
Ella lo supplica di venire tra le sue spose, che non desiderano altro, e di ispirar loro quel che debbono fare per consolare un tale dolore.
«- Ciò che unicamente voglio - risponde - è l'amore: amore docile che si lascia condurre dall'azione di Colui che ama... Amore disinteressato, che non cerca né il suo piacere, né il vantaggio proprio, ma quelli dell'amato. Amore zelante, ardente, divorante, che sormonta ogni ostacolo frapposto dall'egoismo: ecco l'amore vero, che strappa le anime dall'abisso in cui precipitano».
Incoraggiata da tanta condiscendenza, Josefa prosegue nelle sue ingenue domande:
«Come mai scrive - dopo aver pregato mesi e mesi per un'anima, sembra che la preghiera non le abbia nulla ottenuto?... Come mai, Egli che desidera tanto la conversione dei peccatori, non tocca quei cuori induriti affinché tanti sacrifici e preghiere non vadano perduti? E gli ho parlato di tre peccatori, due soprattutto, per cui qui preghiamo da molto tempo!...»
«- Quando un'anima prega per un peccatore con l'ardente desiderio che si converta - risponde Gesù con condiscendenza, - essa ottiene molto spesso il suo ravvedimento, non fosse altro al termine della vita, e l'offesa ricevuta dal mio Cuore viene riparata.
«Ad ogni modo la preghiera non è mai perduta, poiché da una parte consola il dolore che mi cagiona il peccato e, dall'altra, la sua efficacia e potenza servono, se non a quel determinato peccatore, almeno ad altre anime meglio disposte ad accoglierne i frutti.
«Ci sono anime che durante la vita e per tutta l'eternità sono chiamate a tributarmi la lode che spetta loro ed anche quella che Mi avrebbero potuto procurare altre anime che si sono perdute... Così la mia gloria non rimane diminuita e un'anima giusta può riparare i peccati di molte altre.
«La tua continua preghiera, o Josefa, sia questa:
«Eterno Padre, per amore degli uomini hai dato alla morte il tuo Unigenito: per il suo sangue, per i suoi meriti, per il suo Cuore, abbi pietà del mondo intero e perdona tutti i peccati che si commettono.
«Ricevi l'umile riparazione che ti offrono le tue anime scelte! Uniscile ai meriti del tuo divin Figlio, affinché i loro atti acquistino una grande efficacia.
«O eterno Padre! Abbi pietà delle anime e ricordati che non è ancora giunto il tempo della giustizia, ma è ancora quello della misericordia!»
«- Non rifiutarmi niente - Gesù dice prima di allontanarsi - e non dimenticare che mi occorrono
anime che continuino la mia passione per trattenere la collera divina. Ma - aggiunge rassicurandola - Io ti sosterrò!»
Il colloquio del mattino termina la sera stessa mentre Josefa si trova nella cappella delle Opere di cui è sacrestana. D'improvviso Gesù le appare dicendole con bontà:
«- Tu non puoi sapere come Io mi riposi in te!»
«Ma, Signore - ella risponde - è mai possibile? Non faccio nulla di straordinario!»
«- Non ti meravigliare!... Nonostante tante offese che ricevo dai peccatori, il mio Cuore è consolato perché ho molte anime che mi amano! Sì, senza dubbio sento molto la perdita di tante anime... ma questo dolore non tocca la mia gloria. Comprendilo bene: un'anima amante può riparare per le offese di molti peccatori e consolare il mio Cuore».
«Gli spiegai che vorrei essere davvero una di quelle anime che l'amano. Ma che fare per provargli il mio amore?... Durante questa Quaresima vorrei provare ad essere molto docile e molto semplice, ma soprattutto consolarlo con la mia umiltà, come la nostra Beata Madre mi ha consigliato pochi giorni fa; soltanto non so bene che cosa devo fare per questo!...»
Allora come un padre che si curva sul figlioletto per meglio spiegargli il suo insegnamento, Gesù le disse:
«- L'umiltà di cui ti ha parlato la tua Beata Madre non consiste precisamente in parole ed atti esterni, bensì nella fedeltà dell'anima, mossa dalla grazia a seguirne tutte le ispirazioni senza lasciarsi trascinare dalle suggestioni dell'amor proprio. Tuttavia nulla impedisce a quest'anima di aiutarsi con atti esterni per acquistare la vera e solida umiltà. Questo ha voluto dirti la tua Beata Madre.
«E ora - ha proseguito - ecco che cosa farai per consolarmi dei peccati del mondo... soprattutto di quelli delle mie anime consacrate.
« Durante la Quaresima reciterai ogni giorno il Miserere con vera umiltà aggiungendovi il Pater.
«Ti prostrerai a terra tre volte durante lo spazio di un'Ave Maria per chiedere perdono e misericordia a nome dei peccatori e con questa stessa intenzione farai le penitenze che ti verranno permesse».
Poi il Signore esprime il desiderio che tre volte per settimana, tra le undici e mezzanotte, Josefa si unisca alla sua preghiera per placare la collera del Padre e ottenere perdono per le anime. Essa non osa impegnarsi per quest'ultima richiesta:
«Poiché - dice, - chissà se me lo permetteranno?»
«- Sottomettila come tutto il resto al giudizio delle tue Superiore - ha risposto il divino Maestro. - E ora - ha proseguito - voglio di nuovo riprendere le mie confidenze.
«- Durante questa Quaresima ti farò anche conoscere tutto quello che nell'anima tua potrebbe dispiacermi e mi servirò di te per consolare il mio Cuore ogni volta che ne avrò bisogno.
«- Addio, ritornerò presto!... Non lasciarmi solo... Non dimenticarmi!»
Questo desiderio del Cuore divino la sostiene nei giorni dolorosi che seguono. Come potrebbe lasciarlo solo, mentre i peccati delle anime si moltiplicano e stimolano continuamente il suo pensiero riparatore?
Il martedì delle Quarantore, 13 febbraio, si trova nuovamente di fronte all'infinito dolore di Gesù ch'essa condivide con tutta l'anima. Mentre fa la Via Crucis con le consorelle, Nostro Signore le appare triste e sanguinante, ma col Cuore infiammato. Egli le chiede di rimanere con Lui qualche momento. Josefa, ottenuto il permesso, si reca in cappella dove è esposto il Santissimo:
«- Guarda il mio volto, Josefa; è il peccato che lo riduce così! Il mondo si precipita nei piaceri. Il numero dei peccati che si commettono è così grande, che il mio Cuore è come affogato in un torrente di mestizia e di amarezza!
« Dove troverò un sollievo al mio dolore?
«Perciò vengo a rifugiarmi qui ed a cercare l'amore che mi faccia dimenticare l'ingratitudine di tante anime!...»
«Ho cercato di consolarlo - scrive Josefa - e dopo un istante ha ripreso:
«- Vieni con Me nella tua cella. Là, ripareremo insieme tante offese e tanti peccati».
«Sono uscita di cappella e Gesù camminava davanti a me... poi disparve. Appena ho aperto la porta della cella Egli era già là. Mi sono inginocchiata ed Egli ha detto:
«- Prostrati fino a terra e adora la divina Maestà disprezzata dagli uomini.
«Fa' un atto di riparazione e ripeti con me:
«O Dio infinitamente santo! Ti adoro, mi prostro umilmente alla tua presenza e ti prego nel nome del tuo divin Figlio di perdonare a tanti peccatori che ti offendono! Ti offro la mia vita e desidero riparare tante ingratitudini!»
«Si fermò ancora, e siccome gli ho domandato se queste anime peccatrici lo ferivano:
«- Si - mi ha detto - Mi offendono grandemente, ma le mie anime scelte Mi consolano».
«Di tanto in tanto gli rivolgevo la parola e gli esprimevo il mio desiderio di consolarlo... Ma che posso fare?... Così misera, e capace di così poco?...»
«- Certo - Egli ha ripreso. - Ma non sai che poco m'importa la miseria?... Ciò che voglio è di essere Io il padrone della tua miseria! Non pensare ad altro... il mio Cuore tutto trasforma!
«Bacia un'altra volta la terra e ripeti con me:
«Padre mio, Dio santo e misericordioso, ricevi il mio desiderio di consolarti. Vorrei poter riparare tutte le offese degli uomini... ma siccome ciò mi e impossibile, ti offro i meriti di Gesù Redentore del genere umano, per soddisfare la tua giustizia».
«Dopo un istante di silenzio gli ho domandato se il demonio mi avrebbe perseguitato anche la prossima notte come le precedenti, o se avrei potuto fare l'ora santa, stasera, con le altre».
«- Sì, ti lascerò passare quest'ora unita ai sentimenti del mio Cuore che si consuma per la brama di attirare a sé le anime e perdonarle.
«Poveri peccatori, quanto sono ciechi! Io non desidero che perdonarli ed essi non pensano che ad offendermi.
«Ecco il massimo dei miei dolori! Che tante anime si perdano invece di venire tutte a me per essere perdonate dal mio Cuore!»
Allora Josefa, profittando della bontà di Nostro Signore che sembra disposto a rispondere a tutte le sue domande, le moltiplica con la semplicità di una bambina.
«Gli ho chiesto se si ricorda delle nostre mancanze, dopo che ce ne siamo pentite e abbiamo implorato il perdono».
«- Dal momento in cui l'anima si getta ai miei piedi e implora misericordia Io dimentico tutti i suoi peccati».
«Gli ho domandato se fino alle fine del mondo ci saranno sempre tante anime che l'offendono».
«- Purtroppo sì!... Ma fino alla fine del mondo avrò anche anime che mi consoleranno!»
«Ho voluto sapere se Egli non fa udire la sua voce alle anime immerse nel peccato per strapparle da quello stato: perché lo vedo bene in me: quando mi trovo nella tentazione e gli resisto, ad un tratto sento in me qualche cosa che mi fa comprendere la verità e subito mi trovo presa dal rimorso. Gesù mi ha risposto.
«- Sì, Josefa; corro dietro al peccatore come la giustizia dietro ai delinquenti. Ma la giustizia li cerca per punirli, ed Io per perdonarli!»
Quindi, siccome ella gli offre per consolarlo i desideri delle anime religiose, più ardenti che mai in questi giorni, Egli aggiunge prima di partire:
«Le mie anime sono per il mio Cuore quello che è il balsamo per le ferite!
«Ritornerò più tardi, Josefa, continua a consolarmi!»
Per ora ella lo deve consolare con la fedeltà, nonostante i tranelli che il diavolo le semina sotto i passi.
Il sabato 17 febbraio la Madonna, dissipando tutte le ombre, viene a recarle il pegno più gradito: la corona di spine del suo divin Figlio!
«- È per te, figlia mia - le dice. - Non pensare più a tutte le menzogne con le quali il demonio cerca di turbarti».
E siccome Josefa le dice la sua pena per non sapere come resistere a tante insidie, la Madre celeste le confida il gran segreto:
«- Pensa alla passione e ai dolori di Gesù».
Poi, posando la corona di spine sul capo della sua figliuola:
«- Prendila - aggiunge benedicendola: - essa ti manterrà alla presenza di mio Figlio».
Dopo qualche ora Gesù le appare con la sua pace:
«- Vieni... accostati - dice a Josefa esitante - e promettimi di non lasciarti più prendere così negli agguati del nemico».
Ella lo vorrebbe, ma non osa prometterlo perché sente vivamente la sua debolezza.
«- Se cadrai... Io ti rialzerò».
Allora ella gli confida ingenuamente il consiglio datole dalla Madre Immacolata che ella già si sforza di praticare fissando il pensiero, momento per momento, sulla passione di Lui.
«- Sì, - risponde Gesù con bontà - pensa alle mie sofferenze!»
E indicando quale senso assumerà il suo messaggio, aggiunge:
«- D'ora in poi verrò ogni giorno a parlarti della mia passione, affinché essa sia l'oggetto dei tuoi pensieri e delle mie confidenze per le anime».

                                                                                                                                                                                                                                                                                
I SEGRETI DELLA PASSIONE ♦ IL CENACOLO 18-28 FEBBRAIO 1923 ♦ Pag.319

Josefa, sposa e Vittima del mio Cuore, ti parlerò ora della passione affinché l'anima tua si nutra costantemente
di questo ricordo e le mie anime trovino di che saziare la loro fame ed estinguere la loro sete.
(N. Signore a Josefa - 22 febbraio 1923).

La grande storia d'amore della passione sta per rivelarsi a Josefa di tappa in tappa, dal Cenacolo al Calvario, durante la Quaresima del 1923. Non bisogna ricercarvi la narrazione dei fatti: il Vangelo ne è sempre il depositano autentico ed ufficiale. Qui Gesù vuole schiudere la profondità del suo Cuore, vuole dare testimonianza di quella confidenza che rivela i suoi segreti, di quel dolore che vuole essere compreso in ciò che ha di più intimo. Questa rivelazione si rivolge dunque a quelle anime che cercano di penetrare in questo Cuore divino, condividerne i sentimenti e nulla rifiutare alle esigenze della sua croce.
Josefa sarà la prima ad entrare in questa via al seguito del suo Maestro. E mentre Egli le si rivela nella solitudine della sua celletta, ella continuerà a raccogliere il Messaggio dell'amore dolorante che si manifesta al mondo.
Trascorrono però alcuni giorni senza che la promessa divina si avveri. Il Signore vuol rendere docile il suo strumento con l'attesa paziente e l'abbandono. Ma, come ha chiesto, tre volte per settimana, il lunedì, il mercoledì e il sabato, Josefa ha il permesso di mettersi in preghiera dalle ore undici a mezzanotte…
Dopo la notte dal sabato alla domenica 18 febbraio ella scrive:
«Ieri sera mi sono offerta a tutto quello che vorrà e siccome temevo di addormentarmi gli ho chiesto di aver la bontà di svegliarmi. Appena coricata, ho cominciato a dormire... Non so che ora fosse quando la sua voce mi ha destata:
«- Josefa!»
«Sono rimasta confusa e gli ho detto: Gesù mio, perdonami! che ore sono?»
«- Poco importa, Josefa... È l'ora dell'amore».
«Gesù era bellissimo, portava la croce. Ho rinnovato i voti e mi sono alzata. Egli ha proseguito:
«- È l'ora in cui l'Amore viene a cercare conforto e sollievo lasciandoti la sua croce. Imploriamo perdono e clemenza per le anime... Prendi la mia croce e riposami!»
«Mi ha dato la croce e ne ho sentito tutta la pesantezza con dolore al fianco, nello stesso tempo che l'anima mia entrava in una grande angoscia. Avrei voluto consolarlo, ma mi sentivo indegna di portare la sua croce!»
«- Poco importa - mi ha detto: - la croce si appoggerà sulla tua miseria ed Io mi riposerò nella tua piccolezza... La mia croce ti fortificherà e Io ti sosterrò.
«Quando un'anima viene a me per cercare forza, Io non la lascio sola: la sostengo, e se la sua debolezza la tradisce, la rialzo.
«Ora chiediamo perdono per le anime... ripariamo le offese fatte alla Maestà divina.
«Ripeti con me; "O Dio santissimo e giustissimo!... Padre di clemenza e d'infinita bontà! Tu hai creato l'uomo per amore, e per amore l'hai fatto erede dei beni eterni: se per debolezza egli Ti ha offeso ed è degno di castigo, ricevi i meriti del tuo Unigenito che s'offre a Te come vittima d'espiazione!
«Per quei meriti divini perdona all'uomo peccatore e degnati rendergli i suoi diritti all'eredità celeste. O Padre mio, pietà e misericordia per le anime!
«Josefa, Io ti lascio la mia croce perché tu mi dia sollievo. Io sono la tua forza! Consolami!»
«Allora - scrive - se n'è andato, lasciandomi la croce».
La sera del lunedì 19 febbraio ella rinnova la sua offerta prima di addormentarsi.
«Non so - scrive poi - se sia stata la sua voce o la sua presenza a risvegliarmi verso le undici... Gesù era là con la sua croce e mi diceva:
«- Josefa, mi ami?»
«Non ho osato rispondere perché, misera come sono, non so amare!... Gli ho chiesto perdono per essermi lasciata turbare da piccolissime cose, che non ne valgono la pena».
«- Sì, fa' profitto di tutte queste piccole occasioni per salvarmi delle anime».
«Poi con la sua consueta bontà ha continuato:
«- Prendi la mia croce e tutti e due mettiamoci a riparare tanti peccati che in questa ora si commetteranno. Se tu sapessi come le anime si precipitano in massa nella colpa!»
«Mi ha dato la croce, ed io mi sono umiliata alla sua presenza... L'ho adorato perché vedevo più che mai la mia indegnità di fronte alla sua grandezza. Congiunse poi le mani dicendo:
«- Adoriamo la Maestà divina offesa e oltraggiata. Ripariamo per tanti peccati.
«O Dio, infinitamente santo... Padre infinitamente misericordioso! Ti adoro. Vorrei riparare tutti gli oltraggi che ricevi dai peccatori su tutta la faccia della terra e in ogni istante del giorno e della notte. Vorrei soprattutto, o Padre mio, riparare le offese e i peccati che si commettono in quest'ora. Ti presento tutti gli atti di adorazione e di riparazione delle anime che Ti amano. Ti offro in special modo l'olocausto perpetuo del Figlio tuo che s'immola sugli altari in tutti i punti della terra... in tutti gli istanti di quest'ora. O Padre infinitamente buono e compassionevole, ricevi quel sangue purissimo in riparazione degli oltraggi degli uomini, cancella le loro colpe e fa' loro misericordia!».
«A questo punto sono rimasta in silenzio: Gesù teneva gli occhi fissi al cielo. L'anima mia era in una grande angoscia e il mio cuore era oppresso dal dolore. Dopo un istante, Gesù proseguì:
«- Offri tutta te stessa per riparare tante offese e per soddisfare la giustizia di Dio».
«Gli ho ripetuto la mia indegnità, poiché io pure sono una grande peccatrice!»
«- Se la tua indegnità e i tuoi peccati sono grandi, vieni a sommergerli nel torrente del sangue del mio Cuore e lasciati purificare. Poi accetta generosamente tutti i patimenti che t'invia la mia volontà per offrirli al mio Padre celeste. Lascia che la tua anima s'infiammi dal desiderio di consolare un Dio oltraggiato, e serviti dei miei meriti per riparare tanti peccati».
Gesù sta per lasciarla: Josefa allora si fa ardita e Gli ricorda la promessa di parlarle della sua passione.
«Sì, ritornerò - dice. - Intanto consola il mio Cuore e ripara».
Queste grandi nottate riparatrici ormai si succedono regolarmente, senza nuocere al lavoro, che ella riprende all'alba.
Nella notte dal mercoledì al giovedì 22 febbraio Nostro Signore viene ancora una volta a svegliarla, giacché la stanchezza l'aveva fatta addormentare presto.
«Eccomi! - dice. - Vengo a riposarmi in te!»
Ella si alza immediatamente, rinnova i voti e si offre per togliere la croce dalle spalle divine.
«- Sì, Josefa, te la darò e, con la croce, tutte le angosce del mio Cuore!»
«Subito mi ha dato la croce - prosegue - e ho cercato di consolarlo. Egli ha continuato:
«- Dimmi, esiste forse un Cuore più amante del mio, e che trovi meno corrispondenza al suo amore?
«Esiste un Cuore che, più del mio, si consumi dal desiderio di perdonare?
«Eppure, in ricambio di tanto amore, non ricevo che le più grandi offese!
«Povere anime!... domandiamo perdono e ripariamo per esse:
«O Padre mio, abbi pietà delle anime. Non le punire come meritano, ma usa loro misericordia, come il Figlio tuo ti supplica!
«Vorrei riparare le loro colpe e renderti la gloria che ti è dovuta, o Dio infinitamente santo, ma guarda il Figlio tuo: Egli è la vittima di espiazione per tanti peccati!
«Rimani unita a me, Josefa, e accetta con intera sottomissione tutte le sofferenze di quest'ora!»
Gesù se ne va, e un'ora passa sotto il peso di quella sofferenza.
«Ad un tratto - scrive - mi apparve il demonio e gettò questo grido di rabbia:
«Ed ora tocca a me!»
La notte termina sotto i suoi colpi, le minacce, le bestemmie, e Josefa, affranta, non trova forza che per andare a cercare la Comunione. Il momento è venuto in cui Gesù, dopo averla ridotta all'ultimo limite della sua debolezza e del suo nulla, vuol servirsi di lei come di strumento di cui è interamente padrone. Quel mattino stesso, giovedì 22 febbraio, mentre ella, rifugiatasi nella piccola cella si riposa un istante, trascrivendo le preghiere dette con Gesù la notte precedente, Egli appare improvvisamente.
«- Josefa, sposa e vittima del mio Cuore - dice con solennità - vengo a parlarti della mia passione affinché l'anima tua si alimenti continuamente di questo ricordo e le mie anime trovino di che saziare la loro fame ed estinguere la loro sete».
«Non osavo interromperlo - scrive - tuttavia gli ho chiesto di permettermi di rinnovare i voti».
«- Sì, rinnovali: Io mi glorifico sempre quando stringo i vincoli che ti uniscono a me, e ricolmo l'anima tua di tante grazie, che non solamente la sua purezza è rinnovata come nel giorno dei voti, ma acquista ogni volta un nuovo grado di merito che la rende più cara ai miei occhi.
«Così avviene per tutte le anime che mi sono unite con questi vincoli indissolubili e sacri. Ogni volta che li rinnovano si arricchiscono di nuovi meriti e si avvicinano ancora di più al mio Cuore che si compiace in esse.
«Ora, Josefa, comincerò a svelarti i sentimenti che mi riempirono il Cuore quando lavai i piedi dei miei apostoli.
«Osserva come li ho riuniti tutti e dodici, senza escluderne alcuno. Là c'era Giovanni, il prediletto, e Giuda, che poco dopo doveva darmi in mano ai nemici.
«Ti dirò perché volli riunirli tutti e perché cominciai col lavare loro i piedi.
«Li ho riuniti tutti perché era venuto il momento per la mia Chiesa di apparire al mondo e, per tutte le pecorelle, di non avere più che un unico pastore.
«Ho voluto inoltre mostrare alle anime che, anche quando sono cariche dei peccati più gravi, non rifiuto loro mai la mia grazia e non le separo mai da quelle che amo con predilezione. Custodisco nel mio Cuore le une e le altre per dare ad ognuna gli aiuti necessari al suo stato...
«Ma quale dolore provai nel vedere rappresentate nel disgraziato Giuda tante anime, spesso riunite ai miei piedi, lavate col mio sangue, e in corsa verso la perdizione eterna!
«Ad esse vorrei far comprendere che il loro stato di peccato non deve farle allontanare da me. Non credano che non vi sia più rimedio e che non saranno più amate come una volta... No, povere anime, questi non sono i sentimenti di un Dio che sta per versare per voi tutto il suo sangue!
«Venite a me, tutte, e non temete, perché vi amo!... Vi purificherò col mio sangue e diverrete più bianche della neve... I vostri peccati saranno sommersi nell'acqua in cui Io stesso vi laverò, e nulla mi potrà strappare dal Cuore quell'amore che ho per voi.
«Josefa, lasciati invadere oggi dal desiderio ardente che tutte le anime, e specialmente i peccatori, vengano a purificarsi nelle acque della penitenza, che si abbandonino a sentimenti di fiducia e non di timore, perché Io sono il Dio della misericordia sempre pronto a riceverle nel mio Cuore».
Qui termina il primo dettato di Nostro Signore che Josefa ha scritto con rapidità in una ventina di minuti. Egli parla «con tale ardore» - dice essa - che sembra voler riversare tutto il suo Cuore e dilatarsi in questa espansione. Essa coglie a volo queste parole di fuoco interrotte soltanto da qualche istante di silenzio (14).
(14) Sono queste le infocate espansioni del Cuore di Gesù scritte da Josefa mentre il Maestro parlava e tradotte poi dallo spagnolo. Rigorosamente parlando, non si può dire che Gesù dettasse. Egli parlava e Josefa trascriveva, cogliendo le parole a mano a mano che cadevano dalle labbra divine.
Poi Egli si ferma; il suo sguardo si posa a lungo su Josefa che, deposta la penna, resta inginocchiata ai suoi piedi. Quindi con brevi parole Gesù si accomiata e sparisce. Ella rimane qualche momento immobile presso il tavolino ove sta ancora aperto il quaderno, tutta immersa nel pensiero di ciò che ha udito e scritto. Non rilegge le pagine, ma le consegna alle superiore sempre presenti; tranquilla torna al laboratorio ove il suo lavoro l'aspetta. Ma il ricordo delle dolorose confidenze del Salvatore si protrarrà per tutto il resto della giornata.
D'altronde Egli stesso non la lascia a lungo senza chiederle nuove riparazioni per le anime in pericolo.
La sera stessa del giovedì 22 febbraio, quando sta terminando la Via Crucis, viene a ricordarle che conta su di lei.
Questa volta si tratta di tre anime...
«- non solo amatissime, ma predilette dal mio Cuore», dice.
«- Per esse vengo a rifugiarmi qui e a cercare consolazione tra voi. Bada, Josefa aggiunge, - che ciò che il demonio ti ha detto stamani è vero: molte anime qui trovano la vita».
E precisando il suo pensiero:
«- Voi le attirate alla verità, o anime carissime al mio Cuore, con le vostre miserie e il vostro amore».
Questa espressione desta in lei meraviglia:
«- Sì - continua il Maestro. - Qui predominano due cose: la miseria e l'amore. Per motivo dell'amore molte anime qui trovano la vita; e lo sguardo di Dio si è fissato sopra questo gruppo di anime attirato dalla miseria».
La sera dopo, venerdì 23 febbraio, al termine della Via Crucis ch'ella ha fatto con le consorelle Nostro Signore le si mostra:
«Era davanti alla balaustra - scrive. - Portava la croce e lo sguardo ci fissava tutte».
«- Quanta consolazione mi date - disse. - Oh, se poteste vedere, quante meraviglie scoprireste! Le vostre preghiere si cambiano in tesori per le anime!». «Nel dire queste parole Egli mi si avvicinò... porgendomi la croce. Gli confidai i miei timori poiché nelle notti precedenti il demonio non cessava d'insultare la casa...». «Non temere, Josefa. Non può che minacciare, perché vi custodisco Io, che sono l'Onnipotente. Vi odia perché vi amo: se tu sapessi quale opera importante si compie in questa casa, e come voi lavorate per le anime e per il mio Cuore!... «Ma, ora - ha proseguito, - il mio Cuore versa in un mare di amarezze per quelle tre anime che vi ho affidate. «Finché esse mi offenderanno verrò a cercare riposo e consolazione presso di voi. «Ti consegno la mia croce, non lasciarmi solo!». Quindi ha aggiunto: «Amatemi e consolatemi!».
La croce le si appesantisce sulle spalle e Josefa continua a sperimentarne la forma dolorosa giacché il demonio sfrutta con rabbia il potere concessogli in quell'epoca. Ella espia per quelle anime «predilette» che si lasciano sedurre, e conquista loro con le sue lotte di giorno e di notte la luce che deve rimetterle nella verità.
Il 25 febbraio, domenica, Gesù la raggiunge nella cella, fin dal mattino.
«- Perché temi? - le dice con bontà. - Hai ancora parecchie imperfezioni, ma non si tratta di peccati, come ti accusa il demonio... Rinnova i voti, serrando sempre più i vincoli che ti stringono a me.
«Ed ora Josefa, ricordati che non sei che uno strumento molto inutile e miserabile.
«Bacia la terra e scrivi, poiché continuerò a dirti i miei segreti di amore.
«Oggi ti dirò perché volli lavare i piedi dei miei apostoli prima della Cena.
«Fu innanzi tutto per mostrare alle anime quanto desidero che siano pure quando mi ricevono nell'Eucarestia.
«Fu anche per ricordare a quelle che hanno avuto la disgrazia di cadere che esse possono sempre ricuperare il candore perduto per mezzo del sacramento della Penitenza.
«Volli lavare Io stesso i piedi dei miei apostoli affinché a mio esempio coloro che si dedicano ai lavori apostolici sappiano umiliarsi davanti ai peccatori, come davanti alle altre anime loro affidate e trattino tutti con dolcezza.
«Volli cingermi con un asciugatoio per indicare loro che l'apostolo deve cingersi di mortificazione e di abnegazione, se vuole toccare efficacemente le anime...
«Volli altresì insegnare loro la carità scambievole, sempre pronta a lavare i difetti del prossimo, vale a dire a dissimularli e scusarli senza mai divulgarli.
«Infine l'acqua che versai sui piedi dei miei apostoli fu immagine dello zelo che divora il mio Cuore per la salvezza degli uomini...
«In quell'ora tanto prossima alla redenzione del genere umano il mio Cuore non poteva contenere l'ardore che lo divorava: ed il mio amore infinito per gli uomini non poté risolversi a lasciarli orfani.
«Quindi per provare loro questo amore e per restare con essi fino alla consumazione dei secoli volli diventare loro alimento, loro sostegno, loro vita, loro tutto...
«Ah, quanto vorrei far conoscere a tutte le anime i sentimenti del mio Cuore, e penetrarle dell'amore che m’infiammava per loro quando istituii il sacramento dell'Eucaristia!
«In quel momento vidi nel corso dei secoli tutte le anime che si sarebbero cibate del mio corpo e dissetate del mio sangue, ed i frutti divini che ne avrebbero raccolto.
«In quanti cuori questo sangue immacolato avrebbe generato purezza e verginità... In quanti altri avrebbe acceso le fiamme della carità e dello zelo!... Quanti martiri d'amore si raggruppavano in quel momento dinanzi ai miei occhi e nel mio Cuore!... Quante anime, dopo aver commesso molti e gravi peccati, indebolite dalla violenza delle passioni, sarebbero venute a ritrovare vigore nutrendosi del pane dei forti!
«Chi potrà penetrare i sentimenti che si affollarono nel mio Cuore in quei momenti?... sentimenti di gioia, d'amore, di tenerezza... Ma chi potrà comprendere anche la sua amarezza?
«Continuerò, Josefa. Va' ora nella mia pace. Consolami, non temere di nulla, perché il mio sangue non ha perduto la sua efficacia... e purifica l'anima tua!...»
Gesù tacque.
«- Addio, bacia la terra, ritornerò!»
Questo ritorno si fa attendere vari giorni. Ogni mattina Josefa è fedele al convegno, ma se ne va senza aver visto il Maestro, mentre le tribolazioni diaboliche non cessano di opprimerla.

                                                                                                                                                                                                                                  
L'EUCARISTIA 1-11 MARZO 1923 ♦ Pag.329

L'Eucaristia è l'invenzione dell'amore. Ma poche sono le anime che corrispondono a questo amore che si esaurisce e si consuma per loro!
(N. Signore a Josefa - 2 marzo 1923).

Il 2 marzo, primo venerdì del mese, verso le nove del mattino, Josefa svelta e attiva si reca al lavoro. A lungo ha atteso Nostro Signore nella sua cella, ma anche quel giorno non le si è mostrato. Ella scrive con sincerità:
«Avevo molto da cucire ed ero abbastanza contenta di poter disporre di quel tempo... poiché, in certi momenti, sono perseguitata dall'idea che non concludo nulla, e che con tutte queste cose non servo a niente!»
Questa è la tentazione abituale con cui il demonio cerca di sfruttare l'indole sua ardente e sempre propensa all'abnegazione.
«Ad un tratto, in fondo alla scala di S. Michele, m'incontrai con Gesù. Mi fermò e mi disse:
«- Josefa, dove vai?».
«Vado al guardaroba per rivedere le uniformi, Signore».
«- Va' in cella - Egli prosegue - perché voglio che tu scriva».
Ella nasconde in sé il desiderio di mandare avanti il lavoro e sale in cella, dove Gesù l'ha preceduta.
«- Chi ti ha creata, Josefa? - le chiede dopo che ha rinnovato i voti».
«Tu, o mio Dio!».
«- Chi ti ha dato maggiori prove di amore di me?... Chi ti ha perdonato così spesso come ti ho perdonato Io, che sono tuttora pronto a perdonarti?...»
Confusa, ella si prostra ai suoi piedi.
«- Sì, umiliati, Josefa, bacia la terra e non resistermi più.
«Ora scrivi per le mie anime:
«Voglio far loro conoscere la tristezza che inondò il mio Cuore durante la Cena: poiché, se fu grande la mia gioia al pensiero delle anime di cui mi facevo alimento e compagno, e dalle quali fino alla fine dei secoli avrei ricevuto la testimonianza di adorazione, di riparazione e di amore, non fu però minore la mia tristezza alla vista di tante altre che mi avrebbero lasciato nella solitudine o non avrebbero neppure creduto alla mia presenza reale.
«In quanti cuori macchiati di peccato avrei dovuto entrare!... e quante volte la mia carne e il mio sangue profanati non avrebbero servito che alla condanna per molte anime!
«Vidi in quel momento i sacrilegi, gli oltraggi, le abominazioni orribili che si sarebbero commesse contro di me!... Quante ore, quante notti avrei dovuto passare nella solitudine del tabernacolo! E quante anime avrebbero rifiutato gli amorosi inviti che dal tabernacolo avrei fatto loro udire!
«Josefa, lasciati penetrare dai sentimenti del mio Cuore!
«Per amore delle mie anime rimango prigioniero nell'Eucaristia. Sto là affinché in tutte le loro pene possano venire a consolarsi col più tenero dei Cuori, col migliore dei Padri e l'Amico che non abbandona mai.
«L'Eucaristia è l'invenzione dell'amore. Ma quest'amore che si esaurisce e si consuma per il bene delle anime non è corrisposto...
«Abito tra i peccatori per essere la loro salvezza e la loro vita, il medico e nello stesso tempo la medicina per tutte le malattie, generate dalla loro natura corrotta... Essi in cambio si allontanano da Me, Mi oltraggiano, Mi disprezzano!...
«Poveri peccatori! Non vi allontanate da me!... Vi aspetto nel tabernacolo notte e giorno!... Non vi rimprovererò per i vostri delitti... non ve li rinfaccerò... ma vi laverò nel sangue delle mie Piaghe! Non temete dunque... Venite a me... Se sapeste quanto vi amo!...
«E voi, anime care, perché siete così fredde, così indifferenti al mio Amore?... So che le necessità della vostra famiglia, della vostra casa... le esigenze del mondo vi chiamano incessantemente... Ma non troverete mai un momento per venire a darmi una prova di amore e di riconoscenza?... Non vi lasciate sommergere da tante preoccupazioni inutili e riservate un momento per visitare e ricevere il Prigioniero d'Amore!
«Se il vostro corpo fosse debole e infermo non trovereste forse il tempo per andare dal medico che deve guarirvi? Venite dunque a Colui che può farvi recuperare le forze e la salute dell'anima... Fate un'elemosina di amore a questo Prigioniero divino che vi aspetta, vi chiama, vi desidera!...
«Tutti questi sentimenti mi pervasero al momento della Cena, Josefa. Però non ti ho ancora detto ciò che provò il mio Cuore al pensiero delle mie anime consacrate, delle mie spose, dei miei sacerdoti!... Te lo dirò in seguito. Ora va', e non dimenticare che il mio Cuore ti ama. E tu, mi ami?...»
Josefa risponde alla richiesta di Gesù più con la coraggiosa fedeltà che con proteste di amore. Nella notte seguente, dolorosissima, ella ha potuto capire, tra le bestemmie dell'inferno, che le tre anime care al Cuore di Gesù, e per cui ella soffriva da quindici giorni, sono sul punto di ritornare a Lui. L'anima sua è rinvigorita.
La sera del primo sabato del mese, 3 marzo, mentre sta in adorazione davanti al Santissimo esposto, Gesù le appare col Cuore in fiamme:
«- Josefa- le dice con ardore - lasciami riposare in te, lascia che il mio Cuore ti comunichi la sua gioia: quelle tre anime che vi avevo affidate sono ritornate a me!...»
E prosegue:
«- La mia croce è pesante, per questo vengo qui a riposarmi e a darne una parte a ciascuna delle mie anime. Il mio Cuore cerca vittime per ricondurre il mondo all'Amore, e qui Egli le trova!»
Con quanta gioia Josefa si rallegra col Maestro! Gli offre tutti i desideri della casa, che sa così ardenti e sinceri, per consolare il suo Cuore e attirargli molte anime. E, siccome le è rimasto vivo nel pensiero l'eco delle parole dettatele da Gesù il giorno prima, Gli domanda se non vorrà comunicarle, per le anime consacrate, ciò che aspetta da loro nell'Eucaristia.
«- Sì - risponde - voglio che tu lo sappia affinché per mezzo tuo queste anime che sono l'oggetto delle mie predilezioni, i miei sacerdoti, le mie spose, lo sappiano a loro volta. Perché se le loro infedeltà mi feriscono profondamente, il loro amore consola e rapisce il mio Cuore a tal punto che quasi dimentico le offese di molte anime! »
«Allora continuò a parlarmi a lungo su questo argomento: siccome però eravamo in cappella, fui costretta a dirgli che difficilmente mi sarei ricordata di tutto per poi scriverlo».
«- Poco importa, lasciami parlare ed effondere il mio Cuore!»
La sera della domenica 4 marzo, mentre termina la Via Crucis, Gesù le appare improvvisamente:
«- Se vuoi consolarmi - le dice - ecco il momento. Questa sera, qui vicino, si tiene un convegno ove Io sarò molto offeso. Mettiti in stato di vittima in modo da riparare gli oltraggi di quelle anime. Povere anime, quanto mi offendono!... e poi in quale stato usciranno di là?...»
Trascorrono pochi momenti e Gesù la raggiunge in cella, ove si è messa a supplicare per quelle anime. Egli le dà la croce e dirige la sua preghiera.
«- Mentre quelle anime offendono la tua sovrana maestà e oltraggiano con furore il sangue del Figlio tuo, permettimi, o Padre, che ti presenti quest'anima che si offre come vittima, unita al mio Cuore, per soffrire e riparare. Accetta per queste anime, o Padre di bontà, le sue sofferenze unite ai miei meriti!»
Poi aggiunge:
«- Lascia ora che immerga l'anima tua nell'amarezza del mio Cuore!»
Quindi la lascia nell'angoscia e sotto la croce.
Scende la notte su questa grande sofferenza che si protrae fino al ritorno del Maestro!
«- Verso le dieci - scriverà poi - è ritornato e mi ha detto:
«- Rendimi la croce; voi mi avete consolato!»
«L'ho ringraziato di avermi fatto sapere che l'avevamo un po' consolato e gli promisi di non resistergli mai...»
«- Si, all'ora e al momento in cui ho bisogno di te, vieni a medicarmi le ferite cagionatemi dai peccatori.
«Voi mi avete dato da bere - prosegue infine: - Io vi metterò a parte del Regno dei Cieli».
Seguirono alcuni giorni d'interruzione, poi Gesù riprese le sue confidenze il martedì 6 marzo.
«- Josefa, mi aspetti? - Le chiede trovandola alle otto del mattino.
«Vengo a rivelarti il più grande mistero dell'Amore... e dell'Amore per le anime da me scelte e a me consacrate. Comincia col baciare la terra...
«Nel momento d'istituire l'Eucaristia vidi presenti tutte le anime privilegiate che dovevano cibarsi del mio Corpo e del mio Sangue e che vi avrebbero trovato alcune rimedio alla loro debolezza, altre fuoco divoratore che avrebbe consumato le loro miserie e le avrebbe accese di amore...
«Tutte unite per un medesimo fine, sarebbero come un giardino in cui ciascuna avrebbe prodotto il suo fiore e mi avrebbe ricreato con la sua fragranza. Io riscalderei quelle che avessero bisogno di calore, e il mio corpo santissimo sarebbe il sole che le rianimerebbe. Mi avvicinerei ad alcune per consolarmi, ad altre per nascondermi, ad altre per riposarmi... Oh, se sapeste, anime carissime, quant'è facile consolare, nascondere, far riposare un Dio!
«Questo Dio che vi ama d'amore infinito, dopo avervi liberato dalla schiavitù del peccato, ha seminato in voi la grazia incomparabile della vocazione religiosa e vi ha misteriosamente attratte nel giardino delle sue delizie. Questo Dio, vostro Redentore, si è fatto vostro Sposo.
«Egli stesso vi ciba col suo Corpo purissimo e vi disseta col suo Sangue.
«Se siete malate, Egli è il vostro medico: venite a Lui e vi guarirà. Se avete freddo, venite a Lui per riscaldarvi. In Lui troverete riposo e felicità. Non vi allontanate dunque da Lui che è la vita e quando vi chiede di consolarlo, non lo ferite con un rifiuto...
«Quale amarezza fu per me il vedere tante anime favorite dalle mie grazie di predilezione divenire per il mio Cuore causa di dolore! Non sono forse sempre lo stesso? Sono forse cambiato a vostro riguardo? No, l'Amore mio è immutabile, e fino alla fine dei secoli vi amerò con predilezione.
«So che siete piene di miserie, ma per questo non ritrarrò da voi il mio più tenero sguardo; al contrario, ansiosamente aspetto che veniate a me, non solo per alleviare le vostre pene, ma per ricolmarvi di nuovi benefici.
«Se vi chiedo amore, non me lo negate; è così facile amare Colui che è lo stesso Amore!
«Se chiedo qualcosa che costa alla vostra natura, vi do nello stesso tempo la grazia e la forza necessaria per vincervi.
«Vi ho scelto perché siate il mio conforto. Lasciatemi dunque entrare nell'anima vostra e se non avete nulla che sia degno di me, ditemi con umiltà ma con fiducia: Signore, vedi quali fiori e quali frutti produce il mio giardino... Vieni e insegnami ciò che debbo fare, affinché oggi stesso possa cominciare a sbocciare in me il fiore che desideri!
«All'anima che mi dice questo, con vero desiderio di provarmi il suo amore, Io risponderò: Anima cara, affinché il tuo giardino produca il fiore che amo, lascia che lo coltivi Io stesso, lascia ch'Io lavori questa terra, lasciami strappare oggi certe radici che mi disturbano e che la tua forza non arriva a togliere... Se ti chiedo il sacrificio dei tuoi gusti, del tuo carattere... quell'atto di carità, di pazienza, di abnegazione, quella prova di zelo, di obbedienza, di mortificazione, tutto ciò sarà il concime che migliorerà la terra e le farà produrre fiori e frutti. La vittoria sul tuo carattere otterrà luce per un peccatore, una pena sopportata allegramente rimarginerà la ferita ch'egli mi ha fatto; ne riparerà l'offesa, ne espierà la colpa. Se non ti alteri ricevendo un'osservazione, ed anzi l'accetti con gioia, otterrai che le anime accecate dall'orgoglio si umilino e chiedano perdono.
«Questo è ciò che farò con l'anima tua se mi lasci lavorare liberamente. Allora i fiori vi cresceranno rapidamente e tu sarai la consolazione del mio Cuore! Io cerco questa consolazione e la voglio trovare tra le mie anime scelte».
«Signore! Già sai che ero disposta a lasciarti fare di me ciò che volevi, ma... sono caduta, e ti ho disgustato. Perdonerai ancora a me che sono così miserabile e che non posso servirti in nulla?»
«- Sì, anima cara, le tue cadute stesse servono a consolarmi. Non ti scoraggiare, perché quell'atto d'umiltà che il tuo difetto ti obbliga a fare mi ha consolato più che se tu non fossi caduta. Coraggio, va' avanti e lasciami lavorare in te!
«Ecco ciò che Io vidi chiaramente quando istituii l'Eucaristia. L'amore m infiammava dal desiderio di essere Io stesso cibo di queste anime. Non sono rimasto tra gli uomini soltanto per vivere coi più perfetti, ma per sostenere i deboli ed alimentare i piccoli. Io li farò crescere ed irrobustire. Mi consolerò nei loro buoni desideri e mi riposerò nelle loro miserie...
«Ma, tra queste anime scelte non ve ne saranno di quelle che mi daranno pena? Persevereranno tutte? Questo il grido di dolore che esce dal mio Cuore... questo il gemito che voglio far udire alle anime!
«Basta, per oggi. Addio, Josefa, tu mi consoli quando ti doni a me con totale abbandono... Lascia che ti confidi i miei segreti per le anime... perché non sempre posso parlare così. Lasciami approfittare dei giorni della tua vita!»
Di nuovo, il giorno seguente, mercoledì 7 marzo, il doloroso lamento d'amore si fa udire:
«Bacia umilmente la terra!»
Dice Gesù, come fa ogni volta. Josefa si prostra ai suoi piedi, poi si rialza, e il Maestro incomincia a parlare:
«- Scrivi quello che soffrì il mio Cuore nell'ora in cui, non potendo contenere il fuoco che mi consumava, inventai questa meraviglia di amore che è l'Eucaristia! Contemplando allora tutte le anime che si sarebbero cibate di questo pane divino, vidi pure tutta la freddezza di tante anime consacrate, di tanti sacerdoti... Quale sofferenza per il mio Cuore! Vidi quelle anime raffreddarsi... abbandonarsi alla forza dell'abitudine e, peggio ancora, alla rilassatezza, alla noia e, a poco a poco, alla tiepidezza...
«E tuttavia Io sto nel tabernacolo tutta la notte e aspetto quest'anima. Desidero con ardore che essa venga a ricevermi, che mi parli con la confidenza di una sposa, che mi esponga le sue pene, le sue tentazioni, le sue sofferenze, che mi chieda consiglio e che solleciti le grazie necessarie per sé e per gli altri... Forse essa ha sotto di sé o nella sua famiglia anime che sono esposte al pericolo ed errano lontane da me?...
«Vieni, le dico, dimmi tutto con intera fiducia... interessati dei peccatori... offriti per riparare... promettimi che oggi non mi lascerai solo... e poi domanda al mio Cuore se esso non desidera da te qualche cosa di più che possa dargli conforto...
«Questo m'aspettavo da quell'anima e da tante altre... Ma quando si avvicina a ricevermi nella Comunione, appena appena mi dice una parola... E distratta, stanca, contrariata... Gli affari l'assorbono... la famiglia l'inquieta, l'ambiente le pesa... la salute la preoccupa... non sa che dirmi, resta fredda ed annoiata... ha fretta di andarsene...
«Così mi ricevi, anima prediletta, che tutta la notte ho atteso con tanta impazienza?...
«Sì, l'aspettavo per riposarmi in lei e sollevare le sue pene... Le avevo preparato nuove grazie, ma essa non le desidera neppure, nulla mi chiede, né consiglio né forza... solamente si lamenta, senza neppure rivolgersi a me... Sembra sia venuta solo per compiere una formalità o seguire l'uso e perché non ha peccato mortale che l'impedisca...
Ma non è
l'amore che la spinge, né il vero desiderio di unirsi intimamente a me. No, quest'anima non ha nessuna delle delicatezze che il mio Cuore aspettava da lei.
«E quel sacerdote?... Come dire tutto ciò che attendo da ciascuno dei miei sacerdoti?... Li ho rivestiti del mio potere perché possano assolvere le anime... Mi sono messo a loro disposizione, alla parola delle loro labbra scendo dal cielo in terra... mi abbandono tra le loro mani, per essere chiuso nel tabernacolo o distribuito nella Comunione... Essi sono, per così dire, i mie i dispensatori... Affido loro un certo numero di anime perché con la predicazione, la direzione, e soprattutto con l'esempio, le guidino e le conducano per il sentiero della virtù.
«Rispondono tutti a tale chiamata?... Compiono tutti quella missione di amore?... Nel celebrare il santo Sacrificio il sacerdote saprà affidarmi le anime di cui è responsabile?... riparare le offese che mi si fanno e di cui ha ricevuto la confidenza?... chiedermi la forza per disimpegnare santamente il suo ministero?... lo zelo per lavorare per la salvezza del suo gregge?... Saprà oggi rinunziarsi più di ieri?... Mi darà l'amore che attendo?... Potrò riposarmi in lui come in un caro ed amato discepolo?...
«Quale acuto dolore per il mio Cuore quando sono costretto a dire: - I laici mi feriscono le mani e i piedi, mi deturpano il volto, ma le anime scelte, le mie spose, i miei sacerdoti, lacerano e spezzano il mio Cuore!... Quanti miei ministri, dopo aver reso la grazia a molte anime, sono essi stessi in stato di peccato!... Quanti celebrano così, mi ricevono così... vivono e muoiono così!...
«Questo fu il dolore più terribile provato alla Cena, quando tra i Dodici vidi il primo apostolo infedele... e dopo di lui tanti e tanti altri che nel corso dei secoli lo avrebbero seguito!...
«L'Eucaristia è l'invenzione dell'amore! E la vita e la forza delle anime, il rimedio a tutte le debolezze, il viatico per chi passa dal tempo all'eternità. I peccatori ritrovano in essa la vita dell'anima... le anime tiepide, il vero calore..., le fervorose, riposo e soddisfazione dei loro ardenti desideri... le perfette, le ali per librarsi e tendere a sempre maggiore perfezione... le pure, il dolcissimo miele che è il loro più delicato alimento.
«Infine, le anime religiose trovano nell'Eucaristia la loro dimora, il loro amore, la loro vita. In essa trovano il simbolo dei voti religiosi, vincoli sacri e benedetti che le uniscono inseparabilmente allo Sposo divino.
«Sì, anime consacrate, troverete un perfetto simbolo del vostro voto di povertà in questa piccola ostia, rotonda e sottile, liscia e leggera.
«Così deve essere l'anima che fa professione di povertà: senza angoli cioè senza piccoli affetti naturali, né alle cose di cui si serve, né all'ufficio che esercita, né alla famiglia, né alla patria... Sempre pronta a lasciare, a partire, a cambiare... sempre vuota di ogni cosa terrena, col cuore libero, senza segreti attacchi...
«Ciò non vuol dire che quel cuore debba essere insensibile: no! Più ama, e più saprà mantenere intatto il voto di povertà. L'essenziale per l'anima religiosa è, prima di tutto, di non possedere niente senza il permesso o il consenso dei superiori; in secondo luogo, di non avere nulla e di non amare nulla se non con la disposizione di lasciare tutto al primo cenno dell'obbedienza.
«Ti dirò il resto un'altra volta, Josefa!»
Trascorrono ancora vari giorni senza che il suo cammino penoso si faccia più agevole. Di fronte alle vessazioni violente del nemico la sua coscienza tanto delicata si allarma sempre:
«Ho persino perduto una Comunione!», scrive dolorosamente».
La domenica «laetare», 11 marzo, Gesù ritorna recandole la sicurezza del suo perdono.
«- Prendi la mia corona, e non temere - dice. - La misericordia di Dio è infinita, e non rifiuta mai il perdono ai peccatori, tanto più se si tratta di una povera e piccola creatura come te!»
E facendo allusione alla Comunione tralasciata:
«- Se tu sapessi, Josefa, come ti aspettavo e quanto desideravo che tu mi nascondessi nel tuo cuore!»
Ella non sa che dire per fargli dimenticare questa pena.
«- Tu riparerai - riprende Gesù con infinita bontà - col prepararti oggi con ardente desiderio a ricevermi domattina. Il mio Cuore si consolerà ogni volta che tu gli esprimerai questo desiderio... E poi - prosegue, spirito di fede e obbedienza cieca sempre.
«Ora continua a scrivere per le mie anime.
«Di' loro che esse troveranno anche nella piccola e candida ostia l'immagine perfetta del loro voto di castità. Sotto le specie del pane e del vino si nasconde la presenza reale di un Dio: sotto quel velo Io sono tutto intero, col mio Corpo, il mio Sangue, la mia Anima, la mia Divinità.
«Così l'anima consacrata a Gesù Cristo col suo voto di verginità deve ricoprirsi di un velo di modestia e di semplicità, in maniera che, sotto apparenze umane, si nasconda una purezza simile a quella degli angeli.
«O anime che formate la corte dell'Agnello immacolato, sappiate che la gloria che mi rendete in tal modo sorpassa quella dei cori angelici, poiché quei beati spiriti non hanno conosciuto le debolezze della natura umana, né hanno avuto da lottare e trionfare per mantenersi puri.
«Voi vi imparentate altresì con la Madre mia, creatura mortale e tuttavia di una purezza senza macchia, soggetta a tutte le miserie umane e tuttavia immacolata in ogni istante della sua vita. Ella da sola mi ha glorificato più di tutti gli spiriti celesti, e Dio stesso, attirato da quella purezza, si è in lei fatto carne ed ha voluto abitare nella sua creatura.
«Più ancora, l'anima consacrata con il voto di castità, si rende simile a me, suo Creatore, quanto è possibile ad una creatura, poiché essendomi Io rivestito della natura umana senza eccettuarne le miserie, ho però vissuto senza l'ombra della minima macchia.
«In tal modo, con il voto di castità, l'anima diviene l'ostia candida e pura che incessantemente glorifica la maestà divina.
«Anime religiose, voi troverete infine nell'Eucaristia il modello del vostro voto d'obbedienza.
«Là sono nascoste e come annientate la grandezza e la potenza d'un Dio. Là mi contemplate come inanimato, mentre sono la vita delle anime, il sostegno dell'universo! Là non sono più padrone di andare o di restare, di essere solo o in compagnia: sapienza, potenza, libertà, tutto è scomparso in quell'ostia... Le specie del pane sono i vincoli che m'imprigionano e il velo che mi nasconde.
«Così per l'anima religiosa il voto d'obbedienza è la catena che l'avvince, il velo sotto cui deve sparire, per non avere più né volontà propria, né proprio giudizio, né libertà di scelta, se non secondo il volere divino, manifestato dai superiori».
Dopo una dettatura così lunga, Gesù tace e Josefa lascia parlare il suo cuore:
«Proprio stamani c'è stata una funzione di Prima Comunione - scrive - e gli ricordai la consolazione che doveva aver provato in quelle tenere anime così pure e innocenti!»
Il suo Cuore pare dilatarsi a tale ricordo:
«- Si - risponde dolcemente - è proprio in quelle anime infantili e in quelle delle mie spose che mi rifugio per dimenticare le offese del mondo.
«I bambini sono per il mio Cuore come boccioli di fiori nei quali cerco un rifugio. Quanto alle mie spose, mi nascondo e mi riposo in esse poiché come rose in piena fioritura mi difendono con le loro spine e mi consolano con l'amore.
«E tu, Josefa, dammi questo amore! Preparati a seguirmi al Getsemani. Là t'insegnerò a soffrire e ti fortificherò col sudore di sangue che mi strapparono i peccati degli uomini.
«Frattanto consolami, desiderami come ti desidero Io, amami come ti amo Io, cercami come ti cerco Io! Vedi bene che non ti abbandono mai!»

                                   
                               
                                     
                             
                             
                             
                                 
           
GETSEMANI12-15 MARZO 1923 ♦ Pag.341

Rimani presso di me al Getsemani e lascia il mio sangue irrorare e irrobustire la radice della tua piccolezza.
(N. Signore a Josefa - 12 marzo 1923).

L'indomani, lunedì 12 marzo, Gesù invita Josefa a seguirlo al Getsemani. Incomincia col rassicurarla, perché la notte innanzi le minacce del nemico si sono moltiplicate per impedirle la Comunione, tanto desiderata la vigilia.
«- Non temere - le dice di nuovo - la potenza del demonio non è superiore alla mia. Mi piace quando tu mi chiami e ne sono così consolato che ogni tuo desiderio è come una comunione per tante anime che non si accostano a me!
« Umiliati, bacia la terra e vieni con me... andiamo al Getsemani... e la tua anima si riempia dei sentimenti di tristezza che inondarono la mia in quell'ora!
«Dopo aver predicato alle turbe, curato gli infermi, dato la vista ai ciechi, risuscitato i morti... dopo aver vissuto tre anni in mezzo ai miei apostoli, per formarli ed insegnare la mia dottrina... avevo infine appreso loro con l'esempio ad amarsi e sopportarsi vicendevolmente, ad esercitare la carità verso gli altri, lavando loro i piedi e facendomi loro cibo.
«Ora è giunta l'ora in cui il Figlio di Dio fatto uomo, Redentore del genere umano, sta per spargere il suo sangue e dare la vita per il mondo....
«In quell'ora volli pormi in preghiera per abbandonarmi alla volontà del Padre mio.
«Anime care, imparate dal vostro modello che l'unica cosa necessaria, per grandi che siano le ribellioni della natura, è di sottomettersi e offrirsi umilmente con atto coraggioso della volontà a fare quella di Dio in qualsiasi circostanza.
«Imparate anche da Lui che ogni azione importante deve essere preceduta e vivificata dalla preghiera, perché nell'orazione l'anima attinge la sua forza nelle ore difficili e Dio le si comunica, consigliandola, ispirandola, anche se essa non se ne accorge.
«Mi ritirai nell'orto degli ulivi, cioè nella solitudine, per insegnare alle anime a cercare Dio lontano da tutto e nell'intimo di loro stesse. Per trovarlo facciano tacere i moti della natura, così spesso contrari alla grazia, i ragionamenti dell'amor proprio o della sensualità che sempre cercano di soffocare le ispirazioni della grazia e si oppongono al contatto dell'anima con Dio...
«Adorate i suoi disegni su di voi qualunque siano... e tutto il vostro essere si prostri come conviene che faccia una creatura alla presenza del Creatore!
«Così mi offersi Io per compiere l'opera della redenzione del mondo.
«Nello stesso istante sentii pesare su di me tutti i tormenti della passione: le calunnie e gli insulti... i flagelli e la corona di spine... la sete... la croce!... Tutti quei dolori si affollarono davanti ai miei occhi insieme con la moltitudine delle offese, dei peccati e dei delitti che si sarebbero commessi nel corso dei secoli. E non soltanto li vidi, ma me ne sentii ricoperto... e sotto questo fardello d'ignominie mi dovetti presentare al Padre celeste per implorare misericordia. Allora sentii su di me la collera di Dio offeso ed irritato e mi offersi come garante, Io, suo Figlio, per calmare il suo sdegno e soddisfare alla sua giustizia.
«Ma sotto il peso di tanti delitti la mia natura umana fu presa da tale angoscia, da tale agonia mortale, che tutto il mio Corpo fu coperto di un sudore di sangue.
«O peccatori, che mi fate soffrire in tal modo!... vi darà questo sangue la salvezza e la vita?... o sarà perduto per voi? Come esprimere il mio dolore al pensiero di questo sudore, di queste angosce, di questa agonia, di questo sangue... inutile per tante e tante anime?...
«Qui ci fermeremo oggi, Josefa. Consola il mio Cuore! Domani continueremo. Addio! resta vicino a me al Getsemani e lascia che il mio sangue irrori e fortifichi la radice della tua piccolezza».
Come riesce Josefa, dopo simili effusioni del Cuore del suo Maestro a rimettersi alle occupazioni della vita ordinaria? Eppure la si vede, sempre la stessa, lavorare dalla mattina alla sera, mentre porta in sé il peso di tali divine comunicazioni.
Nella notte dal 12 al 13 marzo Gesù ritorna con la croce. E questo un suo diritto che l'obbedienza ha ratificato. E pur ricordandole la sua indegnità, le affida questo dolce tesoro della loro unione.
«Mi riposo nella tua piccolezza - dice, - ma trovo anche consolazione e sollievo tra le mie spose, poiché ad esse pure, senza che lo sappiano, affido anime affinché si salvino e tornino a me... Tu custodisci la mia croce, e ti dirò domani i miei segreti...»
La notte termina nello strazio abituale degli assalti diabolici, ed al mattino Gesù riprende il suo racconto:
«- Bacia la terra comincia col dire alla sua messaggera che si compiace di vedere piccola ai suoi piedi; - non sono i tuoi meriti che mi attirano, ma l'amore per le anime.
«Sì, eccomi! - continua. - Vengo a manifestarti i sentimenti del mio Cuore, ma anche per riposarmi in mezzo a voi. Quanta gioia mi procurano le anime che sanno ricevermi con allegrezza... poiché Io le visito sia per consolarle, sia per trovare in loro la mia consolazione. Ma esse non sempre riconoscono che sono Io, specialmente quando le sottopongo al dolore!
«Ora, Josefa, continuiamo la nostra orazione al Getsemani.
«Avvicinati a me, e quando mi vedrai immerso in un oceano di tristezza, vieni con me a cercare i tre discepoli che ho lasciato ad una certa distanza.
«Li avevo presi con me per riposarmi presso di loro facendoli partecipi delle mie preghiere e della mia angoscia. Ma come esprimere ciò che provò il mio Cuore quando, cercandoli, li trovai immersi nel sonno? Com'è triste, per chi ama, trovarsi solo, senza potersi confidare con i suoi cari!...
«Quante volte il mio Cuore soffre lo stesso dolore... e quante volte cercando qualche sollievo presso le anime scelte le trovo addormentate!...
«Invano cerco di destarle e di trarle fuori da se stesse, dalle loro preoccupazioni personali, dalle loro vane ed inutili occupazioni... Troppo spesso mi rispondono, se non a parole, almeno con i fatti: Ora non posso... ho troppo da fare... sono troppo stanca... ho bisogno di pace!...
«Allora - insistendo - dolcemente Io ripeto a quest'anima: Vieni un momento, vieni a pregare con me: è adesso che Io ho bisogno di te: non aver paura di lasciare per me questo riposo, perché Io stesso sarò la tua ricompensa... E ricevo la stessa risposta!... Povera anima sonnacchiosa che non può vegliare un'ora con me!...
«Anime care, imparate qui ancora come sia inutile e vano cercare sollievo presso le creature. Quante volte non troverete presso di loro che un accrescimento di amarezza perché esse sono addormentate e non corrispondono né alla vostra fiducia né al vostro amore...
«Ritornando alla mia preghiera, mi prostrai un'altra volta, adorai il mio Padre, implorando il suo aiuto... Non dissi: «Mio Dio», ma «Padre mio». Quando il vostro cuore soffre di più, allora dovete chiamare anche voi Dio vostro Padre. Supplicatelo di aiutarvi, esponetegli le vostre sofferenze, i vostri timori, i vostri desideri, e con il grido della vostra angoscia ricordategli che siete sue figlie. Ditegli che il vostro corpo è sfinito... il vostro cuore oppresso fino alla morte... che l'anima sembra sperimentare il sudore di sangue. Pregatelo con fiducia filiale e aspettate tutto da Colui che vi è Padre. Egli vi consolerà e vi darà la forza necessaria per affrontare la tribolazione e la sofferenza, sia la vostra che quella delle anime a voi affidate.
«L'anima mia, triste e sgomenta, doveva sopportare un'angoscia ancora più mortale poiché, sotto il peso delle iniquità degli uomini, e in ricambio di tanti patimenti e di tanto amore, non vedevo che oltraggi e ingratitudini! Il sangue che mi sgorgava da tutti i pori, e che avrei versato da tutte le mie ferite, sarebbe stato inutile per tante anime!... molte sarebbero andate perdute... altre in più gran numero mi avrebbero offeso... e moltitudini intere non mi avrebbero neppure conosciuto... Ed il mio sangue lo avrei sparso per tutte, e i miei meriti sarebbero stati offerti ad ognuna!... Sangue divino! Meriti infiniti!... inutili per tante e tante anime!...
«Si, per tutte avrei versato il mio sangue e tutte sarebbero state amate di grande amore... Ma quante per cui questo amore sarebbe stato più delicato, più tenero, più ardente!... Da queste anime scelte mi sarei aspettato più consolazioni e più amore, più generosità e abnegazione... in una parola, più corrispondenza alla mia bontà... Vidi in quel momento molte tra esse allontanarsi da me... alcune chiudere le orecchie alla mia voce... altre ascoltarla senza seguirla... altre corrispondere alla chiamata per un po' di tempo, ed anche con una certa generosità... poi addormentarsi a poco a poco, dicendomi infine con le loro opere: Ho lavorato abbastanza... sono stata fedele ai miei obblighi fino alle minuzie... ho vinto la natura... ho praticato l'abnegazione... ora ho bisogno di un po' di libertà... non sono più una bambina... Tante rinunzie... tanta vigilanza non mi occorrono più... posso ben dispensarmi da quella cosa che m 'incomoda, ecc...
«Povera anima! Così dunque tu incominci a dormire?... Fra poco ritornerò e nel tuo sonno non mi sentirai più... ti offrirò la mia grazia e tu non la riceverai... Avrai tu la forza di risvegliarti un giorno? Non c’è piuttosto da temere che, rimasta così a lungo senza nutrimento, ti indebolisca e non possa più uscire dal letargo?...
«Anime care, sappiate che molte furono sorprese dalla morte in mezzo ad un sonno profondo... e dove, e come si risvegliarono?
«Tutto questo fu allora presente ai miei occhi e al mio Cuore. Che fare?... Retrocedere?... domandare al Padre mio di liberarmi da quell'angoscia?... Rappresentargli l'inutilità del mio sacrificio per tante anime?... No, mi sottoposi nuovamente alla sua santissima volontà e accettai il mio calice per esaurirlo fino alla feccia!
«L'ho fatto per insegnarvi, anime care, a non indietreggiare di fronte alla sofferenza. Non credetela inutile mai, anche se non ne vedete il frutto. Sottomettete il vostro giudizio e lasciate che si compia in voi la volontà divina.
«Per me, Io non volli retrocedere né fuggire. E pur sapendo che là, in quel giardino, i miei nemici stavano per prendermi, vi restai.
«Continueremo domani, Josefa: resta a mia disposizione affinché ti trovi desta, se avessi bisogno di te».
È trascorsa così un'ora nel silenzio della piccola cella. Josefa, sempre inginocchiata, non ha cessato un istante di scrivere. Finalmente si arresta e il Maestro, abbassando lo sguardo su di lei, dice:
«- Bacia i miei piedi e resta nella mia pace. Sono sempre con te, anche quando non mi vedi!»
Sparisce, ma per poco, e la mattina del mercoledì 14 marzo, questa volta senza nessun preambolo, prosegue:
«- Dopo essere stato confortato dall'Angelo inviatomi dal Padre, vidi avvicinarsi Giuda, uno dei miei dodici apostoli, e dietro a lui quelli che dovevano catturarmi. Erano armati di bastoni e di pietre ed erano carichi di catene e di corde per impossessarsi di me e legarmi.
«Mi alzai e avvicinandomi a loro dissi: Chi cercate?
« Allora Giuda, posandomi le mani sulle spalle, mi abbracciò! Che fai, Giuda? Che significa questo bacio?...
« A quante anime potrei dire: Che fate?... perché mi tradite con un bacio?
«Anima che Io amo, che vieni a ricevermi e che tante volte mi hai ripetuto di amarmi... mi hai appena lasciato e già mi consegni ai miei nemici!... Ben sai che in quella riunione che ti attira si fanno discorsi offensivi per me, e tu che mi hai ricevuto stamani e che forse mi riceverai domani... perdi in quel luogo il candore prezioso della mia grazia!...
«Ad un'altra dirò: Perché persisti in quell'affare che t'insozza le mani? Non sai che non è lecito il mezzo con cui ti procuri quel guadagno, quella posizione, quel benessere?...
«Tu mi ricevi, tu mi abbracci come Giuda... perché fra qualche istante, fra qualche ora, darai tu stessa ai miei nemici il segno dal quale mi riconosceranno per impadronirsi di me!
«Mi rivolgerò anche a te, anima cristiana, che mi tradisci con quell'amicizia pericolosa. Non solo mi incateni e mi lapidi tu, ma per causa tua anche un'altra persona mi tradisce. Perché mi consegni così... mentre mi conosci e in varie occasioni ti glori della tua pietà e della tua carità?... Senza dubbio potresti raccogliere un gran merito... ma in realtà che cosa sono se non un velo che copre la tua malizia?…
«Amico mio, perché sei venuto? Giuda, con un bacio tradisci il Figlio di Dio, il tuo Maestro e Signore! Colui che ti ama e che è pronto a perdonarti ancora!... Tu, uno dei miei dodici!... Tu, uno di quelli che sono stati a mensa con me, e a cui Io ho lavato i piedi!...
«Quante volte Io posso e devo parlare così alle anime predilette del mio Cuore!...
«Anima amata, perché ti lasci trasportare da quella passione?... perché le lasci libero corso?... Non è sempre in tuo potere liberartene: ma Io non ti domando che di combattere, di lottare, di resistere... Che sono i godimenti di pochi istanti se non i trenta denari per i quali Giuda mi tradì e che servirono unicamente alla sua rovina?
«Quante anime mi hanno venduto e mi venderanno ancora per il prezzo vilissimo di un piacere passeggero!... povere anime... chi cercate? Me?... Quel Gesù che avete conosciuto, che avete amato!...
«Lasciate che vi dica queste parole: Vegliate e pregate! Sì, lavorate senza tregua affinché i vostri difetti e le vostre inclinazioni non diventino abitudini.
«Ogni anno, spesso anche ad ogni stagione, bisogna falciare l'erba dei campi: bisogna arare la terra per fortificarla e svellerne le erbe cattive. Così l'anima deve sorvegliare e raddrizzare con cura le sue difettose inclinazioni. Non è sempre la colpa grave quella che apre la via ai peggiori disordini. E il punto di partenza verso le cadute più gravi è spesso
una piccola cosa: un piccolo godimento, un momento di debolezza, una condiscendenza, forse lecita, ma poco mortificata, un divertimento legittimo in sé, ma poco conveniente... E mentre tutto questo cresce e si moltiplica, l'anima a poco a poco si acceca, la grazia ha sempre meno efficacia, la passione si fortifica e finisce per trionfare.
«Com'è triste per il cuore di un Dio che ama infinitamente vedere tante anime insensibilmente avviarsi all'abisso...
«Fermiamoci qui, Josefa, per oggi! Ricordati che non sono i tuoi meriti che attirano verso di te il mio Cuore, ma la tua miseria e la compassione che ho per te!»
Nella notte seguente, già avanzata, Josefa si sveglia alla chiamata del Maestro. Le porta la croce, secondo il convenuto, e dice solamente queste parole:
«- Prendi la mia croce e non temere. Non supererà mai le tue forze poiché l'ho misurata e pesata sulla bilancia dell'amore. Sai tu veramente quanto ti amo? E quanto amo le anime? Per esse Io mi servo di te, perché per quanto piccola tu sia e per quanto poco tu valga, voglio utilizzare la tua piccolezza conservandoti unita ai miei meriti ed al mio Cuore.
«Rimani con la mia croce e soffri per le anime e per mio amore!»
Questa sofferenza notturna così cara al Cuore di Gesù e a quello di Josefa, prosegue fino all'alba. In tal modo il Signore prepara l'incontro a cui non ha mancato da vari giorni.
Appena ella si trova nella sua cella, il mattino del giovedì 15 marzo, festa delle Cinque Piaghe, Egli la raggiunge. In piedi davanti al tavolino presso il quale Josefa si è inginocchiata dopo aver rinnovato i voti, Gesù le dice come sempre:
«- Bacia la terra e umiliati!»
Questo è l'atto che deve ogni volta rimetterla nelle Sue mani.
«- Ti ho detto, Josefa, come le anime che mi offendono gravemente mi consegnano ai miei nemici affinché mi diano la morte, anzi sono esse che si costituiscono mie nemiche e l'arma della quale si servono contro di me è il peccato.
«Però non sempre si tratta di gravi cadute. Vi sono anche anime, persino tra quelle che ho scelto, che mi tradiscono con le loro colpe abituali, le cattive tendenze non combattute, le concessioni alla natura immortificata, le mancanze alla carità, all'obbedienza, al silenzio, ecc... E se il mio Cuore soffre per le colpe e le ingratitudini del mondo, quanto più quando si tratta delle offese che gli vengono da anime particolarmente amate!... Se il bacio di Giuda mi cagionò tanto dolore, fu precisamente perché egli era uno dei miei dodici e da lui come dagli altri attendevo più amore, più consolazione, più delicatezza!
«Da voi, scelte per luogo del mio riposo e giardino delle mie delizie, anche da voi aspetto molto più amore, tenerezza e delicatezza che non da altre anime che non mi sono così intimamente unite!...
«Tocca a voi essere il balsamo delle mie ferite, asciugarmi il volto deturpato e sfigurato, aiutarmi ad illuminare tante anime cieche, che nell'oscurità della notte mi afferrano e mi legano per condurmi alla morte.
«Non lasciatemi solo... Destatevi e venite a pregare con me, perché già i miei nemici sono arrivati.
«Quando i soldati si avvicinarono per prendermi dissi loro: «Sono Io!». Ed ecco le parole che ripeto all'anima che si avvicina al pericolo ed alla tentazione: «Sono Io». Sì, «sono Io».
Tu vieni per tradirmi e consegnarmi: non importa! Vieni, perché sono tuo Padre e se vuoi, c'è tempo ancora: ti perdonerò e invece di legarmi tu con i tuoi peccati ti stringerò Io con i legami del mio amore.
«Vieni, sono Colui che ti ama, Colui che ha sparso il suo sangue per te! Ho compassione della tua debolezza e ti aspetto ansiosamente per riceverti nelle mie braccia!
«Vieni, anima di mia sposa, anima di mio sacerdote!... sono l'infinita misericordia! Non temere, non ti punirò... non ti respingerò... ma ti aprirò il mio Cuore e ti amerò con maggior tenerezza... La tua bellezza ritrovata farà l'ammirazione del cielo e il mio Cuore si riposerà in te.
«Ah! Quale tristezza per me, quando dopo questo invito ad anime cieche ed ingrate, esse mi legano e mi conducono alla morte!
«Dopo che mi ebbe dato il bacio del tradimento, Giuda uscì dall'orto e, comprendendo l'enormità del suo delitto, si disperò.
«Chi potrà misurare il mio dolore quando vidi il mio apostolo correre alla perdizione eterna?...
«Ma era venuta l'ora e, lasciando ogni libertà ai soldati, mi consegnai a loro con la docilità di un agnello. Mi trascinarono subito alla casa di Caifa, dove fui ricevuto con beffe ed insulti e dove uno dei servi mi diede il primo schiaffo!
«Il primo schiaffo... Josefa, comprendilo bene: questa sofferenza superò forse quella dei colpi dei flagelli?... No, senza dubbio, ma in quel primo schiaffo vidi il primo peccato mortale di tante anime fino allora in stato di grazia... e dopo il primo... quanti ancora!... E quante anime trascinate dall'esempio allo stesso pericolo... forse alla stessa sventura: quella di morire in peccato!...
«Domani continueremo: in attesa passa oggi la giornata riparando e pregando affinché molte anime conoscano dove conduce la strada che battono...»
La visita della Madonna e il dono delle preziose gocce di sangue, di cui abbiamo già narrato più sopra, completarono la festa delle Cinque Piaghe. Però quella sera la Madre celeste non rimase che pochi istanti con la sua figliola, ed al suo desiderio timidamente espresso, rispose con queste parole:
«Ritornerò, ed allora potrai chiedermi tutto ciò che vuoi...»


                                                                                                                                                                     
L'ABBANDONO DEI SUOI16 MARZO 1923 ♦ Pag.351

Farò udire il mio lamento ai miei apostoli di allora ed alle mie anime scelte di oggi!...
(N. Signore a Josefa - 16 marzo 1923).

Gesù precede la sua santissima Madre nel mattino del venerdì 16 marzo e Josefa lo ringrazia dell'insigne favore del giorno prima.
«- Se tu sei fedele al mio amore - risponde, sarò forse Io meno fedele nel consolarti? Ti preparo un'altra prova d'amore. Ieri tu hai ricevuto qualche goccia del sangue del mio Cuore, Josefa; oggi ti farò condividere il dolore dei miei chiodi... Ti lascerò anche la croce, affinché tu la porti l'intera giornata e il tuo amore mi consoli. Ti sosterrò, poiché non cesso di amarti. Tu vedi che te ne do le prove! Te ne darò molte altre ancora, fino al giorno in cui ti condurrò con me in cielo.
«Ora, Josefa, continua a scrivere per le mie anime.
«I miei apostoli mi hanno abbandonato!... Pietro solo, mosso da curiosità, ma pieno di timore, si nasconde tra i servi.
«Intorno a me si trovano solo falsi testimoni, che accumulano menzogne su menzogne per attizzare la collera di quei giudici iniqui. Quegli stessi le cui labbra mi hanno tante volte applaudito per i miei miracoli si fanno oggi miei accusatori. Mi chiamano perturbatore, profanatore del sabato, falso profeta... e la servitù, eccitata da tali calunnie, proferisce contro di me grida e minacce.
«E qui farò udire un richiamo ai miei apostoli di allora e alle mie anime scelte di oggi:
«Dove eravate, dunque, voi apostoli e discepoli testimoni della mia vita, della mia dottrina, dei miei miracoli?... Di tutti coloro dai quali aspettavo una prova d'amore, nessuno rimase per difendermi. Mi trovo solo, accusato dei più vili delitti, circondato da soldati come da lupi affamati... Tutti mi maltrattano... chi mi schiaffeggia... chi mi ricopre di sputi immondi... altri mi schernisce...
«E mentre il mio Cuore si offre a tutti questi supplizi per liberare le anime dalla schiavitù del peccato, Pietro, che avevo costituito capo della mia Chiesa, Pietro, che poche ore prima aveva promesso di seguirmi fino alla morte... Pietro, quando si presenta l'occasione di rendermi testimonianza, risponde ad una semplice domanda con una prima negazione. E siccome la domanda si ripete e la paura s'impadronisce sempre più di lui, giura che non mi conobbe mai, che mai fu mio discepolo!...
«Ah, Pietro, tu giuri che non conosci il tuo Maestro! Non solamente lo giuri: ma la terza volta lo rinneghi con orribili imprecazioni...
«Anime scelte... Avete voi misurato quanto sia doloroso per il mio Cuore che s'infiamma e si consuma di amore il vedersi rinnegato dai suoi?... Quando il mondo si solleva contro di me, e tante anime mi disprezzano, mi maltrattano e cercano di darmi la morte, il mio Cuore volgendosi verso i suoi non trova che isolamento e abbandono... Quale tristezza ed amarezza!...
«A voi, come a Pietro, dirò: «Hai dimenticato le prove di amore che ti ho dato, i vincoli che a me ti stringono e la promessa tante volte ripetuta di essermi fedele e di difendermi fino alla morte?...»
«Se siete deboli, se temete di cedere al rispetto umano, venite a chiedermi la forza di vincervi... Non cercate appoggio in voi stesse, ma ricorrete a me con fiducia ed Io vi sosterrò.
«Se dovete vivere nel mondo, circondate da pericoli e da occasioni di peccato, non esponetevi al pericolo. Pietro sarebbe forse caduto se, resistendo con coraggio, non avesse ceduto ad una vana curiosità?
«E se voi che lavorate nel mio campo e nella mia vigna, in qualche circostanza vi sentite attratte ad operare per qualche soddisfazione umana: fuggite! Ma se invece lavorate puramente per obbedienza, per la mia gloria e la salvezza delle anime non temete... Io vi difenderò e passerete vittoriose attraverso ogni pericolo...
«Mentre i soldati mi conducevano in prigione, vidi Pietro in mezzo agli sgherri ed i miei occhi si fissarono su di lui. Egli pure mi guardò e pianse amaramente il suo peccato.
«Così fisso i miei occhi sull'anima colpevole! Ma essa mi guarda a sua volta?... Questi due sguardi s'incontrano sempre?... Quante volte il mio sguardo cerca invano il suo: quest'anima non mi vede, è cieca! Io faccio dolce pressione e non mi ode... La chiamo per nome e non mi risponde... Cerco di risvegliarla con qualche tribolazione, ed essa non esce dal suo sonno!
«Anime care, se non guardate più il cielo, voi sarete quaggiù come esseri privi di ragione.
Rialzate il capo verso il vostro fine, verso la patria che vi aspetta. Cercate il vostro Dio e lo troverete sempre con gli occhi fissi su di voi, e nel suo sguardo la pace e la vita!
« Oggi ci arrestiamo qui, Josefa: domani continueremo. Rimani con la mia croce e consolami!»
Sono già trascorse tre settimane dacché Nostro Signore ha incominciato a rivelare a Josefa i segreti della sua passione da comunicare alle anime.
Egli l'associa ai suoi sentimenti con tal fona che la vita di lei ne è tutta compenetrata senza che nulla valga a distrarla. Ella va, viene, lavora, si prodiga e prega, senza che l'anima sua cessi un istante dal trattenersi nel ricordo di quei dolori che ogni mattina s'imprimono in lei.
Le notti riparatrici si intercalano nella sua offerta abituale, ricordandole continuamente che è stata scelta non soltanto per trasmettere alle anime un messaggio, ma per cooperare effettivamente alla loro salvezza. Nostro Signore imprime in ciascuna pagina della vita di Josefa l'unità della sua missione sotto il duplice aspetto di vittima e di apostola: questo è il vero senso della sua vocazione.
Il 16 marzo la Madonna, rispondendo al desiderio espresso la vigilia, reca a Josefa una nuova prova del suo amore materno.
«- Volevi chiedermi qualche cosa? - le dice con bontà, avvicinandosi verso sera mentre sta occupata a cucire. - Che desideri?»
Josefa vorrebbe saper pregare Gesù nel modo più gradito al Cuore divino.
«- Te lo insegnerò - risponde la Madre celeste. Sali nella tua cella e là scriverai!»
Appena è entrata nella sua cameretta, la Madonna la raggiunge:
«- Ciò che più piace a mio Figlio - comincia a dire è l'amore e l'umiltà. Perciò scrivi:
«O mio dolcissimo e amatissimo Gesù, se tu non fossi il mio salvatore non oserei venire a te! Ma tu sei il mio salvatore e il mio sposo, e il tuo Cuore mi ama con tenerissimo ed ardentissimo amore, come nessun altro cuore è capace di amare.
«Vorrei corrispondere a questo amore che tu hai per me e vorrei avere per te, che sei il mio unico amore, tutto l'ardore dei serafini, la purezza degli angeli e delle vergini, la santità dei beati che ti posseggono e ti glorificano in cielo. E se potessi offrirti tutto questo, sarebbe ancora troppo poco per lodare la tua bontà e la tua misericordia. Perciò ti presento il mio povero cuore, così com'è, con tutte le sue miserie, le debolezze e i buoni desideri. Degnati purificarlo nel sangue del tuo Cuore, trasformarlo, infiammarlo tu stesso di un amore puro e ardente. In tal modo questa povera creatura, incapace di ogni bene e capace di ogni male, ti amerà e ti glorificherà come i serafini più infiammati del cielo.
«Ti supplico, infine, dolcissimo Gesù, di dare all'anima mia la santità stessa del tuo Cuore, o meglio d'immergerla nel tuo Cuore divino affinché in esso ti ami, ti serva, ti glorifichi e in lui s'inabissi per tutta l'eternità!
«Ti chiedo questa grazia per tutte le persone che amo. Possano esse darti per me la gloria e l'onore di cui le mie offese ti hanno privato...»
Allora Josefa si azzardò a chiedere a questa Madre così buona una giaculatoria da poter ripetere durante il lavoro:
«- Ripetigli queste parole che gli faranno piacere: O mio sposo che sei anche il mio Dio, fa' che il mio cuore sia una fiamma di puro amore per te!
«Ed ogni sera, prima di addormentarti - prosegue tu gli ripeterai questa preghiera con molto rispetto e fiducia:
«Tu conoscesti la mia miseria prima di fissare i tuoi occhi su di me e tu non hai distolto da essa il tuo sguardo... anzi, a cagione di essa mi hai amata con amore ancor più tenero e delicato.
«Ti chiedo perdono di aver oggi tanto mal corrisposto al tuo amore! Ti supplico di perdonarmi e di purificare le mie azioni nel tuo sangue divino! Ho un vivo dolore di averti offeso perché sei infinitamente santo. Mi pento con tutto il cuore e ti prometto di fare il possibile per non ricadere nelle stesse colpe.
«Poi, figlia mia, addormentati in pace e con gioia».
Un giorno Gesù farà eco alla delicatezza della Madre sua. Anticipiamo il racconto del fatto, trasportandoci al 26 agosto di quest'ultimo anno 1923, per completare la storia di questa divina condiscendenza.
«- Josefa - dirà Nostro Signore la sera di quel giorno - è proprio vero che desideri qualche parola che possa far piacere alla Madre mia?
«Scrivi dunque ciò che ti dirò:
«Allora con voce ardente e infiammata e anzi entusiasta - ella dice, - pronunciò questa preghiera:
«- Madre tenera e amante, Vergine prudentissima, che sei la Madre del mio Redentore, ti saluto oggi con il più filiale amore con cui possa amarti un cuore di figlia.
«Sono figlia tua, e, siccome l'impotenza mia è tanto grande, prenderò gli ardori del Cuore del tuo divin Figlio: con Lui ti saluterò come la più pura delle creature, poiché sei stata formata secondo i desideri e le attrattive del Dio tre volte santo!
«Concepita senza macchia di peccato originale, esente da ogni corruzione, tu sei stata sempre fedele ai movimenti della grazia e l'anima tua si è arricchita così di tali meriti da elevarsi al di sopra di ogni creatura.
«Eletta per essere la Madre di Gesù Cristo, tu l'hai custodito come in un santuario purissimo e Colui che veniva a dare la vita alle anime in te ha preso Egli stesso la vita e da te ha ricevuto il suo alimento «Vergine incomparabile! Vergine immacolata! Delizia della Santissima Trinità! Ammirata dagli angeli e dai santi, tu sei la gioia del cielo.
«Stella del mattino, rosaio fiorito di primavera, giglio candidissimo, iris delicato e grazioso, violetta olezzante, giardino coltivato e riservato per deliziare il Re del cielo! Tu sei mia Madre, Vergine prudentissima, arca preziosa ove stanno racchiuse tutte le virtù! Tu sei mia Madre, Vergine potentissima, Vergine clemente, Vergine fedele! Tu sei mia Madre, rifugio dei peccatori! Ti saluto e mi rallegro alla vista di tali doni che ti ha concesso l'Onnipotente e di tante prerogative di cui ti ha coronata.
«Sii benedetta e lodata, Madre del mio Redentore, Madre dei poveri peccatori! Abbi pietà di noi e coprici con la tua protezione!
«Ti saluto a nome di tutti gli uomini, di tutti i santi, di tutti gli angeli.
« Vorrei amarti con l'amore e gli ardori dei più infiammati serafini, e ciò sarebbe ancora troppo poco per appagare i miei desideri e tributarti eternamente una lode filiale, costante e purissima!
«O Vergine incomparabile, benedicimi perché sono tua figlia! Benedici tutti gli uomini! Proteggili, prega per loro Colui che è onnipotente e che non può rifiutarti nulla.
«Addio, Madre tenera e amatissima! Ti saluto giorno e notte, nel tempo e nell'eternità!»
«Ora, Josefa, puoi lodare la Madre con le parole del Figlio, e il Figlio con quelle della Madre».
«Mai - dirà Josefa, - il Cuore di Gesù mi apparve così bello, e la voce sua così piena di ardore e di entusiasmo!»

                                                                                                             
DALLA PRIGIONE ALLA FLAGELLAZIONE17-21 MARZO 1923 ♦ Pag.357

Guardate le mie ferite e considerate se c'è qualcuno che abbia tanto sofferto per provarvi il suo amore!...
(N. Signore a Josefa - 21 marzo 1923).

«Ventidue anni fa - scrive Josefa il sabato 17 marzo 1923 - Gesù mi fece udire per la prima volta la sua voce, mentre stavo preparandomi alla prima Comunione.
«Gli ricordavo questa data nel mio ringraziamento, quando mi apparve improvviso, bellissimo, con una tunica che pareva d'oro e il Cuore così infiammato che non lo so descrivere!»
«- Josefa, Io ti dicevo allora: «Voglio che tu sia tutta mia». Oggi posso dirti: «Tu sei tutta mia!». Allora ti preparavo per attirarti al mio Cuore: ora tu sei prigioniera di questo Cuore! Vieni, entra in lui poiché è la tua casa!»
Allora il suo Cuore si apre e Josefa vi penetra.
«Mi sono trovata come in cielo - dice. - Ho creduto di non vivere più sulla terra!...».
Questi istanti di ineffabile felicità non durano molto, e ogni volta che ne gusta la forza e la pace ella sa che non sono che una sosta tra due tappe. Così era disposto da Dio!
Dopo poche ore si trova al suo posto ove Gesù la raggiunge per proseguire insieme sul cammino dei suoi dolori.
«- Contemplami nella prigione dove passai gran parte della notte. Là i soldati, unendo parole ed atti, vennero ad insultarmi, deridermi, oltraggiarmi, percuotermi il capo e tutta la persona...
«Infine stanchi mi lasciarono solo e legato in quel luogo oscuro e umido. Per sedia mi diedero una pietra sulla quale il mio corpo indolenzito rimase presto intirizzito dal freddo.
«Confrontiamo ora la prigione col tabernacolo, e soprattutto col cuore di chi mi riceve:
«Nella prigione non passai che una parte della notte, ma nel tabernacolo... quanti giorni e quante notti?
«Nella prigione fui insultato e maltrattato dai soldati che erano miei nemici... nel tabernacolo quante volte mi maltrattano e m'insultano anime che mi chiamano padre... ma che si comportano così poco da figli!...
«Nella prigione soffersi freddo, sonno, fame, sete, dolore, vergogna, solitudine, abbandono... E vidi nel corso dei secoli tanti tabernacoli in cui mi sarebbe mancato il rifugio dell'amore... tanti cuori gelidi che sarebbero per il mio corpo ferito e intirizzito come la dura pietra della prigione!...
«Quante volte avrei atteso che quest'anima, quell'altra, venisse a visitarmi nel tabernacolo o a ricevermi nel suo cuore!... Quante notti avrei passato desiderando la sua venuta... Ma essa si lascia dominare dalle sue occupazioni, dalla sua indolenza o dal timore che la sua salute ne risenta danno... e non viene.
«Ti aspettavo per estinguere la mia sete e per consolare la mia tristezza, e tu non sei venuta!
«Quante volte, anche, avrei avuto fame di anime: della loro fedeltà, della loro generosità. Sapranno esse saziare la mia fame tormentosa con quella piccola vittoria sull'amor proprio con quella leggera mortificazione? Sapranno alleviare la mia tristezza con la loro tenerezza e la loro compassione? Quando verrà qualche momento più doloroso per la loro natura... allorché dovranno sopportare una sofferenza qualunque... una dimenticanza... un disprezzo... una contrarietà... un'angustia di anima o di famiglia, sapranno dirmi col cuore:
«Ti offro questo per addolcirti la tristezza, per farti compagnia nella solitudine?»
Ah! Se esse si unissero così a me, con quanta pace affronterebbero le difficoltà, come ne uscirebbe fortificata l'anima loro e come il mio Cuore ne sarebbe consolato e sollevato!...
«Nella prigione certe parole oscene proferite contro di me mi coprirono di confusione, e tale dolore si accrebbe ancora al pensiero che simili parole sarebbero uscite un giorno da labbra amatissime!...
«E mentre mani sudice scaricavano sul mio corpo percosse e schiaffi, Io mi vedevo spesso percosso e schiaffeggiato così da anime che mi avrebbero oppresso sotto i colpi ripetuti dei loro peccati abituali e consentiti!...
«Infine nella prigione, quando mi spinsero e mi fecero cadere a terra legato e privo di forze, vidi tante anime preferirmi un giorno le proprie soddisfazioni, incatenarmi con le loro ingratitudini, respingermi e rinnovare la mia caduta dolorosa prolungando la mia solitudine...
«Anime scelte! Accostatevi al vostro sposo nella prigione; contemplatelo in quella notte tanto dolorosa, considerate che quel dolore si prolunga ancora nell'isolamento di tanti tabernacoli e nel gelo di tanti cuori!
«Volete testimoniarmi il vostro amore? Lasciatemi il vostro cuore affinché ne faccia la mia prigione.
«Legatemi con le catene del vostro amore.
«Ricopritemi con la vostra delicatezza.
«Saziatemi con la vostra generosità.
«Datemi da bere col vostro zelo.
«Consolate la mia tristezza con la fedeltà della vostra presenza.
«Togliete la mia penosa confusione con la vostra purezza e rettitudine d'intenzione.
«Se volete che riposi in voi, preparate il mio letto di riposo con atti di mortificazione. Assoggettate la vostra immaginazione e calmate il tumulto delle passioni... Allora, nel silenzio dell'anima vostra, voi udrete la mia voce che vi dirà soavemente: «Sposa mia, tu sei oggi il mio riposo: Io sarò il tuo per l'eternità! Mi hai custodito con tanta vigilanza ed amore nella prigione del tuo cuore, che la mia ricompensa non avrà limiti! Non rimpiangere mai i sacrifici che avrai fatto per me durante la vita...
«Fermiamoci qui, Josefa. Lascia che trascorra questa giornata nella prigione del tuo cuore. Fa' in essa gran silenzio, per udire bene le mie parole e corrispondere ai desideri che ti manifesterò».
Tre giorni passano dopo questa contemplazione, non senza recare a Josefa la grazia delle tribolazioni per mezzo delle quali deve far compagnia al divin Prigioniero. Ella ancora non si è resa conto di questo compito che sembrerebbe doverle procurare solo dolcezze. Ma l'amore che reclama il suo Maestro rimarrà fino alla fine amore forte, nutrito di lotte, di umiliazioni, di sofferenze. «È buona cosa - le aveva detto un giorno la Madonna, - che tu ami senza sentirlo e senza saperlo».
Questa è la lezione che durante tutta la storia di Josefa Gesù e la sua celeste Madre non cesseranno d'impartire alle anime scelte per farne gli strumenti della misericordia infinita e dell'amore redentore.
La sera di martedì 20 marzo, mentre Josefa sta stendendo in giardino la biancheria, incontra ad un tratto il Signore, che, guardandola con compassione, le dice:
«- Sali in cella; voglio che tu scriva!»
Appena vi giunge, Gesù appare. Porta sul capo la corona di spine. Ella lo supplica di dargliela.
«- Si, te la do con grande amore, prendila e scriviamo per le anime:
«Dopo aver passato una gran parte della notte nella prigione umida, oscura, sordida... dopo aver sopportato gli schemi e gli oltraggi dei soldati... gli insulti e le contumelie di quelle ciurme bramose di sapere quale sarebbe stata la mia sorte... quando il mio corpo già si sentiva sfinito di forze per tanti tormenti... ascolta, Josefa, i desideri ardenti del mio Cuore: ciò che mi consumava d'amore e accendeva in me una nuova sete di dolori era il pensiero di tante e tante anime che Io avrei poi attirato a seguire le mie tracce.
«Le vedevo, fedeli imitatrici del mio Cuore, imparare da esso non solo la dolcezza, la pazienza e la rassegnata accettazione delle sofferenze e dei disprezzi, ma anche l'amore di coloro stessi che le avrebbero perseguitate.
« Le vedevo giungere per amor mio fino a sacrificarsi per loro come Io stesso mi sacrificavo per la salvezza di coloro che mi trattavano così...
«Le vedevo, sostenute dalla mia grazia, corrispondere alla mia chiamata, abbracciare lo stato di perfezione, chiudersi nei chiostri, legarsi da se stesse coi vincoli dell'amore, rinunziare ad ogni affetto legittimo, reprimere con coraggio le rivolte della natura, lasciarsi giudicare, accettare di essere disprezzate; diffamate, e tenute per insensate... e attraverso tutto ciò custodire il loro cuore intimamente unito al loro Dio e Signore.
«Così, in mezzo agli oltraggi ed agli infami maltrattamenti, l'amore mi consumava dal desiderio di compiere la volontà del Padre mio e il mio Cuore, strettamente unito a lui in quelle ore di solitudine e di dolori, si offriva per ripararne la gloria.
«Così voi, anime religiose che dimorate nella prigione scelta dall'amore, e che più di una volta passate agli occhi degli uomini come esseri inutili e anche nocivi, non temete! In tale solitudine e in quelle ore dolorose, lasciate che il mondo si sollevi contro di voi... Il vostro cuore si unisca più intimamente a Dio... unico oggetto del vostro amore, e riparate la sua gloria oltraggiata da tanti peccati!...
«All'alba del giorno seguente Caifa ordinò che mi conducessero da Pilato, perché egli pronunciasse contro di me la sentenza di morte.
«Pilato m'interrogò con sagacia, sperando di trovare vero motivo di condanna, ma non trovandone alcuno, sentì ben presto la sua coscienza spaventata dall'ingiustizia che stava per commettere. Così, per disfarsi di me, comandò che mi conducessero da Erode.
«Pilato è il tipo di quelle anime che, combattute tra le mozioni della grazia e quelle delle loro passioni, si lasciano dominare dal rispetto umano e da un eccessivo amor proprio. Si trovano di fronte ad una tentazione od occasione pericolosa?... Si accecano da se stesse e ragionano fino a persuadersi a poco a poco che non c'è alcun male o pericolo, che hanno abbastanza discernimento per giudicare e non hanno bisogno di alcun consiglio. Esse temono di apparire ridicole agli occhi del mondo, mancano di energia per vincersi e, disprezzando la grazia, cadono da un'occasione all'altra e finiscono, come Pilato, per darmi nelle mani di Erode.
«Se si tratta di anime religiose, forse non è questione di un'occasione di peccato grave: ma per resistere occorrerebbe accettare un'umiliazione, sopportare una contrarietà... E se, invece di seguire l'ispirazione della grazia e di scoprire lealmente la tentazione, quest'anima interroga se stessa e si persuade non esservi alcuna ragione di allontanarsi da quel pericolo e di rifiutarsi quella soddisfazione, ella cadrà presto in un pericolo più grave, come Pilato, si accecherà, perderà il coraggio di agire con rettitudine, e a poco a poco, forse anche rapidamente, mi consegnerà essa pure ad Erode».
Qui Gesù si ferma e rivolgendosi a Josefa:
«- Resta nella mia pace e nella convinzione della tua miseria e del tuo niente. Basta così poco per turbarti! Ma non temere di nulla: la mia misericordia e il mio amore sono infinitamente più grandi della tua miseria, e la tua debolezza non sorpasserà mai la mia forza».
Questa è sempre la dottrina che Gesù non si stancherà mai d'inculcarle, perché vuole per mezzo di lei farla capire alle anime di cui conosce senza dubbio la miseria, ma la cui umile confidenza e la coraggiosa volontà attirano il suo Cuore. Non tarda a farle capire che nulla ostacola i suoi disegni, e che la debolezza di lei non ne impedisce l'esecuzione che per un istante.
Alle undici di sera Egli le appare. Non porta però la croce e Josefa si turba,
«... perché - ella scrive, la notte viene sempre con la croce, e poi le Madri mi hanno permesso di aspettarlo a quell'ora soltanto per consolarlo... Io stessa non desidero il mio riposo, ma il suo!»
Gesù si compiace di queste proteste molto semplici e vere di un amore che Egli conosce.
«- Non temere - dice, - dove sono Io, la croce mi accompagna».
E immediatamente ella ne prova il tremendo peso sulle sue spalle. Gesù continua:
«Portala con molto amore e rispetto per la salvezza di tante anime in pericolo».
Dopo un istante di silenzio che trascorre in un atteggiamento di ardente supplica, invita Josefa ad unirsi alla sua preghiera e lentamente pronuncia queste parole:
«Offri al mio eterno Padre i tormenti della mia passione per la conversione delle anime. Ripeti con me:
«O Padre mio! Padre celeste! Guarda le piaghe del Figlio tuo e degnati riceverle affinché le anime si aprano alla grazia!
«I chiodi che gli trafissero le mani e i piedi trafiggano i cuori induriti, e il sangue di Lui li commuova e li spinga al pentimento.
«Il peso della croce sulle spalle di Gesù, tuo divin Figlio, ottenga alle anime di liberarsi dei loro delitti nel tribunale di penitenza!
«Ti offro, o Padre celeste, la corona di spine del tuo Figlio amatissimo, e per il dolore che gli cagionò fa' che le anime si lascino penetrare da vera contrizione delle loro colpe.
«Ti offro, o Padre, Dio di misericordia, l'abbandono di Gesù sulla croce, la sua sete e tutti i suoi tormenti, affinché i peccatori ritrovino la consolazione e la pace nel dolore dei loro peccati.
«Infine, o Dio pieno di compassione, per quella perseveranza con cui Gesù, tuo divin Figlio, ti pregò per i suoi crocifissori stessi, ti chiedo e ti supplico di concedere alle anime l'amor di Dio e del prossimo e la perseveranza nel bene.
«E come i tormenti del tuo Figlio amatissimo hanno avuto termine nell'eterna beatitudine, così le sofferenze di coloro che fanno penitenza siano eternamente coronate con il premio della tua gloria!»
«Ora, Josefa, custodisci la mia croce, resta unita alle mie sofferenze e presenta continuamente al Padre le piaghe del suo Figlio».
Trascorrono ancora pochi istanti e poi Gesù scompare, lasciandola sotto il peso della croce.
Il mattino del 21 marzo, mercoledì di Passione, Egli riprende l'argomento del giorno precedente:
«- Continua a scrivere, Josefa:
« A tutte le domande di Pilato non risposi nulla, ma quando mi chiese: "Sei il Re dei Giudei?", allora solennemente, nella pienezza della mia responsabilità, risposi: «Tu lo hai detto: Io sono Re, però, il mio regno non è di questo mondo».
«Così l'anima deve rispondere con energia e generosità quando si presenta l'occasione di vincere il rispetto umano, di accettare la sofferenza o l'umiliazione, che facilmente potrebbe evitare: «No, il mio regno non è di questo mondo», e quindi non cerco il favore degli uomini. Io tendo alla mia vera patria, ove mi attendono riposo e felicità. In questa vita non devo preoccuparmi dell'opinione del mondo, ma solo di compiere fedelmente il mio dovere. Se per questo devo subire umiliazioni e sofferenze non indietreggerò. Ascolterò la voce della grazia, lasciando che si spenga il grido della natura. Se non sono capace di vincere da sola, chiederò forza e consiglio, perché so quanto spesso l'amor proprio e la passione cerchino di accecare l'anima per spingerla sulla via del male.
«Pilato dunque, dominato dal rispetto umano e dal timore di assumere la propria responsabilità, comandò che mi portassero da Erode. Questi era un uomo corrotto, che non cercava che di soddisfare le sue passioni disordinate. Egli si rallegrò di vedermi davanti al suo tribunale, sperando divertirsi delle mie parole e dei miei miracoli...
«Pensate quanta repulsione provai davanti a quel vizioso, le cui domande, i gesti, l'atteggiamento mi coprivano di confusione!
«Anime pure e verginali, venite a circondare il vostro sposo! Ascoltate le false testimonianze che si fanno contro di me. Guardate la sete implacabile di quella folla avida di scandali e di cui sono diventato lo zimbello!
«Erode aspetta che Io risponda alle sue sarcastiche interrogazioni per giustificarmi e difendermi, ma la mia bocca non si apre e conservo davanti a lui il più profondo silenzio. Questo stesso silenzio è la prova della mia dignità regale, poiché quelle parole oscene non meritano d'incrociarsi con le mie purissime!...
«Intanto il mio Cuore stava intimamente unito al Padre celeste. Mi struggevo dal desiderio di dare alle anime che amo tanto il mio sangue fino all'ultima goccia. Il pensiero di tutte quelle che mi avrebbero seguito un giorno, attratte dal mio esempio e dalla mia liberalità, m'infiammava di amore. Non solo gioivo durante quell'interrogatorio terribile, ma bramavo di correre al supplizio della croce.
«Dopo aver subito le più atroci ignominie nel più perfetto silenzio, lasciai che mi trattassero da pazzo! Ricoperto di una veste bianca in segno di derisione, venni ricondotto a Pilato tra le grida della moltitudine.
«Vedi fino a che punto quest'uomo è spaventato e turbato! Non sa che fare di me, e per tentare di calmare la sete di questo popolo che domanda la mia morte, ordina di flagellarmi.
«Tale è l'anima che manca di coraggio e di generosità per romperla energicamente con le esigenze del mondo, della natura, delle passioni. Invece di guardare in faccia la tentazione e di stroncare dalle radici (come lo domanderebbe la coscienza), ciò che capisce non venire dal buono spirito, essa cede ad un piccolo capriccio, si concede una leggera soddisfazione. Se consente a vincersi in un punto, capitola in un altro che esigerebbe sforzo maggiore... Se si mortifica in certi casi, è esitante in molti altri nei quali, per restare fedele alla grazia od obbedire alla regola, sarebbe necessario negarsi molte piccole cose che alimentano la sensualità e piacciono alla natura.
«Essa si concede metà di un capriccio, metà di ciò che le domanda la passione e così fa tacere i rimorsi della coscienza.
«Si tratta, per esempio, di divulgare un difetto che crede di aver scoperto nel prossimo. Non è la carità fraterna e neppure la sollecitudine per il bene che le ispirano tale desiderio, bensì una passione nascosta, un segreto movimento d'invidia. La grazia e la coscienza le fanno sentire un grido d'allarme e l'avvertono dello spirito che la guida e dell'ingiustizia che sta per commettere. Senza dubbio quest'anima ha un primo momento di lotta, ma la passione non mortificata le toglie ben presto la luce e il coraggio per respingere la suggestione diabolica. Allora studia il mezzo di tacere soltanto una parte di quello che sa, ma non tutto! E scusa se stessa dicendosi: «Bisogna ben che lo si sappia... io non dirò che una parola, ecc...
«E così tu mi consegni, come Pilato, perché sia flagellato! Ben presto questa passione ti trascinerà a completare l'opera sua. Non credere di estinguere in tal modo la sua sete!... Oggi hai fatto questo passo: domani andrai più avanti!... E se tu hai ceduto in una piccola occasione, quanto più cederai di fronte ad una tentazione più grave!...
«Ora contemplate, anime amatissime del mio Cuore, come Io mi lascio condurre con la dolcezza di un agnello al terribile supplizio della flagellazione!
«Sopra il mio corpo contuso per i colpi e sfinito di fatica i carnefici scaricano con la più crudele frenesia le loro verghe e le loro fruste... tutte le mie ossa sono smosse nel più terribile dolore... innumerevoli ferite mi straziano... brandelli della mia carne volano per aria asportati dalle verghe... il sangue sgorga da tutte le mie membra, ed Io sono ben presto ridotto ad uno stato così compassionevole che non ho neppure l'apparenza di un uomo!
«Ah! Potete contemplarmi in quest'oceano di amarezza, senza che il vostro cuore si muova a compassione?
«Non sono i carnefici che mi debbono consolare, bensì voi, anime, che ho scelto per alleviare il mio dolore!
«Contemplate le mie ferite e considerate se c'è un altro che abbia tanto sofferto per dimostrarvi il suo amore!...»
Poi, rivolgendosi a Josefa, Gesù prosegue:
«Contemplami, Josefa, in questo stato d'ignominia».
Quindi rimane in silenzio, ed ella alza gli occhi sul suo Maestro. Lo vede là, nella condizione lacrimevole in cui l'ha ridotto la flagellazione. A lungo Egli la tiene fissa in quella dolorosa contemplazione come per imprimerla per sempre nell'anima sua.
«- Dimmi - riprende infine - se queste mie ferite non t'infonderanno la forza di vincerti e di resistere alle tentazioni?...
«Dimmi se non vi troverai la generosità per sacrificarti ed abbandonarti tutta alla mia volontà?...
«Sì, Josefa, contemplami e lasciati guidare dalla grazia e dal desiderio di consolarmi in questo stato di vittima.
«Non temere, la tua sofferenza non sarà mai pari alla mia!... e per tutto quello che ti chiederò, la mia grazia ti assisterà.
«Addio. Tienimi sempre così davanti agli occhi!»
E Gesù scompare. Josefa rimane immobile, con gli occhi chiusi in un'espressione d'indicibile emozione impressa sul viso. Un silenzio impressionante la circonda: qualche cosa di così sublime si è compiuto in quella celletta! Gesù ha ricordato alle anime che «non è stato per ridere» ch'Egli le ha amate e che il «suo amore è un amore terribilmente serio».
A poco a poco ella ritorna in sé: grosse lacrime le sgorgano dagli occhi, non può parlare, tuttavia comprende che non è che lo strumento di un messaggio, la testimone degli eccessi dell'amore e che le anime hanno diritto al Messaggio di questo amore infinito... Perciò riprende la penna e, con mano ancora tremante, scrive ciò che segue:
«Egli era nello stato in cui l'ha ridotto la flagellazione, e questa vista mi ha riempita di una compassione tale che mi sembra che avrei ormai il coraggio di soffrire qualunque cosa fino al termine della mia vita.
«Nessun dolore potrà mai uguagliarsi al suo!...
«Quello che mi ha più impressionato sono stati i suoi occhi, che abitualmente sono così belli e il cui sguardo dice tante cose all'anima. Oggi erano chiusi, molto gonfi, insanguinati, specialmente l'occhio destro. I capelli pieni di sangue ricadevano sul volto, sugli occhi, sulla bocca. Stava in piedi, ma curvo, legato a qualche cosa, ma io potevo scorgere soltanto lui. Le sue mani erano legate l'una all'altra alla cintura e coperte di sangue; la persona solcata da ferite e da macchie scure, le vene delle braccia molto gonfie e nerastre. Dalla spalla sinistra pendeva un brandello di carne, prossimo a staccarsi e così in parecchie parti del corpo. Le sue vesti gli stavano ai piedi, rosse di sangue. Una corda, assai stretta, sosteneva alla cintura un pezzo di tela di cui non si potrebbe dire il colore, tanto era insanguinata!...»
Poi Josefa si ferma, impotente a scrivere:
«Non posso dire esattamente in quale stato l'ho visto, poiché non riesco ad esprimermi!»
Tutta la giornata trascorre nel ricordo inesprimibile di cui Josefa porta l'impronta sul viso. Nient'altro, tuttavia, tradisce al di fuori questa vita interiore così consumante.
Chi potrebbe mai immaginare, in quel mercoledì di passione, che Nostro Signore si degni manifestare in tal modo i suoi strazi alla più nascosta delle sue spose?... Ma il suo divino sguardo scorge già dietro di lei tante e tante anime che leggeranno in queste righe la prova dell'amore infinito e la loro fede, rianimata alla vista di tanti dolori, vi attingerà, come Josefa, il coraggio di una risposta che nessun sacrificio può arrestare.

                                                                                                                                                                                                                                         
DALLA CORONAZIONE DI SPINE ALLA DISPERAZIONE DI GIUDA22-25 MARZO 1923 ♦ Pag.369

Anime che amo, considerate attentamente le sofferenze del mio Cuore! • (N. Signore a Josefa - 24 marzo 1923).

Già da vari giorni la Madonna non è più intervenuta sul cammino di Josefa, ma ecco che le porta la croce la notte dal 21 al 22 marzo.
«Fui svegliata - scrive - da un leggero rumore e subito la vidi vicina al mio letto: teneva la croce appoggiata al braccio destro».
«Sì, figlia mia, sono Io, che vengo ad affidarti la croce di Gesù. Bisogna consolarlo perché molte anime l'offendono. Una soprattutto ricolma il suo Cuore di amarezza!»
Quindi, dopo averle ricordato che il primo e grande mezzo di riparazione è di lasciare a Gesù la libertà di fare di lei tutto ciò che vuole, aggiunge:
«- Ora custodisci questo prezioso tesoro, e prega per le anime».
Questa preghiera per le anime, cominciata sotto la croce, prosegue nei dolori dell'abisso infernale, in cui da qualche tempo ogni notte ella completa in sé «ciò che manca alla passione di Cristo».
Il giovedì 22 marzo, verso le nove del mattino, Gesù la raggiunge nel momento in cui sta per lasciare la cella.
«- Bacia la terra - le dice - e lasciati penetrare dalle parole che il mio Cuore vuole confidarti».
Josefa si prostra a terra; poi, rialzandosi, si pone a trascrivere rapidamente le confidenze che fluiscono dalle labbra del Maestro.
«Quando i carnefici furono stanchi di colpirmi, intrecciarono una corona di spine, la premettero sul mio capo e sfilarono davanti a me dicendo: «Re, noi ti salutiamo!...». Gli uni m'insultavano, gli altri mi percuotevano la testa, e ciascuno aggiungeva un nuovo dolore a quelli che già sfinivano il mio corpo...
«Contemplatemi, anime che amo, condannato dai tribunali, abbandonato agli insulti e alle profanazioni della folla, consegnato al supplizio della flagellazione e, come se tutto ciò non bastasse a ridurmi allo stato più umiliante, coronato di spine, coperto di un cencio scarlatto, salutato come re da burla, stimato pazzo!
«Sì, Io, il Figlio di Dio, il sostegno dell'universo, ho voluto apparire agli occhi degli uomini come l'ultimo e il più disprezzabile di tutti. Lungi dal fuggire l'umiliazione, l'ho abbracciata, per espiare i peccati d'orgoglio e per trascinare dietro al mio esempio le anime.
«Permisi che il mio capo fosse coronato di spine e soffrisse per riparare i peccati di tante anime superbe che rifiutano di accettare ciò che le abbassa agli occhi delle creature.
«Tollerai che le mie spalle fossero coperte da un mantello di derisione, e di essere considerato pazzo, affinché molte anime non esitino a venire dietro di me, in una via che il mondo giudica vile e bassa e che forse anche a loro può sembrare indegna della loro condizione.
«No, nessuna via, nessuna condizione, è vile ed umiliante quando si tratta di fare la divina volontà! «Voi tutti che interiormente vi sentite chiamati a questo stato non resistete, non cercate con vane ed orgogliose ragioni di fare la volontà di Dio, pur seguendo la vostra. Non crediate di trovare pace o felicità in una condizione più o meno brillante agli occhi delle creature. Voi non la troverete che nella sottomissione alla volontà di Dio e nel pieno adempimento di tutto ciò che domanda da voi...
«Vi sono anche nel mondo molte anime che cercano di sistemare il loro avvenire quaggiù... Forse l'una o l'altra si sente inclinata per una segreta attrazione verso qualcuno in cui essa ha scoperto le qualità, l'onore, la fede e la pietà, in una parola, tutto ciò che risponde al suo bisogno di amare. Ma ecco che il suo spirito si lascia impadronire dall'orgoglio. Senza dubbio i desideri del cuore sarebbero soddisfatti da questo lato, ma non la vana ambizione di risplendere agli occhi del mondo. Allora quest'anima si volge per cercare altrove ciò che le attirerà di più l'attenzione delle creature facendola comparire esteriormente più ricca e più nobile. Ah! Quanto quest'anima si acceca coscientemente!... No, certamente essa non troverà la felicità che cerca in questo mondo, e voglia Dio che dopo essersi messa in così grave pericolo la possa trovare nell'altro!
«E che dire di tante anime che Io chiamo alla via della perfezione e dell'amore, e che si comportano come se non intendessero la mia voce?
«Quante illusioni in quelle che si dicono pronte a fare la mia volontà, a seguirmi e ad unirsi a me!... e che tuttavia affondano nel mio capo le spine della corona!...
«Queste anime che Io desidero come spose le conosco fino alle più intime fibre del cuore... ed amandole come Io le amo, con una delicatezza infinita, le attiro là dove, nella mia sapienza, so che troveranno i mezzi più sicuri per arrivare alla santità. Là Io scoprirò loro il mio Cuore, là esse mi daranno il maggior amore ed il maggior numero di anime che sia possibile.
«Ma quante resistenze e delusioni! Quante anime, accecate dall'orgoglio, dal bisogno sregolato di stima, dal desiderio di soddisfare la natura e la meschina ambizione di essere qualcuno... si lasciano illudere da ragionamenti infondati e, finalmente, rifiutano d'incamminarsi per la via che l'amore aveva loro tracciato.
«Anime ch'Io avevo scelte, credete voi che seguendo i vostri gusti possiate darmi la gloria che Io aspettavo da voi? Credete adempiere la mia volontà resistendo alla mia grazia che vi spinge ad entrare in questa via che il vostro orgoglio respinge?
«Ah! Josefa, quante anime accecate dall'orgoglio!... Vorrei che tu moltiplicassi oggi gli atti di umiltà e di sottomissione alla volontà divina, per ottenere che molte anime si lascino guidare nella via che Io loro preparo con tanto amore!
«Domani insisteremo di nuovo su questo punto essenziale».
Il mattino del 23 marzo, venerdì di passione, Josefa sta aspettando il Maestro, ma Egli tarda a venire. Si è rimessa a cucire presso il tavolino dove il quaderno si trova già aperto. Ad un tratto Gesù appare:
«- Josefa, mi aspetti?»
«-Sì, «- O mio Signore», risponde.
« È molto tempo che sono qui, ma tu non mi vedevi. Bacia la terra e bacia anche i miei piedi. Continuerò a spiegare alle anime come esse si lascino ingannare dall'orgoglio.
«Coronato di spine e rivestito del manto di porpora, i soldati mi ricondussero a Pilato, coprendomi ad ogni passo di grida, d'insulti, di schemi...
«Pilato, non trovando in me alcun delitto degno di punizione, m'interrogò di nuovo e mi chiese infine perché tacessi, mentre sapevo il pieno potere che egli aveva su di me.
«Allora, rompendo il silenzio, dissi: «Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto, ma bisogna che si adempiano le Scritture!» e tacendo nuovamente, mi abbandonai...
«Pilato, turbato per l'avvertimento ricevuto dalla moglie, oscillante tra il rimorso della coscienza e il timore di vedere la folla scatenata insorgere contro di lui se si fosse rifiutato di condannarmi a morte, mi presentò alle turbe nel pietoso stato in cui mi avevano ridotto e propose di liberarmi, condannando in luogo mio Barabba, che era celebre ladrone. Ma la folla gridò rabbiosamente con una sola voce:
«Che muoia!... Vogliamo che muoia e sia liberato Barabba».
«Voi che mi amate, considerate come venni posto in paragone con un malfattore... o meglio come mi abbassarono al di sotto del più perverso degli uomini!... Udite le urla di furore che innalzano contro di me chiedendo la mia morte.
«Lungi dal fuggire questo affronto, lo abbracciai invece per amore delle anime, per amor vostro. Volli dimostrarvi che quest'amore non solo mi conduceva alla morte, ma al disprezzo, all'ignominia, all'odio di quelli stessi per i quali il mio sangue sarebbe stato sparso in tanta abbondanza.
«Mi hanno trattato da perturbatore, da insensato, da pazzo, ed ho accettato tutto con la massima dolcezza e la più profonda umiltà.
«Non crediate tuttavia che Io non provassi allora ripugnanza né dolore... Volli invece che la mia natura umana provasse tutte le ripugnanze che avreste provato voi stessi affinché il mio esempio vi fortificasse in ogni circostanza della vita. Così, quando suonò per me quell'ora tanto dolorosa, e dalla quale mi sarebbe stato così facile liberarmi, non solo non lo feci, ma l'abbracciai con amore per compiere il volere del Padre mio... riparare la sua gloria... espiare i peccati del mondo e procurare la salvezza di molte anime.
«Torniamo ora a quelle di cui ti parlai ieri... a quelle anime chiamate allo stato di perfezione e che più di una volta recalcitrano alla voce della grazia e dicono: «Come posso rassegnarmi a vivere in questa continua oscurità?... Non sono abituata a questo genere di vita, ad occupazioni così basse. La mia famiglia, i miei amici le giudicherebbero ridicole... perché io ho delle capacità e potrei essere più utile altrove, ecc...
«A queste anime rispondo: Quando dovetti nascere da genitori poveri e sconosciuti, lontano dal mio paese e dalla mia casa, in una stalla, durante la stagione più dura dell'anno, all'ora più glaciale e cupa della notte... ho rifiutato? Ho esitato?
«Per trent'anni ho conosciuto i rudi lavori della vita di operaio. Soffersi, col mio padre San Giuseppe, i disprezzi di coloro per cui egli lavorava... Non mi rifiutai di aiutare mia Madre nelle faccende della povera casa... E tuttavia, non avevo forse più cognizioni di quante non siano necessarie per esercitare il modesto mestiere di falegname, Io che a dodici anni istruivo i dottori del Tempio?... Ma tale era la volontà del Padre mio celeste ed in tal modo Io lo glorificavo.
«Dall'inizio della mia vita pubblica avrei potuto rivelarmi subito come Messia e Figlio di Dio per soggiogare le folle e renderle attente ai miei insegnamenti. Ma non lo feci perché non avevo altro desiderio che di compiere in tutto la volontà del Padre mio.
«Quando venne l'ora della mia passione, attraverso la crudeltà degli uni, gli oltraggi degli altri, l'abbandono dei miei, l'ingratitudine della folla, nell'inesprimibile martirio del mio corpo e le vive ripugnanze della mia natura umana, con un amore ancora più grande, il mio Cuore abbracciò quella santissima volontà.
«E sappiatelo bene, anime scelte: quando avrete sormontato le vostre ripugnanze di natura, le opposizioni della famiglia, i giudizi del mondo, quando generosamente vi sarete immolate alla volontà divina, allora verrà il momento in cui, in questa stretta unione di volontà col vostro sposo divino, godrete ineffabili dolcezze.
«Ciò che ho detto alle anime che provano tali ripugnanze per la vita umile e nascosta, lo ripeto a quelle che sono chiamate invece a prodigare la loro vita al servizio del mondo, mentre si sentirebbero attirate alla solitudine e al nascondimento.
«Anime carissime, sappiate che vivere conosciute o sconosciute dagli uomini, utilizzare o no i doni che avete ricevuto, essere molto o poco stimate, godere o no di buona salute, nulla di tutto ciò è in se stesso la vostra felicità... Volete sapere qual è l'unica cosa che può assicurarvela? Fare la volontà di Dio, abbracciarla con amore, unirvi e conformarvi a tutto ciò che essa esige per la sua gloria e la santificazione vostra.
«Fermiamoci qui, Josefa: domani continueremo. Ama e abbraccia allegramente la mia volontà giacché tu sai bene che in tutto essa è tracciata dall'amore!»
La sera di quel medesimo giorno Josefa confessa umilmente che tale raccomandazione del Maestro non le è inutile. Egli vuole che ella ottenga, con la vittoria sulle ripugnanze della natura, una simile grazia a tante anime che ne hanno bisogno. Grande lezione che possiamo raccogliere in questa umile dichiarazione:
«Sento di nuovo in me una specie di potente rivolta contro questo genere di vita così straordinaria, che mi toglie la pace; perché vorrei tanto lavorare!...»
Nostro Signore non tiene conto di tale ripugnanza, che non minaccia né la sua volontà né quella di Josefa, e già la mattina del sabato di passione, 24 marzo, Egli compare al convegno mattutino.
« - Occupiamoci della mia passione!»
Dice, come per strapparla a se stessa. Infatti non è questo il mezzo per dimenticarsi offerto dall'amore a tutte le anime?
«Medita per un momento il martirio del mio Cuore, tanto sensibile e delicato, quando si vide posposto a Barabba! E vedendomi così disprezzato, Io fui trafitto nel più intimo dell'anima dalle grida della folla che domandava la mia morte.
«Ricordavo, allora, le tenerezze di mia Madre quando mi stringeva al cuore, le fatiche e le cure che mio padre adottivo si era imposto per mio amore...
«Riandavo col pensiero ai benefici così liberalmente da me sparsi su quel popolo: la vista restituita ai ciechi, la salute agli infermi, l'uso delle membra a quelli che l'avevano perduto, le turbe saziate nel deserto, i morti risuscitati! Ed ora eccomi da loro ridotto nel più spregevole stato: oggetto, più che qualunque altro, di odio da parte degli uomini... condannato come un infame malfattore... La moltitudine ha richiesto la mia morte... E Pilato ha pronunciato la sentenza!...
«Anime carissime, meditate intensamente la sofferenza mio Cuore!
«Dopo che Giuda mi ebbe tradito nel giardino degli olivi, se ne andò errabondo e fuggitivo senza riuscire a far tacere la voce della coscienza che lo accusava del più orribile sacrilegio. E quando gli giunse alle orecchie la sentenza di morte pronunciata contro di me, si abbandonò alla più terribile
disperazione e s'impiccò.
«Chi potrà comprendere il dolore intenso e profondo del mio Cuore quando vidi precipitarsi verso la perdizione eterna quell'anima che aveva passato tanti giorni alla scuola del mio amore, ascoltato la mia dottrina, le mie lezioni e così spesso udito cadere dalle mie labbra il perdono dei più grandi peccati.
«Ah, Giuda! Perché non vieni a gettarti ai miei piedi affinché Io ti perdoni? Se non osi avvicinarti a me per paura di coloro che mi circondano con tanto furore, almeno guardami!... e subito incontrerai i miei occhi che sono fissi su di te!
«Voi che siete immersi nel male o che per più o meno tempo siete vissuti errabondi e fuggiaschi a causa dei vostri delitti, se i falli di cui siete colpevoli hanno indurito il vostro cuore... se, per soddisfare la vostra passione sregolata, siete caduti nei più gravi scandali, quando la vostra anima si renderà conto del suo stato o i complici dei vostri delitti vi abbandoneranno, non lasciate che la disperazione s'impadronisca di voi. Fin che resta all'uomo un soffio di vita può ancora ricorrere alla misericordia ed implorare il perdono.
«Se siete giovani e già i disordini della vostra giovinezza vi hanno degradati agli occhi del mondo, non temete!... Anche se il mondo ha ragione di trattarvi da criminali, di disprezzarvi e di abbandonarvi, il vostro Dio non permetterà che la vostra anima diventi preda dell'inferno... Desidera invece con ardore che voi vi accostiate a Lui per perdonarvi. Se non osate parlargli, rivolgete a lui i vostri sguardi ed il sospiro del vostro cuore, e vedrete assai presto la sua mano tanto buona e paterna condurvi alla sorgente del perdono e della vita.
«Se volontariamente avete passato la maggior parte della vita nell'empietà o nell'indifferenza, e improvvisamente, prossimi all'eternità, la disperazione cerca di accecarvi, non vi lasciate ingannare, perché è ancora il tempo del perdono! Anche se vi restasse un attimo solo di vita, in quel secondo potete guadagnarvi la vita eterna!...
«Se la vostra esistenza più o meno lunga trascorse nell'ignoranza e nell'errore, se siete stati causa di gravi mali per gli uomini, per la società, per la religione stessa, e se per una circostanza qualunque riconoscete finalmente di esservi ingannati... non lasciatevi abbattere dal peso delle colpe, né dal male di cui siete stati strumento. Ma la vostra anima penetrata del più vivo pentimento si getti nell'abisso della fiducia e ricorra a Colui che vi attende sempre per perdonarvi tutti gli errori della vostra vita.
«Parlerò anche per quell'anima che dapprima è vissuta fedele all'osservanza della mia legge, ma poi si è raffreddata a poco a poco fino alla tiepidezza di un'esistenza comoda. Essa ha, per così dire, dimenticato la sua anima e le sue aspirazioni verso il meglio. Dio le domandava un maggiore sforzo, ma accecata dai suoi difetti abituali essa è caduta nei ghiacci della tiepidezza, peggiori ancora di quelli del peccato, perché la coscienza sorda ed addormentata non sente più la voce di Dio.
«Se una forte scossa la risveglierà improvvisamente, la vita le apparirà inutile e vuota per l'eternità... Essa ha perduto innumerevoli grazie... e il demonio, che non vuole lasciarsi sfuggire la preda, la getterà nello scoraggiamento, nella tristezza, nell'abbattimento, e a poco a poco la sommergerà nel timore e nella disperazione.
«Anime che amo, non ascoltate questo nemico crudele! Venite subito a gettarvi ai miei piedi e penetrate di vivo dolore, implorate la mia misericordia e non temete! Io vi perdono! Riprendete di nuovo la vostra vita di fervore: ritroverete i vostri meriti perduti e la mia grazia non vi mancherà.
«Finalmente devo Io rivolgermi alle mie anime consacrate? Potrebbe darsi che una di esse abbia passato lunghi anni nell'esatta osservanza della regola e dei suoi doveri religiosi... Sì, e un’anima che avevo favorita delle mie grazie, istruita coi miei consigli, un'anima a lungo fedele alla voce della grazia ed alle ispirazioni divine... Ed ecco, per una piccola passione, un'occasione non evitata, una soddisfazione data alla natura, un rilassamento nello sforzo necessario, si è raffreddata a poco a poco, è caduta in una vita ordinaria, poi volgare... infine tiepida... Ah! Se per una ragione o l'altra vi desterete un giorno dal vostro torpore, sappiate che in quell'istante il demonio, geloso del vostro bene, vi assalirà in mille modi. Vi persuaderà che è troppo tardi e che tutto è inutile, vi riempirà di timore e di ripugnanza per scoprire lo stato dell'anima vostra, vi chiuderà la bocca per impedirvi di parlare e di aprirvi alla luce, si sforzerà di soffocare in voi la fiducia e la pace.
«Anime scelte, ascoltate piuttosto la mia voce dirvi ciò che dovete fare: appena la grazia vi muove, prima ancora che incominci la lotta, accorrete al mio Cuore: chiedetegli di versare sulla vostra anima una goccia del suo sangue. Sì, venite a me!... e non temete per il passato: il mio Cuore l'ha sommerso nell'abisso della misericordia e il mio amore vi prepara nuove grazie. Il ricordo del passato non sarà per voi che un motivo di umiliarvi e di accrescere i vostri meriti e, se volete darmi la più grande prova d'amore, contate sul mio perdono e credete che i vostri peccati non giungeranno mai a superare la mia misericordia infinita...
«Josefa, rimani nascosta nell'abisso del mio amore e prega affinché le anime si lascino penetrare dagli stessi sentimenti».
Quella settimana di passione doveva terminare con un invito doloroso attraverso il quale si rivela una volta ancora la forte e tenera compassione del Cuore di Gesù per le anime.
Era trascorso qualche giorno dopo la notte del 21 marzo, in cui la Madonna, portando a Josefa la croce di Gesù, le aveva detto:
«- Molte anime l'offendono, ma una soprattutto colma il suo Cuore di amarezza».
Tali parole non la lasciano mai nell'indifferenza. Lo zelo anima sempre le sue preghiere, il suo lavoro e le sue sofferenze. Ma quando sa che un'anima ferisce il Cuore del Maestro, non può più distrarre il suo cuore, non conosce più riposo.
Il sabato 24 marzo, verso le otto e mezzo di sera, Nostro Signore le si mostra, mentre esce dalla cella, e fermandola le dice:
«- Josefa!»
«Portava la croce - ella scrive - ed aveva un aspetto triste, ma di grande bellezza».
«- Vuoi consolarmi per quell'anima che mi fa soffrire?»
Prostrata ai piedi di Gesù, ella si offre a tutto quello che vorrà.
«- Prendi la mia croce - dice - e aiutami a sostenerne il peso».
Quindi, mentre gliela consegna, prosegue:
«- Mettiamoci alla presenza del Padre mio celeste e chiediamogli di dare a quell'anima un raggio di luce che la illumini e l'aiuti a respingere il pericolo. Presentiamoci come intercessori davanti a Lui affinché abbia compassione di quell'anima. Supplichiamolo di aiutarla, illuminarla, sostenerla, perché non soccomba alla tentazione.
«Ripeti con me queste parole:
«O Padre amatissimo, Dio infinitamente buono, guarda il tuo Figlio Gesù Cristo che, collocandosi fra la tua giustizia divina e i peccati delle anime, implora il tuo perdono.
«O Dio di misericordia, abbi pietà della fragilità umana! Rischiara gli spiriti traviati affinché non si lascino sedurre e trascinare... Dà forza alle anime affinché respingano le insidie che il nemico tende loro e ritornino con nuovo vigore sul cammino della virtù.
«O eterno Padre, vedi le sofferenze che Gesù Cristo, tuo diletto Figlio, ha sostenuto nella sua passione. Miralo davanti a te, offerto come vittima per ottenere alle anime luce e forza, perdono e misericordia!
«Josefa, ora unisci il tuo dolore al mio, la tua angoscia alla mia, e presentali al mio eterno Padre con i meriti e le sofferenze di tutte le anime giuste. Offrigli gli spasimi della mia corona di spine per espiare i cattivi pensieri di quell'anima.
«- Ripeti con me:
«O Dio santissimo, alla cui presenza gli angeli e i santi sono indegni di comparire, perdona tutte le colpe che si commettono con i pensieri e i desideri. Accogli, in espiazione di queste offese, il capo trafitto di spine del tuo divin Figlio. Ricevi il purissimo sangue che ne sgorga in così gran copia! Purifica le anime macchiate!... Rischiara ed illumina gli intelletti oscurati, e quel sangue divino sia la loro forza, la loro luce, la loro vita!
« Accogli, o Padre santissimo, le sofferenze ed i meriti di tutte le anime che, unite ai meriti e alle sofferenze di Gesù Cristo, si offrono a Te con Lui e per Lui, affinché Tu perdoni al mondo!
«O Dio di misericordia e di amore, sii la forza dei deboli, la luce dei ciechi e l'oggetto dell'amore delle anime».
«Così passò lungo tempo - scrive Josefa. - Di tanto in tanto Egli taceva. Il pesante fardello della sua croce gravava su di me con grandi sofferenze del corpo e dell'anima. Poi Gesù aggiunse:
«- Ripeti con me:
«Dio d'amore, Padre di bontà! Per i meriti, le sofferenze e le suppliche del tuo amatissimo Figlio, dà luce a quell'anima perché abbia la forza di respingere il male e di abbracciare la tua volontà con energia. Non permettere ch'ella sia la causa di tanto male per sé e per altre anime innocenti e pure!»
Scendeva la notte; Gesù riprese:
«- Custodisci la mia croce fino a che quell'anima conosca la verità e si lasci avvolgere e illuminare dalla vera luce».
«Quindi Egli sparì ed io restai nella sofferenza fino al mattino».
Sofferenze misteriose nella loro intensità! Essa le sostiene umilmente e coraggiosamente, in unione col Maestro. Sa che Egli solo dà loro il valore divino che ripara, l'efficacia che può raggiungere e trasformare quell'anima.
Tutta la giornata della domenica delle Palme trascorre in questa dolorosa supplica e mentre Josefa si offre vittima, Gesù attira, distacca, commuove e riconquista quell'anima che ama con tanta predilezione.
Quella sera stessa il suo Cuore sussulterà di gioia nel riabbracciare il figliuol prodigo. Il cielo si rallegrerà perché il Buon Pastore ha ricondotto all'ovile sulle sue spalle la pecorella smarrita che il suo amore ha riconquistato.

                                                                                                                                                                                                                             
SETTIMANA SANTA 25 MARZO - I° APRILE 1923 ♦ Pag.381

Ecco quello che aspetto da te in questa settimana: mi adorerai, ti annienterai, mi consolerai, mi amerai e tutto questo in spirito di zelo, per ottenere che molte anime entrino in questa stessa via. (N. Signore a Josefa - 25 marzo 1923).

Mentre Josefa la sera della domenica delle Palme, 25 marzo, sta in adorazione davanti al Santissimo esposto, Gesù le appare per indicarle il programma della settimana santa, che sta per cominciare e che coronerà tutte le grazie della Quaresima.
«Voglio - Egli dice - che tu consacri questi giorni ad adorare la mia divina persona oltraggiata dai tormenti della passione. Ti terrò continuamente alla mia presenza. Mi paleserò a te, a volte con la maestà di un Dio, a volte con la severità di un giudice e, più spesso, coperto delle ferite, delle ignominie della mia passione. Così, nella tua incessante adorazione, nella tua profonda umiltà, nelle tue riparazioni di ogni momento, troverò un sollievo a tanta tristezza e a tanta amarezza!»
Sono appena trascorsi pochi istanti, e già Josefa vede realizzarsi questa triplice manifestazione di Gesù: Dio, Giudice, Salvatore!
«L'ho rivisto tutto ad un tratto - scrive - sempre lo stesso, ma con una tale maestà che la mia anima ne rimase annientata per il rispetto e la confusione. Avrei voluto nascondermi, sparire dalla sua presenza!... e dopo aver rinnovato i miei voti, l'ho supplicato di purificarmi affinché il mio nulla possa sostenere la vista della sua grandezza. Mi ha risposto con voce grave e solenne:
«- Umiliati davanti alla maestà del tuo Dio e ripara in tal modo l'orgoglio dell'umana natura, così spesso ribelle ai diritti del suo Creatore!»
Allora Josefa sente gravare sulla sua anima il peso della divina giustizia. Colpita da timore, si prostra ai piedi di Gesù,
«... ricordandogli - ella scrive - ch'Egli è mio Salvatore, mio Padre, mio Sposo, e che può cancellare tutte le mie miserie e perdonare i miei peccati. Gesù mi ha risposto e la sua voce aveva un accento di bontà e insieme di autorità:
«- Sì, tu dici bene, sono il tuo Salvatore, il tuo Padre, il tuo Sposo e desidero consumare le tue miserie nella fiamma ardente del mio amore. Ma voglio anche che tu comprenda, Josefa, fino a qual punto tu debba umiliarti, annientarti, scomparire nella tua volontà e in tutto il tuo essere, affinché la volontà di Dio regni e trionfi, non soltanto in te, ma in molte altre anime.
«Bisogna che esse riconoscano la loro colpevolezza e la loro miseria e che esse pure si umilino e si abbandonino alla divina volontà.
«Ecco ciò che aspetto da te in questa settimana: tu mi adorerai, ti annienterai, mi consolerai, mi amerai e, tutto questo, in spirito di zelo per ottenere che molte anime entrino in questa stessa via.
«Addio! Ti dirò poi ciò che desidero da te».
Così i giorni santi hanno inizio per l'anima attenta di Josefa. Il Maestro divino la condurrà, passo passo, nell'austero cammino che Egli le ha aperto e dove la seguiremo.

                                           
LUNEDÌ SANTO: SULLA VIA DEL CALVARIO26 MARZO 1923 ♦ Pag.383

Il corteo si avanza sulla via del Calvario Josefa, seguimi ancora! (N. Signore a Josefa).

Fin dal mattino del lunedì Santo, 24 marzo 1923, Nostro Signore invita Josefa ad andare in cella, perché non ha ancora terminato il racconto dei suoi dolori.
«Bacia la terra e riconosci il tuo niente - Egli le dice. - Adora la potenza e la maestà del tuo Dio, ma non dimenticare che se Egli è infinitamente giusto e potente, è anche infinitamente misericordioso!
«Ed ora continuiamo Josefa, e seguimi per la via del Calvario sotto il peso della croce.
«Mentre l'eterna perdizione di Giuda immergeva il mio Cuore in un abisso di tristezza, i carnefici, insensibili al mio dolore, mi caricarono sopra le spalle straziate la croce dura e pesante sulla quale stava per consumarsi il mistero della redenzione del mondo.
«Angeli del cielo, contemplate questo Dio davanti al quale voi siete prostrati in continua adorazione! Vedete il Creatore di tutte le meraviglie di quaggiù salire verso il Calvario sotto il legno santo e benedetto che riceverà il suo ultimo respiro!
«E voi, anime che desiderate essere mie fedeli imitatrici, contemplate il mio corpo, martoriato da tanti tormenti, e che avanza estenuato, bagnato di sudore e di sangue. Esso soffre senza che nessuno compatisca il suo dolore. La folla mi accompagna... i soldati mi circondano come lupi, avidi di divorare la preda... e nessuno ha pietà di me!
«La mia stanchezza è tanta e la croce tanto pesante che Io cado a metà cammino... Guardate come quegli esseri inumani mi rialzano brutalmente: uno mi afferra per il braccio, l'altro mi tira per le vesti, rimaste aderenti alle ferite, altri mi prende per il collo, altri pei capelli, alcuni mi sferrano addosso colpi terribili, con pugni e calci... La croce cade sopra di me schiacciandomi sotto il suo peso... Le pietre della via feriscono il mio volto... La sabbia e la polvere si mescolano al mio sangue per offuscare i miei occhi e incollarsi al mio volto: sono l'essere più spregevole della terra!
«Seguitemi ancora... pochi passi più avanti incontrerete la mia Madre santissima, col cuore trafitto dal dolore.
«Meditate il martirio di questi due cuori: per mia Madre, colui che ella ama sopra ogni cosa è il suo Figlio... e, lungi dal poterlo sollevare, sa tutto quello che la sua presenza aggiunge alle mie sofferenze.
«Per me, quella che amo di più al mondo è mia Madre! E non soltanto non posso consolarla, ma il pietoso stato in cui mi vede ridotto la trafigge di una pena simile alla mia, perché la morte che Io soffro nel corpo mia Madre la sopporta nell'anima!
«Ah! Come si fissano su di me i suoi sguardi e come i miei occhi, offuscati e insanguinati, si fissano su di lei. Non si pronuncia una parola, ma quante cose si dicono i nostri cuori in quel doloroso incontro!»
Gesù tace... Sembra che l'amore lo assorba nel ricordo dello sguardo di sua Madre. Josefa è colpita da questo silenzio. Finalmente osa romperlo e chiede al Maestro se la Madre sua aveva avuto conoscenza dei suoi dolori durante quelle ore tragiche.
«- Sì - risponde con bontà. - Tutti i tormenti della mia passione erano presenti al suo spirito per rivelazione divina. Qualcuno dei miei discepoli, sebbene da lontano per timore dei Giudei, cercava anche d'informarsi di ciò che accadeva per riferirglielo. Quando seppe che la mia sentenza di morte era pronunciata, Ella uscì per incontrarmi, e non mi lasciò più finché non fui deposto nel sepolcro.
«Frattanto il corteo avanza verso il Calvario.
«Quegli uomini iniqui, temendo di vedermi morire prima di giungere al termine, spinti da una perfida malizia e non dalla compassione, si mettono d'accordo per cercare qualcuno che mi aiuti a portare la croce; requisiscono perciò, a poco prezzo, un uomo delle vicinanze chiamato Simone.
«Ma basta per oggi: ne riparleremo domani. Ora va' a chiedere alle tue Madri di permetterti di fare l'ora santa ogni sera di questa settimana e di darmi la libertà di prenderti, quando avrò bisogno di te, a qualsiasi ora».
Ella in cuor suo esita un poco, ma il Maestro insiste con forza:
«- Non dimenticare che ho su di te tutti i diritti. Solo le tue superiore, che mi rappresentano, possono disporre di te e da esse ho avuto piena libertà».
«Mi sono confusa alla sua presenza - scrive umilmente Josefa - e mi sono prostrata ai suoi piedi per chiedergli perdono!»
Ciò che la rende titubante non è mai il timore di soffrire, ma la brama sempre più forte di lavorare e di rendere servizio, brama che non riuscirà mai a sopprimere del tutto e sarà sempre, fino alle fine, il motivo della sua immolazione e l'alimento del suo amore.
Quella sera, secondo i desideri di Gesù, si apre la serie di quelle ore sante in cui il Cuore divino si rivelerà nuovamente alle anime.
Nostro Signore aspetta già nel coretto di S. Bernardo quando Josefa vi giunge verso le nove di sera. Egli appare in un atteggiamento triste, col volto coperto di polvere e di sangue.
«- Josefa dice appena ella ha rinnovato i voti voglio che tu mi faccia compagnia durante quest'ora e che tu condivida la mia tristezza nella prigione. Contemplami in mezzo a quella soldataglia insolente. Penetra specialmente in fondo al mio Cuore... studialo: vedi quanto soffre nel trovarsi solo... poiché tutti quelli che si dicevano miei amici mi hanno abbandonato, tutti si sono allontanati!
«Padre mio, Padre celeste! Ti offro questa tristezza e questa solitudine del cuore affinché ti degni accompagnare e sostenere le anime nel loro passaggio dal tempo all'eternità!»
«Qui tacque - scrive. - L'adorai e lo supplicai di darmi la sua croce».
«- Sì, te la darò, e il tuo cuore sarà trafitto dalla stessa tristezza del mio.
«Ah! Come la tua piccolezza può essere grande, Josefa, se tu non fai che una sola cosa con me! Lascia che il tuo cuore s'immerga nei sentimenti d'umiltà, di zelo, di sottomissione e di amore in cui il mio s'inabissò, in mezzo agli affronti di cui fui vittima durante la passione. Altro non desideravo che glorificare il Padre, rendergli l'onore rapitogli dal peccato e riparare le offese di cui gli uomini lo colmano. Perciò m'inabissai in una così profonda umiltà sottomettendomi a tutto ciò che esigeva da me il suo beneplacito e, infiammato di zelo per la sua gloria e di amore per la sua volontà, accettai di soffrire con la più intera rassegnazione».
Qui Gesù tacque di nuovo, e poi soggiunse:
«Mio Dio e Padre Mio! La mia dolorosa solitudine ti glorifichi! La mia pazienza e la mia sottomissione ti plachino! Non colpire le anime con la tua giusta indignazione. Guarda il Figlio tuo... Vedi le sue mani legate con quelle catene con cui fui caricato dai carnefici. In nome della pazienza ammirabile con cui sopportò tanti supplizi, perdona alle anime, sostienile, non lasciarle soccombere sotto il peso della loro debolezza. Accompagnale nelle ore di 'prigione' e da' loro forza per sopportare le pene e le miserie della vita con piena adesione alla tua santa adorabile volontà».
Dopo un prolungato istante di silenzio disse infine:
«Adesso va', Josefa: porta con te la mia croce e durante questa notte non lasciarmi solo; tienimi compagnia nella mia prigione!»
«Come farò, Signore? - chiede timidamente. - Temo di addormentarmi e di non pensare più a te!»
Il divino Maestro le risponde con infinita condiscendenza:
«- Sì, Josefa, tu puoi e devi dormire senza tuttavia lasciarmi solo.
«Quando le anime non hanno la possibilità, come esse desidererebbero, di restare a lungo alla mia presenza, perché sono obbligate a riposarsi o ad occuparsi in cose che tengono assorte le loro facoltà, nulla impedisce loro di fare con me una convenzione, in cui l'amore s'industria e si manifesta forse più ancora che nell'ardore di una devozione libera e tranquilla.
«Così va' a riposarti, come devi, ma prima comanda alle potenze dell'anima tua di rendermi durante la notte il culto del tuo amore. Lascia piena libertà ai più teneri affetti del tuo cuore, affinché, attraverso il sonno dei tuoi sensi, essi non cessino di rimanere alla presenza dell'unico oggetto del tuo amore.
«Basta un istante per dirmi: "Signore! Vado al riposo, o al lavoro, ma l'anima mia rimane in tua compagnia. La mia attività riposerà durante questa notte - o si occuperà durante questo lavoro - ma tutte le mie potenze rimarranno sotto il tuo soave dominio e il mio cuore ti conserverà l'amore più costante e più tenero".
«Va' in pace, Josefa, e il tuo cuore rimanga unito al mio!»
Questa direttiva, preziosamente raccolta, sarà una delle consolazioni degli ultimi suoi mesi di vita. Ella ha cercato di riprodurla con uno stile, forse disadorno, ma le anime fedeli sapranno scoprire in queste righe il valore dell'intenzione che le orienta verso l'Ospite interiore e fissa, nelle ricchezze della sua Vita, ore che potrebbero sembrare inutili alla sua Opera, e che invece Egli riveste di tutto il loro significato redentore.

SOMMARIO

                                                                                         
MARTEDI’ SANTO: SIMONE CIRENEO ♦ Pag.388

27 MARZO 1923 • L’anima che ama veramente non misura ciò che fa, né pesa ciò che soffre. (N. Signore a Josefa)

La mattina del Martedì Santo, Josefa, sotto la dettatura del divino Maestro riprende il Messaggio, interrotto il giorno precedente.
Prima però Gesù esige da lei un atto di sottomissione alla divina volontà, e nel silenzio della piccola cella, Josefa ripete l'offerta che il Signore si degna insegnarle:
«- Mio Signore e mio Dio, eccomi qui in compagnia del tuo divin Figlio che, malgrado la mia grande indegnità, è anche mio sposo. Sottometto la mia volontà alla tua, e mi abbandono interamente per fare e soffrire tutto ciò che ti degnerai chiedermi per il solo fine di glorificare la tua maestà infinita e di cooperare alla salvezza e alla santificazione delle anime. Ricevi per questa intenzione i meriti e il Cuore di Gesù Cristo, tuo figlio, che è mio Salvatore, mio Padre, mio Sposo».
Josefa bacia la terra e poi riprende, la penna:
«- Ora continuiamo l'opera nostra.
«Contemplami sulla via del Calvario, carico della croce pesante. Guarda dietro a me Simone che mi aiuta a portarla, e considera due cose:
«In primo luogo quell'uomo, quantunque di buona volontà, è un mercenario perché, se mi accompagna e prende parte al peso della croce, lo fa per guadagnare la somma convenuta. Infatti, quando è troppo stanco, lascia che il peso gravi di più sulle mie spalle ed è così che Io cado ancora
due volte sulla via.
«In secondo luogo, quest'uomo è stato requisito per aiutarmi a portare una parte della croce, ma non tutta la mia croce.
«Vediamo il senso simbolico di queste due circostanze: «Simone è stato requisito, vale a dire che spera un certo guadagno per la fatica a cui fu costretto.
«Così molte anime camminano dietro a me: senza dubbio consentono ad aiutarmi a portare la croce, ma restando preoccupate per la consolazione ed il riposo. Accettano di seguirmi e a tale scopo abbracciarono la vita perfetta, ma senza abbandonare il loro interesse che rimane anzi in cima ai loro pensieri. Vacillano quindi e lasciano cadere la mia croce quando pesa troppo. Cercano di soffrire il meno possibile, misurano la loro abnegazione, evitano questa umiliazione, quella fatica, quel lavoro e, ricordando forse con rimpianto ciò che lasciarono, provano a concedersi almeno certe soddisfazioni. In una parola, ci sono delle anime così interessate ed egoiste che, essendosi messe alla mia sequela più per il vantaggio loro che per il mio, non accettano se non quello che non possono evitare o che le obbliga strettamente... Queste anime non mi aiutano a portare che una piccola parte della mia croce, ed in modo tale che a mala pena potranno acquistare i meriti indispensabili per la loro salvezza. Ma nell'eternità esse vedranno quanto sono rimaste indietro e lontane nel cammino.
«Vi sono invece anime, e non poche, le quali, mosse dal desiderio della loro salvezza, ma più ancora dall'amore per Colui che ha sofferto per loro, si risolvono a seguirmi sulla via del Calvario. Abbracciano la vita perfetta e si consacrano al mio servizio non per portare soltanto una parte della croce, ma per portarla tutta intera. Il loro unico desiderio è di darmi riposo e consolarmi. Si offrono a tutto ciò che a me fa piacere. Non pensano né alla ricompensa né ai meriti che a loro verranno, né alla stanchezza, né ai patimenti che potranno incontrare. Il loro unico desiderio è di dimostrarmi il loro amore e di consolare il mio Cuore.
« Sia che la mia croce si presenti ad esse sotto forma di malattia o che si nasconda sotto un'occupazione contraria ai loro gusti o alle loro attitudini, che rivesta la forma di qualche dimenticanza o di una certa opposizione da parte di chi le circonda, esse la riconoscono e l'accettano con tutta la sottomissione di cui la loro volontà è capace.
«Alle volte, sotto l'impulso di un grande amore per il mio Cuore e di un vero zelo per le anime, hanno fatto ciò che credevano meglio. Ma alla loro attesa rispondono pene ed umiliazioni. Allora queste anime che erano state ispirate soltanto dall'amore scoprono la mia croce sotto questo insuccesso: l'adorano, l'abbracciano, ed offrono per la mia gloria tutta l'umiliazione che loro ne viene.
«Ah! Queste anime sono quelle che veramente portano tutto il peso della mia croce, senz'altro vantaggio o guadagno che l'amore! Sono quelle che riposano il mio Cuore e lo glorificano!
«Tenete per certo che se la vostra abnegazione e le vostre sofferenze tardano a dare i loro frutti, o sembrano magari non darne alcuno, tuttavia non sono state né vane né inutili. Un giorno il raccolto sarà abbondante.
«L'anima che ama veramente non misura ciò che fa, né pesa quello che soffre. Non viene a patti per la fatica o per il lavoro, non aspetta retribuzione, ma intraprende tutto quello che giudica essere più glorioso a Dio.
«E appunto perché agisce lealmente, qualunque sia il risultato del suo operare, non si discolpa, né mette in campo le sue intenzioni. E perché agisce per amore, i suoi sforzi e le sue pene porteranno sempre alla gloria di Dio. Non si agita né s'inquieta e meno ancora perde la pace se in qualche occasione essa si vede contraddetta o anche perseguitata ed umiliata; il solo movente dei suoi atti è l'amore, e l'amore è il suo solo scopo.
«Queste sono le anime che non vogliono salario e che non cercano che la mia consolazione, il mio riposo, la mia gloria. Sono quelle che hanno preso la mia croce, e ne sostengono tutto il peso sulle proprie spalle!»
Gesù non aspetta forse per aiutarlo efficacemente sotto la sua croce dei cuori generosi che l'amino di vero amore, leale e disinteressato?...
Se si è degnato tracciare il programma di questa cooperazione così preziosa per il suo Cuore, non è stato forse per risvegliare l'amore in molte anime della tempra di quelle che Santa Teresa definiva già: «Anime dedite tutte a te... che a te si abbandonano, per seguirti ovunque andrai... fino alla morte di croce... anime pronte ad aiutarti a portare il tuo carico, senza mai lasciarti solo a sostenere il peso!...»
Questa croce benedetta Egli la porta di nuovo a Josefa quando, calata la notte, nel silenzio che avvolge il convento dei Feuillants, Gesù la ritrova nel coretto dov'è venuta a fare l'ora santa.
«- Josefa, sei qui? Vieni a tenermi compagnia!»
le dice mentre le consegna la croce.
«- Mettiti vicino a me per difendermi dagli oltraggi e dagli insulti di cui fui vittima in presenza di Erode. «Contempla la vergogna e la confusione di cui fui coperto ascoltando le parole di scherno e di derisione con cui quell'uomo mi coprì. Dammi continue testimonianze di adorazione, di riparazione e di amore!
«Addio! Custodisci la mia croce. Domani ti preparerò al gran giorno del mio amore!»
La notte termina sotto la persecuzione del nemico. Gesù non le ha forse insegnato, ancora una volta, a riconoscere la croce e ad aiutarlo a portarla, sotto qualsiasi aspetto si presenti? Ella crede al suo amore attraverso ogni sofferenza!

SOMMARIO

                                                                     
MERCOLEDI’ SANTO: ♦ LA CROCIFISSIONE28 MARZO 1923

Contemplate, angeli del cielo, e voi, anime che mi amate!... (N. Signore a Josefa). ♦ Pag.392

La mattina del Mercoledì Santo, Nostro Signore conduce Josefa con sé al Calvario.
«- Bacia la terra - le dice apparendole, alle nove nella sua cella- umiliati poiché sei indegna di raccogliere le mie parole! Ma Io amo le anime, ed è per esse che vengo a te!
«Ecco che ci avviciniamo al Calvario! La folla si agita, mentre Io cammino a stento... e presto, estenuato dalla fatica, cado per la terza volta.
«La mia prima caduta otterrà ai peccatori, radicati nell'abitudine della colpa, la forza di ravvedersi. La seconda incoraggia le anime deboli, accecate dalla tristezza e dal turbamento, a rialzarsi e a riprendere con nuovo ardore la via della virtù. La terza aiuterà le anime a pentirsi all'ora suprema della morte.
«Siamo giunti al termine del cammino. Vedi con quale avidità mi attorniano quegli uomini dal cuore indurito... Alcuni prendono la croce e la stendono al suolo, altri mi strappano le vesti. Le ferite si riaprono e il sangue scorre di nuovo.
«Meditate, anime care, quale fu la mia vergogna nel vedermi esposto così dinanzi alla folla! Quale strazio per il mio corpo e quale confusione per la mia anima! Prendete parte all'afflizione di mia madre che contempla quella terribile scena... E pensate con quale desiderio ella vorrebbe impossessarsi della tunica imbevuta e tinta del mio sangue!
«L'ora è giunta: i carnefici mi stendono sulla croce, mi afferrano le braccia, tirandole per far giungere le mie mani ai fori già praticati nel legno. Ad ogni movimento il mio capo è scosso da un lato all'altro, e le spine della corona vi penetrano più profondamente! Udite il primo colpo di martello che m'inchioda la mano destra... risuona fino alla profondità della terra!... ascoltate ancora... già m inchiodano la mano sinistra: dinanzi a tale spettacolo i cieli fremono e gli angeli si prostrano!
«Io mantengo profondo silenzio, neppure un lamento sfugge alle mie labbra!...
«Dopo aver inchiodato le mani, i carnefici stirano crudelmente i piedi:... le piaghe si aprono... i nervi si strappano... le ossa si slogano... il dolore è intenso... i miei piedi sono trapassati e il sangue bagna la terra!...
«Contemplate un istante quelle mani e quei piedi lacerati e sanguinanti... quel corpo coperto di ferite... quel capo trafitto da spine acute, ricoperto di polvere, intriso di sudore e di sangue...
«Ammirate il silenzio, la pazienza e la conformità al volere di Dio con cui accetto tali patimenti crudeli.
«Chi è Colui che soffre così, vittima di tali ignominie?... È Gesù Cristo, il Figlio di Dio!... Colui che ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che esiste... Colui che fa crescere le piante e dà vita ad ogni essere... Colui che ha creato l'uomo e la cui potenza infinita sostiene l'universo... Egli è là, immobile, disprezzato e spogliato di tutto!... Ma presto molte anime
correranno a Lui per imitarlo e seguirlo. Esse abbandoneranno tutto: fortuna, benessere, onore, famiglia, patria, per dargli gloria e provargli l'amore a cui ha diritto.
«E mentre i colpi di martello risuonano da un estremo all'altro dello spazio, la terra trema, il cielo si chiude nel più rigoroso silenzio e tutti gli spiriti angelici si prostrano in adorazione... Un Dio è inchiodato alla croce!
«Fermati, Josefa! Contempla il tuo divino sposo steso sulla croce. E senza movimento, senza onore, senza libertà, tutto gli è stato tolto!
«Nessuno ha pietà di Lui, nessuno lo compatisce per la sua sofferenza! Ma senza tregua nuove derisioni, nuove contumelie, nuovi dolori si aggiungono ai tormenti che sopporta.
«Se tu veramente mi ami, che cosa non farai per rassomigliarmi? Che cosa tralascerai per consolarmi? Potrai forse ancora rifiutare qualcosa al mio amore?
«Ora prostrati a terra, e lascia che Io ti dica una parola:
«La mia volontà trionfi in te!
«Il mio amore ti consumi!
«La tua miseria mi glorifichi!»
Josefa resta a lungo con la faccia a terra. Che avviene allora tra lei e il Maestro?...
A quale profondità di annientamento vuole ridurla?... A quali scambi la invita? Egli non parla mai invano e ogni parola è un atto che la sua potenza può realizzare in un istante nell'anima che si è offerta alla sua azione. Quando ella si rialza, Gesù è scomparso.
Alle dieci Josefa si reca nella cappella delle Opere per seguirlo nella «Via Crucis». Là Gesù l'attende:
«Io ti accompagnerò - le ha detto quella mattina stessa - nello stato in cui mi trovavo quando, carico della croce, traversai le vie di Gerusalemme».
«Portava - ella scrive - sulla tunica bianca un manto rosso chiazzato di sangue e strappato in varie parti. La corona gli stava molto calcata sulla fronte... Il suo volto aveva un'espressione di tristezza, portava le tracce dei colpi e del sangue quasi coagulato.
«Avvicinandomi mi ha detto:
«- Josefa, vieni a contemplarmi sulla dolorosa via del Calvario... Adora il mio sangue sparso ed offrilo al Padre celeste per la salvezza delle anime».
Ella si alza e lo segue. Egli cammina davanti a lei e si ferma ad ogni stazione. Ella si prostra e bacia la terra per adorare il suo sangue, poi ascolta le effusioni di quel Cuore adorabile... Egli le ricorda, con poche parole, il senso dei suoi dolori, e fa udire un grido d'amore alle anime che chiama a seguirlo15.
15 Due giorni dopo, nella mattinata del Venerdì Santo, Nostro Signore detterà questa Via Crucis che ella ha fatto con Lui.
Tutta quella giornata trascorre nell'atmosfera di dolore e di amore di cui l'anima di Josefa è tutta compenetrata.
Tuttavia, come abbiamo già visto, e come vedremo fino alla fine, ella si applica al suo dovere quotidiano senza che niente la distolga... mistero della forza divina da cui è posseduta e che la maneggia secondo il suo santo volere nella grazia del momento presente.
La sera del mercoledì santo, mentre tutto sta addormentandosi nella grande casa, Josefa si rifugia nel coretto ove ha il permesso di fare l'ora santa. Appena si è inginocchiata, Gesù le appare nello splendore della sua bellezza. Ogni traccia di dolore è scomparsa e il Cuore infiammato sembra immerso in un incendio:
«- Josefa - le dice con veemenza - domani è il giorno dell'amore! Contempla il mio Cuore: non può contenere l'ardore che lo consuma di darsi, di immolarsi, di restare per sempre con le anime! Ah! Come aspetto che esse mi aprano il loro cuore, che mi chiudano in esso, e che il fuoco che consuma il mio le fortifichi e le infiammi!»
«Il suo Cuore si dilatava tra le fiamme, ed era così bello che non so descrivere - scrive Josefa. - Gli chiesi di consumare anche me con questo vero amore, che non gli resiste mai, ed Egli ha continuato:
«- Lasciami entrare in te, lavorarti, consumarti e distruggerti, affinché non sia più la tua volontà che agisca, ma la mia.
«Guarda come trasalisce il mio amore nel vedere tutte quelle anime che domani mi riceveranno e
si lasceranno possedere dall'azione divina e saranno la consolazione del mio Cuore.
«Sì, domani l'amore trabocca, si dona! Ah, come questo pensiero mi consola e questo desiderio mi divora!... Darmi alle anime e che le anime si diano a me!... Tu, Josefa, abbandonami tutto il tuo cuore senza timore della tua piccolezza. Lascia che l'amore lo possegga e lo trasformi!»
Così dicendo Gesù scompare. La notte termina per Josefa nel ricordo dell'ardore divino attraverso il quale ha potuto misurare una volta di più la profondità di quel Cuore che ha tanto amato le anime!...

SOMMARIO

                                                                                               
GIOVEDÌ SANTO: IL GRAN GIORNO DELL'AMORE • 29 MARZO 1923

L'amore si umilia...L'amore si dona!...(N. Signore a Josefa). ♦ Pag.396

«- Josefa! Ecco giunto il gran giorno dell’amore !... Ecco il suo giorno di festa !...», le disse Gesù all'alba del Giovedì Santo.
Ella stava pregando nella sua cella e ad un tratto lo vede apparire come il giorno prima, col Cuore circondato di fiamme; rinnova i voti e si prostra adorandolo. Gesù prosegue:
«Si, questo è il giorno in cui mi do alle anime, per essere ciò che vorranno che Io sia: sarò loro padre se mi vogliono per padre... loro sposo se mi desiderano tale... mi farò la loro forza se hanno bisogno di forza e, se aspirano a consolarmi, Io mi lascerò consolare!... L'unico mio desiderio è di darmi e di colmarle delle grazie che il mio Cuore tiene loro preparate e che non può più contenere!... E per te, Josefa, che cosa sarò?...»
«Tutto, Signore! Poiché non ho niente!...»
E Nostro Signore le risponde:
«- Hai detto bene!»
Quest'assicurazione, che riempie l'anima sua di riconoscenza e di pace, l'accompagna alla Messa e alla Comunione. Ritornata al suo posto, ella rinnova al Maestro così buono l'offerta di un dono assoluto di sé e di un abbandono definitivo. Gesù ratifica quell'atto dicendole:
«- Appunto perché non sei che niente e miseria, bisogna che tu mi lasci incendiare il tuo cuore, consumarlo, e distruggerlo. Sai bene che il niente e la miseria non sono capaci di resistere...»
Questa giornata trascorrerà sotto l'azione «dell'amore che si dona... dell'amore che si abbandona davanti ai suoi...» Josefa raccoglierà queste parole dalle labbra del Signore, mentre rivivrà, nel silenzio e nel raccoglimento che avvolge in quel giorno tutti i riti della vita religiosa, le ultime effusioni del Salvatore in mezzo ai suoi.
Verso le quattro del pomeriggio Gesù le appare nella cella dove, inginocchiata davanti alla statuetta della Madonna, rimedita dentro di sé quelle parole misteriose:
«- Sì, Josefa, ti ho detto che l'amore si dà ai suoi ed è vero. Vieni, accostati al mio Cuore e penetra i sentimenti che ne traboccano!
« L'amore si dà ai suoi come alimento, e questo alimento è la sostanza che dà loro la vita e li sostenta.
«L'amore si umilia davanti ai suoi, così Egli li eleva alla più alta dignità.
«L'amore si dà tutto intero, con profusione e senza riserve. Si sacrifica, s'immola, donandosi ardentemente e con veemenza a coloro che ama. Ah, quale pazzia d'amore è l'Eucaristia!...»
Sembra in quell'istante che Gesù non possa contenere l'ardente effusione del suo Cuore. Poi la sua voce cambia ed egli aggiunge con gravità:
«- E sarà appunto l'amore che mi condurrà alla morte».
Allora guardando Josefa:
«- Oggi, sei sostenuta, consolata, fortificata dall'amore. Domani l'accompagnerai e patirai con lui, fino al Calvario».
Le ombre della passione stanno per discendere sulla radiosa giornata. Durante la notte, passata in parte davanti alla Riposizione, essa ritrova il tesoro che ha imparato a stimare e a portare: la croce, la corona, le angosce e i dolori del Maestro.
Verso mezzanotte, Egli le appare e l'invita a condividere la solitudine della sua prigione. La sua tunica bianca è a brandelli e macchiata di sangue. Il volto divino porta la traccia degli schiaffi e dei maltrattamenti ignominiosi ricevuti.
«- Josefa, - dice - tu mi hai consolato... Vengo a ripigliare la mia croce!
«Ora tienimi compagnia. Non lasciarmi solo nella prigione!... Fa' che alzando gli occhi per cercarti, Io incontri il tuo sguardo fisso in me!
«Sai quanto grande è per l'anima che soffre la consolazione di avere qualcuno che la compatisce?
«Tu che conosci la tenerezza del mio Cuore, puoi misurare il mio dolore tra gli oltraggi dei miei nemici e l'abbandono dei miei!»
Gesù allora sparisce, lasciandole questa consegna di amore:
«- Non ti dico addio, poiché tu mi resti sempre vicina!»

SOMMARIO

                                                           
VENERDÌ SANTO: LE SETTE PAROLE30-31 MARZO 1923

Tutto quello che vedi, scrivilo... (N. Signore a Josefa). Pag.399

Fin dalle prime ore del Venerdì Santo il Salvatore assocerà Josefa alla sua passione, le paleserà visibilmente i suoi dolori che s'imprimeranno nello stesso tempo nel corpo e nell'anima di lei. Ella seguirà la traccia dei suoi passi, condividendo la compassione della Madre, mentre il seguito degli avvenimenti si svolgerà ora per ora sotto i suoi occhi.
Chi potrà misurare l'intensità di quella unione e la realtà di quella configurazione alle sofferenze di Cristo?
Josefa cercherà di scrivere qualche cosa di ciò che ha visto, inteso, sofferto, ma le espressioni rimarranno sempre inadeguate sotto la sua penna. Tuttavia esse sono una testimonianza che la loro semplicità stessa rende preziosa ed è sotto questo titolo che vanno raccolte.
«Verso le sei del mattino - scrive - l'ho visto durante la meditazione, come questa notte: soltanto sulla tunica bianca era gettato un mantello rosso. Appariva prostrato di forze e subito mi ha detto:
«- Josefa, tra poco i miei nemici caricheranno sulle mie spalle la croce, che è tanto pesante!»
«L'ho supplicato di darla a me, perché vorrei tanto sollevarlo!»
«- Sì, prendila e il tuo amore me l'addolcisca un poco. Ti ho fatto conoscere i miei patimenti, seguimi in essi, accompagnami e prendi parte al mio dolore...»
Durante la mattinata Gesù ritorna per dettarle la Via Crucis ch'ella ha fatto con Lui qualche giorno prima.
«Il suo volto era lacerato - scrive - gli occhi gonfi e insanguinati... Mi ha fatto baciare i suoi piedi alla settima, all'undicesima, alla tredicesima stazione. Poi, prima di sparire, mi ha detto:
«- Si avvicina l'ora della mia crocifissione... te la farò conoscere quando suonerà».
«Verso mezzogiorno e mezzo l'ho rivisto:
«- Ecco il momento in cui i carnefici stanno per configgermi alla croce, Josefa».
«... Allora - ella scrive - un dolore così violento trafisse le mie mani e i miei piedi, che il mio corpo ne fu interamente scosso. Nello stesso tempo intesi i colpi di martello, lentamente ripetuti, che si ripercuotevano in lontananza. Con voce spenta Gesù ha detto:
«- Ecco l'ora della redenzione del mondo! Stanno per elevarmi da terra e offrirmi in spettacolo alla derisione della folla... ma altresì all'ammirazione delle anime!...»
«Dopo qualche istante lo rividi. Era attaccato alla croce e questa era drizzata:
«- Il mondo ha trovato la pace!... questa croce, che finora era strumento di supplizio su cui morivano i malfattori, diverrà la luce del mondo e l'oggetto della più profonda venerazione.
«Nelle mie piaghe sacratissime attingeranno i peccatori il perdono e la vita!... Il mio sangue laverà e cancellerà tutte le loro brutture...
«Alle mie piaghe sacre verranno le anime pure a dissetarsi e ad accendersi di amore... In esse si rifugeranno e porranno per sempre la loro dimora!...
«Il mondo ha trovato il suo redentore e le anime scelte il modello che devono imitare.
«Josefa! Queste mani sono per te per sostenerti, questi piedi per seguirti e non lasciarti sola mai!
«Tutto quello che vedi, scrivilo!»
Di nuovo ella cerca di tracciare il ritratto del Salvatore. Sa che non si manifesta a lei che per le anime, e che ella non è là che per trasmettere la testimonianza di quei dolori. Con tutta la possibile cura cerca di non omettere alcun particolare:
«Era confitto in croce. La corona circondava il suo capo, e grandi spine vi si configgevano profondamente. Una, più lunga delle altre, entrava al di sopra della fronte e riusciva presso l'occhio sinistro che era tutto gonfio. Il volto, coperto di sangue e di sozzure, era inclinato in avanti, un po' piegato a sinistra. Gli occhi, benché molto gonfi e iniettati di sangue, erano ancora aperti e guardavano a terra. Su tutto il suo corpo straziato si vedevano le tracce dei colpi che, in certi punti, avevano persino asportato dei brandelli di carne e di pelle. Il sangue scorreva dalla testa e dalle altre ferite. Le labbra erano violacee e la bocca leggermente contratta: ma l'ultima volta che l'ho visto, verso le due e mezza, aveva ripreso il suo aspetto normale. Questa vista ispira una compassione così grande che non è possibile contemplare Gesù in tale stato senza aver l'anima trapassata dal dolore!... Quanto a me, quello che mi ha causato maggior pena fu che non aveva neppure la possibilità di accostare una mano al volto. Vederlo così inchiodato mani e piedi mi darà la forza di abbandonare ogni cosa e di sottomettermi alla sua volontà anche in quello che mi costa di più.
«Ciò che ho pure osservato quando l'ho visto così crocifisso è che gli era stata strappata la barba, che abitualmente dà al suo volto una grande maestà. I capelli che sono così belli e aggiungono tanta grazia alla sua fisionomia erano scomposti, intrisi di sangue e cadevano sulla sua faccia».
Ben si può comprendere che un tale spettacolo la lasci annientata e come smarrita nel dolore. Passa il pomeriggio nella piccola cella, testimone di tante grazie, e che in quel giorno, per una misteriosa volontà di Dio, somiglia alla vetta del Calvario. Un silenzio arcano vi regna, e una preghiera muta unisce l'anima di Josefa all'offerta del Redentore.
«Verso le due e mezza - scrive - Nostro Signore ha parlato con voce spezzata».
Ella raccoglie allora le sette parole, che Gesù Crocifisso amplifica nell'ardore di un'ultima effusione.
«O Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno.
«No, non hanno conosciuto Colui che è la loro vita. Hanno scagliato su lui il furore della loro iniquità... Ma Io ti prego, o Padre, fa cadere su loro tutta la forza della tua misericordia!
«Oggi sarai con me in Paradiso...
«Perché la tua fede nella misericordia del tuo Salvatore ha cancellato tutti i tuoi delitti, essa ti conduce alla vita eterna!
«Donna, ecco tuo Figlio!
«Madre mia! Ecco i miei fratelli!... proteggili!... amali... Voi non siete più soli, voi, per cui ho dato la vita! Ora avete una madre alla quale potete ricorrere in tutte le vostre necessità».
Qui Josefa interrompe il racconto:
«Ho visto presso la croce la Madonna in piedi, che guardava Gesù. Aveva una veste violacea e un velo dello stesso colore. Ha detto con voce addolorata, ma ferma:
«Vedi, figlia mia, fino a che punto l'ha ridotto l'amore per le anime! Colui che tu contempli in uno stato tanto triste e pietoso è il mio divin Figlio: l'amore lo conduce alla morte!... l'amore lo spinge ad unire tutti gli uomini in un vincolo fraterno dando loro la propria Madre».
«Gesù ha continuato:
«Mio Dio, perché mi hai abbandonato?
«... Sì, l'anima ha ora diritto di dire al suo Dio: 'Perché mi hai abbandonato?'. Infatti, compiuto il mistero della Redenzione, l'uomo è divenuto figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo, erede della vita eterna».
«Ho sete!...
«O Padre mio!... ho sete della tua gloria. Ed ecco ormai giunta l'ora!... D'ora in poi, vedendo avverate le mie parole, il mondo conoscerà che sei tu che mi hai inviato e ne sarai glorificato!
«Ho sete di anime, e per estinguere questa sete ho sparso fino all'ultima stilla del mio sangue!... Perciò posso dire:
«Tutto è compiuto!
«È ora compiuto il gran mistero di amore nel quale Dio ha dato alla morte il suo Unigenito per rendere la vita all'uomo.
«Sono venuto nel mondo per fare la tua volontà. O Padre, essa è adempiuta!»
«Nelle tue mani raccomando l'anima mia e a te consegno il mio spirito.
«In tal modo le anime che hanno eseguito la mia volontà potranno dire in verità: "Tutto è consumato!... Mio Signore e mio Dio, ricevi l'anima mia, la rimetto nelle tue mani!"
«- Josefa, ciò che hai inteso, scrivilo. Voglio che le anime ascoltino e leggano ciò che è scritto... affinché chi ha sete si disseti e chi ha fame si sazi».
«Dette queste parole, scomparve.
«La croce, i chiodi, la tristezza dell'anima e una sofferenza che non so spiegare... Ho conservato tutto ciò fin verso le sei del pomeriggio, poi tutto improvvisamente cessò, eccettuati i dolori della corona di spine».
Con la sera di quel Venerdì Santo si chiude la prodigalità delle visite divine.
La giornata del Sabato Santo, 31 marzo, trascorre sotto l'impressione dei ricordi della vigilia, dai quali Josefa non sa distogliere il pensiero. Durante la notte di Pasqua, verso le due e mezza, la Madonna le appare ad un tratto, in tutto lo splendore della sua bellezza.
«Figlia mia Ella dice soltanto - il mio Figlio, il tuo divino sposo, non soffre più! È risuscitato e glorioso!... Le sue piaghe sono ormai la sorgente a cui le anime attingeranno grazie senza numero e la dimora in cui le più miserabili troveranno asilo.
«Preparati, figlia mia, ad adorare queste piaghe gloriose!»
Detto ciò la Madonna disparve e Josefa scrive:
«Non so esprimere la mia pena vedendola allontanarsi... avrei voluto volare al suo seguito per non restare sola... ma non l'ho più vista...»

SOMMARIO

                                                                                                                         
CAPITOLO 09

MARMOUTIER ♦ VITA DI FEDE 1° APRILE - 2 MAGGIO 1923 ♦ Pag.407

Le vie di Dio sono imperscrutabili agli sguardi delle creature. (La Madonna a Josefa - 19 aprile 1923)

Sorge l'alba di Pasqua e Josefa si prepara ad adorare le piaghe gloriose del suo Dio. Ma ad un'altra preparazione l'ha invitata la Madre del cielo, poiché nove mesi soltanto la separano dal suo ingresso nel regno beato, ove gli eletti si dissetano per sempre alle fonti del Salvatore.
Quaggiù ella non gusterà che di passaggio qualche goccia necessaria al restante cammino. Gesù, che le ha aperto largamente il suo Cuore, confidandole per le anime il significato dei suoi dolori, Gesù che l'ha fortificata, associandola alla sua passione, ora l'abbandona a se stessa, come uno strumento di cui per un po' di tempo sembra non aver più bisogno.
Si compiace di lasciarla alle proprie possibilità, ma proprio allora Egli prosegue in lei, a sua insaputa, l'opera del suo amore, che sarà sempre un'opera di distruzione e di morte, per lasciar posto alla sua vita e alla libertà della sua azione.
Josefa crede in quest'azione, in questo amore, di cui è sicura. Si abbandona alle sue disposizioni; ma la sua anima delicata non tarda a temere di essere la causa dell'assenza e del silenzio del Maestro.
«Tutta la settimana di Pasqua è passata - scrive, - senza che Gesù sia venuto... Sono forse io che metto ostacolo al suo ritorno?»
Coraggiosa e fedele al dovere come sempre, ella si rimette all'opera nel laboratorio, dove le sue aiutanti l'hanno trovata sempre presente durante il tempo di Quaresima.
Il laboratorio è talmente il centro della sua vita di lavoro in quest'anno 1923, che non possiamo rinunziare
a penetrarvi.
Consiste in una vasta sala, al primo piano dei «Vieux Feuillants». Le finestre da due lati si aprono sulla cappella, che è separata da questo locale solo da un piccolo cortile interno. Per parecchi mesi Josefa vi occupò uno dei letti che in altri tempi facevano di questa stanza un dormitorio. Vi si venera ancora il luogo dove Gesù spesso le apparve con la croce. Là ebbe i primi assalti diabolici nel dicembre 1921 e là la Madonna il 16 ottobre 1922 le fece dono per la prima volta delle gocce del preziosissimo sangue del Figlio suo.
Questa stanza, un po' appartata, grande e luminosa, fu trasformata in sartoria quando Josefa ebbe l'incarico di confezionare le uniformi delle educande. Là passa gran parte delle sue giornate circondata da novizie e postulanti che ella forma e segue nel loro lavoro.
Fin dal principio ha procurato di rendere quel piccolo regno un oratorio dove si prega quasi senza interruzione, un prolungamento del tabernacolo, in cui insegna alle sue aiutanti ad unirsi all'offerta perpetua di Gesù Ostia, un rifugio di pace e di gioia per il suo Cuore con la fedeltà silenziosa alla regola, un paradiso di delizie in cui la più delicata carità non conosce ombre.
Da quel santuario si guarda ad un orizzonte grande quanto il mondo, perché le intenzioni del Cuore di Gesù sono incessantemente ricordate e danno alle dita una nuova agilità ed alle anime un nuovo slancio.
Questa sollecitudine di fervore non impedisce a Josefa di vegliare alla formazione delle sue sorelle.
Ella sente la responsabilità, ma gusta anche la felicità di renderle più atte a servire la Società del Sacro Cuore. Ella non risparmia sotto questo aspetto né pena né fatica, discernendo le possibilità di ciascuna, sviluppandole pazientemente, sopportando le piccole inettitudini delle principianti, correggendo o terminando il compito con una instancabile bontà, esigendo da tutte l'attenzione, la cura e la perfezione che devono sempre accompagnare un'opera ben fatta.
«Mai la si vide impazientirsi, dice una novizia di quei tempi, e se qualche cucitura le sembrava trasandata diceva semplicemente:
«Non bisogna lavorare così per Nostro Signore».
La sua autorità ferma e dolce non era mai messa in discussione. La si rispettava, la si amava, e la sua presenza più che un incoraggiamento o uno stimolo era soprattutto una bella e costante lezione di vera vita religiosa.
Ella amava molto le alunne, soprattutto le più piccole: lo si sentiva nel suo lavoro e quando le avvicinava per le prove degli abiti. La sua totale dedizione era cosa di loro diritto, e le bambine lo sapevano assai bene. Quante volte, alla sera, passando nei dormitori per assicurarsi che nulla vi mancasse, la si vedeva fermarsi, riparare furtivamente qualche strappo disgraziato che una ragazzina le presentava, o supplire all'incapacità di qualche piccoletta in pena. Tutto ciò si faceva con semplicità e senza rumore, come la cosa più naturale del mondo. Ma le madri sorveglianti lo notavano con gratitudine e le bambine conservavano nel loro ricordo l'ideale di una vita religiosa e sacrificata che era loro apparso attraverso l'umile sorella.
Tutta per le altre lungo la giornata, dal momento che restava sola, pur senza interrompere il suo lavoro, s'immergeva di nuovo nelle delizie del raccoglimento. Era la naturale tendenza della sua anima. Una madre venne una sera, dopo che le novizie se n’erano andate, a domandarle un servizio. Ella stava cucendo attivamente, ma il suo atteggiamento diceva chiaramente dove erano diretti i suoi pensieri: sembrava perduta in Dio. La religiosa la contemplò qualche momento con rispetto, poi la chiamò dolcemente. Ella trasalì e con vero sforzo gettò sulla sua interlocutrice uno sguardo pieno di Nostro Signore. Si alzò subito con la sua deferenza abituale, ma la sua anima sembrava che ritornasse da molto lontano.
Molte religiose avevano occasione di contatti con lei, perché Josefa metteva sempre al servizio di chi lo desiderava il suo tempo, il suo ago, la sua abilità. Si veniva volentieri ad affidarle una cucitura da fare a macchina, un oggetto da terminare o da stirare, un tessuto da tagliare, ecc., e nei giorni di vacanza ella aiutava a vestire in costume le attrici, per i trattenimenti ricreativi dell'educandato. Le maestre di lavoro ricorrevano spesso alla sua compiacenza. All'apprestarsi delle solennità delle prime Comunioni, ella metteva tutta la sua fede e tutto il suo amore nel confezionare gli abiti e i veli bianchi. Fin dall'alba del gran giorno si poteva contare su di lei: nulla mancava nel «cenacolo» ove le care piccole trovavano ciascuna le proprie cose preparate con la più grande cura sopra tavoli bianchi ornati di fiori.
Cose da nulla, si dirà: ma quando è l'amore che le moltiplica senza riserva e senza sosta, non è forse questo il segno più sicuro di un'anima tutta data a Dio nel più completo disinteresse di se stessa?
D'altra parte la vita di dedizione di Josefa non si concentra soltanto nel suo laboratorio. A più riprese si sono messi in evidenza i servizi che rendeva un po' dappertutto. È cosa utile tornarci sopra, ma è necessario, seguendo passo passo la via straordinaria che ella percorre, non perdere mai di vista la coraggiosa energia e l'invariabile spirito di sacrificio che la fissano attraverso tutto, nel suo dovere quotidiano.
E’ proprio in questo quadro che Gesù continuerà ad attuare il suo piano su di lei durante il mese di aprile del 1923, senza che ella lo veda o ne abbia coscienza. Nel segreto di ciascuna delle sue giornate Egli nasconde le meraviglie della sua azione divina.
L'ottava di Pasqua termina dunque nell'attesa di Josefa e le settimane successive riconducono delle ore oscure.
Il «leone ruggente» che non cessa di girare intorno cercando la sua preda, non è mai lontano. Egli ricompare improvviso con tutta la sua potenza, e le tenebre di spirito, i dubbi del cuore, le esitazioni della volontà, le persecuzioni sensibili di giorno e di notte tenteranno di nuovo di scuotere la fedeltà di Josefa. Il coraggio, ritemprato nei dolori del suo Maestro intimamente meditati nelle settimane di quaresima, farà fronte agli assalti ripetuti del demonio, non senza però farle ancora toccare con mano la sua fragilità.
Il venerdì dopo la domenica in Albis, 13 aprile, un'anima che dal Purgatorio qualche settimana prima aveva chiesto a Josefa dei suffragi, le viene inviata dal cielo per darle forza. L'anima rivela il suo nome ed aggiunge:
“Vengo in nome di Colui che è la mia beatitudine eterna, l’oggetto unico del nostro amore, per animarti a proseguire nella sofferenza il sentiero che la sua bontà ti traccia per il bene tuo e di molte altre anime!”
«Un giorno tu contemplerai le meraviglie d'amore che Egli riserva, non nel tempo, ma nell'eternità, alle anime da Lui più amate. Allora tu comprenderai i frutti della sofferenza e gusterai una felicità tale che l'anima non potrebbe sostenerla quaggiù!
«Coraggio! ritroverai presto la pace! L'opera redentrice non si realizza che a forza di soffrire. Ma la sofferenza purifica e fortifica l'anima arricchendola di meriti agli occhi di Dio!»
Queste parole della messaggera dell'al di là rianimano Josefa. Tuttavia ella continua a sostenere la prova dolorosa fino alla sera del giovedì 19 aprile, in cui la Madonna viene ella stessa a calmare la tempesta.
Josefa, che dall'alba di Pasqua non l'ha più rivista, sussulta di gioia. Subito le raccomanda un'anima che sa in pericolo, poiché, più che su se stessa, il suo interesse e la sua preghiera si concentrano sulle anime.
«Soffrire! Soffrire! - le risponde la Madonna. - Ciò che ha gran valore bisogna acquistarlo a caro prezzo».
Poi aggiunge:
«- Quest'anima si salverà! Offri tutte le tue sofferenze a questo scopo e abbandonane il risultato e la gloria a Dio Solo! Ma te lo ripeto, figlia mia, quest'anima non si perderà!»
Allora con bontà, ma con fermezza, le fa intravedere la prospettiva di un prossimo sacrificio.
«- Gesù vuole – dice - che tu faccia il sacrificio di questa casa!»
A queste parole Josefa rimane stupita. La Madonna non l'aveva assicurata un giorno che sarebbe morta ai Feuillants?... E poi che cosa sarà di lei, fragile e vulnerabile come si conosce, senza l'aiuto che N. Signore le ha dato nelle sue Madri?... Come potrà, sola e senza soccorso, portare la responsabilità della vita in cui deve camminare? Il suo spirito è turbato ed il suo cuore agitato.
«- Non stupirti, figlia mia - prosegue la Madonna, rassicurandola con voce dolce e ferma. - Le vie di Dio sono imperscrutabili agli occhi delle creature... Non temere: questo sacrificio è necessario per l'anima tua e per molte altre. Gesù ti ama, vivi solo per Lui!»
Il giorno dopo, venerdì 20 aprile, Nostro Signore le conferma la sua volontà. E siccome ella gli espone i suoi timori:
«- Non ci sono Io, Josefa, a cui puoi confidare tutto e parlare di tutto? Quando ti ho mai lasciata sola? Il tuo amore per me è un niente, appena un'ombra, in paragone di quello che Io ti porto!
«Voglio che tu mi dia questa prova di amore ed è necessario che l'opera mia passi per il crogiuolo della sofferenza. Non temere: nessuno scoprirà il segreto che ti avvolge, e l'Opera risplenderà più che mai poiché laggiù lascerò tracce del mio passaggio».
Quindi, rianimando il suo coraggio e la sua fiducia:
«- Sta per incominciare per te un nuovo periodo di vita. Tu vivrai di pace e di amore e nel frattempo ci prepareremo all'unione eterna. Già nulla ci separa, Josefa: tu mi ami ed Io ti amo... le anime si salvano... che importa il resto?”
«- Voglio che tu cresca - aggiunge con tenera compassione - sei ancora così piccola! Ma io non ti lascerò sola!»
Questa volontà divina, quantunque imprevista, coincide tuttavia con quella delle sue superiore. Non bisogna che questa breve vita religiosa sia priva delle grazie che recano i mutamenti di casa, frequenti al Sacro Cuore. Inoltre bisogna che altre anime, oltre i testimoni abituali della sua vita, apprezzino la sua virtù semplice e solida, il suo distacco, la sua obbedienza, la sua fedeltà, il suo umile e pieno disinteresse. Bisogna soprattutto che lo spirito da cui è condotta sia provato in modo che non possa mai essere messo in dubbio. Tutte queste ragioni di prudenza e di saggezza rientrano perfettamente nel piano divino. Viene deciso che Josefa prenderà al più presto la via di Marmoutier16 e che nessuna informazione riguardo alle sue vie straordinarie la precederà né l'accompagnerà presso le superiore a cui viene consegnata. Dio, che le fa il cammino, avrà cura di lei secondo la sua santa volontà. Ella è sua, è l'opera sua, più ancora che suo strumento: deve essere affidata unicamente a Lui.
16 Marmoutier, presso Tours, nel 1923 casa di noviziato delle Religiose del Sacro Cuore.
La fine di aprile trova Josefa rasserenata e pronta a tutto ciò che l'obbedienza deciderà a suo riguardo.
«Quantunque mi costi lasciare questa casa che amo e tutto il resto con essa, poco m'importa: - scrive - andrò dove Gesù vorrà poiché Lui solo voglio amare e a Lui solo piacere!»
E Gesù, con compiacenza, legge tutto questo nel più profondo dell'anima sua.
«- Josefa, tu mi consoli»,
le dice il lunedì 23 aprile, mentre ella sta segnando il soggetto del suo esame particolare con queste parole: moltiplicare i piccoli atti di fedeltà senza rifiutare niente a Gesù.
«- Sì, quest'esame mi piace. Se tu sarai fedele a tutte le delicatezze dell'amore, Io non mi lascerò vincere in generosità. L'anima tua sarà inondata di pace. Non ti lascerò sola e, nella tua piccolezza, tu sarai grande perché Io vivo in te!»
Poi, per darle coraggio, aggiunge:
«- L'amore ti conduce, l'amore ti sostiene. Sì, ora bisogna che tu cresca e che tu corra fino a raggiungere l'abisso di felicità che ti preparo con tanto amore! »
S'avvicina il giorno della partenza. Josefa non ha bisogno di fare preparativi: è così poco quello che porta con sé! Fino all'ultima sera conduce la sua vita consueta con semplicità e serenità. E’ pronta ad abbracciare la volontà di Dio. Ma il cuore soffre per la separazione che sente vivamente, e ancor più per l'apprensione di trovarsi sola sotto il peso del segreto che porta con sé.
«Va'! - le ripete Nostro Signore la domenica 29 aprile - va' in quella casa e mi troverai. Non spaventarti. Ti dirò quello che dovrai fare e non ti abbandonerò!»
Il mercoledì 2 maggio compie il sacrificio. All'alba, Josefa unisce la sua offerta a quella di Gesù Ostia e, santificata dalla Comunione, va a dare l'ultimo saluto a tutti i luoghi cari al suo cuore: la cella di Santa Maddalena Sofia, il piccolo oratorio della Madonna al noviziato, la cappellina delle Opere che ama tanto... Appena uscita di lì incontra Gesù:
«Veniva a me con la corona di spine. Provai una gran gioia perché da tanto tempo non la portavo più ed era una grande consolazione partire con quel tesoro!... Egli la mise sul mio capo dicendo: «- Prendila e seguimi!».
Qualche istante dopo Josefa lasciava i Feuillants.
«Sul marciapiede della stazione l'ho rivisto - ella scrive nel quadernino ove annoterà tutte le parole del Maestro nel periodo di vita che sta per aprirsi. Passò vicino a me e mi disse:
«- Cammino davanti a te».
E ripete le stesse parole un po' più tardi, quando il treno portava già la viaggiatrice verso la sua destinazione.
«- Sì, Josefa, cammino davanti a te e il mio Cuore è glorificato!... Quante anime si salveranno! E quante sorprese ti preparo!».
«Poi non lo rividi più - aggiunge - ma lo sapevo lì e il mio cuore gli parlava: mi offrii con tutta l'anima a fare la sua volontà, rinnovai più volte i miei voti, gli chiesi d'insegnarmi ad amarlo sempre più, poiché non cerco né voglio che Lui solo. Mi abbandonai completamente a Lui e il viaggio terminò con la grande consolazione di poter offrire a Dio il sacrificio della casa e delle Madri che tanto amavo».

SOMMARIO

                                                                                                                                                       
ASCENSIONE NELLA SOLITUDINE2 -20 MAGGIO 1923

L'amore ti conduce... L'amore ti sosterrà. (N. Signore a Josefa - 2 maggio 1923). ♦ Pag.414

Marmoutier, il grande convento! Lo si distingue da lontano per la sua grande torre campanaria, il suo portale del XII secolo e la massa imponente della sua costruzione.
Si eleva sulla valle e si stacca sulla roccia rossastra della pendice di Rougemont, presso la Loira, da cui talora viene inondato, vicino alla città di Tours, alla quale una volta era congiunto con un sotterraneo scavato sotto il fiume; soprattutto collegato alla storia nazionale e religiosa del paese le cui date celebri sono impresse nelle sue pietre immortalate dalla leggenda benedettina.
Marmoutier è la Gallia aperta al cristianesimo con San Graziano, San Leonardo e San Patrizio, di cui le grotte portano ancora il nome. E la Francia dei vescovi e dei monaci, con San Martino, il fondatore del grande monastero, con San Brizio e i Sette Dormienti, con i suoi abati commendatari, di cui Richelieu portava ancora il titolo. E la Francia dolorosa del 1791 con l'espulsione dei Benedettini, le devastazioni della Banda Nera, l'abbandono delle rovine monastiche.
Una cosa, però, non muore, consacrando sempre i luoghi: la santità! Un giorno, che in uno dei suoi viaggi apostolici Santa Maddalena Sofia costeggiava la Loira, ne sentì gli effluvi e si propose di farla rivivere «nella Terra dei Santi». Nel 1847 vi mandò le figlie affinché in quella valle rifiorisse l'amore.
A questo tesoro di vita spirituale, accumulata da secoli, Josefa, il mercoledì 2 maggio 1923, veniva a portare la piccola goccia del suo amore e qualche cosa delle ricchezze divine di cui il Cuore di Gesù la voleva messaggera. Ella vi avrebbe trascorso solo un mese, nel nascondimento e nel lavoro.
Appena arrivata si dedicò tutta alla sua nuova famiglia. Nulla la distingueva dalle altre, secondo la testimonianza della madre incaricata allora delle sorelle coadiutrici, se non la fedeltà alle piccole cose, la continua premura a rendere servizio nei più umili uffici, il silenzio, il raccoglimento, l'amabilità nei rapporti quotidiani.
Questo però non doveva essere senza merito, perché la sua sensibilità finissima intuì presto, nonostante la carità piena di delicatezza che l'accoglieva, l'incertezza di cui era oggetto, un punto interrogativo che non le si poneva direttamente, ma che dava luogo ad una certa esitazione sui motivi della sua venuta. Perché lasciava i Feuillants?... Che veniva a fare a Marmoutier dove nessuna necessità l'aveva richiesta?...
«- Qui - le diceva il suo Maestro la sera stessa - imparerai ad amare l'umiliazione, Josefa, poiché t'aspetta. Così l'anima tua crescerà e mi glorificherà».
E le ripeteva:
«- Non temere: ti conduce l'amore. Esso ti sosterrà. Vivi di amore per poter morire d'amore!»
Fin dal giorno seguente viene data come aiuto in portineria, un ufficio del tutto nuovo per lei e che da principio può riuscire difficile non conoscendo la casa e le persone. Ma niente trattiene il suo desiderio di rendersi utile. La si vede percorrere silenziosamente i lunghi corridoi del convento, perdersi più di una volta, moltiplicando gli andirivieni per riparare gli sbagli involontari, e attingere, nelle fervorose genuflessioni davanti alla porta della cappella ogni volta che vi passa davanti la gioia che Nostro Signore non cessa di raccomandarle.
«- Non temere - le ripete - poiché Io prendo cura di te come una mamma del suo figlioletto. Sono Io la gioia dell'anima tua: soffrirai: ma nella pace! »
Con queste parole Nostro Signore compendia i disegni del suo Cuore. Questa tappa deve servire a maturare l'anima di Josefa nella sofferenza e nello stesso tempo recarle una prova più evidente dell'azione divina che ha collocato in lei i fondamenti dell'opera della quale è strumento. Cerchiamo di seguire la linea di questa condotta che è in ogni cosa sapienza e amore. Privata degli abituali soccorsi trovati nelle sue guide, Josefa viene a conoscere non la solitudine del cuore, poiché ha dato tutto il suo alla nuova famiglia ove si sente subito affiatata, ma l'isolamento dell'anima, sotto il peso del segreto che deve custodire tra sé e Dio. Sempre aperta e confidente con le superiore, soffre di non potersi aprire fino a quel fondo di grazie e di prove che sono alla sorgente della sua vita interiore ed al quale non può sottrarsi senza venir meno alla sua vocazione. Nostro Signore permette questa prova per irrobustire la sua fede e, ancor più, per scavare in lei le profondità di distacco e di purificazione, che poi il suo amore invaderà. Il dominio assoluto di Dio sta per stabilirsi in quell'anima senza alcun ostacolo. Egli se ne riserva la direzione e la fa ascendere verso la cima di sofferenze e di grazie che sarà per lei il soggiorno nella Terra dei Santi.
Egli le ricorda, lungo i primi giorni, ciò che il suo Cuore è per Lei: la sua presenza: la felicità... la sua condotta: la sicurezza. Egli la raggiunge nella preghiera. Le passa a fianco come un lampo nei corridoi. La sera le appare d'improvviso quando sta per andare al riposo. Ella sente cadere dalle sue labbra le assicurazioni di cui la sua fede viva non ha mai dubitato, ma alle quali le circostanze danno un rilievo nuovo.
«- Parlami - le dice - perché sono con te, non sei sola, neppure quando non mi vedi. Io ti vedo, ti seguo, ti odo; parlami, sorridimi, perché sono il tuo sposo, il tuo compagno inseparabile... »
Poi, facendo allusione alla casa che ha lasciato:
«- Qui, come là, tu sei nel mio Cuore! »
Il primo venerdì del mese, 4 maggio, all'alba, Egli le apre il Cuore adorabile:
«- Vieni, entra qua: - le dice - qui passerai la giornata! Tu sei in me, Josefa, ed è perciò che non mi vedi sempre. Ma Io sempre ti vedo, e questo ci basta!»
Quindi Egli aggiunge quasi un piccolo compendio di teologia della sua presenza mediante la grazia:
«- Tu sei in me, Io in te. Quale legame più stretto potrebbe unirci?»
«Vedo bene - scrive Josefa - ogni giorno di più che Egli è la mia unica felicità, il mio unico amore! Gli chiedo soltanto la forza di essergli fedele! »
Durante il ringraziamento della Comunione, si offre a questa presenza che è tutto per lei:
«In quello stesso istante l'ho visto così bello e paterno! »
E con queste righe cerca di esprimere la sicurezza che le infonde lo sguardo di Gesù:
«- Josefa, Io sono in te, ti sostengo affinché in mezzo alla sofferenza tu conservi quella pace che sorpassa ogni gioia terrena e che nulla potrà toglierti: la mia pace... sì, la mia pace t'inonderà d'una santa gioia, ti fortificherà e ti sosterrà nella sofferenza!»
E siccome ella lo supplica di venirle in aiuto,
« perché - scrive - vorrei soprattutto dargli molta gloria e molte anime».
Gesù completa il suo pensiero:
«- L'amore ti purificherà, consumerà la tua miseria, e la forza stessa di questo amore, puro e ardente, ti condurrà alla santità... Sono Io che farò tutto!»
Il sabato 5 maggio, Nostro Signore le ricorda la cooperazione di amore che il suo Cuore aspetta da lei, e come questa cooperazione si nutre del beneplacito divino nascosto sotto le apparenze di ogni momento presente:
«- Voglio che tu impari ad essere generosa - le dice - perché la generosità è frutto dell'amore. In seguito ti spiegherò: ora te ne do la lezione pratica: ti troverai in mille circostanze attraverso le quali non vedrai che me, e se ti verrà manifestata o detta qualche cosa che faccia pena o ferisca il cuore, tu sorridi con generosità ed amore, come se fossi Io che ti parlassi...»
Per incoraggiarla, senza però fermarla durante il lavoro, continua ad apparirle, qua e là, seminando lungo le giornate i richiami del suo amore.
«- La sofferenza passa, il merito è eterno! ... Tu sei sempre nel mio Cuore; non perdermi di vista; l'amore ti conduce; abbandonami tutto... Sono tutto per te! »
La Madonna non poteva rimanere assente da quel sentiero più arduo.
«- Il cammino che percorri è quello del mio Figliolo - le dice. - Ringrazialo di farti andare con lui... tu parteciperai più di una volta alle angosce del suo Cuore, ma nella sua pace!
«Non temere di soffrire - le raccomanda la domenica 6 maggio - poiché così attirerai nuove grazie sulle anime... Rimani nella gioia e il tuo esterno sia riflesso della pace che è in te!»
Il mercoledì 16 maggio, mentre Josefa ricorda ai piedi di Maria le grazie e le prove dei dieci mesi trascorsi dopo i voti, questa Madre incomparabile la conferma nuovamente nella fiducia.
«- Gesù ti conosce, figlia mia: sa quello che sei e ti ama così! Le tue miserie non scompariranno affinché tu possa sempre vincerti e lottare. Umiliati senza scoraggiarti. Tu hai già fatto l'esperienza del suo Cuore! Egli chiede e vuole la miseria e il nulla per dar luogo alla sua misericordia e bontà, che consumano e trasformano tutto. E tanto buono! ... Ah! Se le anime lo conoscessero, come l'amerebbero di più! »
E benedicendola dice prima di sparire:
«- Pace e gioia, figlia carissima, umiltà e amore!»
Anche la Santa Fondatrice segue Josefa, con la sua protezione vigilante, in quella casa molto cara al suo cuore e di cui conobbe ogni pietra. La sua cella, trasformata in oratorio, corona il portale detto «del pastorale» e ivi le sue figlie ricorrono spesso all'intercessione materna. Josefa ne conobbe presto la via.
Nella mattinata di martedì 8 maggio, ella si reca all'oratorio, in un momento libero:
«Non sapevo come cavarmela - ella scrive nel suo quadernetto di note - fra le visite di Gesù e le interrogazioni che mi venivano rivolte sui motivi della mia venuta: se sono malata, se resterò qui, ecc. Le chiedevo di aiutarmi, quando, ad un tratto, la Santa Madre mi è apparsa:
«- Eccoti dunque qui, figlia mia!»
Si mostra così buona che Josefa si sfoga con lei con piena fiducia e la Santa Madre continua:
«Non ti dirò che una parola perché tu possa assaporarla durante tutto il giorno: l'amore non trova mai ostacoli, e se ne trova, li trasforma in mezzi per alimentare la fiamma... Ti spiegherò questo a fondo, ma più tardi! Qui, figlia mia, adempi il tuo dovere. Ama, ama, ama! »
Il lunedì 28 maggio Josefa la rivede ancora una volta nel giorno della sua festa, rimandata a quella data nel 1923. In quel giorno ella implorerà la materna compassione alla vista sempre più viva della sua miseria e della sua piccolezza, e Santa Maddalena Sofia non resisterà a quest'invito di umile fiducia. Le apparirà in cappella, e facendole il segno di croce sulla fronte, le dirà:
«- Figlia cara, è così che ti amo, piccola e miserabile... Io pure ero piccola come te, ma ho trovato il mezzo di utilizzare la mia piccolezza dandola interamente a Gesù, a Lui che è grande! Mi sono abbandonata alla sua divina volontà e non ho cercato che la gloria del suo Cuore. Ho cercato di vivere nella conoscenza della mia bassezza e del mio niente, e lui si è incaricato di tutto.
«Figlia mia, vivi di pace e di fiducia. Sii molto umile e abbandonati a quel Cuore che è tutto amore!»
Bisogna ora ritornare alla seconda settimana di maggio, nella quale Josefa si trova costretta a mettersi per un sentiero che non tarda a farsi erto. Ella comprende, dalle ripetute domande che le vengono rivolte e dalla sorveglianza di cui si sente oggetto, che le sue superiore hanno qualche dubbio su di lei. La bontà, la delicatezza delle Madri non diminuiscono certo a suo riguardo, così pure la carità cordiale delle consorelle. La sua anima è troppo delicata per non afferrare le ombre, anche leggere, che a poco a poco discendono intorno a lei. Nulla può essere più penoso al suo cuore. Il Maestro lo sa, e lascia persistere e crescere ogni giorno più questa angoscia per accelerare la corsa della sua figliola verso di Lui: bisogna che ella salga appoggiandosi al suo Dio. Però, per aiutare la tappa quotidiana. Egli si degna illuminarla con un desiderio del suo Cuore. Ogni giorno Egli la inciterà a dirigere il suo sforzo verso la realizzazione di quei desideri divini che passo passo dovranno avviarla alla croce.
Certamente Nostro Signore in quella piccola Josefa, così sola e sgomenta, ma fedele e coraggiosa, vedeva molte anime alle quali si compiaceva scoprire in tal modo il segreto della generosa dimenticanza di sé nella sofferenza, con l'orizzonte aperto sui desideri del suo Cuore.
Il giovedì 10 maggio, festa dell'Ascensione, Egli le appare durante il ringraziamento della Comunione,
«risplendente - ella scrive - con le piaghe irraggianti luce bellissima e vivissima.
«Quanto sei bello, o Signore!».
«- Ecco il giorno - risponde Egli con ardore - in cui la mia santa umanità è entrata in cielo! Vuoi che Io renda l'anima tua un altro cielo, ove metterò tutte le mie compiacenze?»
Ella si sprofonda allora nella sua miseria.
«- Poco importa! La tua miseria mi servirà di trono e Io sarò il tuo Re! La mia bontà cancellerà le tue ingratitudini. Io ti consumerò e ti distruggerò... Rispondimi, Josefa: consenti a darmi il tuo cuore perché ne faccia un cielo di riposo?»
Come esprimere la pienezza del suo abbandono?
« Gli ho risposto - scrive - che il mio cuore è suo, che glielo do con tutta l'anima... che Lui solo mi basta... che l'amo, e che per Lui sono pronta a lasciare tutto».
Gesù sembra compiacersi di questa protesta.
«- Sì, vivrò sempre in te, mi nasconderò nell'anima tua per dimenticare le offese dei peccatori, ed ogni giorno ti confiderò un desiderio del mio Cuore, che tu procurerai di realizzare.
« Oggi il mio desiderio è che tu viva della mia gioia.
Pregherai affinché le anime sappiano disprezzare i piaceri terrestri per acquistare i beni eterni. Ti rallegrerai nel vedere il tuo sposo entrare come uomo nella patria celeste, e con Lui tante e tante anime sante che attendevano con ardore che si aprisse per loro quella beata dimora.
«Addio, custodiscimi e nascondimi nel tuo cuore!
«Vivi della mia gioia; anche per te presto sorgerà questa gloria senza fine. Per ora, aspettandola, lasciami riposare in te!»
Tutto quel giorno Josefa lo passerà con gli occhi fissi alla gioia del Maestro divino: al cielo ove Egli trionfa per sempre... all'anima sua che la presenza di Lui si degna trasformare in cielo che nessuna ombra può oscurare.
Il venerdì 11 maggio, prima che termini il ringraziamento della Comunione, Egli viene per esprimerle il suo nuovo desiderio.
«- Sei qui, Josefa?» Egli le chiede.
«Ho risposto dicendogli quanto, più che mai, ho bisogno di Lui».
«- Io pure ti attendevo».
Poi ha proseguito:
«- Oggi giorno di pace... ma nella sofferenza! E siccome tu non puoi fare molto, Io ti presenterò numerose piccole occasioni di cui approfitterai per offrirmi questa sera un bel mazzo di fiori profumati. Non spaventarti. Io sono la pace! E siccome dimoro e regno in te, tu vivrai pure nella mia pace».
La sera di questo giorno in cui Gesù, fedele alla parola data, non le ha risparmiato né difficoltà né sacrifici, lo ritrova in dormitorio al momento in cui ella va per coricarsi. Le dice:
«- Tutto passa, e il cielo non finirà mai! Coraggio!
«Io sono tutto per te, e perciò anche la tua forza; ora, riposa nella mia pace!»
«- Apri il tuo cuore, Josefa, e lasciami entrare» le dice il giorno seguente, sabato 12 maggio, nel momento che si accosta a riceverlo nella Comunione.
Ella non sa come dirgli che il suo cuore è sempre aperto per Lui:
«- Sì, lo so - risponde con tenerezza - ma desidero e voglio che ogni giorno il mio ingresso in te sia più solenne e che tu abbia un tale desiderio, una tale fame di me, da venire meno. Se sapessi quanto ti amo! Se potessi comprenderlo! Ma sei troppo piccola!»
Poi, nell'effusione del suo Cuore infiammato, aggiunge:
«- Oggi, giorno di zelo!... Metterò nell'anima tua la sete di anime che divora il mio Cuore. Ah! Le anime, le anime!»
Questo desiderio già infiamma il cuore di Josefa, poiché le anime occupano tutti i suoi pensieri, la sua preghiera, e non vive che per quest'opera redentrice di cui ha attinto il senso nel Cuore stesso di Gesù.
«Quando mi ha detto così - scrive - gli ho parlato delle anime che mi stanno a cuore, e mi ha risposto:
«- Sì, prega... prega... senza stancarti, e non temere di essere importuna, poiché la preghiera è la chiave che apre tutte le porte: oggi giorno di zelo, Josefa... giorno di zelo per le anime... anime... anime!...»
Ed è scomparso!»
E quel giorno le anime non scompaiono dall'orizzonte di Josefa. Che cosa non farebbe per estinguere questa sete del suo Maestro?
La domenica 13 maggio Nostro Signore la invita a percorrere la via redentrice per eccellenza:
«- Passeremo oggi una giornata di umiltà - le dice dopo la Comunione. - Io stesso te ne fornirò le occasioni senza che tu le cerchi. Continua a pregare per le anime e ad umiliarti per esse e poi, malgrado tutto, sorridimi continuamente».
Josefa non nota niente di questa giornata, ma la sera, mentre ella lo adora davanti al tabernacolo, Gesù, che legge in fondo al suo cuore, viene Egli stesso a rispondere alla domanda che ella si era posta:
«- Tu dunque non comprendi, Josefa, perché ti ho condotta qui? Prima di tutto ho voluto stabilirti in un totale abbandono alla mia volontà, in un assoluto distacco da tutto, anche da ciò che ti sembrava più necessario. Ho voluto inoltre, farti toccare con mano il bisogno che hai di essere sostenuta per poter distruggere in te gli ultimi resti dell'orgoglio. Ed è anche per le anime che ho voluto questo sacrificio della separazione - ha continuato - e ne farò una delle pietre che formeranno l'edificio della mia opera».
Ella ascolta il Maestro, adorando il suo amore e la sua sapienza in ogni parola uscita dalle sue labbra.
«- Dunque, Josefa, - le dice al momento di lasciarla - oggi è giorno di umiltà, ma nella gioia! Io sono la tua gioia... che t'importa il resto?»
Il giorno dopo, lunedì 14 maggio, Nostro Signore le spiega per la seconda volta, ma in modo più chiaro, ciò che ella dovrà fare per l'opera del suo Cuore in un prossimo avvenire:
«- Tu sei tutta mia, è vero? - le domande durante la meditazione - tu non cerchi che la mia gloria?... Tu non hai che un desiderio: che la mia opera si compia?...»
A ciascuna domanda ho risposto: «Sì, Sì, o Signore».
«- Allora - Egli continua con solennità - ti manifesterò i disegni del mio Cuore. Ti ho già detto che prima di morire vedrai tre volte il tuo Vescovo17. Occorre per il bene dell'opera
17 Il 3 dicembre precedente (1922), durante la Santa Messa, celebrata ai Feuillants dal Vescovo di Poitiers, la Madonna era apparsa a Josefa e le aveva detto da parte di N. Signore:
“- A questo Vescovo la tua Madre dovrà trasmettere le parole di mio Figlio. Tu parlerai tre volte con lui, prima della tua morte. ” In realtà, Josefa tre volte trasmise al suo Vescovo un messaggio personale di N. Signore, ma ella, all’infuori di queste occasioni, per così dire ufficiali, lo vide più volte.
mia che tu gliela consegni un poco prima di morire, poiché desidero che subito dopo la tua morte le mie parole siano conosciute».
E dà a Josefa tremante i particolari che indicano la sua precisa volontà:
«Non temere! Quello che dovrai dire te lo farò conoscere, ma fin d'ora voglio che l'anima tua raccolga il merito di questo atto costoso».
Dopo la santa Comunione Egli la conforta dicendole:
« Oggi, giorno d'abbandono e di fiducia!
«Non posso negare nulla all'anima che aspetta tutto da me. Parlami, chiedimi, affidati al mio Cuore, poiché Io ti custodisco!»
L'ascesa di questa settimana terminerà con l'amore: l'amore che spiega e illumina tutto, ma anche l'amore che tutto esige quando suona l'ora voluta da Dio!
Il martedì 15 maggio, alla meditazione, Josefa, che non può liberarsi da una certa apprensione riguardo alle prospettive rivelate dal Maestro, chiede a Gesù questo amore perché ella ben sa che è il solo segreto e la forza di ogni offerta.
«Gesù - ella scrive - è venuto improvvisamente e mostrandomi il Cuore circondato di fiamme:
«- Josefa, contempla il mio Cuore, studialo e imparerai l'amore. Il vero amore è umile, generoso e disinteressato. Se dunque vuoi che insegni ad amarmi, incomincia col dimenticarti. Non considerare i sacrifici: non far conto di quello che ti costano, non badare ai tuoi gusti! Fa' tutto per amore!»
Così Nostro Signore fortifica l'anima della sua sposa: oggi una giornata d'amore; domani il segno dell'amore che illumina l’orizzonte… presto la prova del vero amore.
Il mercoledì 16 maggio, Josefa nota per la prima volta il riapparire della croce sulla sua via:
«Era quella di Gesù - scrive, avendola riconosciuta per averla spesso portata tutta luminosa, come se vi si riflettesse una luce dall'alto.»
Durante vari giorni il Cuore infiammato di Gesù e la sua croce risplendente illuminano i suoi passi, ma silenziosamente, senza che il Maestro si manifesti.
La mattina di Pentecoste, 20 maggio 1923, tutta la meditazione trascorre davanti a questa croce che rapisce il suo sguardo e nutre il suo amore, non senza porle nella mente una domanda:
«Signore! Perché la croce, in una luce così bella e tuttavia senza di te?»
Gesù stesso viene a darle la risposta durante il ringraziamento della Comunione.
«- Josefa, non sai che la croce ed Io siamo inseparabili? Se tu m'incontri, incontri anche la croce, e quando trovi la croce, trovi Me.
«Colui che mi ama, ama la mia croce, e colui che ama la croce, ama Me! Nessuno potrà possedere la vita eterna senza amare la croce, senza abbracciarla volentieri per amor mio.
«Il sentiero della virtù e della santità è fatto di abnegazione e di sofferenza.
L'anima che accetta ed abbraccia generosamente la croce, cammina nella vera luce, segue un sentiero retto e sicuro, dove non c’è timore di scivolare sui pendii, perché non ve ne sono!
«La mia croce è la porta della vera vita, perciò è splendente. E l'anima che ha saputo accettarla e amarla, tale quale Io gliel'ho data, entrerà per essa negli splendori della eterna vita.
«Comprendi dunque ora quanto preziosa è la croce? Non temerla... Amala, poiché se sono Io che te la do, non ti lascerò mai senza le forze necessarie per sostenerla.
«Guarda come Io l'ho portata per tuo amore. Tu portala per amor mio! »
Josefa sta per capire in qual modo deve portare la croce del suo Maestro. Finora nei piani divini non era ancora entrata, salvo rare volte, la diffidenza delle sue superiore. Nostro Signore stesso aveva previsto e garantito la sicurezza del loro appoggio e del loro controllo nella via straordinaria ch'ella doveva percorrere. Le persecuzioni diaboliche avevano richiesto questo aiuto, che non le era venuto meno. Ma la grazia dell'opposizione è troppo preziosa perché il Signore non l'offra ad un'anima che Egli ama con amore speciale. E’ venuta per Josefa l'ora di farne l'esperienza, e sarà proprio la mano soave e forte di Nostro Signore che metterà questa croce sulle sue spalle e la pianterà nel suo cuore.

SOMMARIO

                                                                                                                                                                                                                                                                             
LA CROCE E LE GRAZIE DI ELEZIONE20 MAGGIO - 2 GIUGNO 1923

Per quanto oscura ti sembri quest'ora, la mia potenza la domina e l'opera mia risplenderà. Pag.426
(N. Signore a Josefa - 20 maggio 1923)

Il 20 maggio Josefa, approfittando delle ore più libere della domenica, si accinge a scrivere a Poitiers. E’ una dolce gioia e nello stesso tempo un conforto, ed ella lo attende con desiderio, sebbene non possa confidare ad una lettera il segreto di tutto quello che è avvenuto dopo la sua partenza. Ma improvvisamente interviene il Maestro, incaricandola di trasmettere in suo nome alcune indicazioni alle Madri dei Feuillants. Ella, intimorita a questo pensiero, dapprima rifiuta. Protesta che non può far passare sotto gli occhi dell'attuale superiora, ignara delle sue vie straordinarie, simili comunicazioni. Gesù insiste:
«Perché temi, se sono Io che te lo comando?»
Ella supplica il Signore di compatirla e di non esigere da lei un atto che senza dubbio non passerà inavvertito e aggraverà la diffidenza che già sente pesare su di lei. Dopo tutto, non è stato Lui a volere il segreto in quella casa?... e non le ha promesso di farsene garante?...
Il Maestro divino si mostra inflessibile questa volta, e la sua volontà impone a Josefa obbedienza e abbandono:
«- Ama - le dice e troverai la forza!»
Nella sua angoscia rimane ancora titubante e non può risolversi ad un atto di cui non ci vuol molto a presagire le conseguenze. Tuttavia, come resistere al Signore?... Si decide finalmente e introduce nella lettera, in termini velati, ciò che il Signore espressamente le ha detto di scrivere. La serata trascorre senza incidenti, ma non senza inquietudine: purtroppo i suoi timori non l'hanno ingannata.
La vigilante bontà delle sue Madri è presto messa in allarme da quelle righe che non sono sfuggite, e la cui portata sembra loro che oltrepassi la competenza di un'umile sorella. Sospettando qualcosa di anormale, si mettono in guardia di fronte ad una via che, a prima vista, non può non sembrare pericolosa e temeraria.
Il giorno seguente Josefa è chiamata dalla sua superiora che la interroga dapprima con bontà, poi le mostra con forza il pericolo dell'illusione che farebbe di lei lo zimbello di una fantasia esaltata... Ella ascolta, accettando umilmente gli avvertimenti assai forti che vorrebbero metterla in guardia contro se stessa e contro il demonio. Ma l'anima sua ne è sconvolta. Non può trattenere le lacrime che scorrono silenziosamente mentre in lei si risveglia il turbine delle apprensioni, dei timori, delle ripugnanze combattute per tanto tempo e con tanta difficoltà sottomesse alla volontà divina:
«Ho resistito tanto ad entrare in questa via - scrive quella sera - e le mie più forti tentazioni sono ancora di sottrarmene... Ah! Come sarei felice se potessi camminare nella via semplice e comune della mia cara vita religiosa! Quale inquietudine, quale angoscia, quale lotta... Mio Dio, che fare?... devo resisterti di nuovo come ho fatto troppo lungamente?...»
La sera del lunedì di Pentecoste, 21 maggio, dopo una giornata di dolorosa incertezza, ella chiede al Maestro di perdonarla se ha mancato di prudenza dando luogo, in qualche modo, ai rimproveri che ella accetta con piena sincerità d'animo. In cappella, davanti al Santissimo, cerca la risposta a questa preghiera insistente e il sollievo alla sua angoscia.
«Gesù è venuto ad un tratto - scrive. - Il suo Cuore era infiammato e sosteneva col braccio destro la croce, tutta splendente, come l'avevo vista in questi ultimi giorni».
«- Tu non hai fatto che obbedirmi, Josefa - le dice. - Non temere nulla da parte delle tue superiore. Non vedi come ti ho aiutata finora? Ho forse cambiato? Ti amavo prima e ti amo ancora. Io sono il tuo Padre, il tuo Salvatore, il tuo Sposo; ma sono anche il tuo Dio e tu mi appartieni. Il Creatore è il padrone della sua creatura e per questo tu sei mia»!
Poi, rianimando la sua fede:
«- Credi tu che qualche cosa accada senza il mio permesso? Sono Io che dispongo di tutto per il bene di tutte le anime, e di ciascuna in particolare. Per quanto oscura ti sembri quest'ora, la mia potenza la domina e l'opera mia risplenderà!
«Sono il tuo tutto, Josefa; non temere, perché non sei sola. Ti ho condotta qui non per la tua rovina, ma per amore e perché occorre che tutto sia così».
Tali parole riconducono la pace nell'anima sua, senza diminuirne la sofferenza. La croce resta all'orizzonte, ma ha perduto il suo splendore. Tuttavia Josefa l'abbraccia con tutto l'amore di cui è capace. Esternamente, nulla di cambiato nel suo atteggiamento: sempre semplice e confidente, sembra che neppure un'ombra sia passata tra lei e le sue superiore. Il suo perfetto spirito religioso è già una testimonianza dello spirito che l'anima, ed è l'impronta di Dio.
Qualche mese dopo la superiora di Marmoutier dirà con emozione l'impressione soprannaturale che le fece allora l'atteggiamento umile e dolce di quella figliola nel ricevere e accettare i forti rimproveri che credeva suo dovere rivolgerle. Anzi non dubiterà di aggiungere che, vedendola uscire dalla sua camera, ebbe l'intuizione che quell'anima godesse della predilezione divina.
In quei giorni stessi le consorelle, che non dubitavano di nulla, la videro sempre dimentica di sé, servizievole in ogni cosa, amabile in ricreazione, ove portava l'irradiazione sempre crescente della sua virtù.
La settimana di Pentecoste trascorre così nella sofferenza e nell'angoscia intima di cui Dio solo ha il segreto.
«- Il tuo cuore non ha ancora sofferto come il mio»,
le ripete Nostro Signore martedì 22 maggio, e siccome Josefa replica che non ci può essere confronto tra il Cuore di Lui e il suo «meschino e miserabile»:
«- Tuttavia - Egli risponde, nella misura della tua capacità e delle tue forze voglio che il tuo amore sia un riflesso del mio!... Non temere! ti amo e non ti abbandono mai!»
L'ora è giunta in cui Gesù sta per riversare la piena delle sue grazie nella nuova capacità scavata con l'umiliazione. Josefa conosce già tutta la forza della divina paternità, ma la sera del 25 maggio, venerdì di Pentecoste, ne riceve una tale assicurazione, che la sua anima sembrerà confermata nello spirito d'infanzia e stabilita nella disposizione di fiducia e di abbandono che ne sono il frutto proprio.
«La sera - ella scrive, - mentre stavo per coricarmi e baciavo il Crocifisso rinnovando i voti con tutto l'ardore del cuore, ad un tratto Gesù mi è apparso e così bello! ma specialmente così padre!»
Non sa come esprimere ciò che è per lei la realtà di questa parola!
«- Non temere - le dice - Io ti custodisco, ti guido, ti amo!»
Qui sta tutto il senso della divina paternità.
«Perché è così buono - prosegue - l'ho chiamato "Padre" e gli ho detto tutta la tenerezza che provo per Lui».
Allora rispondendo con la sua tenerezza divina a quella della figliola:
«- Mi piace che tu mi chiami così - le dice. - Quando mi dai il nome di padre obblighi il mio Cuore a prendere cura di te. Quaggiù quando il bambino comincia a parlare e balbetta questa parola così tenera "padre", i genitori esultano di gioia e gli aprono le braccia, lo stringono al cuore con tale amore che sembra loro che tutti i piaceri del mondo siano un nulla di fronte a questa felicità. Se così è per un padre o una madre della terra, che cosa proverà Colui che è padre, madre, Dio, creatore, salvatore, sposo?... Colui il cui Cuore non ha l'eguale in tenerezza ed amore?
«Sì, Josefa, quando ti trovi angosciata ed oppressa, vieni, ricorri a me, chiamami "padre" e riposa nel mio Cuore!
«Se nel tuo lavoro tu non puoi gettarti ai miei piedi come desidereresti, dimmi solamente: 'Padre!'. Allora Io ti aiuterò, ti sosterrò, ti guiderò, ti consolerò.
«Ora riposa in pace! Un altro giorno è passato, che conterà per tutta l'eternità!».
Questa prima grazia lascerà in lei una traccia profonda, preludio di tutte quelle che seguiranno.
Il 26 maggio, vigilia della SS. Trinità, segna ciò che si potrebbe chiamare una vetta di predilezione divina. Josefa nota tuttavia questo favore insigne che le viene fatto con espressioni così semplici che ci rivelano fino a qual punto la sua umiltà ignora se stessa. Citiamo senza commenti:
«Dopo la Comunione ho visto Gesù. Sembrava un mendicante che non osasse parlare. Dopo aver rinnovato i voti, gli ho domandato perché si mostrava così... Egli ha teso la mano:
«- Quello che voglio?... Non lo sai?... Nient'altro che il tuo cuore, Josefa».
«Ma, Signore, tu sai bene che è tutto tuo! Da tanto tempo te l'ho dato e non ho altro amore che te!
«Il suo Cuore si è tutto infiammato. Allora con ardore mi ha detto:
«- Lo so, oggi voglio rapirtelo!... e al suo posto metterò una scintilla del mio, che ti divorerà e infiammerà senza posa».
E continuando con crescente ardore:
«Sì, vivrai d'amore e l'anima tua soffrirà una sete insaziabile di possedermi, di glorificarmi, di darmi anime. Il tuo cuore si consumerà nella fiamma dell'amore. Questa fiamma lo incendierà di zelo per le anime. Allora nulla potrà più essere di ostacolo alla tua corsa nel sentiero che il mio Cuore ti ha preparato con tanto amore».
Impressionata per l'ardore con cui Nostro Signore ha pronunziato quelle parole, Josefa presagisce che qualche cosa di grande sta per accadere tra lei e Gesù.
Sempre timorosa e diffidente di sé in presenza di tali grazie, ella scrive:
«Gli ho detto che voglio amarlo senza limiti, ma desidererei che fosse di me come di quei fanciullini che amano inconsciamente, non cercando le occasioni né le prove, ma sempre con semplicità: vorrei essere così: amarlo e dargli anime, ma nelle cose più piccole: allora non avrei tanta responsabilità».
«- Non temere, Josefa; niente si oppone a ciò poiché tu non agirai più da te, ma guidata e mossa da me.
«Voglio Io pure che tu sia come un fanciullino, ma voglio utilizzare la tua piccolezza. Appunto perché sei piccola occorre che ti lasci maneggiare e condurre dalla mia mano paterna, potente e infinitamente forte, e che, ancorché vi fosse qualcosa di buono in te, tu non te lo attribuisca mai, poiché i fanciulli nulla sanno e nulla possono. Però, se sono docili, se s'abbandonano, il loro padre li conduce con la sua sapienza e la sua prudenza.
«Josefa, lascia che ti strappi il cuore».
Senza darmi il tempo di rispondere, Gesù me lo strappò - continua. - Sentii un violento dolore, e, prendendo una fiamma ardente del fuoco del suo Cuore, la fece cadere sul mio petto. Ah! Signore, è troppo!»
«- Lasciami... lasciami fare... è l'amore!»
E mentre avviene questo dono misterioso il Signore prosegue:
«- La fiamma del mio amore ti servirà di cuore, ma non t'impedirà di sentire, né di amare, anzi! Più l'amore è forte, più è delicato!...
«Adesso passiamo una giornata di zelo, di ardore e di delicatezza. Io per te, e tu per me!»
«Poi è sparito - ella aggiunge - portandosi via il mio cuore!».
Che cosa è accaduto in questo mistico scambio raccontato in maniera così semplice e oggettiva?
La sera di quel giorno Josefa, che non può confidare a nessuno la piena dei suoi sentimenti, cerca di scriverne qualcosa. In queste righe bisogna cercare soltanto una testimonianza leale e senza pretese del fatto che ella stessa non cerca né di capire, né di spiegare.
«Da quel momento ho sentito nel mio petto un fuoco tale che a momenti mi pare insopportabile. E poi tutto mi appare così difettoso! Io stessa vorrei uscire da me! Vorrei attirare tante e tante anime al suo Cuore! Dargli tanta gloria! Ho fame di Lui, e non possederlo, vivere ancora lontana da Lui mi riesce un martirio. Non so esprimere quello che accade in me... Ora più che mai ho un ardore, una fiamma che mi consuma dal desiderio del mio Dio. Ah! come vorrei amarlo e vederlo amato...».
Non sa come esprimere questo esilio della terra, questo vuoto di quaggiù di cui finora non aveva avuto l'idea. Sola, deve portare il peso di una grazia così segnalata che l'annienta nell'adorazione e nell'amore; eppure nulla tradisce il fuoco che la consuma.
Il giorno seguente, 27 maggio, festa della SS. Trinità, Nostro Signore aggiunge ai suoi doni quello di cui era già stata favorita durante il noviziato. Le tre Divine Persone si manifestano a lei in una luminosa bellezza. Josefa ode queste parole:
«- Tre siamo Uno in santità, in sapienza, in potenza e in amore.
«L'uomo, la cui natura umana è divinizzata dalla grazia, diviene una cosa sola con Dio. Così Dio abita nell'anima dove abita la grazia. Essa è il tempio della SS. Trinità, ove le tre Persone si riposano e di cui fanno le loro delizie».
«Allora - ella aggiunge dopo aver scritto semplicemente quanto ha udito - non ho più visto che Gesù solo. Egli, stendendomi la mano, lo sguardo fisso al cielo, ha detto:
«- Gli uomini adorino il Padre, amino il Figlio, si lascino possedere dallo Spirito Santo e la Trinità beata dimori in essi».
Poi, abbassando gli occhi su Josefa:
«- Se tu potessi contemplare la bellezza di un'anima in grazia!... Ma ciò che non puoi vedere con gli occhi del corpo, guardalo con quelli della fede, e conoscendo il valore delle anime, consacrati a dare questa gloria alla SS. Trinità, guadagnando molte anime in cui Essa possa dimorare».
E continuando ad istruirla con molta semplicità:
«- Ogni anima può farsi strumento di quest'opera sublime - le spiega. - Non è necessario compiere grandi cose per questo: bastano le più piccole: un passo che si fa, una pagliuzza raccolta da terra, uno sguardo trattenuto, un servizio reso, un sorriso amabile... tutto ciò, offerto all'amore, è in realtà di gran profitto per le anime ed attira loro torrenti di grazie. Inutile che ti ricordi il frutto della preghiera, del sacrificio, di qualsiasi azione offerta per espiare i peccati delle anime e per ottenere loro di purificarsi e divenire, a loro volta, santuari dove risiede la Trinità Santa».
Allora Josefa gli raccomanda gli ordini apostolici che lavorano per quest'opera e gli chiede di infiammarli di zelo, di benedire i loro lavori e i loro patimenti. Nostro Signore risponde alla sua richiesta facendo rilevare come il disinteresse degli operai della sua messe li renda cari al suo Cuore:
«E se qualcuno - dice - consacra la sua vita a lavorare direttamente o indirettamente alla salvezza delle anime e giunge a tal distacco di sé da dimenticarsi, senza tuttavia trascurare la propria perfezione, fino ad abbandonare ad altri il merito delle sue azioni, delle sue preghiere, delle sue sofferenze... quest'anima disinteressata attira sul mondo grazie copiose... Essa stessa sale ad un alto grado di santità, molto più che se avesse cercato soltanto il proprio progresso».
Josefa nota accuratamente queste assicurazioni divine.
«Poi Egli è sparito - scrive. - Quanto soffro quando rimango sulla terra, dopo una tale contemplazione! Io, così piccola, mi trovo incapace di portare tanta felicità! Quanto mi sembrano vili le cose di quaggiù! Come resto indifferente a tutto ciò che è terreno! Non so come esprimermi, ma vedo in una luce così viva ciò che è Dio solo, che mi sento distaccata da ogni altra cosa!
«Oggi, dopo la Comunione, ho rinnovato i voti con tutto l'ardore del mio cuore, e mi sono nuovamente abbandonata a Lui. Egli mi ha già portato via il cuore, ma gliene ho offerto di nuovo il dono, con tutto quello che amo di più; patria, famiglia, i Feuillants, tutto! Non voglio che Lui e se l'anima mia deve soffrire ancora, gli offro questa sofferenza! Ah! quale sete ho di Lui!»
La solitudine e la pena in cui la sua anima è immersa già da otto giorni accendono doppiamente questa sete. Ella continua però a sopportarle in silenzio e religiosamente. La sua obbedienza fa di tutto per entrare nelle intenzioni delle sue Madri per mezzo di un'insistente preghiera e una vigilanza più circospetta, se è possibile.
Il lunedì 28 maggio, festa rimandata di Santa Maddalena Sofia, e giorno di grande solennità per le case del Sacro Cuore, Nostro Signore risponde alla sua fedeltà completando le grazie insigni concessele nei giorni precedenti e facendole quasi pregustare il cielo.
«Dopo la Comunione mi sembrò - scrive - che il paradiso fosse nell'anima mia! Gesù è apparso così bello!... il Cuore gli risplendeva come il sole ed era sormontato da una croce di fuoco... Mi ha detto:
«- Colui che mangia la mia carne possiede Dio, l'autore della vita, e della vita eterna, perciò quest'anima è il mio cielo. Nulla le può essere paragonato in bellezza. Gli Angeli l'ammirano e siccome Dio è in lei, si prostrano e adorano. Ah! se le anime sapessero il loro valore!... l'anima tua è il mio cielo e tutte le volte che mi ricevi nell'Eucaristia la mia grazia aumenta in essa e si accrescono ancora il suo valore e la sua bellezza!»
Josefa non sa che umiliarsi ai piedi del Maestro. Gli confessa i suoi peccati, le sue miserie, la sua debolezza, conoscendosi indegna di quella santità infinita che si abbassa fino al punto di fare dell'anima sua un cielo di riposo.
«Signore - dice - ti do il mio cuore, la vita, la libertà, tutto!»
«- E’ l'unica cosa che desidero: - risponde Gesù - che m'importa il resto? I tuoi peccati? Io li cancello... Le tue miserie? Io le consumo!... La tua debolezza? Io la sostengo... restiamo uniti!»
Questa tappa che Dio ha voluto e tracciato in tutti i particolari sta per finire insieme al mese di maggio. Josefa ha dato prova del vero amore: distaccata, separata, purificata nell'isolamento, senz'altro appoggio che la volontà del Maestro, è entrata con piena docilità nel disegno che l'ha condotta a una nuova esperienza della croce. Ella ha abbracciato questa croce con tutta la lealtà del suo spirito di fede e tutta la generosità del suo amore. Libero in lei, Dio ha riversato nella sua creatura il cumulo delle grazie di predilezione che trasformano l'anima e la portano in poco tempo a un livello che non avrebbe mai raggiunto da sola. Così l'opera dell'amore si è compiuta in lei prima di continuarsi e di compiersi nel mondo.
La luce radiosa che ha illuminato la fine del maggio sembra spegnersi a poco a poco, come la sera di un bel giorno. Senza smettere di lavorare dappertutto ove si reclama il suo aiuto, Josefa soffre di acuti dolori, di cui non si cura di conoscere la causa, ma che la lasciano affranta al termine della giornata. Non se ne lagna mai, abituata com'è a questa resistenza fisica che va all'estremo limite della possibilità di soffrire. Ma l'anima resta sola sotto la croce!
«Amo tanto le mie superiore - scrive dolorosamente - e ho imparato a non aver segreti per loro; non poter dir loro tutto in questo momento è la mia più grande sofferenza. Se Gesù non mi sostenesse, come potrei sopportarla? Ma quando l'angoscia è maggiore faccio il sacrificio di ogni cosa e ciò mi fortifica».
Gesù misura la pienezza e la sincerità di questo sacrificio totale di se stessa, della sua reputazione, dell'aiuto delle sue Madri, di un eventuale ritorno a Poitiers. Con gesto d'amore sta per renderle tutto.
Il 1° giugno ella scrive brevemente:
«Mi hanno detto oggi che domani riprenderò la via verso Poitiers. Ne ho ringraziato Dio perché ne avevo fatto il sacrificio e non pensavo più di tornarvi».
Dopo pochi istanti Gesù le appare e le conferma il suo volere:
«- Ho accettato il sacrificio di tutto ciò che mi hai dato, Josefa, e oggi ti rendo tutto. Ora ricomincerò a manifestarti i miei segreti; il demonio ti assalirà di nuovo e più di una volta cercherà d'ingannarti e di nuocerti. Non temere! Io ti difenderò. Il tuo cuore custodisca la fiamma dell'amore e dello zelo nella gioia e nell'abbandono!... Ti amo e sono tutto per te».

SOMMARIO

                                                                                                                                                                                                       
LIBRO TERZO • IL MESSAGGIO DELL'AMORE (Seconda parte)

CAPITOLO 10

L'INVITO AL MONDO • RITORNO A POITIERS LA FESTA DEL SACRO CUORE2-10 GIUGNO 1923 ♦ Pag441

Parlerò in te e le mie parole andranno alle anime e non passeranno… Ti amerò, e le anime scopriranno il mio amore nell'amore che ho per te. Ti perdonerò e le anime conosceranno la mia misericordia nel perdono in cui ti avvolgerò!...
(Nostro Signore a Josefa - Festa del Sacro Cuore 1923).

Il sabato 2 giugno Josefa rivide i Feuillants. Questo ritorno del tutto insperato e che la riempiva di stupore e di riconoscenza, recava anche molta consolazione alla famiglia di Poitiers. Ella vi era amata, come ci si ama nella vita religiosa, ma qualcosa di particolare, che tutte presentivano senza poterlo definire, emanava da lei e il rivederla fu una festa reciproca. Subito Josefa riprese il suo posto nel piccolo cerchio delle sorelle coadiutrici, e la sua larga parte di dedizione nel lavoro quotidiano. Già il seguente lunedì le novizie la ritrovarono a capo del loro laboratorio, e presto parve che ella non fosse mal uscita dai Feuillants.
Ma le altezze spirituali a cui il Cuore di Gesù l'aveva elevata in quel mese di lontananza, colpirono vivamente le sue Madri: ella tornava avvolta di una nuova impronta divina.
«Quanto Nostro Signore ha lavorato in quell'anima! - scriveva la superiora dei Feuillants alla Madre Generale. - Non so dire quanto l'abbiamo trovata trasformata in così breve tempo! Quale distanza tra lei e noi! Ne siamo colpite. E’ una specie di consumazione che è incominciata in lei sotto l'azione di grazie, la cui grandezza ci sfugge... e tutto ciò sempre sotto l'ombra di una estrema semplicità, di una obbedienza e di un distacco che debbono piacere alla nostra Santa Madre Fondatrice. Sembra che Nostro Signore prosegua la trasformazione di quell'anima a passi di gigante. Ella ha ripreso la sua vita di silenzio e di umile lavoro, ma fisicamente è esaurita per le abituali sofferenze, e ancor più per il fuoco interno che la consuma, e che il Signore aumenta ogni giorno di più».
Da parte sua Josefa scrive in data lunedì 4 giugno:
«Dal 26 maggio, in cui Nostro Signore mi ha tolto il cuore, sento dentro di me un ardore continuo, un desiderio di amarlo, di consolarlo, di dargli anime. Tutto il resto mi sembra così piccolo che, malgrado la tendenza mia ad amare, mi trovo come distaccata da tutto, con un desiderio tale di Gesù che vorrei uscire da me stessa per raggiungerlo, e mi pare di essere in una prigione. Non so come esprimermi!»
Poi la vista della sua piccolezza di fronte a grazie tanto segnalate la colpisce, e prosegue:
«Mi sento coperta di confusione vedendomi quale sono! Chi mai nel mondo, se avesse ricevuto grazie simili alle mie, non sarebbe ora un santo?... Ed io ogni giorno più miserabile, ingrata e, forse - Dio lo sa - peccatrice! Questo pensiero mi è una pena assai viva che, senza togliermi la pace, mi fa soffrire molto!»
Mentre inginocchiata nella celletta ove ha ripreso per obbedienza il lavoro dei suoi appunti scrive quest'umile confessione Gesù le appare:
«- Non temere, Josefa - dice con bontà - desidero che tu sia un niente, e così Io sarò tutto. «Più una cosa è piccola, più la si maneggia con facilità. Perciò mi servo di te come voglio, appunto perché sei un niente. E tu sai, che non ho bisogno di nulla, ti chiedo una cosa sola: che ti abbandoni a Me. Rimani nel tuo nulla. La tua miseria M'importa poco... Ma guarda e vedrai quello che Io, che tutto posso, farò della tua miseria!»
«Allora - ella aggiunge - vidi passare davanti a Lui una folla di anime che non potevo contare tanto erano numerose, e Gesù mi ha detto:
«- Tutte queste anime verranno a Me!»
La sera di quel giorno, 4 giugno, Nostro Signore rinnova per la prima volta la grazia misteriosa concessale il 26 maggio.
All'ora delle ultime preghiere le mostra il Cuore che sembra immerso come in un incendio, e prendendo una fiamma da quel braciere:
«- Questa fiamma - ha detto - prenderà il posto di quella che già ho messo al posto del tuo cuore».
Ella assicura il Maestro che la prima la brucia ancora di un desiderio di amarlo che è il suo più gran tormento.
«... poiché – scrive - vorrei amare e credo di non sapere!»
«- Ah! Josefa, questo è ancora nulla! Voglio incendiarti e consumarti!»
Nello stesso istante lasciando ancora cadere la fiamma sul petto di Josefa, sparisce. Solo il Cuore rimane visibile per qualche secondo... dalla ferita si sprigiona un raggio infuocato.
«Mio Dio! - scrive - che sofferenza di non poterti amare quanto vorrei!»
Queste segnalate grazie si ripetono parecchie volte nel giugno 1923. Ella le narra con tutta semplicità, senza riuscire ad esprimere lo stato dell'anima sua, consumata da questo fuoco divino.
«Non so quale pena al mondo non sarei disposta a sopportare per Lui - scrive il 5 giugno. - Ho una pace immensa nell'anima eppure ho fame di qualche cosa. Credo che sia di Gesù, di non separarmi mai da Lui, di amarlo… non so precisare che cosa sia, ma in certi momenti l'anima mia non può contenersi...».
Quel martedì, 5 giugno, è il terzo anniversario del giorno in cui il Cuore di Gesù le apparve per la prima volta (5 giugno 1920). Durante la meditazione Egli le si mostra e la tiene a lungo immersa nel fuoco che scaturisce dalla ferita del Cuore. Josefa si sente venir meno sotto il raggio di questo amore che la segue alla santa Messa.
«Più Lo vedo buono e grande, più mi sento piccola - scrive. - Ah! non oserei mai avvicinarmi a Lui se non avessi la Madonna per aiutarmi e condurmi.
«Dopo la Comunione l'ho nuovamente visto, così dolce, così buono, e talmente padre, che mi è impossibile esprimerlo! Mi ha aperto il Cuore dicendomi:
«- Più tu sparirai, più Io sarò la tua vita, e tu il mio cielo di riposo!»
«Possibile, o Signore, io, così miserabile?»
«- Non sai dunque, Josefa, che quaggiù in terra il mio cielo sono le anime?»
Allora il suo cuore di apostola ha un sussulto:
«Gli ho chiesto - scrive - come potremmo ottenere che molte anime Lo conoscano, Lo amino, si infiammino del suo amore...».
«- Pregare, Josefa, supplicare!... Sì, chiedi che le anime si lascino infiammare dall'amore!...»
Il Maestro, che le permette di avvicinarsi al suo Cuore, vuole tuttavia tenerla molto bassa nell'esperienza vissuta della sua debolezza. Continua a lasciarla sensibile alle difficoltà inerenti alla sua natura, e vuole che ella si rimproveri delle minime impressioni imperfette.
«- Sì, ho visto la tua miseria!”
Le dice la sera di quello stesso giorno, mentre nella preghiera si accusa di qualche moto interiore che la coscienza le rimprovera.
«Mi ha esposto tutti i miei difetti - scrive - e dopo mi ha detto:
«- Che cosa sei, Josefa, se non un poco di polvere su cui si soffia per disperderla?»
E siccome ella Gli chiede perdono con tutto il cuore:
«- Tu sai che ti perdono sempre. Se ti avverto delle tue miserie lo faccio per amore, affinché tu ti annienti e Io possa vivere in te.
«Ora cambierò la fiamma che ti ho messo in cuore, per infiammarti nuovamente e dare un nuovo slancio al lavoro della tua distruzione».
«Gesù allora - scrive - fece come il giorno prima ed io restai in una grande sofferenza. Il mio corpo è senza forza e da qualche tempo soffre in ogni parte. L'anima è in uno stato di oppressione che non capisco io stessa, ma che mi lascia una pace ogni giorno più profonda».
«- Ritornerò ogni sera - le dice Nostro Signore la mattina del mercoledì 6 giugno - per consumare le tue miserie e rinnovare la fiamma che Io stesso ho messa al posto del cuore».
Fedele alla promessa il Maestro è là quella sera stessa, e dopo avere ascoltato attentamente l'umile confessione che Josefa Gli fa delle sue debolezze:
«- Tu sai - risponde con bontà - che il fuoco ha la proprietà di distruggere e di infiammare. Così il mio Cuore ha quella di perdonare, di purificare, di amare. Non credere che possa cessare di amarti per le tue miserie! al contrario, il mio Cuore ti ama e non ti abbandonerà mai!»
Quindi rinnovando il suo gesto divino ed afferrando la fiamma uscente dal Cuore la fa cadere sopra Josefa. Sotto l'azione misteriosa dell'amore bruciante che l'invade, improvvisamente ella ha trasalito: porta le mani al cuore, come per contenerne l'intenso ardore. Sembra non poter più respirare mentre il suo sguardo resta fisso con espressione di indicibile desiderio sul Cuore adorabile che ancora le sta davanti per qualche istante. Scena commovente di cui la celletta sarà testimone per parecchi giorni di seguito.
Sono le testimoni di questi istanti solenni che li hanno raccontati così. Ma chi potrà dire quali nuove capacità di amore, di sofferenza, di unione all'Opera redentrice scava ognuna di queste invasioni divine!...
Durante il periodo di questi favori eccezionali avvolti nel silenzio, si svolge da due giorni nella grande casa dei Feuillants il triduo che precede la festa del Sacro Cuore: giorni di raccoglimento, di preghiera più intensa, in cui, senza interrompere il lavoro apostolico, le Religiose del Sacro Cuore si preparano a rinnovare i voti.
La sera della vigilia, giovedì 7 giugno 1923, l'ora santa le ha riunite tutte davanti al santissimo Sacramento, e Josefa è là nel gruppo delle consorelle. Solo lo sguardo divino la distingue e nel silenzio che avvolge la cappella Gesù si abbassa e le si manifesta.
«Avrei voluto consolarlo - scrive il giorno seguente - ma la vista delle mie miserie mi copriva di confusione e nello stesso tempo di dolore. Gli ripetevo i miei desideri e come non oso domandargli perdono per i peccati del mondo, mentre io pure ne ho commessi tanti...
«E venuto a un tratto, dicendomi con grande bontà:
«Perché temi? Non sai che il mio desiderio è di perdonare? Credi che ti abbia scelta per le tue virtù? So che non hai altro che miseria e debolezze, ma siccome Io sono il fuoco che purifica, ti avvolgerò con la fiamma del mio Cuore e ti distruggerò.
«Ah! Josefa, non ti ho detto assai spesso che il mio unico desiderio è che le anime mi diano le loro miserie? Vieni... e lasciati consumare dall'amore!»
«Allora una fiamma si è sprigionata dal suo Cuore, e cadendo sul mio me l'ha incendiato come il giorno prima».
Trascorre un istante in questo ardore di cui ha ormai l'esperienza senza saperla esprimere.
«Quindi - aggiunge - L'ho pregato per parecchie anime che hanno bisogno del suo aiuto e mi ha risposto:
«Quando un re o un principe sposa la figlia di uno dei suoi sudditi, si obbliga per il fatto stesso di darle tutto quanto esige lo stato a cui la innalza.
“Sono Io che vi ho scelte e mi sono impegnato a darvi tutto quello di cui siete sprovviste. Non vi chiedo altro che quello che avete; datemi il vostro cuore vuoto ed Io lo riempirò, datemelo spoglio di tutto e Io lo rivestirò, datemelo con le vostre miserie e Io le consumerò!... Io sono il vostro supplemento, la vostra luce. Ciò che voi non vedete, ve lo mostrerò. Ciò che non avete, Io ne risponderò!»
«Mi ha fatto comprendere con ciò come Egli aiuta le anime che non desiderano che di piacergli e come supplisce a ciò che loro manca».
Poi volgendosi a Josefa che vuole sempre più convincere della sua bassezza e del suo niente:
«- Riguardo a te - le dice - se avessi potuto incontrare sulla terra una creatura più miserabile, avrei su di essa fissato il mio sguardo d'amore e avrei manifestato per mezzo di lei i desideri del mio Cuore. Non avendola trovata ho scelto te!»
Poi con un paragone familiare chiarisce il suo pensiero:
«- Tu sai quello che accade di un fiore sprovvisto di bellezza e di profumo che spunta ai margini di una strada molto battuta: viene calpestato dai passanti che non ne fanno alcun caso e non lo vedono neppure.
«Pensa Josefa, se ti avessi lasciata miserabile e fragile come sei, in balia dei rigori del freddo, alla forza del calore, in potere dei venti: la morte ti avrebbe ben presto colpita! Ma siccome voglio che tu viva, ti ho trapiantata nel giardino eletto del mio Cuore. Qui ti coltivo Io stesso sotto i raggi di un sole che ti anima e vivifica senza che il suo ardore ti possa far danno. Ah! Josefa, abbandonati alle mie cure così come sei! La vista della tua miseria ti renda salda nell'umiltà, ma non diminuisca mai la tua fiducia!»
Josefa gli protesta questa fiducia, e Lo supplica di voler preparare l'anima sua alla rinnovazione dei voti, purificandola col suo sangue divino.
«- Ah! - prosegue con ardore il Signore - se il tuo desiderio è tanto grande, quale non è il mio per l'anima tua! Ti laverò Io stesso e sarà il mio amore che ti purificherà. Se tu sapessi quale gloria riceverò domani!»
Queste parole fanno sorgere nella mente di Josefa un punto interrogativo e Gesù le risponde:
«- Non sai il valore che il mio Cuore annette alla donazione totale e pubblica che un'anima mi fa di se stessa?... Resta nella mia pace e vivi del mio amore».
Fin dall'alba della FESTA DEL SACRO CUORE, venerdì 8 giugno 1923, il Maestro viene per preparare Egli stesso la sposa all'atto che sta per rinnovare.
Questa solenne rinnovazione dei voti, fatta davanti all'Ostia santa al momento della Comunione, non è al Sacro Cuore un impegno che si prende di nuovo. I primi voti, come gli ultimi, sono definitivi nel giorno in cui si pronunziano: ma questo atto di devozione è la conferma rinnovata di una donazione che è irrevocabile fino all'ultimo respiro e che ciascuna rinnova nella gioia dell'anima sua.
Il Cuore di Nostro Signore, apparendole, solo, durante la meditazione, immerge Josefa nella sua fiamma.
«L'ho supplicato - scrive - di darmi un vero dolore delle mie colpe. Più ricevo grazie, più me ne sento indegna. Mentre da una parte l'anima mia si slancia verso Gesù, dall'altra mi sento trattenuta dalla coscienza delle mie brutture e non oso avvicinarmi a Lui. Gli ho chiesto con tutto l'ardore del mio cuore di purificarmi prima di rinnovare i miei voti».
Poco dopo allorché comincia il santo Sacrificio della Messa nella cappella dove tutta la comunità è riunita per presentare al Signore la propria offerta, Gesù le appare.
«- Apri l'anima tua - le dice - poiché Io stesso ti purificherò».
Quindi, facendole misurare la pienezza dell'oblazione che Egli attende, attira l'attenzione di lei su ciascuno dei voti:
«- Spogliati di tutto al fine di non conservare nulla dei tuoi desideri, dei tuoi gusti, del tuo giudizio proprio… Poi sottomettiti interamente alla volontà di Colui che ami. Lasciami fare di te ciò che voglio Io e non ciò che tu speri! Devi arrivare a questo punto: che la mia volontà su di te divenga anche la tua: vale a dire: alla totale sottomissione ed unione della tua volontà col mio volere e beneplacito. Me ne hai dato il diritto con il voto di obbedienza!
«Ah! Se le anime capissero bene che non sono mai tanto libere come quando si sono abbandonate interamente a Me, e che mai sono più disposto ad esaudire i loro desideri, che quando esse sono pronte a fare la mia volontà!
«Sì, bacia queste catene che ti stringono a Me! Va' e rinnova questi voti che ti inchiodano ai miei piedi, alle mie mani, e ti introducono nel mio Cuore».
Josefa avanza verso la balaustra. Davanti all'Ostia che sta per ricevere, ripete i suoi impegni d'amore, poi ritorna al suo posto. Allora Gesù le appare di nuovo e, in una vera effusione del suo Cuore, pronuncia queste parole:
«- Josefa, tu mi hai detto ora che non ami che Me, che ti spogli volontariamente di tutto per Me, che non avrai altra libertà, né altra volontà che la mia. Il mio volere sarà il tuo, il tuo volere il mio. Sarò padrone dei tuoi pensieri, delle tue parole, delle tue azioni. Se non avrai niente, ti darò tutto. Vivrò in te, parlerò in te, ti amerò e ti perdonerò».
E riprendendo ogni parola:
«- Io vivrò in te, tu in Me.
«Parlerò in te e le mie parole andranno alle anime e non passeranno.
«Ti amerò, e le anime scopriranno il mio amore nell'amore che ho per te.
«Ti perdonerò, e le anime conosceranno la mia misericordia nel perdono che ti concederò.
«Ce ne sono molte che credono in Me, ma poche che credono al mio amore, e tra quelle che credono al mio amore, troppo poche contano sulla mia misericordia. Molte Mi conoscono come Dio, ma poche confidano in Me come Padre.
«Mi manifesterò alle anime, e a quelle soprattutto che sono l'oggetto della mia predilezione, farò
vedere in te che non chiedo niente di ciò che non hanno. Quello che esigo è che mi diano tutto ciò che posseggono, perché tutto è mio.
«Se non hanno che miseria e debolezze, quelle Io desidero, se anche non hanno che colpe e peccati, chiedo quelli. Le supplico di darmeli tutti e di non conservare che questa fiducia nel mio Cuore: vi perdono, vi amo, ed Io stesso vi santificherò!»
Dopo tali grazie sembra che ormai la volontà di Josefa debba rimanere incatenata per sempre a quest'Opera di cui sempre più si vede costituita messaggera presso le anime.
Tuttavia nel suo quadernetto di note intime appare il segreto di una interna lotta che non cesserà che col cessare della vita. Nostro Signore permetterà che questa ripugnanza verso la via da Lui destinatale sia uno stimolo continuo alla sua generosità nell'aderire alla volontà divina. E questa ripugnanza, che la mantiene nell'umiltà e nel costante sforzo, sarà un segno sicuro dell'azione divina.
«Sì, Gesù mio - scrive quello stesso giorno - accetto tutto. Farò o dirò quello che mi comanderai senza curarmi né delle mie attrattive né delle mie ripugnanze. Accetto la via in cui Tu mi conduci perché so che è la tua volontà. Rinnovo di cuore l'offerta che ti ho fatto dei miei gusti, delle mie inclinazioni, della mia persona, di tutta la mia vita!».
Quante volte queste proteste ed altre simili furono scritte e si scriveranno ancora! Il Maestro divino le accoglie e ne conosce valore. Egli legge in ciascuna di esse tutto l'ardore dell'anima di Josefa.
Quest'anima è andata modellandosi sotto la sua mano. Il Cuore divino sta per riprendere in mano lo strumento e per mezzo suo continuare il Messaggio.
«- Domani - le dice la sera del sabato 9 giugno - domani ricomincerò a dirti i miei segreti per le anime, poiché voglio che tutte vengano a Me! Ah! Le anime - prosegue con ardore. - Pregate, si, pregate per le anime voi che siete le privilegiate del mio Cuore. Voi che più delle altre siete in obbligo di consolarmi e di riparare! sì, pregate per le anime!»
Una grande lezione di amore servirà di conclusione alle grazie di questi otto giorni, e la darà alla sua figliola Santa Maddalena Sofia ricordandole e commentandole al mattino della domenica 10 giugno la parola d'ordine datale a Marmoutier:
«L'amore non trova ostacoli».
Le appare durante la santa Messa, e benedicendola le dice:
«- Figlia mia, vengo a dirti oggi come devi amare, senza che nulla si opponga in te al vero amore.
«La base fondamentale dell'amore è l'umiltà, poiché è spesso necessario per provare il nostro amore sottomettere e sacrificare la nostra attrattiva personale, il nostro benessere, il nostro amor proprio... e questo atto di sottomissione non è altro che un atto di umiltà che contiene pure abnegazione e rinunzia, generosità e adorazione. Infatti, per provare questo amore in qualche cosa che ci costa, abbiamo dovuto prima pensare così: se non fosse per Te, mio Dio, non farei questo. Ma è per Te: non posso resisterti, Ti amo e mi sottometto! Dio mi chiede questo ed io devo obbedirgli. Non so perché Egli mi chieda ciò, ma Egli lo sa! E così, per motivo di amore, ci umiliamo, ci sottomettiamo a fare anche ciò che non comprendiamo, ciò che non amiamo se non di amore soprannaturale, unicamente perché è Dio che lo chiede.
«Figlia mia, ama, e gli ostacoli e le difficoltà che si presentano convertili in amore umile e sacrificato, forte e generoso. Diventino una perpetua adorazione dell'unico Dio e Signore che è padrone delle anime. Non resistere mai, non discutere, non esitare! Fa' ciò che ti chiede, di' ciò che vuole che tu dica, senza temere, senza omettere, senza vacillare! Egli è il Sapiente e il Santo, Egli è il Maestro e il Signore, Egli è l'Amore! Addio, figlia mia!»
Questa luminosa lezione giunge veramente a proposito, ora che Gesù sta per chiedere a Josefa nuovi sacrifici affinché compia quaggiù la sua missione.

SOMMARIO

                                                                                                                                                                                                                                           
LO SANNO GLI UOMINI?10-14 GIUGNO 1923 Pag.451

Ecco il mio desiderio: infiammare le anime!... infiammare il mondo!... (Nostro Signore a Josefa - 12 giugno 1923).

Il momento è giunto in cui da parte della volontà divina Josefa deve trasmettere al Vescovo di Poitiers i desideri del Cuore di Gesù.
Con grande solennità la domenica 10 giugno Nostro Signore riprende il suo Messaggio. Sembra che voglia appoggiare le sue parole su tutte le sicurezze possibili, e nello stesso tempo fortificare la fragile intermediaria dei suoi disegni.
«Gesù è venuto stamani - nota - mentre scrivevo nella mia cella. La sua bellezza era piena di maestà e la sua sovrana potenza si manifestava nel tono della voce».
«- Josefa - ha detto - umiliati e sottomettiti interamente alla volontà di Dio».
«Mi sono prostrata a terra, annientandomi dinanzi a Lui ed Egli ha continuato:
«- Offri al mio Cuore l'amore profondo, tenero e generoso del tuo».
«L'ho fatto con tutta l'anima, poi Egli è rimasto silenzioso come se aspettasse qualcosa in più.
«Ho rinnovato i voti e Gli ho ripetuto che sono sua, pronta a tutto quello che vorrà fare di me. Credo che aspettasse questo, poiché ha subito soggiunto:
«- Siccome ho trionfato sul tuo cuore, e sul tuo amore, Mi rifiuterai tu qualcosa?»
«No, o Signore, sono tua per sempre!»
«- Allora domani verrò a comunicarti ciò che dovrai dire anzitutto al vescovo.»
Josefa è presa da timore.
«Non ho potuto dissimularlo - scrive - e Gli ho detto quanto questo pensiero mi costi!»
«- Non temere! - prosegue Gesù - il mio Cuore ti custodisce ed è per le anime...»
Questa assicurazione divina calma un po' l'ansia di Josefa.
«Al pensiero di dover parlare a Monsignor Vescovo di tutte queste cose provo una grande angoscia - scrive - ma ho fiducia che Gesù mi darà la forza necessaria.
«La sera quando è venuto a consumare i miei peccati, Gli ho ripetuto i miei timori.»
«- Occorre soffrire, Josefa, sì! Ma pensa che è per le anime... Io, per primo, non ho forse sofferto tanto per redimerle e salvarle?»
Con tali parole il Signore incita alla generosità la sua sposa e la colloca di nuovo dinanzi all'Opera redentrice. L'unione intima al Cuore divino è per essa, anche in quella circostanza, la forza per soffrire tutto ciò che la sua missione esige da lei.
Si prepara una grande settimana. Dall'alba del lunedì 11 giugno il Signore le ricorda la vastità dei suoi disegni. Si palesa a Josefa durante il ringraziamento della Comunione:
«- Perché temi? - le dice - non sai che ti amo e veglio su di te? E’ per le anime! Bisogna che esse Mi conoscano, che Mi amino di più. Spetta ai figli far conoscere il padre. Voi siete le mie figlie amatissime; perciò vi ho scelte per rivelarmi per mezzo vostro e perché il mio Cuore sia glorificato. Non temete! Io sono la forza e ve la comunicherò. Io sono l'amore e vi sosterrò! Non vi lascerò mai sole!»
Qualche istante dopo Gesù la raggiunge nella sua cella.
«- Ciò che sto per dirti, Josefa, è la prima cosa che dovrai far sapere al tuo Vescovo. Bacia la terra!»
Ella rinnova i voti e si prostra ai piedi del Maestro. Allora Gesù prende la parola e Josefa scrive:
«- Io sono l'Amore! Il mio Cuore non può contenere la fiamma che lo divora!
«Amo tanto le anime da dare per esse la vita!
«Per amor loro ho voluto rimanere prigioniero nel tabernacolo. Da venti secoli dimoro là, notte e giorno, velato sotto le apparenze del pane e nascosto nell'Ostia, sopportando per amore l'oblio, la solitudine, i disprezzi, le bestemmie, gli oltraggi, i sacrilegi!
«Per amore delle anime ho voluto lasciare loro il Sacramento di Penitenza, per dar loro il perdono, non una volta o due, ma ogni volta che avranno bisogno di ricuperare la grazia. Là le attendo, là desidero che vengano a lavarsi delle loro colpe, non con l'acqua, ma col mio proprio sangue.
«Nel corso dei secoli ho rivelato in diverse maniere il mio amore agli uomini: ho mostrato quanto Mi consuma il desiderio della loro salvezza. Ho fatto loro conoscere il mio Cuore! Questa devozione è stata come una luce irradiante sul mondo, e oggi è il mezzo di cui si serve per commuovere i cuori la maggior parte di coloro che lavorano alla propagazione del mio Regno.
«Ora però voglio qualche cosa di più, poiché se chiedo amore in cambio di quello che Mi consuma, non è questo soltanto che desidero dalle anime: bramo che esse credano alla mia misericordia, che aspettino tutto dalla mia bontà, che non dubitino mai del mio perdono!
«Sono Dio, ma Dio di amore! Sono Padre, ma un Padre che ama con tenerezza e non con severità. Il mio Cuore è infinitamente santo, ma anche infinitamente sapiente e, conoscendo la miseria e la fragilità umana, si china verso i poveri peccatori con una misericordia infinita...
«Amo le anime dopo il primo peccato, se vengono a chiedermi umilmente perdono, le amo ancora dopo che hanno pianto il secondo peccato, e se cadessero non dico un miliardo di volte, ma dei milioni di miliardi, Io le amo e le perdono sempre, e lavo nello stesso mio sangue l'ultimo come il primo peccato.
«Non Mi stanco mai delle anime e il mio Cuore aspetta continuamente ch'esse vengano a rifugiarsi in lui, e ciò tanto più quanto più sono miserabili! Un padre non si prende forse più cura del figlio malato che di quelli sani? Le sue premure e le sue delicatezze non sono forse più grandi per lui? Così il mio Cuore effonde sui peccatori, con più larghezza ancora che sui giusti, la sua compassione e la sua tenerezza.
«Ecco ciò che desidero far sapere alle anime: insegnerò ai peccatori che la misericordia del mio Cuore è inesauribile; alle anime fredde e indifferenti che il mio Cuore è un fuoco che vuole infiammarle, perché le ama; alle anime pie e buone che il mio Cuore è la via per progredire verso la perfezione e giungere con sicurezza al termine beato. Infine, alle anime a Me consacrate, ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle anime elette e predilette, Io chiedo una volta di più che Mi diano la loro fiducia e non dubitino della mia misericordia! E’ tanto facile attendere tutto dal mio Cuore!»
Gesù si è interrotto e dà a Josefa alcune indicazioni sulla maniera con cui il suo direttore spirituale dovrà informare di tutto il Vescovo di Poitiers; e siccome legge nell'anima di Josefa l'ansia che l'assale:
«- Ma perché? - insiste con bontà - non sai che ti amo?... Non sai che tutto ciò è per le anime e per la mia gloria?... Non preoccuparti di nulla. Fa' semplicemente quello che ti dico e dammi tutto il tempo che ti chiedo».
Il giorno dopo, martedì 12 giugno, entrando in cella verso le otto del mattino, vi trova il Maestro che l'aspetta. Lo adora per qualche istante e rinnova i voti offrendosi alla volontà sua. Gesù allora prosegue il colloquio del giorno precedente:
«- Voglio perdonare! Voglio regnare! Voglio perdonare alle anime e alle nazioni! Voglio regnare sulle anime, sulle nazioni, sul mondo intero! Voglio diffondere la mia pace fino alle estremità della terra, ma soprattutto su questo suolo benedetto, culla della devozione al mio Cuore. Sì, voglio essere la sua pace, la sua vita, il suo re. Io sono la sapienza e la felicità. Sono l'amore e la misericordia. Sono la pace e regnerò!
«Per cancellare la sua ingratitudine effonderò un torrente di misericordia. Per riparare le sue offese sceglierò delle vittime che otterranno perdono... Sì, ci sono nel mondo molte anime generose che Mi daranno tutto quello che posseggono perché Io mi possa servire di loro secondo i miei desideri e la mia volontà.
«Per regnare, comincerò col fare misericordia, poiché il mio regno è di pace e di amore: ecco lo scopo che voglio raggiungere, ecco la mia Opera d'Amore!»
Quindi con condiscendenza tutta divina, Nostro Signore spiega, perché Josefa lo trasmetta al Vescovo, il motivo che gli ha fatto abbassare lo sguardo sulla Società del Sacro Cuore, scegliendola come intermediaria dei suoi desideri:
«- Fondata sull'amore, ha per fine l'amore. La sua vita è amore... e l'amore è il mio Cuore!»
Così Egli dice indicando l'intimo legame che stringerà la Società a quest'Opera per cui l'ha voluta.
«- Quanto a te - prosegue - ti ho scelta come un essere inutile e sprovvisto di tutto, affinché Io solo sia Colui che parla, Colui che chiede, Colui che agisce».
Poi rivelando l'insieme del suo disegno:
«- Il mio invito lo rivolgo a tutti: alle anime consacrate e a quelle del mondo, ai giusti e ai peccatori, ai dotti e agli ignoranti, a chi comanda e a chi obbedisce. A tutti Io dico: Se volete la felicità, Io lo sono. Se cercate la ricchezza, Io sono la ricchezza senza fine. Se bramate la pace, Io sono la pace... Io sono la misericordia e l'amore! Voglio essere il vostro re».
Poi fissando lo sguardo su Josefa che sta in ginocchio terminando di trascrivere queste parole infiammate:
«- Ecco ciò che farai leggere al tuo Vescovo in primo luogo».
E dopo aver aggiunto qualche parola che ella dovrà trasmettergli personalmente, prosegue ancora:
«- Non si stupisca alla vista degli strumenti di cui voglio servirmi, poiché la mia potenza è infinita e basta a se stessa. Abbia fiducia in Me! Benedirò le sue imprese!... Ed ora, Josefa, comincerò a parlare direttamente al mondo e dopo la tua morte desidero che le mie parole siano conosciute. In quanto a te, vivrai nell'oscurità più completa e profonda, ma, siccome tu sei la vittima scelta da Me, tu soffrirai e morrai immersa nei patimenti. Non cercare né riposo, né sollievo: non ne troverai, perché ho disposto così. Ma il mio amore ti sosterrà ed Io mai ti mancherò!»
In questi brevi istanti Gesù ha indicato a Josefa l'ultima tappa che le resta da percorrere: il suo incontro con l'autorità ecclesiastica il cui controllo assicurerà la benedizione divina, il Messaggio ch'ella deve trasmettere a tutte le anime che hanno sete di misericordia, di pace, di felicità, la sua missione di vittima, inseparabile dal Messaggio e che lo feconderà fino alla fine l'oscurità in cui rimarranno avvolti i dolori delle sue giornate e delle sue notti, la morte infine nel dolore più amaro! E tutto sarà da Gesù disposto nei minimi particolari, ed Egli non chiederà se non un'adesione totale che compirà, in così breve tempo, l'Opera dell'amore in lei e per mezzo di lei.
Quella sera stessa, rinnovandole il dono della fiamma del cuore, le ripete:
«- Vengo a consumarti e ad infiammarti! Ecco tutto il mio desiderio... Infiammare le anime... incendiare il mondo. Purtroppo, le anime respingono la fiamma! Ma io trionferò: esse saranno mie e Io il loro Re! Soffri con Me affinché il mondo Mi conosca e le anime vengano a Me! La sofferenza farà trionfare l'amore».
Il mercoledì, 13 giugno, Nostro Signore, come aveva annunziato, si rivolge direttamente alla folla delle anime di cui ha compassione; alla folla di coloro che hanno fame e sete, che soffrono e lottano, che sono travagliati e piangono senza speranza e senza amore, alla folla che cerca, brama, aspetta, e non trova quaggiù la risposta di sicurezza e di felicità di cui è avida. A queste anime Gesù apre il suo Cuore.
«- Voglio che il mondo lo conosca - dice. -Voglio che si sappia il mio amore! Lo sanno, gli uomini, ciò che ho fatto per loro?»
Ed è questo che spiegherà loro.
Sembra di essere ritornati ai tempi delle parabole, quando Gesù assiso in mezzo alle turbe, nel quadro ameno del paesaggio palestinese, attirava i cuori con l'incanto della sua parola, e ancor più col dominio affascinante della verità. Allora, piccoli e grandi, giusti e peccatori, dotti e ignoranti, tutti L'ascoltavano: alcuni turbati fino al più intimo di un'anima angosciata, altri ribelli al segreti inviti dell'amore, gli uni estasiati dalla semplicità dei suoi racconti... gli altri soggiogati dalla chiarezza dei suoi insegnamenti: «Il seminatore uscì per seminare», diceva Gesù e la celeste semente, gettata a profusione, cadeva. Il suo sguardo la seguiva come solo Lui può fare, ed il suo Cuore discerneva in ogni anima la risposta che l'amore attendeva.
Oggi Gesù riprende il suo grande metodo educatore e mediante una parabola rivelerà una volta di più al mondo l'immenso suo amore.
«- Scrivi Josefa:
«Un padre aveva un unico figlio.
«Potenti, ricchi, circondati di buon numero di servi, di tutto quello che fa il decoro e l'agiatezza e la comodità della vita, nulla mancava loro per essere felici. Il, figlio bastava al padre, il padre al figlio e tutt'e due trovavano l'uno nell'altro una piena felicità, mentre i loro cuori nobili, generosi, si volgevano con delicata carità verso le miserie altrui.
«Ora accade un giorno che uno dei servi di quell'ottimo padrone cadde malato. La malattia si aggravò tanto che per sottrarlo alla morte non c'era più speranza che nelle cure più assidue e nei più energici rimedi.
«Ma il servo stava a casa sua, povero e solo.
«Che fare per lui? Abbandonarlo e lasciarlo morire? Il padrone buono non può risolversi a questo pensiero. Mandargli uno dei servi? Ma il suo cuore potrà riposare in pace su cure prestate più per interesse che per affetto?
«Mosso dalla compassione, chiama il figlio e gli confida le sue ansie: gli espone le condizioni di quel poveretto sul punto di morire. Aggiunge che solo assidue e amorevoli cure potrebbero rendergli la salute e assicurargli una lunga vita.
«Il Figlio, il cui cuore batte all'unisono con quello del padre, si offre, se tale è la sua volontà, di curarlo egli stesso con molta vigilanza, non risparmiando né pene né fatiche, né veglie, finché non sia tornato in salute.
«Il padre acconsente: fa il sacrificio della dolce compagnia di questo figlio che, sottraendosi alla tenerezza paterna, si costituisce servo e discende alla casa di colui che, in realtà, è suo servo.
«Trascorre così vari mesi al capezzale dell'infermo, vegliandolo con delicatezza attenta e prodigandogli mille cure e provvedendo non soltanto a ciò che richiede la sua guarigione, ma anche al suo benessere, finché non giunge a rendergli le forze.
«Il servo allora, pieno di ammirazione alla vista di ciò che ha fatto per lui il suo padrone, gli domanda come potrà esprimere la sua riconoscenza e corrispondere a così meravigliosa e insigne carità.
«Il figlio gli consiglia di presentarsi al padre e, guarito com'è, offrirsi a lui per essere il più fedele dei suoi servi, in cambio della sua grande liberalità.
«Quell'uomo allora si presenta al padrone e nella convinzione di ciò che gli deve, esalta la sua carità e quel che è meglio ancora, si offre a servirlo senza alcun interesse, poiché al servizio di un tal signore, non ha bisogno di essere pagato come un servitore, essendo stato trattato e amato come un figlio!
«Questa parabola non è che una debole immagine del mio amore per gli uomini e della risposta che aspetto da loro. La spiegherò gradatamente affinché tutti conoscano il mio Cuore!»
Gesù tace un istante e quindi procede con ardore:
«- Aiutami, Josefa, aiutami a manifestare il mio Cuore agli uomini! Ecco che sto per dir loro che invano cercano la felicità fuori di Me: non la troveranno!... Tu, soffri e ama, poiché dobbiamo conquistare le anime!»
La giornata scorre e si chiude nel lavoro e la fedeltà che sempre mantengono Josefa esteriormente simile alle consorelle.
Tuttavia il suo pensiero rimane fisso in quello del Maestro.
All'ora del riposo il cambio della fiamma rianima i suoi desideri ardenti e Nostro Signore prima di lasciarla le affida questo desiderio:
«- Ho sete, Josefa, ho sete di un'anima che questa notte terminerà la sua vita mortale».
Ella Gli chiede se si tratta di un peccatore da salvare. No, è un 'anima amatissima del suo Cuore.
«- Ma voglio - Egli dice - che la tua sofferenza supplisca alle grazie di cui, per fragilità, non ha saputo profittare, affinché raggiunga in questi pochi istanti, un più alto grado di gloria».
Chi non ammirerà qui l'onnipotente bontà di nostro Signore per le anime che ama ed alla perfezione delle quali lavora fino all'ultimo loro respiro? Chi non rimarrà commosso della delicatezza con cui Gesù apre anche questo orizzonte alla preghiera e all'offerta apostoliche? I peccatori, indubbiamente, hanno bisogno di intercessioni che dovranno salvarli all'ultimo momento. La preghiera che circonda le anime sante in procinto di lasciare la terra è una cooperazione non meno importante all'azione divina, poiché in quegli estremi istanti la grazia mette la sua mano al compimento della sua opera.
I dolori della notte succedono a quelli del giorno fino al momento in cui una luce misteriosa attraversa la sua cella e Josefa si trova in una completa pace, libera da ogni sofferenza.
«- Quell'anima è entrata in cielo!» le dirà la Madonna il giorno dopo, nel ringraziamento della Comunione».
Queste gioie apostoliche rianimano Josefa e sempre più la legano agli interessi del Cuore di Gesù.
Il giovedì 14 giugno, verso le otto del mattino Lo aspetta nella sua cella ed Egli le appare «tutto avvolto di grande maestà»
«- Josefa, umiliati a terra, adora il tuo Dio per riparare le offese e il disprezzo che riceve dalla maggior parte degli uomini. Amalo per supplire all'ingratitudine delle anime! Ora continua a scrivere».
Riprendendo allora la parabola del servitore, Gesù vuole spiegarla al mondo:
«- Dio creò l'uomo per amore. Lo collocò sulla terra in condizioni tali che niente potesse mancare quaggiù alla sua felicità, mentre aspettava l'eterna. Ma per avervi diritto doveva osservare la legge dolce e sapiente imposta dal Creatore.
«L'uomo, infedele a questa legge, cadde gravemente malato: commise il primo peccato. L'uomo, cioè il padre e la madre, il ceppo del genere umano. Tutta la posterità fu macchiata della sua bruttura. In lui l'umanità intera perdette il diritto alla felicità perfetta che Dio gli aveva promesso e dovette, d'allora in poi, tribolare, soffrire, morire.
«Dio nella sua beatitudine: non ha bisogno né dell'uomo né dei suoi servizi: basta a sé stesso. La sua gloria è infinita e niente la può diminuire.
«Tuttavia, infinitamente potente, è anche infinitamente buono. Lascerà soffrire e morire l'uomo creato per amore? No, gli darà una nuova prova di questo amore e, ad un male così estremo, applicherà un rimedio di valore infinito. Una delle Persone della SS.ma Trinità prenderà l'umana natura e riparerà divinamente il male cagionato dal peccato.
«Il Padre dà il proprio Figlio. Il Figlio sacrifica la sua gloria scendendo in terra non in qualità di signore, di ricco, di potente, ma nella condizione di servo, di povero, di bambino. La vita che Egli condusse in terra la conoscete tutti.
«Sapete come dal primo momento della mia incarnazione, Mi sottomisi a tutte le miserie della natura umana.
«Bambino soffrii il freddo, la fame, la povertà e le persecuzioni. Nella mia vita di operaio fui spesso umiliato e disprezzato come il figlio di un povero falegname. Quante volte mio padre adottivo ed io, dopo aver portato il peso di una lunga giornata di lavoro, ci trovavamo la sera ad aver appena guadagnato quanto bastava ai bisogni della famiglia... E così sono vissuto per trenta anni!
«Allora abbandonai la dolce compagnia di mia Madre, Mi consacrai a far conoscere il mio Padre celeste, insegnando a tutti che Dio è carità.
«Sono passato facendo bene ai corpi e alle anime: ai malati ho dato la salute, ai morti la vita, alle anime?... Ah! Alle anime... ho reso loro la libertà perduta col peccato, ho loro aperto le porte della vera ed eterna patria.
«Venne poi l'ora in cui per comprare la loro salvezza il Figlio di Dio volle dare la sua stessa vita!
«E in qual maniera morì? Circondato da amici?... Acclamato come benefattore?... Anime carissime, voi ben sapete che il Figlio di Dio non ha voluto morire così: Egli non aveva sparso altro che amore, fu vittima dell'odio... Egli aveva portato la pace al mondo, fu oggetto di crudeltà accanita... Egli aveva reso la libertà agli uomini: fu imprigionato, legato, maltrattato, calunniato e morì infine su una croce tra due ladroni, disprezzato, abbandonato, povero e spogliato di tutto.
«Così Egli si immolò per salvare gli uomini... così compì l'Opera per la quale aveva lasciato la gloria del Padre suo: l'uomo era malato e il Figlio di Dio scese verso di lui. Non soltanto gli rese la vita, ma gli meritò la forza e i mezzi necessari per acquistare quaggiù il tesoro dell'eterna felicità.
«Come ha risposto l'uomo a tale favore? Si è offerto come il buon servitore al servizio del Padrone divino senza altro interesse che gli interessi di Dio?...
«Qui bisogna distinguere le differenti risposte dell'uomo al suo Dio.
«Ma basta per oggi. Rimani nella mia pace, Josefa, e non dimenticare che sei la mia vittima! Ama e abbandona a Me tutto il resto! »

SOMMARIO

                                                                                                                                                                                                                                 
LA RISPOSTA DEGLI UOMINI • 15 - 19 GIUGNO 1923

Le mie parole avranno tanta forza e la mia grazia le accompagnerà in modo che le anime più ostinate saranno vinte dall'amore! - (Nostro Signore a Josefa - 19 giugno 1923). ♦ Pag.462

Tuttavia la giornata del venerdì, 15 giugno, trascorre senza che Gesù si mostri. Josefa è stata, come ogni mattina, ad aspettarlo ‘e non è venuto’, scrive. Ella interroga se stessa perché teme sempre la sua debolezza, e si accusa di una piccola resistenza di fronte al cammino che alla sua anima costerà sempre.
«Gesù mi ha fatto capire molto chiaramente che non solo è una pena per il suo Cuore, ma anche la causa per cui anime, che attendono la grazia da questi piccoli atti, non siano aiutate ad accostarsi a Lui come Egli vorrebbe. Così quando la sera è venuto, Gli ho chiesto perdono per la mia poca generosità.
Con molta bontà Egli mi ha risposto:
«- Sì, Josefa, lascia entrare la luce nel tuo cuore. Nulla è piccolo di ciò che si fa per amore. No, per il mio amore non esistono cose piccole, poiché la forza stessa dell'amore le rende grandi».
E sempre la stessa lezione che il suo Cuore non si stanca di ripetere affinché le anime non si stanchino mai di offrirgli i più piccoli sforzi.
Dacché Josefa è tornata da Marmoutier non sa quasi che cosa sia il riposo di notte. Quando Nostro Signore la lascia, dopo il dono della fiamma uscita dal suo Cuore, essa rimane a lungo sotto l'azione di quel fuoco che la consuma. Quindi i dolori che invadono anima e corpo non cessano di ricordarle per lunghe ore che essa è la vittima eletta per L'Opera del Maestro.
Tuttavia ogni mattina ella giunge puntualmente alla meditazione, partecipa alla S. Messa con le consorelle, e subito dopo riprende il suo lavoro, senza che nulla tradisca il mistero della notte. La sua energia è invincibile e il sorriso cerca di nascondere la prostrazione delle forze che talvolta si legge nel suo aspetto.
«Oggi - scrive il sabato 16 giugno - Nostro Signore è venuto alle otto e mostrandomi il Cuore mi ha detto:
«- Guarda questo Cuore di padre che si consuma d'amore per tutti i suoi figli. Ah! quanto vorrei che essi Mi conoscessero!»
E Gesù stesso si degna far conoscere le varie risposte umane, agli inviti e all'amore di Dio:
«-Alcuni Mi hanno veramente conosciuto e spinti dall'amore, hanno sentito accendersi in cuore il vivo desiderio di dedicarsi completamente e senza interesse al mio servizio, che è quello del Padre mio.
Gli hanno chiesto ciò che potrebbero fare di più grande per Lui e il Padre mio ha loro risposto:
«'Lasciate la vostra casa, i beni, voi medesimi, e venite dietro a Me per fare ciò che vi dirò'».
«Altri si sono sentiti commuovere il cuore alla vista di ciò che il Figlio di Dio ha fatto per salvarli. Pieni di buona volontà si sono presentati a Lui domandando come corrispondere alla sua bontà e lavorare per i suoi interessi, senza però abbandonare i propri.
«A costoro il Padre mio ha risposto: Osservate la legge che il Signore vostro Dio vi ha data. Osservate i miei comandamenti senza sviarvi né a destra né a sinistra; vivete nella pace dei servi fedeli.
«Altri, poi, hanno capito ben poco quanto Dio li ami! Tuttavia un poco di buona volontà ce l'hanno, e vivono sotto la sua legge, ma senza amore.
«Questi non sono dei servi volontari, perché non si sono offerti agli ordini del loro Dio... Ma, siccome in essi non c'è cattiva volontà, in molti casi basta loro un suggerimento perché si prestino al suo servizio.
«Altri poi si sottomettono a Dio più per interesse che per amore e nella stretta misura necessaria per la ricompensa finale promessa a chi osserva la legge.
«Tuttavia gli uomini si dedicano tutti al servizio del loro Dio? Non ce ne sono forse di quelli che,
ignari del grande amore di cui sono oggetto, non corrispondono affatto a ciò che Gesù Cristo ha per essi compiuto?
«Ahimè!... Molti Lo hanno conosciuto e disprezzato... molti non sanno neppure chi sia!...
«A tutti Gesù stesso dirà ora una parola d'amore.
«Parlerò dapprima a coloro che non Mi conoscono. Sì, a voi, carissimi figli, che fino dall'infanzia viveste lontani dal Padre. Venite! Vi dirò perché non Lo conoscete: e quando comprenderete chi Egli sia, e quale Cuore amante e tenero abbia per voi, non potrete resistere al suo amore.
«Non accade spesso a coloro che crescono lontano dalla casa paterna di non provare alcun affetto per i genitori?... Ma se un giorno sperimentano la tenerezza del padre e della madre non li amano forse più ancora di quelli che non hanno mai lasciato il loro focolare?
«A voi, che non soltanto non Mi amate, ma Mi odiate e perseguitate, Io chiederò soltanto: 'Perché quest'odio accanito?... Che cosa vi ho fatto perché Mi maltrattiate così?...'. Molti non si sono mai fatti questa domanda, ed ora che Io stesso la rivolgo loro, forse risponderanno: 'Non so'.
«Ebbene risponderò per voi!
«Se dalla vostra infanzia non Mi avete conosciuto, è stato perché nessuno vi ha insegnato a conoscermi. E mentre voi crescevate le inclinazioni naturali, l'attrattiva per il piacere e per il godimento, il desiderio della ricchezza e della libertà sono cresciuti con voi.
«Poi un giorno avete inteso parlare di Me. Avete sentito dire che per vivere secondo la mia volontà occorreva amare e sopportare il prossimo, rispettare i suoi diritti e i suoi beni, sottomettere e incatenare la propria natura: insomma, vivere sotto una legge. E voi che fino dai primi anni non viveste che eseguendo il capriccio della vostra volontà e forse gli impulsi delle passioni, voi che non sapevate di quale legge si trattasse, avete protestato con forza: 'Non voglio altra legge che me stesso, voglio godere di essere libero!'
«Ecco come avete incominciato ad odiarmi ed a perseguitarmi!
«Ma Io che sono vostro Padre vi amavo e mentre con tanto accanimento lavoravate contro di Me, il mio Cuore più che mai si riempiva per voi di tenerezza.
«Così trascorsero gli anni della vostra vita... forse numerosi...
«Oggi non posso più a lungo contenere il mio amore per voi! E vedendovi in guerra aperta contro Colui che tanto vi ama, vengo a dirvi Io stesso quello che sono.
«Sono Gesù, e questo nome significa Salvatore. Perciò ho le mani forate dai chiodi che Mi tennero confitto alla croce su cui sono morto per vostro amore... I miei piedi portano i segni delle stesse piaghe e il mio Cuore è aperto dalla lancia che mi trafisse dopo la mia morte!...
«Così Io mi presento a voi per insegnarvi chi sono Io e quale è la mia legge. Non v'intimorite, è legge di amore!... Allorché Mi conoscerete troverete la pace e la felicità. Vivere come orfani è triste! Venite, figli, venite al Padre vostro!
«Fermiamoci, Josefa: domani continueremo. In quanto a te, ama il tuo Padre e vivi di questo amore!»
Con queste parole Gesù la lascia, ed essa rimane per qualche istante immersa nel raccoglimento di cui l'ha penetrata la divina presenza. Quindi si alza e consegna alla Madre il quaderno ove ha rapidamente tracciato le parole del Maestro.
Poco dopo, eccola ritornata al suo laboratorio, sempre la stessa, intenta al lavoro indefesso che non lascia trasparire nulla dei segreti del mattino. Tuttavia la sua debolezza aumenta. L'amore la sostiene, ma ella soffre della sua impotenza a dominare la stanchezza che talora la invade, e se lo rimprovera con la delicatezza della coscienza che si allarma per ogni minima ombra.
«- Non temere - le dice Gesù nella visita della sera - se grande è la tua miseria, più grande assai è il mio amore per te, e sulla tua debolezza lavorerà la mia forza.
«- Josefa - le ripete la mattina della domenica 17 giugno - dimmi se tu non faresti l'impossibile per rendere la salute a un malato che sta per morire? Tuttavia la vita corporale è nulla di fronte a quella dell'anima!... e tante e tante anime la ritroveranno nelle parole che ti affido! Sì, non pensare più a te stessa!»
Poi ritornando al soggetto lasciato in sospeso il giorno precedente:
«- Andiamo incontro a quelle povere anime che Mi perseguitano perché non Mi conoscono. Voglio dir loro chi sono Io, e ciò che esse sono:
«Sono il vostro Dio e il vostro Padre! Il vostro Creatore e il vostro Salvatore! Voi siete mie creature, miei figli, miei redenti anche, poiché a prezzo della mia vita e del mio sangue vi ho liberati dalla schiavitù e dalla tirannia del peccato.
«Voi avete un 'anima grande, immortale e creata per una beatitudine eterna: una volontà capace di bene, un cuore che ha bisogno di amare e di essere amato...
«Se voi cercate nei beni terrestri e passeggeri l'appagamento delle vostre aspirazioni, avrete sempre fame e non troverete mai l'alimento che pienamente sazia. Vivrete sempre in lotta con voi stessi, tristi, inquieti, turbati.
«Se siete poveri e vi guadagnate il pane col lavoro, le miserie della vita vi colmeranno di amarezza. Sentirete dentro di voi insorgere l'odio contro i vostri padroni e forse giungerete al punto di desiderare la loro sventura affinché anche essi siano soggetti alla legge del lavoro. Sentirete pesare su di voi la stanchezza, la rivolta, la disperazione stessa, perché la vita è triste e poi, alla fine, bisognerà morire!...
«Sì, umanamente considerato, tutto ciò è duro!
«Ma io vengo a mostrarvi la vita in una realtà opposta a quella che voi vedete:
«Voi che, privi dei beni terreni, siete obbligati al lavoro sotto la dipendenza di un padrone, per sovvenire ai vostri bisogni non siete affatto degli schiavi, ma creati per essere liberi...
«Voi che cercate l'amore, e vi sentite sempre insoddisfatti, siete fatti per amare, non ciò che passa, ma ciò che è eterno.
«Voi che amate tanto la vostra famiglia, e che dovete assicurarle, per quanto dipende da voi, il benessere e la felicità quaggiù, non dimenticate che, se la morte ve ne separerà un giorno, non sarà che per breve tempo...
«Voi che servite un padrone e che dovete lavorare per lui, amarlo e rispettarlo, prender cura dei suoi interessi, farli fruttare col vostro lavoro e la vostra fedeltà, non dimenticate che questo padrone non è vostro padrone che per pochi anni, poiché la vita scorre rapida e vi conduce là dove non sarete più degli operai, ma dei re per l'eternità!
«L'anima vostra, creata da un Padre che vi ama, non di un amore qualsiasi, ma di un amore immenso ed eterno, troverà un giorno, nel luogo della felicità senza fine preparatovi dal Padre, la risposta a tutti i suoi desideri!
«Là troverete la ricompensa al lavoro di cui avrete sopportato il peso quaggiù.
«Là troverete la famiglia tanto amata sulla terra e per la quale avrete sparso i vostri sudori.
«Là vivrete eternamente, poiché la terra non è che un'ombra che scompare e il cielo non passerà mai!
«Là vi unirete al Padre vostro che è vostro Dio.
«Se sapeste quale felicità vi attende!
«Forse ascoltandomi direte: 'In quanto a me non ho la fede, non credo all'altra vita!'
«Non avete fede? Ma allora, se non credete in Me, perché Mi perseguitate? Perché vi ribellate alle mie leggi, e combattete quelli che mi amano? Poiché volete la libertà per voi, perché non la lasciate agli altri?
«Non credete alla vita eterna?... Ditemi se vivete felici quaggiù; non sentite anche voi il bisogno di qualche cosa che non potete trovare sulla terra?
«Quando cercate il piacere e lo raggiungete, non vi sentite soddisfatti...
«Se volete accumulare ricchezze e riuscite ad ottenerle non vi sembrano mai bastanti...
«Se avete bisogno di affetto e se lo trovate un giorno, presto ne siete stanchi...
«No, nulla di tutto ciò è quello che voi cercate!... Ciò che bramate non lo troverete sicuramente quaggiù, perché ciò di cui avete bisogno è la pace, non quella del mondo, ma quella dei figli di Dio, e come potrete trovarla in seno alla rivolta?
«Ecco perché voglio mostrarvi dove è questa pace, dove troverete questa felicità, dove estinguerete quella sete che vi tortura da così lungo tempo.
«Non ribellatevi se Mi sentite dire: tutto ciò lo troverete nel compimento della mia legge: no, non spaventatevi di questa parola: la mia legge non è tirannica, è una legge d'amore!
«Sì, la mia legge è d'amore perché sono vostro Padre.
«Voglio insegnarvi ciò che è questa legge, e ciò che è il mio Cuore che ve la dà, questo Cuore che non conoscete e che così spesso ferite! Voi Mi cercate per darmi la morte, ed Io vi cerco per darvi la vita! Chi di noi trionferà? E la vostra anima rimarrà sempre così dura nel contemplare Colui che vi ha dato la sua vita e tutto il suo amore?
«Addio, Josefa, ama questo Padre che è il tuo Salvatore e il tuo Dio!»
Ella non trova difficoltà a ripetere questo amore attraverso i mille particolari della sua lunga giornata. Il pensiero di tante anime che soffrono nell'ignoranza, nell'errore e nell'ingratitudine, sorde agli inviti liberatori del Salvatore, non l'abbandona mai, e in questa preghiera incessante cerca la sera di quella domenica di prendere il riposo notturno.
Ma si è appena coricata che improvvisamente le appare Nostro Signore. Si alza e prostrandosi ai suoi piedi rinnova i suoi voti.
«Le sue piaghe - ella scrive - erano largamente aperte e ne uscivano fiamme. Con una mano teneva la corona di spine e i chiodi, con l'altra sosteneva la croce».
«- Josefa, vuoi che ti manifesti i miei desideri?
«Guarda le mie piaghe: vorrei farvi penetrare i peccatori.
«Sì, in questa notte, voglio attirare in esse molte anime!
«Prendi la mia croce, i chiodi, la corona. Io andrò in cerca delle anime e quando saranno sull'orlo dell'abisso concederò loro la luce perché ritrovino la vera vita.
«Prendi la mia croce, custodiscila bene!... Tu sai che è un grande tesoro!»
«Subito ho sentito gravare pesantemente sulle mie spalle la croce».
«- La corona - ed Egli me la calcò con forza sul capo - Io stesso con essa ti cingo la fronte e le ferite delle spine otterranno luce agli intelletti ottenebrati.
«Prendi anche i chiodi: custodiscili!... Vedi quale prova di fiducia ti dò: sono i miei tesori! Ma siccome sei la mia sposa, non temo di affidarteli, so che me li custodirai!
«E ora vado a cercare le anime perché voglio che tutte Mi conoscano e Mi amino!»
«A queste parole il suo Cuore si è ancor più infiammato ed ha proseguito con grande ardore:
«- Non posso più contenere l'amore che ho per esse, e l'amore è così grande che trionferà di ogni resistenza! Si, voglio che Mi amino! Voglio essere il loro re! Andiamo ad attirarle nelle mie piaghe. Andrò a cercarle, e quando le avrò trovate, tornerò a riprendere la mia croce.
«Ora, Josefa, soffri per Me!... ma prima farò penetrare nell'anima tua la freccia d'amore che la purificherà, poiché tu devi essere molto pura, come devono essere le mie vittime».
Nel momento stesso una fiamma si riversò dal Cuore di Gesù su quello di Josefa.
«Allora – disse - non ho più visto che il solo Cuore, poi tutto è scomparso!»
Josefa rimase lunghe ore nei dolori indicibili prodotti dalla corona, dai chiodi, dal peso della croce, alla testa, alle mani, ai piedi, in tutto il corpo.
«Il tempo mi è sembrato così lungo - scrive - e quasi credevo che più di un notte fosse trascorsa così.
«All'improvviso ho visto Nostro Signore in una luce smagliante, e dietro a Lui, da due lati, nello splendore che irraggiava dalla sue mani, apparivano molte anime».
«- Guarda le anime che sono venute dietro a Me!
«Tutte queste Mi hanno riconosciuto! Povere anime! Come si sarebbero perdute, se non fossi stato là... Ma ero là per salvarle e dar loro la luce in mezzo alle tenebre. Ora Mi seguiranno... e saranno pecorelle fedeli».
«Rendimi i miei tesori e riposa sul mio Cuore».
«Ha ripreso la croce e i chiodi e mi ha lasciato la corona».
Con quanta energia all'alba Josefa deve riprendere la sua vita abituale! Nessuno suppone quali splendori hanno illuminato durante la notte la piccola cella in cui essa ha custodito i tesori del Maestro, mentre Egli correva a cercare le anime! Quale grazia tutta speciale deve sostenerla per supplire all'esaurimento delle sue forze fisiche! E tuttavia una nuova impresa redentrice l'aspetta ora a favore di un'anima per la quale Nostro Signore viene a cercarla nella cella il lunedì mattina, 18 giugno.
«Era come un povero - ella scrive. - Oh! Signore! Che ti è accaduto? Perché sei così? Ho rinnovato i voti, col maggior fervore possibile, ed Egli mi ha detto:
«- Consolami! Il mio Cuore è afflitto perché devo abbandonare un'anima a Me consacrata: un sacerdote!»
«Ma Signore, è impossibile! ricordati quello che mi dicesti dei peccatori: che Tu li ami e che sei sempre disposto a perdonare!»
«- Guarda in quale stato quest'anima ha ridotto il mio Cuore... sto per abbandonarla alle proprie forze!»
«Ho provato tanto dolore vedendo il suo Cuore tutto coperto di ferite e soprattutto pensando che quell'anima poteva essere abbandonata a se stessa, che L'ho supplicato di ricordarsi della sua misericordia e del suo amore. Gesù mi ha detto:
«- Se tu puoi sopportare le sofferenze che quest'anima Mi cagiona, te l'affiderò».
«Sì, o Signore, se Tu ti degni di aiutarmi! Allora L'ho consolato come ho potuto, offrendogli l'amore di questa casa, del mondo, delle anime sante, dei sacerdoti... Ho baciato più volte la terra ed ho anche recitato il Miserere e poi, non sapendo che fare, L'ho supplicato di dirmi ciò che desiderava da me».
«- Sì, te lo dico: non risparmiar niente per consolarmi, poiché quest'anima non si nega niente per offendermi».
«Ho continuato ad offrirgli ciò che pensavo poter essergli più gradito e a poco a poco il suo Cuore si è dilatato ed Egli mi è parso meno triste».
«- L'ostinazione di un'anima colpevole - ha detto - ferisce profondamente il mio Cuore, ma la tenerezza di un'anima amante, non solo chiude la mia ferita, ma placa la giustizia del Padre mio».
«Quindi Gesù è scomparso, lasciandomi in una grande sofferenza di anima e di corpo, che ho sostenuto durante il giorno intero».
La notte seguente sarà una di quelle lunghe e dolorose riparazioni, alle quali il Signore ha abituato Josefa quando un'anima ha bisogno delle sue espiazioni.
Nella sua cella la sera, le porta la corona, la croce i chiodi:
«- Voglio - le dice - non solo purificarti, ma infiammarti di quello zelo che divora e consuma il mio Cuore».
Quindi avvolgendola nella fiamma che divampa dalla ferita prosegue:
«- Anche questa notte dovremo soffrire per quell’anima che fugge da Me... Prendi la mia croce, i miei chiodi, la mia corona. Stammi unita, ed andrò a cercarla...».
Scomparve... Quando ritornò molto dopo disse con grande bontà:
«- Tu soffri, Josefa e quell'anima resiste... la chiamo ed essa disprezza il mio amore!»
Rimase un istante in silenzio, poi parlando a se stesso continuò.
«- Non è tanto l'offesa del momento che Mi ferisce, quanto l'ostinata resistenza di quell'anima. Se resta sorda al mio richiamo, come non abbandonarla?
«Ora riposati, e Io andrò a rinnovarle il mio richiamo».
«Ha ripreso la croce, ma come potevo dormire pensando al suo dolore, ed a quell'anima?»
Durante il ringraziamento della Comunione del giorno dopo, martedì 19 giugno, Nostro Signore apparve a Josefa nella sua risplendente bellezza:
«- Quell'anima - disse - sta per ascoltare la mia voce, e quantunque la sua risoluzione non sia ancora presa, comincia a rivolgersi a Me... Tu sai che ti ho incaricata non soltanto della sua salvezza ma della sua santità! Voglio che comprenda che tutti i beni di quaggiù non sono niente per l'eternità... Bisogna ottenerle la forza per abbracciare l'austerità della via in cui la voglio, altrimenti rimarrà in grande pericolo.
«Povera anima! Ha bisogno di luce!»
Josefa rinnova l'offerta di se stessa per quell'anima che sente tanto cara al Cuore del Maestro. Poi, prendendo ardire dalla bontà di Lui, Gli confida ciò che le sta più a cuore. Dacché Egli ha cominciato a trasmetterle il suo Messaggio al mondo, ella si domanda continuamente, nella meditazione, se le anime, tutte le anime sapranno poi riceverlo, intenderlo, corrispondervi come Egli desidera...
Il pensiero che un tale invito possa rimanere inascoltato la sconvolge alle volte, e il suo amore non può accettare per Lui una tale delusione.
Da molti giorni Josefa prova questa ansia senza osare di manifestarla a Gesù: ora non può più nasconderla!
Allora con quella forza inesprimibile, che ella non sa tradurre, ma che dà alla voce del Signore qualcosa di solenne e di dolce insieme, Egli risponde:
«- Josefa, non temere. Non sai ciò che accade quando un vulcano erompe? La potenza di quel fuoco è così grande che è capace di smuovere le montagne e di distruggerle in modo da far conoscere che una forza irresistibile è passata di là. Allo stesso modo le mie parole avranno tale forza e la mia grazia le accompagnerà in tale maniera che le anime più ostinate rimarranno vinte dall'amore.
«La società è pervertita allorché coloro che la governano agiscono senza giustizia e senza verità. Ma quando il capo sa dirigerla, certo ancora molti seguiranno le vie storte, ma la maggioranza andrà in massa incontro alla luce e alla verità... Lo ripeto, la mia grazia accompagnerà le mie parole e coloro che le faranno conoscere: la verità trionferà, la pace governerà le anime e il mondo!... Il mio regno verrà (18)».
(18) “Mi gracia accompagnárá a mis palabras y a las personas encargadas de harcelas conocer. La verdad triunfará… La paz gobernará las almas y mundo… y mi reino llegará.”
Josefa rimane colpita dal vigore con cui Nostro Signore ha pronunziato quelle parole. Non dubita più dell'adempimento della divina promessa, e il suo cuore rinfrancato si apre alla
fiducia: niente ostacolerà il disegno di amore di cui ogni giorno più scopre la vastità. Nessuna opposizione sarà capace di rompere nel loro slancio divino i torrenti di misericordia che stanno per sommergere il mondo.
Qualche istante dopo Gesù finisce di dettare il suo invito alle anime:
«- Josefa, Mi ami?» le chiede trovandola nella cella.
«Signore è il mio unico desiderio! Allora mi ha risposto:
«- Io pure ti amo, perché la tua piccolezza è tutta mia!»
«Quindi ha aggiunto»:
«- Scrivi!
«Ora, figli miei, udite ciò che il Padre vostro chiede come prova del vostro amore: sapete bene che una disciplina è necessaria in un esercito, ed un regolamento in una famiglia ben ordinata. Così nella grande famiglia di Gesù Cristo è necessaria una legge, ma una legge piena di dolcezza.
«Nell'ordine umano i figli portano sempre il nome del padre, senza il quale non potrebbero essere riconosciuti come appartenenti alla famiglia».
«Così i miei figli si chiamano cristiani, nome che loro conferisce alla loro nascita il Battesimo.
Voi che avete ricevuto questo nome siete miei figli e avete diritto a tutti i beni del padre vostro.
«So che non Mi conoscete e che non Mi amate, anzi Mi odiate e Mi perseguitate. Tuttavia Io vi amo di un amore infinito. Voglio farvi conoscere quell'eredità a cui avete diritto, e il poco che dovete fare per acquistarla:
«Credete al mio amore e alla mia misericordia.
«Mi avete offeso: Io vi perdono.
«Mi avete perseguitato: Io vi amo.
«Mi avete ferito con le parole e le opere: voglio farvi del bene e aprirvi i miei tesori.
«Non pensate che Io ignori quale fu la vostra vita fin qui: so che avete disprezzato le mie grazie, forse anche profanato i miei Sacramenti. Ma vi perdono!...
«E se volete vivere felici in terra e assicurare nello stesso tempo la vostra eternità, fate d'ora innanzi quanto vi dirò:
«Siete poveri? Quel lavoro che la necessità vi impone eseguitelo con sottomissione e sappiate che Io pure ho vissuto trent'anni assoggettandomi alla stessa legge, perché fui povero, anzi poverissimo!
«Non considerate mai i vostri padroni come tiranni, non nutrite verso di loro sentimenti di odio, non desiderate il loro male, ma curate i loro interessi e siate loro fedeli.
«Siete ricchi? Avete sotto di voi operai e servi?... Non sfruttate il loro lavoro, rimunerate giustamente le loro fatiche, e date loro prova di affetto con dolcezza e bontà. Pensate che se voi avete un 'anima immortale essi pure ce l'hanno: se voi avete ricevuto le sostanze che possedete, non è soltanto per il vostro godimento e benessere personale, ma affinché amministrandole saggiamente possiate esercitare la carità verso quelli che vi circondano.
«Dopo aver accettato, gli uni e gli altri, con sottomissione questa legge del lavoro, riconoscete umilmente l'esistenza di un Essere che presiede a tutto il Creato. Questo Essere è il vostro Dio, e insieme il vostro Padre.
«Come Dio v'impone di adempire la sua legge divina.
«Come Padre vi chiede di sottomettervi da figli ai suoi comandamenti.
«Così, quando voi avete passato tutta una settimana nei vostri lavori, nei vostri affari, ed anche nei vostri sollievi... vi domanda di dare almeno una mezz'ora all'adempimento del suo precetto. È questo esigere molto?
«Andate dunque alla sua casa. Vi attende giorno e notte. E ogni domenica o giorno di festa riservategli questa mezz'ora, assistendo a quel mistero d'amore e di misericordia che si chiama MESSA.
«Là parlategli di tutto: della vostra famiglia, dei figli, dei vostri affari, dei vostri desideri... Esponetegli le vostre difficoltà e le vostre pene... Se sapeste come vi ascolterà e con quale amore!
«Voi forse Mi direte: 'Non so come assistere alla Messa! Da tanto tempo non ho varcato la soglia di una chiesa!...' Non temete per questo. Venite e passate soltanto questa mezz'ora ai miei piedi. Lasciate che la vostra coscienza dica quello che dovete fare e date ascolto alla mia voce. Aprite l'anima vostra, e la mia grazia vi parlerà. Essa a poco a poco vi mostrerà come dovete agire in ogni circostanza della vostra vita, come comportarvi in famiglia e negli affari, come allevare i figli, amare gli inferiori, rispettare i superiori. Forse essa vi ispirerà di lasciare quell'impresa, di rompere una cattiva amicizia, di allontanarvi energicamente da quella riunione pericolosa. Vi dirà che odiate la tal persona senza ragione e che dovete fuggire i consigli e separarvi da quell'altra che amate e frequentate.
«Provate a fare così, e a poco a poco si prolungherà la catena delle mie grazie! Tanto nel male come nel bene, tutto sta nel cominciare. Gli anelli della catena si seguono l'un l'altro. Se oggi ascoltate la mia grazia e la lasciate agire in voi, domani l'ascolterete meglio, più tardi meglio ancora e così di giorno in giorno la luce verrà, la pace aumenterà e la vostra felicità sarà eterna!
«L'uomo non è creato per restare sempre quaggiù: è fatto per l'eternità. Se dunque è immortale, deve vivere non per quello che muore, ma per ciò che dura.
«Giovinezza, ricchezza, sapienza, gloria umana, tutto questo è un niente... passa e finisce! Dio solo sussiste in eterno!
«Il mondo e l'umana società sono pieni di odio e di continue lotte, popoli contro popoli, nazioni contro nazioni, individui contro individui, perché il fondamento della fede è quasi del tutto scomparso.
«Rinasca la fede e tornerà la pace e regnerà la carità!
«La fede non nuoce alla civiltà, né si oppone al progresso. Anzi, più è radicata negli individui e nei popoli, più crescono in loro la saggezza e la scienza, poiché Dio è sapienza e scienza infinita. Ma dove non c'è più la fede, la pace scompare, e con essa la civiltà, la cultura, il vero progresso... poiché Dio non è nella guerra!... Allora non ci sono che divisioni di idee, lotte di classe, e nell'uomo stesso ribellione delle passioni contro il dovere. Allora sparisce tutto ciò che fa la nobiltà dell'uomo: non rimane che la rivolta, l'insubordinazione, la guerra!...
«Ah! Lasciatevi convincere dalla fede e sarete grandi! Lasciatevi dominare dalla fede e sarete liberi! Vivete secondo la fede e non morrete eternamente!»
Con queste ultime parole il Messaggio al mondo è compiuto. Nostro Signore abbassa lo sguardo su Josefa:
«- Addio - le dice - tu sai che aspetto da voi riparazione e amore: l'amore si prova con gli atti. Che tutto in voi provi l'amore. Siate le messaggere dell'amore nelle cose più piccole come nelle più grandi. Fate tutto per amore. Vivete di amore!»
E così dicendo scomparve.

SOMMARIO

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     
CAPITOLO 11

L'OMBRA DELLA CROCE • L'ANNIVERSARIO DEI PRIMI VOTI 20 GIUGNO - 16 LUGLIO 1923

Ripetimi la tua gioia di essere la mia sposa. (Nostro Signore a Sorella Josefa -16 luglio 1923) ♦ Pag.479

L'addio del Signore si prolunga, e il demonio ritrova la sua libertà incatenata da qualche tempo. Egli comprende ora che cosa rappresentino contro il regno delle tenebre i piani divini che vanno sempre più nettamente affermandosi. Il suo odio si accanisce per distruggerli, ma invano.
Il 20 giugno Josefa nota umilmente che ha ceduto alle ripugnanze che le sembrano alle volte invincibili di fronte a questa via straordinaria ed a tutto ciò che ella esige. Gesù non si mostra più, e la sua assenza risveglia presto nella sua anima la visione assai netta che ella non può sottrarsi a questa volontà divina alla quale si è abbandonata totalmente.
Nonostante queste ore di debolezza che ella rimpiange con tanta sincerità, nulla ritira della sua offerta. Il Maestro lo sa e, se la lascia di nuovo in balia degli assalti delle tentazioni, la difende e la conserva nel più profondo del suo Cuore.
Tuttavia essa non ne ha né la percezione né la consolazione. Mentre il nemico si erge come altre volte sul suo cammino, Josefa lotta e soffre nella più completa desolazione.
Questo bel mese di giugno, così luminoso nei suoi inizi, si spenge dunque nella notte.
Però i primi giorni di luglio risvegliano i ricordi dell'anno precedente. Si avvicina l'anniversario dei suoi voti - 16 luglio 1922 - ed è una piccola luce che incomincia a delinearsi all'orizzonte di quell'oscuro sotterraneo.
Josefa fissa il suo sguardo su questa offerta che si prepara a rinnovare una volta di più con tutta la generosità della sua fiducia e del suo coraggio. Quanto deve commuovere e glorificare il Cuore di Gesù l'ardore di questo desiderio che nessuna tribolazione può raffreddare!
La mattina del venerdì 13 luglio, dopo una notte più tormentosa del solito, si vede improvvisamente in presenza del Maestro. Non osa credere alla felicità di un ritorno così inaspettato.
«- Josefa, non temere, avvicinati!», le dice.
E siccome ella esita ancora:
«- Se non ardisci avvicinarti a Me, Io mi avvicinerò a te. Tu non puoi comprendere fino a qual punto ti ami! e per quanto grande possa essere il numero delle tue miserie, la misericordia del mio Cuore è molto più grande ancora».
Josefa lo sa e non può dubitare di Lui!
«Egli è tanto buono - scrive - che L'ho supplicato di perdonarmi, di salvare le anime, di non permettere che io sia di ostacolo ai Suoi disegni e all'Opera sua».
Questa è sempre la sua prima preoccupazione, in mezzo a tutte le sofferenze.
«- Sei già da un pezzo perdonata, Josefa e le grazie che sto preparando per le anime non andranno perdute!... no, non resteranno nascoste e le spargerò sul mondo!
«In quanto a te, non rifiutarmi nulla. Lascia che il mio Cuore ti lavori e impieghi per distruggerti tutti i mezzi necessari, anche i più energici. Fa' e dì tutto ciò che ti chiedo e non temere. Ti amavo prima della prova e ti amo sempre. Il mio amore non cambia!»
Quest'assicurazione la fortifica divinamente. Il demonio potrà nuovamente assalirla, la sua rabbia cozzerà invano contro la rupe della fede e dell'amore. Inutilmente si sforza di farle credere che le sue astuzie sapranno mettere ostacolo alla venuta del Vescovo e così «impedire che l'Opera faccia un passo definitivo»: la sua fiducia è irremovibile.
Il sabato 15 luglio, la Madonna fino dalla S. Messa presiede a questa vigilia di raccoglimento e di promesse che Josefa desidera offrire a Gesù per preparare il primo anniversario dei voti.
Da circa un mese Josefa non L'ha più rivista e perciò prova un 'immensa gioia. Tuttavia il primo movimento è sempre quello di palesare la sua debolezza a questa Madre amata. Vorrebbe promettere: il suo desiderio di essere fedele all'Opera di Gesù è così profondo e sincero!... Ma quanto teme di se stessa soprattutto quando Gesù esige che trasmetta i suoi messaggi, e indichi la sua volontà!
«- Non impaurirti, figlia mia - le risponde la Madonna con una tenerezza piena di compassione.
- Nulla ti chiede senza darti la grazia. E poi per vincere le tue ripugnanze ricordati che quanto ti comunica l'effetto della sua bontà e del suo amore per le anime».
«Le ho detto - prosegue Josefa - quale terrore mi lascia tutto quello che vedo e ascolto nell'inferno».
Allora, manifestandole il senso di quelle misteriose discese, la Madonna spiega maternamente alla figlia quale scopo abbiano nell'Opera d'amore.
«Non temere! - le dice. - Ogni volta che Gesù permette che tu soffra quelle pene, tu devi ricavarne un triplice frutto:
«In primo luogo un grande amore e una viva riconoscenza verso la Maestà divina che, malgrado le tue colpe, ti preserva dal cadere eternamente in quel baratro.
«In secondo luogo una generosità illimitata e uno zelo ardente per la salvezza delle anime, desiderando guadagnarne molte con i tuoi sacrifici e con le tue più piccole azioni, perché tu sai bene che è ciò che più Gli piace.
«Infine la vista di quel numero incalcolabile di anime imprigionate per tutta l'eternità, di quelle anime di cui neppure una può fare un solo atto d'amore... deve eccitarti, tu che puoi amare, a far salire a Dio un incessante inno d'amore che copre il, clamore di quelle continue bestemmie».
Quindi riassumendo tutto in poche parole:
«- Figlia mia: grande generosità per la salvezza delle anime, e molto amore! Lascialo fare di te ciò che vuole, lascialo compiere l'Opera sua!»
«Mi ha benedetta: io le ho baciato la mano, ed è scomparsa».
Questo giorno di ritiro si è veramente svolto nella generosità e nell'amore.
«Ho fatto i miei propositi - scrive Josefa - e vedremo se sarò fedele fino alla morte!»
Questa previsione della morte è ormai ben chiara: la segna esplicitamente nel quadernino ove segna di tappa in tappa e per sé sola i suoi desideri e le sue promesse.
In data 15 luglio 1923, vi si legge:
«Vigilia del primo anniversario dei miei voti:
«...Sono la misera creatura che Gesù ha voluto prendere per la Sua Opera d'amore. Poco importa se mi costa: io Gli devo un'intera sottomissione. Se Egli mi dice di scrivere, scriverò; se mi dice di parlare, parlerò, e così per tutto il resto. Oh, Gesù! che pena aver così male corrisposto al tuo amore!»
Poi, col suo slancio abituale e tanto semplice:
«Voglio correggermi, e con la tua grazia procurerò di vivere i mesi che mi restano senza lasciarmi mai turbare, né rifiutarti niente. Dirò tutto quello che vorrai, subito anche se è per Mons. Vescovo e farò tutto quello che mi chiederai di fare. Questo è il primo proposito;
«Il secondo sarà di obbedire in tutto alle mie Madri, soprattutto quando devo scrivere quello che mi costa sempre;
«Il terzo sarà di manifestare immediatamente le mie tentazioni19 e le minacce del demonio, poiché spesso incomincia con piccole cose, ma se non le manifesto finisco col lasciarmi turbare;
19 Ciò che Josefa chiama “tentazioni”, sono sempre le sue costanti ripugnanze di fronte alla vita nella quale Nostro Signore la conduce.
20 Da qualche mese Nostro Signore continuava ad indicare in segreto a Josefa l’epoca della sua prossima morte.
«Il quarto sarà di compiere molti piccoli atti di umiltà e di amabilità, perché so quanto Ti piacciono.
«Vedrai, Gesù, che cercherò di essere fedele fino alla morte... quattro o cinque mesi passeranno presto!... Spero che mi condurrai in cielo a Natale e, al più tardi, all'Epifania20. Sono contenta di morire perché la terra è triste, e perché ho paura della mia miseria! Lassù Ti salverò ancora delle anime e ti aiuterò. Perciò oggi Ti chiedo con tutto il cuore di poter in questi mesi riparare tutte le mancanze della mia vita, e siccome sono tanto piccola e Tu sei il mio Sposo, prendo il tuo Cuore con tutti i suoi meriti e vi immergo le mie azioni per dare ad esse il valore che ripara e che può salvarti molte anime».
Poi, lasciando che il cuore si espanda:
«Addio, mio Gesù, chiedi quello che vuoi e nascondimi nel tuo Cuore fino al momento in cui mi condurrai in cielo. Non dimenticare la mia piccolezza e non abbandonarmi!
«Tua piccola e miserabile sposa JOSEFA».
Finalmente la domenica, 16 luglio 1923, sorge su questi umili ed ardenti desideri.
«Ho ripetuto scrive - prima della S. Comunione la formula dei miei voti come un anno fa, con la mia volontà di essere fedele fino alla morte».
Poco dopo Gesù le appare e mostrandole il Cuore infiammato:
«- Josefa - le dice - ed Io?... Ho cessato mai di esserti fedele?»
Poi, leggendole in fondo all'anima prosegue:
«- Non temere nulla! Le tue miserie, le tue negligenze, le tue stesse colpe... Io supplisco a tutto!
Il mio Cuore è il riparatore per eccellenza... come non lo sarà per te?»
Essa Gli ripete le sue promesse e Lo supplica di compiere malgrado le sue debolezze la grande Opera del suo Cuore per la salvezza del mondo.
«- Quando pure non la facessi per amor tuo, Josefa, la compirei per le anime. Perché Io le amo!
«Certamente nulla manca alla mia felicità infinita, ma ho bisogno di anime, ho sete di anime e voglio salvarle!»
Già da qualche tempo Gesù ha comunicato questa divina sete alla sua sposa però ogni giorno di più l'intensifica in lei:
«Gli ho chiesto che sorgano molte sante tra le anime consacrate e nel mondo... molte anime che Lo consolino e Lo glorifichino. Ah! Come vorrei essere migliore per ottenere una tale grazia!»
«- Non inquietarti, Josefa, di ciò che puoi e non puoi fare. Sai bene che non puoi nulla! Ma Io sono Colui che vuole e che può! Farò tutto, anche quello che ti sembra impossibile. Soltanto lascia che mi serva di te per trasmettere alla anime le mie parole e i miei desideri. Al resto penserò Io! Supplirò a quello che non avete, a quello che non potete. A voi basti darmi la vostra libertà. A Me basta avere la vostra volontà».
Allora chinandosi verso Josefa:
«- Ripetimi la tua gioia di essere mia sposa!»
Come poteva lei esprimergli una tale felicità?... Non trova espressioni adeguate.
«- Tuttavia prosegue Nostro Signore questo è niente! La vera felicità non l'hai ancora gustata: verrà tra poco... Allora la possederai senza timore di perderla. Aspettandola riprenderemo le nostre confidenze».
La prospettiva prossima della visita del Vescovo resta pur sempre una nube all'orizzonte di Josefa. Ella supplica il Maestro divino di aiutarla, di spiegarle bene ciò che dovrà dire, perché non può fare a meno di temere quell'ora.
«- Vi indicherò tutto quello che avrete da fare risponde Nostro Signore con bontà. Non temete!
Vi dirò tutto e vi aiuterò in tutto. Lasciatemi agire!»
«Allora - ella scrive - Gli ho ripetuto i propositi presi ieri nel mio ritiro del mese. Li ha ascoltati sottolineando ciascuno con una breve parola, poi ha soggiunto:
«- Benedico queste risoluzioni, Josefa, e se talvolta ti sentirai incapace di adempierle, vieni da Me. Dimmi ciò che ti turba, che ti dà timore. Ti darò la forza, ti darò la pace. Ora va' e rimani nel mio amore, tutta abbandonata al mio volere».
Così Josefa terminò quella radiosa giornata nella pace e nella gioia di essere tutta sua.
«Sono così felice! - scrive. - Non ho che un desiderio, quello di trascorrere questi ultimi mesi di vita senza rifiutargli nulla. Ma ho paura di me e non cesso di chiedere forza e amore».
La sera le reca ancora un'altra grazia.
«Mi trovavo verso le sette, nell'oratorio della nostra beata Madre Fondatrice, quando ad un tratto ella mi apparve sempre tanto semplice e umile e prima ancora che terminassi di rinnovare i voti mi disse:
«- Figlia mia, è già passato un anno dacché li hai fatti!»
Josefa che ha una fiducia illimitata in questa madre, le espone la felicità di appartenere per sempre a Gesù, e la pena di sentirsi, come ella dice, carica di ingratitudini «tanto numerose».
«Ma, figlia mia, tu sai bene che quel Cuore è un fuoco! E che quel fuoco è per consumare le nostre miserie. Appena tu gliele abbandoni, Gesù le dimentica. E se fin qui ti ha concesso tante grazie, Egli è pronto a fartene molte di più. Il suo Cuore è una sorgente inesauribile: più dà, più desidera dare. Più' perdona, più desidera perdonare!»
E siccome Josefa le ripete tutte le sue promesse di voler essere fedele fino alla morte, che sa così vicina, la sua Beata Madre l'ascolta e l'incoraggia:
«Credimi, figlia mia, Gesù non ricorda più né le tue miserie, né le tue resistenze, ma tiene sempre presenti i tuoi buoni desideri per compiacersene. Il suo Cuore è un abisso di misericordia che non si esaurisce mai nel perdonare. E anche un abisso di ricchezza che non si esaurisce mai nel dare. Amalo quanto più puoi: non vuole altro. Riconosci la tua piccolezza e rimani sottomessa e abbandonata alla sua volontà.
«Lascialo riposare in te e riposati in Lui. Quando ricevi le sue grazie sei tu che ti riposi in Lui: quando Egli ti prova, in qualsiasi modo, è Lui che si riposa in te!
«Ringrazialo più che puoi del favore straordinario che ti ha fatto scegliendoti come sposa del suo Cuore e, pur riconoscendoti molto indegna di appartenerle, ama la Società, che è la porzione eletta del suo Cuore!
«Addio, sii molto generosa e umile, non dimenticare mai che sei un niente. Solo la sua misericordia può amarti così, coperta come sei di miserie. Ma fiducia! E poiché da te non puoi niente, lasciati condurre. Vivi nella riconoscenza, nella pace e nell'amore. Addio, figlia mia!»
«Mi ha dato la sua benedizione, le ho baciato la mano ed è scomparsa».
La Madonna avrebbe potuto mancare di visitarla nel giorno anniversario dei voti? Josefa non ne dubita, e tuttavia è giunta la sera, è inginocchiata davanti alla statuetta dell'Immacolata per offrirle la notte e rimetter l'anima nelle sue mani. In questo addio trova la sua forza ogni sera. Oggi esso è pieno di speranza... Ad un tratto la cella si riempie di splendore e Maria si mostra alla figlia amata.
«Sono sempre con te» le dice.
E rispondendo alla preghiera di Josefa:
«Se sarai fedele, figlia mia, senza mai appoggiarti su te stessa, ma solo su Gesù, Egli ti darà la forza, Egli ti aiuterà... e ti aiuterò anch'io!»
Josefa nulla può nascondere a questa Madre impareggiabile e lasciando effondersi l'anima sua, la supplica di non abbandonare la sua debolezza, soprattutto quando si trova davanti al nemico ed alle lunghe discese negli abissi infernali il cui solo pensiero la riempie sempre di terrore e di inquietudine.
«- Ricordati ciò che ti ha detto la tua beata Madre - le risponde la Madonna. - Nella sofferenza Gesù si riposa in te: perché dunque temere? Abbandonati alla volontà di Dio: tu adesso non puoi comprendere la gioia che proverai durante tutta l'eternità nel vedere tante anime salvate da te con i piccoli atti di virtù e con i tuoi sacrifici. Coraggio! La vita è un niente, e i tuoi giorni scorreranno come un lampo. Profittane e riempili dando al Cuore del tuo divino Sposo questa gloria di abbandonarti totalmente alla sua volontà e al suo beneplacito. Vivi della sua pace e del suo amore, vivi sotto il suo sguardo, e lascialo fare!»
«Ha steso la mano per benedirmi ed è scomparsa».

SOMMARIO

                                                                                                                                                                                                     
GIORNI DI PROVA16 LUGLIO - 24 AGOSTO 1923

Non temere: tutto è disposto e governato dal mio amore. (Nostro Signore a Josefa - 13 agosto 1923). ♦ Pag.487

Nella vita di Josefa assai spesso le ore luminose appaiono come annunciatrici di nuovi dolori. Quantunque il sentiero di questa privilegiata non sia mai scevro di sofferenze, Nostro Signore si compiace di adornarlo, di tanto in tanto, di croci più dolorose, affinché l'amore si perfezioni.
Più si avvicina il termine di questa esistenza, e più si afferma la legge invariabile della condotta divina.
Bisogna che Josefa si affretti a compiere in sé quello che manca alla passione di Cristo, occorre che ella sia vittima, nel pieno senso della parola, e che il Messaggio di cui è intermediaria tra il Cuore di Gesù e le anime giunga al mondo attraverso i suoi patimenti.
Il demonio fino al termine, sarà lo strumento di questi dolori. Nessuna opposizione, né persecuzione degli uomini poteva, più delle diaboliche, farle raggiungere con ugnale sicurezza e intensità le profondità in cui Dio voleva santificarla con la sofferenza.
Non dobbiamo dunque meravigliarci dei giorni tenebrosi che stanno per arrivare. Anche essi fanno parte dei disegni dell'amore, tanto quanto le grazie che hanno inondato le settimane radiose del maggio e del giugno! Sono quelle vie nascoste per le quali il Signore penetra nelle anime a loro insaputa, e prepara in esse attraverso la notte gli splendori dell'alba vicina.
Così sarà per Josefa dalla fine del luglio 1923. L'anniversario dei primi voti è appena trascorso sotto la mano benedicente di Maria, quando improvvisamente il demonio si drizza di nuovo sul suo cammino. In realtà esso non l'aveva mai lasciata a lungo tranquilla, ma nel periodo che ora si apre Josefa lo vedrà, come un tempo il Curato d'Ars, sotto forma di un gigantesco cane, ripugnante, furioso, che le si getta contro senza riuscire tuttavia ad atterrarla. Nello stesso tempo le lunghe espiazioni nell'inferno continuano a riempire la maggior parte delle sue notti, e in questo tormento l'anima sua sperimenta di nuovo ogni genere di strazi. Il demonio, come se fosse in suo potere di annientare i disegni di Dio, punta tutte le sue arti per impedire l'intervento del Vescovo di Poitiers che sa vicino, e di cui suppone l'importanza. Josefa, abitualmente tanto fragile di fronte alle menzogne del nemico, questa volta non cede. E come ha promesso a Nostro Signore, cerca forza ed aiuto nell'umile confessione della propria debolezza.
Tuttavia, gli ultimi giorni di luglio, le recano un po' di conforto, e ancora più le confermano che Dio prosegue l'Opera sua e la custodisce nella sua mano.
Il venerdì 27 luglio S. Giovanni Evangelista le appare mentre prega davanti al tabernacolo:
«Era avvolto - scrive - di maestosa bellezza. Appena lo vidi rinnovai i voti ed egli mi disse:
«Anima prediletta del divino Maestro, poiché il Signore vuole servirsi di te per manifestare a molte anime la sua misericordia e il suo amore, prepara la via alla sua venuta:
«La tua volontà sia docile e interamente sottomessa al suo divino volere. La fiamma del suo Cuore ti purifichi e ti consumi. E quando Egli si abbasserà fino a te, ricevi le sue parole con rispetto e amore, poiché Colui che ti parla è lo stesso davanti al quale la corte celeste intona, senza mai cessare, il cantico della lode e dell'amore!»
«Poi giungendo le mani:
«Il Signore ti custodisca e inondi l'anima tua delle celesti delizie del suo Cuore!»
«È scomparso – scrive - e un istante dopo ho visto il Cuore di Gesù, solo!... La ferita si è largamente aperta, lasciando cadere una fiamma sul mio petto, come faceva sempre Gesù quando veniva ogni sera a consumare le mie miserie... Questo fuoco mi brucia e l'anima si accende di tal desiderio di Lui, che il resto non mi sembra più che un niente!»
Due giorni dopo, la sera della domenica 29 luglio, la Madonna viene ad annunziare il ritorno di Gesù. Tiene tra le mani la corona di spine e posandola sulla fronte di Josefa:
«Figlia mia - le dice - vengo ad ornarti coi gioielli del tuo Sposo, per prepararti io stessa alla sua venuta. Allorché avrai terminata la tua adorazione, risali in cella e Lo troverai. Frattanto preparagli la via con atti di umiltà, di sottomissione, di amore».
E siccome il cuore materno intuisce l'ansia della sua figliola al pensiero di ciò che il Maestro vorrà chiederle:
«Addio - le dice benedicendola. - Vi aiuterà perché si tratta dell'Opera sua. Fiducia e coraggio, sottomissione e umiltà, amore e abbandono!»
Josefa non dubita ormai più dell'importanza di questo colloquio preparato con tanta solennità. Pochi istanti dopo Nostro Signore appare nella sua cella. Essa si prostra ai suoi piedi, si offre alla volontà sovrana di cui adora in anticipo tutte le esigenze.
«Sì - egli dice - sono Io. Non temere, tutto è disposto e governato dal mio amore».
Allora, nel silenzio impressionante che l'avvolge, Gesù le detta tutto quello che dovrà esser fatto e detto affinché il Vescovo di Poitiers sia informato al più presto dei disegni divini. Egli si esprime con tale chiarezza di particolari che nulla potrà essere lasciato al caso e la grazia della sua divina condotta risplenderà in questa circostanza più ancora, se è possibile, che in tutte le altre.
«Non temere ripete poi terminando vi aiuterò e vi guiderò. Amami, affidati al mio Cuore, e Io non ti abbandonerò mai!»
Il lunedì 30 luglio, in una udienza molto paterna concessa al R.P. Boyer O.P., direttore di Josefa, il Vescovo di Poitiers ricevette il primo messaggio personale del Cuore di Gesù.
Ormai una nuova sicurezza, più preziosa di ogni altra, verrà a circondare le ultime grazie e le ultime prove della vita di Josefa. Come c'era da aspettarsi, una recrudescenza di rabbia diabolica e di persecuzione si scatena per questo progresso dell'Opera divina.
Dal 30 luglio al 12 agosto Josefa nota i moltiplicati assalti del demonio, le sue menzognere affermazioni, la sua folle sicurezza di trionfare su di lei, sul Vescovo, sul disegno stesso di Dio!
«Non sei sola - le ripete Gesù; apparendole la domenica 12 agosto. - Non sai che Io sono la tua vita, il tuo appoggio, e che se non fossi con te, non potresti mai sostenere un tal peso?»
Il giorno seguente viene di nuovo per determinare esattamente ciò che essa dovrà dire da parte sua al Vescovo di Poitiers. Tutto fa prevedere, nelle parole del Signore, nei consigli che dà alla sua messaggera, nella cura con cui la prepara a questo primo incontro, quanto ne aspetti per l'attuazione dei suoi disegni. Intanto la sua bontà rassicura Josefa. La prospettiva di dover uscire dall'oscurità in cui è rimasta finora, a trattare di cose che sono l'anima dell'anima sua, e soprattutto comunicare i desideri del suo Maestro sarebbe per lei una prova maggiore di ogni altra, se Gesù non le desse una grazia eccezionale di forza e di pace.
«Non spaventarti - le ripete Gesù quel giorno prima di lasciarla. - L'amore ti sosterrà e ti condurrà sempre. Ti dirò tutto e ti aiuterò. Non temete: vi custodisco nel mio Cuore, e ciò basti a darvi coraggio!»
La festa dell'Assunzione di Maria, mercoledì 15 agosto 1923, apre una radiosa parentesi in mezzo a queste lotte quotidiane. La sera di quel giorno felice la Madonna si mostra alla figlia diletta in tutta la sua bellezza. Ascolta maternamente il racconto delle tribolazioni attuali e delle apprensioni per l'avvenire, e soprattutto la confessione della sua fragilità e miseria.
«Figlia mia - le dice la Vergine Santa - non scoraggiarti per la tua debolezza: confessala con umiltà, ma non perdere fiducia, perché sai bene che a motivo della tua miseria e della tua indegnità Gesù ha fissato su te il suo sguardo... Molta umiltà, ma molta fiducia!»
E alludendo alle raddoppiate persecuzioni del demonio:
«- Non temere, esso non può far altro che moltiplicare per te l'occasione di grandi meriti. Io ti difendo, e Gesù non ti abbandonerà mai!»
Allora Josefa, distogliendo il pensiero da se stessa, non pensa più che alla gioia della Madre Immacolata di cui il mondo intero ha in quel giorno celebrato l'entrata in cielo.
Maria sembra esultare a quel ricordo che è per Lei la beatitudine dell'eterno presente.
«- Sì - Ella dice - proprio in questo giorno la gioia piena e perfetta è cominciata per me, poiché durante tutta la mia vita l'anima mia fu trafitta da una spada».
«Le ho chiesto - scrive ingenuamente Josefa - se la presenza di Gesù Bambino, così piccolo e così bello, non fosse stata per lei una immensa consolazione».
«- Figlia mia, ascolta - proseguì la Vergine - fino dalla mia infanzia ebbi conoscenza delle cose divine e delle speranze riposte nella venuta del Messia. Così, quando l'Arcangelo mi annunziò il mistero dell'Incarnazione e mi vidi scelta per madre del Redentore degli uomini, il mio cuore sebbene pienamente sottomesso al volere di Dio fu sommerso in un torrente di amarezza, perché sapevo tutto quello che il tenero e divino Bambino doveva soffrire, e la profezia del vecchio Simeone non fece che confermare le mie angosce materne.
«Tu puoi quindi figurarti quali dovevano essere i miei sentimenti nel contemplare le attrattive di mio figlio, il suo volto, le sue mani, i suoi piedi, tutta la sua persona, che sapevo dovevano essere un giorno così crudelmente maltrattati.
«Io baciavo quelle mani e mi sembrava che le mie labbra si impregnassero già del sangue che un giorno sarebbe sgorgato dalle loro ferite.
«Baciavo i suoi piedi e li contemplavo già confitti alla croce.
«Ravviavo la sua meravigliosa capigliatura e la vedevo coperta di sangue, ingrovigliata nelle spine della corona.
«E quando, a Nazaret, Egli fece i primi passi e mi corse incontro con le braccia aperte, non potei trattenere le lacrime al pensiero di quelle braccia stese sulla croce dove doveva morire!
«Quando giunse all'adolescenza apparve in Lui un tale insieme di grazia affascinante che non lo si poteva contemplare senza restare rapiti. Ma il mio cuore di madre si stringeva al pensiero dei tormenti di cui provavo in anticipo la ripercussione...
«Dopo la lontananza dei tre anni della vita apostolica, le ore della passione e della sua morte furono per me il più terribile dei martiri.
«Quando il terzo giorno, Lo vidi risuscitato e glorioso, certo la prova cambiò aspetto poiché Egli non poteva più soffrire. Ma quanto dolorosa doveva essere la separazione da Lui! Consolarlo, riparare le offese degli uomini era allora il mio solo sollievo. Ma che lungo esilio! Quali ardori di- vampavano dal mio cuore! Come sospiravo l'istante dell'eterna unione! Ah, che vita senza Lui! Che luce ottenebrata! Che unione desiderata! E come tardava a venire!
«Giunta al settantatreesimo anno l'anima mia passò come un lampo dalla terra al cielo. Dopo tre giorni gli angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima. Quale ammirazione, quale adorazione, quale dolcezza quando i miei occhi videro, per la prima volta nella sua gloria e nella sua maestà in mezzo alle schiere angeliche, mio Figlio e mio Dio!
«Che dire poi, figlia mia, dello stupore che mi invase alla vista della mia bassezza che veniva coronata di tanti doni e circondata da tante acclamazioni? Non più tristezza ormai, non più ombra alcuna!... Tutto è dolcezza, gloria, amore!...»
La Vergine Santissima, dirà poi Josefa, si è espressa con entusiasmo, e tuttavia un riflesso di umiltà avvolgeva ogni sua parola. Ella tacque un istante, immersa nel magnifico ricordo del suo ingresso nel cielo: poi, abbassando il suo profondo sguardo:
«- Tutto passa, figlia mia - le disse - e la beatitudine non ha fine. Soffri ed ama: mio Figlio tra poco coronerà i tuoi sforzi e le tue fatiche. Non temere: Egli ed Io ti amiamo».
E dopo alcune materne raccomandazioni:
«- Rimani fedele a Gesù e non rifiutargli niente. Preparagli il cammino con i tuoi piccoli atti, poiché presto verrà. Coraggio! Generosità e amore! L'inverno della vita è breve e la primavera sarà eterna».
Josefa scrive che non può ricordare le parole precise di quella lunga effusione.
«Ma il venerdì 17 agosto - prosegue - mentre andavo in cella per provare a scrivere qualcosa, improvvisamente mi apparve di nuovo la Madonna, bellissima e splendente di luce. Sorridendo dolcemente mi ripeté ciò che mi aveva detto la sera della sua festa, mi porse la mano, mi benedisse e scomparve».
Trascorre ancora qualche giorno tranquillo. Il lunedì 20 agosto, Josefa sta meditando durante l'orazione, su quelle parole: «Gesù è la luce del mondo».
«A un tratto - scrive - vidi davanti a me una grande croce di legno tutta luminosa. Nel centro splendeva il Cuore di Gesù, ferito e circondato di spine. Dalla ferita scaturiva una viva fiamma e udii una voce che diceva:
«- Ecco quel Cuore che dà al mondo la vita! Ma la dà dall'alto della croce. Così le anime scelte come vittime per aiutarmi a diffondere la luce e la vita sul mondo devono, con grande sottomissione, lasciarsi configgere in croce, secondo l'immagine e l'esempio del loro Maestro e Salvatore!»
La croce rimarrà dunque fino alla fine per Josefa la sua luce e sicurezza. Lei lo sa e vi si offre. La sera stessa la Madonna ritorna per fortificare questa generosa volontà. Le appare all'oratorio del noviziato, dove Josefa si era inginocchiata davanti alla sua statua.
«- Sì - le dice - dammi il tuo cuore e lo custodirò; dammi le tue attività e le trasformerò; dammi il tuo amore, la tua vita, ed Io trasmetterò tutto a Gesù».
Quindi avvicinandosi e alzando sulla fronte di Josefa la mano verginale:
«- Ti benedico con tutto il mio cuore di Madre. Questa benedizione ti infonda coraggio e generosità per adempiere in tutto la volontà di Gesù. Che cosa puoi temere se in Lui confidi, figlia mia? Non sai che è onnipotente, che è buono, che è tutto amore?...»
Josefa lo sa, non teme per la missione di cui è incaricata. Sono vicini i giorni del ritiro annuale, e questi costituiscono tutta la sua speranza. Li affida a sua Madre, domandandole aiuto, perché non dimentica che questo periodo di grazie aprirà dinanzi a lei l'ultima tappa della sua vita.
Maria risponde alla sua preghiera con questi materni consigli:
«- Se vuoi che l'anima tua profitti pienamente di questi giorni di grazie, devi prepararti ripetendo spesso la preghiera che mio figlio Ignazio diceva con tanto ardore:
«Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà...
«Sì, offri tutto a Gesù perché se ne impossessi e si serva di te secondo il suo beneplacito. Moltiplica anche i piccoli atti di umiltà, di mortificazione e di generosità... In tal modo l'anima tua sarà pronta a ricevere in questi giorni di grazia i favori divini. Non dimenticare che sono gli ultimi esercizi spirituali della tua vita. Lascia dunque che Gesù ti lavori e ti prepari come Gli piace all'unione eterna».
Poi, inculcandole il segreto dell'abbandono più generoso:
«- Poiché ami le anime, pensa ad esse e lasciati stritolare come è necessario per salvarle».
Queste ultime parole hanno reso Josefa ancor più attenta. La Vergine santa l'ha guardata a lungo, come per disporla a una nuova offerta:
«- Ricordati, figlia mia - le disse infine - che sei del tutto indegna dei favori di Dio. Ma ringrazialo perché si compiace servirsi della tua indegnità e del tuo nulla per salvare molte anime manifestando loro la sua misericordia».
Quindi, con tutta la sua autorità di Madre, la Madonna le palesa il prossimo avvenire che l'aspetta: andrà a Roma per comunicare direttamente alla sua Superiora Generale il messaggio personale, di cui Nostro Signore tiene per ora il segreto.
Josefa a queste parole rimane atterrita. Già la prospettiva dei colloqui col Vescovo di Poitiers, la riempie di viva apprensione. Bisognerà dunque uscire ancora più dall'oscurità e dal silenzio che finora la custodivano? Andar lontano?... E soprattutto far conoscere essa stessa quelle cose che già le costa palesare alle sue madri dei Feuillants?...
La sua anima è sconvolta, ma la Vergine la trattiene a lungo ai suoi piedi e il suo sguardo di forza e di pace, calma a poco a poco la tempesta, Josefa nella parte più intima della sua volontà aderisce ai comandi di Dio. La grazia potente che trionfa d'ogni sua ripugnanza la sospinge, ancora una volta, ad abbandonarsi ciecamente a quest'Opera d'amore che da lei può esigere qualunque cosa.
«- Non temere aggiunge infine la Vergine santissima - Gesù ti dirà i suoi desideri e tutto si farà con facilità, semplicemente e umilmente. Quanto siete felici, figlie mie, di essere lo strumento di quest'Opera tra le mani di Dio».
Maria scompare. Come accadrà tutto ciò? Josefa neppure se lo domanda. Il lavoro di abbandono che Dio prosegue in lei ha fatto un passo da gigante. Lo si tocca con mano nella circostanza attuale: trasmette a chi di dovere il disegno di Nostro Signore e fino alla partenza non farà alcuna domanda in proposito. La parola che esprime tutta la sua vita s'imprime ora nell'anima sua come nel primo giorno del suo arrivo in Francia, ma molto più profondamente: «Dio mi conduce!»
Il venerdì, 24 agosto, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù la conferma in questa oblazione che solo l'amore può spiegare e rendere stabile:
«- Dimmi, Josefa, tutto ciò che Mi diresti se tu non Mi vedessi. Non spetta sempre a te di ascoltare: Io pure godo e mi compiaccio di udirti».
«Allora - ella scrive - Gli ho ripetuto il mio desiderio di amarlo, di essergli fedele, di non rifiutargli nulla. Ma sa bene quanto sono debole!... Gesù mi ha guardato con quel suo sguardo così bello e buono che mi riempie di fiducia».
«- Sì, dammi questa prova del tuo amore, perché l'amore rende tutto facile. Segui l'esempio del mio Cuore: ho creato le anime per amore e le voglio salvare con l'amore. Le anime alla loro volta mi provino il loro! E se desidero così ardentemente di essere amato dalle anime... quanto più da quelle che sono le mie spose! Pagami dunque con i tuoi atti che sono la moneta dell'amore!»
«Signore! i miei atti sono così piccoli, così meschini...».
«Poco importa: dammi la tua miseria, Io l'arricchirò... e per un sacrificio che Mi offrirai, Io ti pagherò con le delicatezze del mio Cuore!»
Però quaggiù questi divini scambi si fanno con un metodo diverso da quelli umani. Ella lo sa già e lo imparerà ancora di più. La sua viva fede saprà scoprire, all'ombra della croce ogni giorno più cupa, la prova dell'amore infinitamente forte e delicato del Cuore di Gesù.
Infatti prima che si realizzi il soggiorno a Roma dovrà traversare un periodo doloroso, che sarà la preparazione voluta da Dio.

                                                                                                                                                                                       
RITIRO NELLA SOFFERENZA • 25 AGOSTO - 2 SETTEMBRE 1923

Io lavoro nell'oscurità, ma la mia Opera vedrà un giorno la luce in maniera tale, che se ne potranno ammirare tutti i particolari. - (Nostro Signore a Josefa - 30 agosto 1923). ♦ Pag.496

Rimangono ancora nove giorni prima del ritiro che Josefa ha tanto desiderato... l'ultimo della sua vita! Nove giorni di tenebre e di patimenti, senza un filo di luce sul suo cammino: «Ho tanto sofferto fino al 29 agosto quando gli Esercizi si sono aperti per la comunità».
Quei giorni di desolazione l'hanno talmente sfinita che non ha la forza di guardare in faccia questa nuova fatica. Si legge nel suo quadernetto intimo:
«Mio Gesù, mi hai abbandonata? Vedi come mi trovo! Eppure Ti amo... sì, Ti amo più di ogni altra cosa al mondo... vorrei fare ciò che Tu desideri da me, ma non sono sicura neppure di ciò che farò tra un istante!... Conto però su di Te, mi abbandono. So che mi sosterrai e mi perdonerai. So che mi ami.
«Quale angoscia! - aggiunge ancora. - Tu solo, mio Dio, conosci la mia angoscia. La croce mi pesa... la via per cui mi conduci mi sembra superiore alle mie forze... Signore! vieni in mio soccorso, rialzami, illuminami!
«Questa sera, mercoledì 29 agosto - prosegue qualche riga più sotto - Gesù è venuto un istante. Ho visto il suo Cuore e ho compreso che il suo amore per me e illimitato, l'ho capito dal suo sguardo. Mi sono gettata ai suoi piedi ed ho effuso il mio cuore nel suo».
«- Che importa? - mi ha detto. - Io sono ricco, potente e fedele. Non ti ho già ripetuto, non una ma tante volte, che ti amo a cagione della tua miseria e della tua debolezza? Credi alle mie parole e resta nella mia pace!... Profitta di questi giorni di ritiro per corrispondere con molto amore alle grazie di cui ti ho colmata. Recita ogni giorno cinque volte il Miserere, aggiungendovi un Pater per onorare ciascuna delle mie Piaghe. Nasconditi in esse... e siano sempre il tuo rifugio. Umiliati e non temere: Io sono il tuo sostegno e la tua vita e ti difenderò sempre».
«Ah! - ella esclama - come queste parole basterebbero a far santa un'altr'anima! E la mia rimane insensibile! Quanto soffro, mio Dio! Tu solo lo sai, e tuttavia vorrei amarti... non posso separarmi da Te!»
Gesù potrà resistere a tale supplica?... il giovedì 30 agosto all'alba ella ritrova, ad un tratto, se stessa:
«Eccomi Gesù ai tuoi piedi, come sono: miseria, peccato, ingratitudine, un essere spregevole.
Ma vedo Te quale sei: amore, bontà, misericordia!»
L'umile fiducia che non dubita di Lui attira e rapisce il Maestro divino.
«È venuto ad un tratto - scrive Josefa - bellissimo e tanto buono!»
«- Non temere. Non sai che il mio Cuore non desidera altro che consumare le tue miserie e consumare te pure?... Ti conosco e ti amo! Non mi stancherò mai di te!»
«Più L'avvicino - ella scrive - più soffro di non saper amarlo, e l'unica mia risorsa è di chiedergli perdono!»
«- Sai bene - Egli risponde - che sono disposto a perdonarti non una volta, ma ogni volta che la tua debolezza soccombe. Se tu sei debole Io sono forte. Se tu sei misera, Io sono il fuoco che consuma. Avvicinati a Me con fiducia e lasciami purificare l'anima tua!»
«Ed ora, prendi la mia corona! Ti assicura del mio perdono e del mio amore. Lasciati guidare, sii molto umile e fedele. Io ti conduco e la mia azione ti governerà».
«L'ho ringraziato e L'ho supplicato di non permettere che io metta ostacolo all'Opera sua».
Gesù la rassicura:
«- Non temere! Io lavoro nell'oscurità, ma l'Opera mia verrà alla luce in maniera tale che un giorno se ne potranno ammirare tutti i particolari (21)»
(21) “No, te apures! Yo trabajo en la oscuridad pero al fin mi Obra saldrá a la luz de mondo que se puedan admirar todos detalles.”
La pace in cui il Maestro la lascia non è che una sosta. Sempre semplice Josefa procura di immergersi nelle meditazioni che si succedono durante i primi giorni degli Esercizi. Continua anche ad annotare i suoi desideri.
«Ho meditato sulla morte scrive il 1° settembre - e sono stata colpita da un certo timore pensando che per me è tanto vicina! Ho però ripreso coraggio e mi sono consolata al pensiero di questo passo decisivo che io farò tra quattro o cinque mesi. Perché temere? Certo non ho alcun merito, ma quelli di Gesù non sono forse miei? Non devo forse contare su Lui che può tutto, ed è tutto misericordia?... Sì, Gesù è buono, misericordioso, ed è il mio Sposo! Se vivo in Lui, morirò in Lui per trovarlo senza timore di perderlo più! Oh, divina, eterna unione, vieni, vieni! Dico così, ma non sento questo desiderio perché la natura teme... e ho paura che il cuore mi tradisca. Mio Dio! tu sai quanto il mio cuore ama e si attacca! Ti abbandono tutto. Te solo, Gesù! Il Tuo Cuore solo!»
Questo è proprio il momento di appoggiarsi soltanto a Lui! Quel sabato, 1° settembre, giunge a Josefa l'annunzio che il Vescovo di Poitiers, secondo l'invito ricevuto, si degnerà venire al Sacro Cuore per concedere a lei qualche istante di colloquio.
Il silenzio del ritiro che avvolge la casa favorirà l'incognito di questa visita episcopale.
Così, attraverso le circostanze umane, il Maestro divino dirige le minime particolarità dell'Opera sua mentre tiene a freno, sotto la forza della sua volontà, le potenze infernali costrette per un istante a trattenere la loro rabbia.
«- Non temere di niente - le ripete Gesù durante l'ora santa. - Sei nelle mie mani. Sii molto semplice e Io sarò con te e ti dirò tutto».
«Oggi, 2 settembre - ella scrive - dopo la visita del Vescovo ho parlato per la prima volta a Monsignore. Al principio mi sentivo assai emozionata ma a poco a poco ho detto tutte le mie ripugnanze per questa via straordinaria, le mie tentazioni di sottrarmi, la mia poca forza di resistenza, lo sgomento che mi prende talora quando vedo la mia impotenza a mantenere i miei propositi. Monsignore mi ha rivolto parole così benevoli che mi hanno fortificata e consolata assai».
Josefa non aggiunge altro su quest'ora benedetta da Dio che doveva avere tanta ripercussione sull'Opera dell'amore. Ella ha seguito fedelmente le indicazioni precise del Maestro, ha consegnato al Vescovo il messaggio dettato per lui solo e che resterà segreto. Gli ha comunicato i disegni di Nostro Signore sul mondo, e rispondendo semplicemente a tutte le domande che le sono state rivolte, ha aperto l'anima sua col più filiale e rispettoso abbandono a quella paternità che è, per lei quella stessa di Dio.
Nello stesso giorno la sua superiora così scrive alla Madre Generale:
«Il colloquio di questa mattina è stato semplice, facile, consolante. Monsignore è venuto solo, e la S. Messa, all'oratorio di S. Stanislao, in mezzo alla comunità in ritiro, con un bel canto polacco delle novizie22 e con qualche parola di Sua Eccellenza, è stata davvero un momento di grazie. Quindi abbiamo seguito punto per punto la linea di condotta tracciata con tanto amore e chiarezza da Nostro Signore il cui Cuore ci è stato così fedele. Poi Monsignore, molto paterno e benevolo, già informato di tutto dal R. padre Boyer, ha visto in particolare Josefa per circa quaranta minuti... Finito il colloquio Sua Eccellenza si è degnato dirci quanto era rimasto commosso dalla semplicità, dal candore di questa figliola che gli ha parlato senza pretese, in un francese pittoresco, ma come piena di Dio. Monsignore ha preso e portato con sé le comunicazioni dirette personalmente a lui l'11 e 12 giugno, e ci ha raccomandato di pregare molto, dicendoci che era disposto ad entrare nei disegni divini. Sua Eccellenza tornerà indubbiamente prima di novembre: quale sollievo e pace ci lascia questa prima visita!»
(22) A quell’epoca il noviziato delle sorelle coadiutrici contava circa 30 novizie, quasi tutte venute dalla Polonia, feconda in vocazioni.
«- Farò tutto Io» aveva detto Nostro Signore e la sua parola si è avverata una volta di più.
Josefa rivedrà ancora spesso Sua Eccellenza Mons. de Durfort. Fino alla fine sarà l'appoggio e la sicurezza della sua via. Egli leggerà tutti i suoi scritti e si degnerà egli stesso interrogarla e sostenerla. Dalle sue mani riceverà l'Estrema Unzione e davanti a lui pronuncerà i voti della sua professione religiosa. Egli si intratterrà con lei e la benedirà più volte negli ultimi giorni di vita. E quando ella avrà consumato il suo olocausto e terminata la carriera terrena, il Vescovo di Poitiers si riserverà di dare egli stesso all'umile privilegiata del Cuore di Gesù le ultime benedizioni della Chiesa.
Ma per il momento il Maestro divino sembra geloso dell'umiltà e del nascondimento del suo strumento. Le ore di tranquillità non sono state nel pensiero divino, che una maniera di agevolare un passo difficile e decisivo. Non si prolungano molto e già il lunedì, 3 settembre, l'oscurità invade di nuovo l'anima di Josefa: aridità, abbandono, desolazione, tentazione di disperazione... nulla le è risparmiato, ed in questo abisso di sofferenza proseguono gli esercizi del ritiro... Il suo quaderno non presenta più che queste parole che sono un grido d'angoscia:
«Sesto giorno... qui ho perduto il mio Gesù!... Come ho fatto questo ritiro?... Dio lo sa!»
Sì, lo sa, ed attraverso questi patimenti il suo amore lavora al compimento dei suoi disegni e alla consumazione della vittima. Vuole ch'essa tocchi il fondo della sua miseria e che sia schiacciata dal peso dei rigori divini. Le dà il senso penoso del termine che si avvicina, del vuoto della sua vita, della responsabilità delle grazie in cui è stata sommersa. Nello stesso tempo la riduce ad una totale impotenza consumandola in una sete insaziata di amarlo. Josefa non sa come esprimere questo sconforto a cui si aggiunge la prostrazione penosa del suo organismo.
Così terminerà il mese di settembre. Solo qualche spiraglio di luce sosterrà il suo coraggio.
«- Il venerdì 14 settembre - scrive - ho visto il R.P. Boyer che mi ha ricondotta sul sentiero della fiducia e, benché io soffra di non poter amare Gesù quanto desidero, mi sento tranquilla, poiché aspetto tutto non da me stessa, ma dai suoi meriti e dalla sua misericordia».
Quel Cuore infinitamente buono che la sostiene a sua insaputa le appare ad un tratto la mattina del 18 settembre.
«Durante il ringraziamento della Comunione – scrive - quel martedì - io L'adoravo e L'amavo con il cuore della Vergine Santa, poiché da me non sono capace di niente, quando improvvisamente L'ho visto, bellissimo, e con il Cuore infiammato. Con indicibile bontà mi ha detto:
«- Josefa, vieni, accostati a questo braciere d'amore.
«Metti qui tutte le tue miserie per consumarle in questo fuoco!»
«Gli ho detto di compatirmi poiché ogni giorno mi trovo più indegna, non solo delle sue grazie, ma del suo perdono e della sua misericordia!»
«- Non temere... Più miserie troverò in te e più amore tu troverai in Me».
«Allora Gli ho detto tutti i miei desideri... e anche i miei peccati per essere perdonata».
«- Conosco la tua miseria, Josefa, e m'incarico di ripararla. In cambio consolami e ripara per le anime!»
Convinta della sua indegnità si meraviglia che il Maestro si degni ancora contare su lei.
«- Non ti ho forse detto che m incarico di tutto? Egli prosegue. - Io riparo per te, tu ripara per le anime»
e dopo aver rianimato la sua fiducia e ricondotto il suo sguardo sulle anime, le ricorda che si avvicina l'ora di una nuova missione.
«- Ora - Egli dice - ascoltami bene: Ho varie cose da confidarti per il tuo Vescovo e la tua Madre Generale... Certamente tu sei indegna di ricevere e trasmettere le mie parole. Ma quando Mi servo di te lo faccio per amore della anime.
«Intanto tu sai i miei gusti: desidero molto i tuoi piccoli atti di umiltà. Lascia che l'amore li scelga con delicatezza e generosità».
Ancora due volte, i venerdì 21 e 28 settembre, in mezzo alle tenebre che oscurano il cammino di Josefa, lo splendore del Signore brillerà improvvisamente. Egli verrà per farle scrivere sotto dettatura il messaggio diretto che Egli riserva alla Società del Sacro Cuore e ch'ella dovrà consegnare alla sua Madre Generale.
«Voglio che lo dica tu stessa», insisterà Gesù.
Momenti solenni di cui Josefa comprende la gravità e l'importanza: la vastità dei disegni divini sorpassa infinitamente il suo pensiero, le sue previsioni, i suoi stessi timori. Non c'è altro da fare, di fronte al piano divino, che abbandonarsi nella fede: così Josefa raggiunge le vette a cui il Maestro l'ha elevata.
«- Lasciati condurre ad occhi chiusi - Gesù le ha detto il 18 settembre 1923 - poiché ti sono padre, e gli occhi miei stanno aperti per condurti e guidarti».

                                                                                                                                   
CAPITOLO 12

ROMA ♦ LA CASA MADRE: GARANZIE DIVINE2-26 OTTOBRE 1923 ♦ Pag.505

Come dopo un giorno tempestoso il sole risplende ancora, così dopo tanta sofferenza l'Opera mia apparirà in tutta la sua chiarezza. - (Nostro Signore a Josefa - 14 ottobre 1923).

Per la seconda volta Josefa si accinge a lasciare i Feuillants e per un viaggio che la porta lontano.
Dacché Nostro Signore ratificando le parole della Madre sua (20 agosto 1923) ha manifestato l'espressa volontà che Josefa trasmetta alla sua Madre Generale un messaggio personale riguardo all'Opera del suo Cuore, molti scambi di corrispondenza e soprattutto di preghiere hanno avuto di mira l'attuazione di questo disegno.
D'altra parte Colui che dispone i cuori ha già da tempo ispirato alla Superiora Generale del Sacro Cuore il desiderio di conoscere questa figliola. Da Roma la segue e controlla la sua via con la più materna bontà senza dubbio, ma anche con la più circospetta e illuminata prudenza. Oggi questa saggezza soprannaturale che guida sempre gli amici di Dio cerca per realizzare questo disegno il segno di qualche circostanza provvidenziale.
Un ritiro deve riunire presto alla Casa Madre un folto numero di Superiore che verranno da tutte le case del Sacro Cuore d'Europa per ritemprarsi nell'unità di uno stesso spirito e di uno stesso fervore. Non è questo il segno di Dio? Non potrebbe Josefa accompagnare la superiora dei Feuillants, anch'ella invitata a recarsi a Roma? La sua venuta non troverebbe un giusto motivo nella sovrabbondanza di lavoro cagionato alla Casa Madre dall'affluenza delle religiose in ritiro? Il viaggio si decide e la partenza è annunziata. Ciò rientra nell'ordine dei sacrifici che l'obbedienza spesso impone nella vita religiosa, e a cui il cuore non si abitua mai.
Il cuore di Josefa è troppo conforme a quello di Gesù per non sentire, nella sua delicata sensibilità, l'amarezza di staccarsi da ciò che ella ha amato tanto ai Feuillants: le sue Madri, le consorelle, la cella della Madre Fondatrice, la cappella, i corridoi, e tutti quei luoghi carissimi che racchiudono per lei, come in uno scrigno, tante grazie. Dovrà separarsene per sempre? Ella lo suppone. Una religiosa della quale da due anni è caritatevole aiuto, scriverà al ricordo di questa partenza:
«La incontrai davanti alla cappella delle Opere ch'ella amava tanto, e a cui era venuta a dare il suo addio. Là, sulla soglia della dimora del Maestro, nella quale così spesso ci eravamo trovate insieme, facemmo un patto di preghiera per rimanere unite nel Cuore divino. "Che domanderemo l'una per l'altra?" le dissi. E siccome lei taceva aggiunsi: "Che Gesù compia perfettamente i suoi disegni sulle nostre anime! - «Sì, essa subito rispose, la sua volontà, tutto sta lì! Che Egli sia in noi perfettamente libero!" E continuò: "Per quanto grande sia la sofferenza di ogni giorno, la grazia di ogni giorno sarà sempre sufficiente per portarla!" Dall'espressione del suo sguardo intuii che allora una sofferenza intensa doveva essere per lei l'espressione della volontà divina, nello stesso tempo che la prova pratica del suo amore.
Al momento di partire mi disse ancora: "Sono felice di fare a Gesù il sacrificio di questa casa. Mi è tanto costato lasciare la Spagna; e ora mi costa molto lasciare la Francia che è la patria dell'anima mia, la culla della mia vita religiosa. Ma è la volontà di Dio!»
Il martedì 2 ottobre 1923, a mezzogiorno, Josefa e la sua superiora partivano per Roma.
Nostro Signore degnò farsi il compagno della prima tappa del viaggio. Appena il treno si è mosso, nel raccoglimento di uno scompartimento al completo Josefa comincia a pregare. Tante emozioni diverse le avevano riempito il cuore che non si calma che al contatto silenzioso dell'Ospite divino. Non deve cercarlo a lungo: la tendenza del suo spirito va direttamente a quella solitudine che nessun rumore esterno può turbare e ben presto la si sente tutta assorta nella presenza che per lei è tutto.
Ad un tratto Gesù le appare. Chi mai, tra i viaggiatori che la circondano, che vanno e vengono, salgono e scendono, potrebbe supporre ciò che contemplano gli occhi socchiusi dell'umile e piccola suora?...
«- Guarda il mio Cuore - Gesù le dice mentre ardenti scintille scaturiscono dalla ferita. Le anime non sanno venire a cercare in questo Cuore le grazie che desidero spargere su di loro. Ce ne sono tante che non si lasciano attirare dalla divina calamita del mio amore! Per questo ho bisogno delle mie anime scelte! Voglio che esse spargano questa calamita su tutta la terra. Voi non potete sapere quanto mi glorificano la vostra fede, la vostra fiducia, la sottomissione al mio volere! Vi benedico, e Mi servirò di voi per far cadere sul mondo le mie grazie e il mio amore!»
Gesù disparve, ma verso sera, poco prima dell'arrivo a Parigi, Egli ritorna e le manifesta i suoi piani riguardo a questo periodo della sua vita.
«Voglio salvare il mondo - dice - e servirmi di voi, povere e miserabili creature, trasmettendovi i miei desideri, affinché per vostro mezzo molte anime conoscano la mia misericordia e il mio amore!»
E siccome ella Gli domanda una volta ancora ciò che dovrà fare e dire laggiù, quel laggiù che rappresenta per lei un'ansia dell'incognito,
«- Non temere di nulla - le risponde - te lo dirò. Sono Io stesso che vi conduco... Tu parlerai senza paura, Josefa, poiché con questo mezzo cominceranno a realizzarsi i miei disegni».
Quindi insistendo ripete:
«- Non temere. I miei passi talvolta sono come sopra una terra sabbiosa, e l'orma loro sembra a volte sparire. Ma non è così! Quanto a te, sii molto docile. Non preoccuparti di niente, e non intimorirti di quello che potranno pensare o dire di te. Sono Io che conduco tutto, e so ciò che conviene all'Opera mia».
Incoraggiata da questa paterna bontà, Josefa osa ancora esporgli tutto quello che la turba e la preoccupa.
«- Se voi non aveste fede, comprenderei - le ripete Nostro Signore - ma se credete in Me, perché inquietarvi?...
«Ritieni queste parole, Josefa: Io lavoro nell'oscurità e tuttavia sono la luce. Ti ho avvertita più di una volta che verrà un giorno in cui tutto sembrerà perduto e l'Opera mia annientata. Ma oggi te lo ripeto: la luce tornerà e più splendente ancora!»
Tali assicurazioni annunziano chiaramente ciò che Roma prepara a lei e all'Opera di cui porta nell'anima il prezioso deposito. Bisognerà patire molto, ma rimanere sicuri di Lui.
Che saranno queste sofferenze così nettamente predette?... Nulla le potrebbe far supporre quando le viaggiatrici giungono a Roma il 5 ottobre 1923, primo venerdì del mese, verso le dodici e mezza.
Già varie superiore le hanno precedute; gli arrivi si moltiplicano e nella gioia religiosa di quel rivedersi la piccola sorella, venuta per aiutare in casa, - così almeno si crede - sparisce nell'ombra tanto cara al suo cuore. Ben presto si troverà fusa nel gruppo delle altre sorelle e si ambienterà nella vasta dimora, così opportunamente chiamata «Casa Madre».
L'anima di Josefa si trova subito a suo agio, piena di felicità e di sicurezza: ama tanto le sue madri! La prima intervista con la Madre Generale è una nuova prova che il Signore le prepara la via: la sua bontà la confonde, l'accoglienza la riempie di riconoscenza. Ella gusta in anticipo la gioia di darsi per collaborare al lavoro della casa che diverrà presto un cenacolo. Rivede là varie superiore e giovani religiose spagnole di sua conoscenza. Udire e parlare la propria lingua, riprendere così contatto con la patria le riesce di deliziosa sorpresa: nessun'ombra sopra questa felicità semplice e profonda di cui la vita religiosa ha il segreto e porge ogni tanto l'occasione. Josefa con semplicità gode e esulta nel suo cuore delicato e ardente: le sembra che le nubi si siano dileguate al caldo sole d'Italia e che, almeno per una volta, ella sia nient'altro che l'umile, piccola coadiutrice della Società tanto amata.
Ma i disegni di Dio sono ben diversi, e senza indugio Gesù ricorda alla sua messaggera che è venuta non per godere ma per soffrire, e per aiutarlo nell'Opera d'amore.
Il sabato 6 ottobre, la invita a colloquio con Lui perché, le dice, bisogna ch'ella scriva i desideri del suo Cuore per la Madre Generale. Sempre fedele, ella riprende il giogo delle divine esigenze così contrarie alle sue attrattive e, mentre la Casa Madre all'antivigilia dell'apertura del ritiro si riempie di persone in arrivo, Josefa riceve il messaggio che Nostro Signore le affida. Il segreto di quelle pagine non può essere rivelato; rimane riservato alla Società del Sacro Cuore. Ma rimessa così in presenza della sua missione Josefa si sgomenta e sente di nuovo salire nell'anima sua la piena delle apprensioni.
Durante il ringraziamento della Comunione del giorno dopo, domenica 7 ottobre, Gesù rispondendo all'ansia dell'anima sua le appare:
«- Perché sei triste?» le domanda come ai discepoli di Emmaus.
«Signore - ella risponde - sono triste nel vedermi sempre in questa via straordinaria dove talvolta sembra che mi perderò!»
«- Non sai dunque, Josefa, che non ti lascio mai sola? Il mio unico desiderio è di rivelare alle anime l'amore, la misericordia e il perdono del mio Cuore. Ti ho scelta per questo, miserabile come sei. Non ti preoccupare: Io ti amo, e la tua miseria è appunto la causa del mio amore. Ti ho voluta per Me, e siccome sei miserabile, ho fatto miracoli per custodirti con cura. Sì, amo tutte le anime, ma con quale predilezione quelle che sono più deboli e più piccole!»
E insistendo con forza su queste parole:
«Ti ho amata e ti ho custodita, Josefa! Ti amo e ti custodisco! Ti amerò e ti custodirò sempre!
«Nascondimi amorosamente nel tuo cuore. In quanto a Me, ti tengo nel mio con tenerezza e misericordia».
Poco dopo, durante la Messa delle nove, il Maestro divino le appare nuovamente. Nulla tradisce la divina presenza. Inginocchiata tra le consorelle, dopo aver rinnovato i voti essa raccoglie queste parole:
«- Io cerco l'amore delle mie anime, e vengo a ripeter loro ciò che Io voglio, ciò che chiedo, ciò che supplico di darmi: l'amore e soltanto l'amore! In quanto a te, Josefa, sii molto fedele e docile. Io ti dirò tutto volta per volta, e presto ti condurrò nello splendore che non ha fine! Allora le mie parole verranno lette e il mio amore conosciuto!»
Nel pomeriggio di quella domenica Gesù, come aveva detto, ritorna per continuare il messaggio e quando Egli scompare Josefa riprende il lavoro umile e semplice come sempre, abbandonando alla prudenza delle sue Madri i segreti di cui sa di non essere che una fragile e inutile intermediaria. Più volte consegnerà in persona alla Madre Generale i fogli su cui ha tracciato le parole del Maestro. Queste visite circondate dalla discrezione necessaria, la riempiono di confusione. Vi porta il suo riserbo abituale dal quale non si allontana mai e che la dimenticanza di sé adorna di una affettuosa, riverente devozione filiale.
Del resto Nostro Signore conserva l'anima sua nel sentimento doloroso della propria miseria.
Questa è la linea ben chiara della sua azione, e quale opposizione, quale umiliazione dell'ordine umano potrebbe raggiungere la profondità di questi annientamenti a cui Dio stesso riduce la sua creatura quando gli piace? Ed lei si lascia distruggere sotto questo potere irresistibile.
«- Dicevo a Gesù - scrive il lunedì 8 ottobre - durante il mio ringraziamento della Comunione il mio timore dei suoi giudizi, quando mi vedo così prossima alla morte.
«Improvvisamente si è mostrato, bellissimo, e mi ha guardata con immensa bontà».
Josefa si compiace di rilevare lo sguardo divino, che di per sé è già la pace. Quante anime, leggendo queste righe, si rianimeranno nella convinzione di questo sguardo che penetra e purifica, pacifica e fortifica: sguardo divino di cui la fede viva ci vieta di dubitare.
Quando gli occhi di Gesù l'hanno così penetrata fino in fondo:
«- Tutto ciò è vero - Egli dice - se guardi soltanto le tue opere. Ma sono Io che ti presenterò davanti alla corte celeste. Sono Io stesso che preparo la tunica di cui ti vestirò. È tessuta del prezioso lino dei miei meriti e tinta nella porpora del mio sangue. Le mie labbra imprimeranno sull'anima tua il bacio di pace e di amore. Non temere, non ti abbandonerò fino a che non ti avrò condotta nel soggiorno degli eterni splendori».
«Gesù mi ha tolto il timore che avevo della morte» aggiunge semplicemente.
Ma tali colloqui sono quasi sempre il segno di ore terribili e quelle che stanno per giungere porteranno la prova delle prove.
In quella mattina Josefa, che sta aiutando le sue sorelle al bucato, sente improvvisamente il primo attacco di un male che niente poteva far prevedere: una leggera emottisi, che cerca dapprima di dissimulare. Ma il pallore del volto rivela l'incidente. Il medico non trova niente di allarmante: però dopo un minuzioso esame, ed informatosi della sua età - non ha che trentatré anni - si meraviglia perché egli dice «è tanto consunta». Non poteva essere altrimenti, e il mistero di quella vita dolorosa di giorno e di notte spiega bene il prematuro logorio.
Ma questo resta nei segreti di Dio. Josefa riposa un po' nei giorni seguenti senza abbandonare del tutto il suo lavoro e la vita comune. Ad una delle Assistenti Generali che con bontà si informava della sua stanchezza risponde ingenuamente:
«Poiché devo morire, bisogna pure che abbia qualcosa!»
Tuttavia la prostrazione fisica è un nulla in paragone di ciò che l'attende. Ad un tratto, la sera dell'8 ottobre, con satanica astuzia il demonio riesce a ingannare Josefa. Sotto l'aspetto di Nostro Signore tenta di snaturare il piano divino. L'eccesso stesso di questa insidia diabolica lo rende manifesto, e non è la prima volta che il nemico si traveste da angelo di luce. Allora si scopre, cambia aspetto, minaccia, bestemmia e sparisce in una cupa nube di fumo, mentre Josefa resta terrorizzata e piena di incertezza.
«Mi sento immersa - scrive poco dopo - in un dubbio così profondo che credo in realtà di essere stata lo zimbello del demonio non solo adesso, ma sempre! Credo che tutto quello che ho visto e scritto fino ad ora sia stata opera sua a tal punto che non posso far altro che supplicare Nostro Signore di dare alle mie superiore la luce necessaria per conoscere la verità».
Prosegue poi il martedì 9 ottobre:
«Sempre lo stesso dolore e la stessa ansia!... Il solo pensiero che tutte queste cose non siano mai provenute da Gesù, ma dal demonio, mi immerge in uno sgomento indicibile! L'unica grazia che chiedo è che le mie Madri se ne rendano conto anche loro!»
Un raggio di pace e di verità rischiara ancora il principio di questa grande tribolazione. Quel giorno stesso Maria Santissima risponde alla supplica della figlia diletta. Josefa nel suo turbamento non crede alla realtà di questa presenza. Ma, dopo aver ascoltato la rinnovazione dei voti, e ripetute con lei le lodi divine, Maria la rassicura e le dice:
«- Sì, figlia mia, sono proprio io, la Madre di Dio, la Madre di Gesù che è la purezza e la luce eterna. Sono proprio Io, la Madre tua che vengo a darti la pace.
«Non temere - aggiunge - Gesù vi difenderà e farà in modo che l'astuzia del nemico venga scoperta ogni volta che tenterà di ingannarti... Se dubiti comandagli coraggiosamente: "Ritirati, Satana: non ho niente da fare con te, che non sei che menzogna! Appartengo a Gesù che è verità e vita".
«Non temete, figlie mie, il suo Cuore vi ama, e vi guiderà fino alla fine. Ti amo e ti benedico, Josefa; resta in pace!»
Queste parole confortano un istante: ma è l'ora delle tenebre. Il demonio la convince di essere stata ingannata per tre anni, e ogni altra evidenza, lungi dall'illuminarla, la getta in una più grande ansia, perché a questa certezza così dolorosa per la sua anima si aggiunge quella di avere, senza saperlo, trascinato nell'errore tutti coloro che l'hanno finora sostenuta.
Tale pensiero la immerge in una inquietudine così straziante che le sembra non aver mai attraversato una simile angoscia. Dio solo può misurare questa acuta sofferenza che non sa dove appoggiarsi, ma Lui solo altresì misura in quel momento il valore di una fede e di un abbandono che raggiungono senza dubbio l'eroismo: Josefa non ha cercato altro che di essere fedele alla verità. Il suo distacco da questa via che ha creduto essere quella di Dio, l'umiltà con la quale, in mezzo a questa notte oscura, accetta tutte le conseguenze di quello che ella dice «il traviamento»... la pace dolorosa che la fissa, attraverso tutto, nell'unica volontà di Dio, il suo rimettersi a questa misteriosa condotta di cui non vede più neppure le tracce, la semplicità di un'obbedienza che non cerca sicurezza se non nella parola delle superiore: tutto questo non è forse in lei il segno autentico dello spirito di Dio?
Mentre il demonio usa della potenza che gli è permessa, e tutti i suoi sforzi sembrano trionfare sull'Opera del Cuore di Gesù, gli sguardi attenti che seguono Josefa discernono attraverso questa tempesta l'azione sempre più luminosa di Colui che dà nella sua figlia la prova sicura della sua presenza e dei suoi disegni. «Io lavoro nell'oscurità e tuttavia sono la luce». Mai come allora si è realizzata tale affermazione divina.
In quanto a Josefa, giudicandosi al disotto di ogni compassione e degna di qualsiasi disprezzo, malgrado la stanchezza che la prostra, prosegue umilmente il suo lavoro.
Il demonio non cessa di opprimerla con le sue accuse menzognere, senza riuscire a stancare la sua fede e le sue energie.
Dio permette che le assicurazioni delle superiore non riescano a calmare la sua angoscia. Sembra che Egli stesso l'abbia abbandonata, e la sua preghiera che è piuttosto un grido di naufrago resta senza risposta! Trascorre così una interminabile settimana. Nessun raggio di speranza appare all'orizzonte. Josefa porta la croce senza piegarsi e senza che niente tradisca al di fuori l'estrema sua sofferenza. Soltanto il suo aspetto è talvolta stravolto, e le forze le mancano. Invano la bontà della Madre Generale cerca di procurarle qualche sollievo. Mater Admirabilis, la Madonna miracolosa della Trinità dei Monti, la vedrà ai suoi piedi e ne ascolterà l'invocazione dolorosa. Sua Santità il Papa Pio XI la benedirà in un’udienza di passaggio. La fede viva di Josefa si appoggerà su questa insigne grazia. La sua anima di figlia della Chiesa esulterà di riconoscenza, attingendo la forza per la sofferenza, senza che la croce cessi un istante di pesare gravemente sulle sue spalle.
Colui, la cui sapienza ha così disposto, si riserva l'ora della liberazione.
La domenica, 14 ottobre, durante il ringraziamento della Comunione, Josefa si trova ad un tratto davanti al Maestro che calma i flutti e le tempeste. Ella esita, teme, vuole dubitare e respinge da sé la visione che crede ingannatrice.
«- Non temere niente!»
risponde Gesù, con la voce forte e dolce che annienta tutte le astuzie di Satana. E, siccome dopo aver rinnovato i voti, ella persiste nel suo rifiuto, protestando energicamente la sua volontà di resistere a qualsiasi menzogna:
«- Non temere niente - ripete il Maestro - sono Gesù, sono lo Sposo a cui sei unita con i voti di povertà, di castità, di obbedienza, che tu ora mi hai rinnovati. Sono il Dio della Pace!»
Queste parole scendono nell'anima sua con tale potenza e tale sicurezza che ogni resistenza è vana.
«Senza volere - scrive - una così grande luce si è fatta nella mia mente che sono rimasta convinta che era Lui!...»
Qualche ora dopo il demonio tenterà invano di provarle il contrario, ma all'adorazione del pomeriggio:
«Colui scrive che credo essere Gesù è tornato. Gli ho chiesto di ripetere con me che Egli è veramente il Figlio di Maria Immacolata. Allora con una pace che irradiava dal suo volto come dalla sua voce mi ha detto:
«- Sì, Josefa, sono il Figlio della Vergine Immacolata, la Seconda Persona della Santissima Trinità, Gesù, Figlio di Dio e Dio Io stesso, mi sono rivestito della santa Umanità per dare il mio sangue e la mia vita alle anime. Io le amo e ti amo, Josefa... Le cerco ora per manifestare loro il mio amore e la mia misericordia, ed è per questo che mi sono abbassato fino a te. Non temere nulla, la mia potenza ti difende».
Poi, con sovrana autorità:
«- No, tu non sei ingannata!»
Il fitto velo che avvolge Josefa svanisce a queste parole e Gesù prosegue:
«- Di' alle tue Madri che voglio che tu scriva. E come il sole appare più fulgido dopo una cupa giornata, nello stesso modo, dopo questa grande sofferenza, l'Opera mia apparirà in tutto il suo splendore».
Il lunedì 15 ottobre, allorché Josefa passa davanti all'oratorio di Santa Maddalena Sofia, si sente chiamare da una voce ben nota. Sempre timorosa, fugge dapprima, ma la Santa Fondatrice l'attira nella fiducia e nella pace:
«- Sono la Madre tua - le dice, e per dargliene certezza aggiunge:
«Ti dirò soltanto che durante la mia vita non ho cercato altro che la gloria del Cuore di Gesù. Ed ora che vivo in Lui e di Lui, la propagazione del suo Regno è più che mai il mio unico desiderio. Perciò chiedo che questa piccola Società sia per molte anime il mezzo di conoscerlo e di amarlo sempre più.
«Non temere! Il demonio cerca di nuocerle perché essa è l'oggetto delle predilezioni del Cuore adorabile di Gesù. Ma questo divino Maestro non permetterà che essa cada nei tranelli che le tende il suo nemico.
«Va', figlia mia, va' al tuo lavoro. Io ti benedico».
La stessa sera, nel silenzio del ritiro che si svolgeva mentre ella sperimentava tali vicende, Nostro Signore appare per continuare il Messaggio dolorosamente interrotto:
«- Non crediate - Egli dice - che Io voglia parlarvi d'altro che della mia croce.
«Per mezzo di essa ho salvato il mondo, per mezzo di essa voglio ricondurlo alla verità della fede, e soprattutto alla via dell'amore...
«Vi manifesterò i miei desideri: ho salvato il mondo dall'alto della croce, cioè con la sofferenza. Voi sapete che il peccato è un'offesa infinita e richiede una infinita riparazione... Per questo chiedo che le vostre sofferenze e le vostre fatiche le offriate unite ai meriti infiniti del mio Cuore. Sapete bene che il mio Cuore è vostro. Prendetelo e riparate per mezzo suo!...
«Alle anime che avvicinerete inculcate l'amore e la fiducia. Immergetele nell'amore,
immergetele nella fiducia verso la bontà e la misericordia del mio Cuore. In tutte le circostanze in cui potete parlare e farmi conoscere, dite sempre alle anime che non temano, perché Io sono un Dio di amore.
«Vi raccomando specialmente tre cose:
«1°. L'esercizio dell'Ora Santa, poiché è uno dei mezzi per offrire a Dio Padre, per la mediazione di Gesù Cristo suo divin Figlio, una riparazione infinita;
«2°. La devozione dei cinque Pater in onore delle mie piaghe, poiché per mezzo loro il mondo ha ricevuto la salvezza;
«3°. Infine l'unione costante, e l'offerta quotidiana dei meriti del mio Cuore, poiché così darete a tutte le vostre azioni un valore infinito.
«Servirsi continuamente della mia vita, del mio Sangue, del mio Cuore; è un segreto che molte anime non conoscono ancora abbastanza. Voglio che voi, voi lo conosciate e ne approfittiate».
Poi dopo aver esposto alcune richieste precise rivolte alla Società del Sacro Cuore, aggiunge:
«- Resta nella mia pace. Io vi amo, vi guido, vi difendo. Non dubitate mai della mia bontà!»
L'aurora si leva quindi più limpida e radiosa dopo la tempesta e Josefa, sempre ignara di sé, non suppone quali nuove assicurazioni soprannaturali il Signore si è compiaciuto di imprimere sull'Opera sua durante questa tormenta. La Madre Generale che ha seguito da vicino la tribolazione della sua figlia ha potuto toccare con mano la saldezza della sua virtù e la sincerità del suo distacco. Mai il contrassegno dello Spirito di Dio era stato così impressionante, né apparso più autentico che in quelle ore in cui, immersa nell'angoscia, ella aveva accettato, nella pace di un abbandono totale, il crollo di quella che ella aveva creduto un'Opera d'amore, e per la quale aveva sacrificato la vita e dato tutto il suo essere.
Il soggiorno a Roma sta per finire: Nostro Signore vi ha realizzato il suo piano. Ancora qualche giorno di grazia: il venerdì 19 ottobre, la Santa Fondatrice ricorda una volta di più alla sua figlia diletta quale posto debba avere la croce nell'Opera che sta per compiersi:
«- Non temere - le dice - il suo Cuore adorabile ha sempre governato e diretto questa piccola Società. Ma talvolta è assai difficile riconoscere la sua azione. La fede manca nel mondo e Gesù vuole che le sue spose riparino questa mancanza di fede con i loro atti di fiducia. Non temere e non preoccuparti se non hai la luce. Gesù te la darà: a poco a poco Egli disporrà che tutto si compia secondo i suoi disegni. In quanto a te, basta che tu obbedisca e ti abbandoni. Sì, certo, ci sono dei momenti di oscurità: è la croce che si erge davanti a noi e ci impedisce di vedere Lui. Ma Egli stesso allora ci dice: «Non temete, sono Io». Sì, è Lui che guiderà e compirà l'Opera sua fino alla fine. Non temere, sii fedele e resta nella pace».
La festa di Mater Admirabilis così cara alla Società del Sacro Cuore, sabato 20 ottobre, non trascorre senza che questa ammirabile Madre abbia anch'ella rassicurato sua figlia:
«- Sono la Madre tua, la Madre di Gesù e la Madre della misericordia»
dice insistendo per ben provare la sua identità. E allorché Josefa le confida ancora i timori che non riesce sempre a dominare:
«Non tornare indietro, figlia mia! Lascia che Gesù si glorifichi nella tua piccolezza e nella tua miseria. Così risplenderanno maggiormente la sua potenza e la sua bontà... Considera come la sua mano paterna ti ha condotta e custodita qui. Non temere, ti aiuterà fino alla fine. Rimani molto semplice, poiché in cielo non avrai altra gloria che quella della tua semplicità. I bambini piccoli non hanno alcun merito proprio: così è dite. Sei la privilegiata del suo Cuore, senza aver fatto niente per divenir tale; è Lui che fa tutto in te, che ti perdona e ti ama!»
Il giorno seguente, domenica 21 ottobre, mentre Josefa sta meditando, Gesù le appare e le scopre il Cuore «tutto infiammato» e le dice:
«- Guarda il mio Cuore! È il libro in cui devi meditare. Ti insegnerà tutte le virtù, specialmente lo zelo per la mia gloria, e la salvezza delle anime.
«Guarda bene il mio Cuore. È l'asilo dei miserabili e, per conseguenza, il tuo: poiché chi più miserabile di te?
«Guarda bene in fondo al mio Cuore, Josefa! È il crogiuolo in cui i cuori più contaminati si purificano e s'infiammano d'amore. Vieni, accostati a questa fornace: lascia qui le tue miserie e le tue colpe. Abbi fiducia e credi in Me che sono il tuo Salvatore!
«Guarda ancora il mio Cuore, Josefa! È la sorgente d'acqua viva. Immergiti in essa e bevi fino ad estinguere la tua sete. Desidero e voglio che tutte le anime vengano a questa sorgente per trovarvi refrigerio.
«In quanto a te, ti ho messa in fondo al mio Cuore. Tu sei così piccola che non avresti potuto venirvi da sola. Approfittane dunque, e bevi le grazie che ti dò; lascia il mio amore agire in te, operare in te, e rimani molto piccola!»
La sera di quello stesso giorno la Santa Fondatrice appare alla figlia sua e le sue raccomandazioni materne terminano con questo ardente desiderio:
«- Gesù sia amato e glorificato in maniera speciale dalle anime che compongono la piccola Società del Suo Cuore!»
«Le ho chiesto di benedirmi - scrive Josefa - poiché è mia Madre. Questa è stata l'ultima volta che l'ho vista a Roma. I giorni seguenti trascorsero per l'anima mia in pace e vera gioia. Il mercoledì 24 ottobre abbiamo lasciato Roma e siamo giunte a Poitiers».

                                                                                                                                                                                                                                                         
ULTIMO RITORNO AI FEUILLANTS PURIFICAZIONE •  26 OTTOBRE - 30 NOVEMBRE 1923

Fino ad ora la mia croce ha riposato su di te: Io voglio d'ora in poi che tu riposi sopra di essa.
(Nostro Signore a Josefa - 27 ottobre 1923)  ♦ Pag.518

Genova... Parigi... Poitiers! Il rapido viaggio che riconduce ai Feuillants Josefa, ha termine il venerdì 26 ottobre. Come nello scorso giugno, dopo la gioia di ritrovarsi ed il racconto di quel soggiorno romano con cui anima gioiosamente le prime ricreazioni, l'ombra torna a scendere sopra Josefa. E la cornice in cui Gesù vorrà fino alla fine nascondere i privilegi del suo Cuore ed i suoi ultimi messaggi, come pure le sofferenze e le prove che debbono completare la sua Opera.
La stanchezza estrema che prova in tutto il suo essere glielo dice abbastanza, ma più ancora il recondito invito che non inganna, quello dell'amore che l'attira, la distacca, la sospinge irresistibilmente. L'ultima tappa sarà breve: Josefa lo sa.
Il sabato 27 ottobre, dopo una notte riposante, ella scrive il suo grazie filiale alla Madre Generale. Queste righe semplici e spontanee devono trovare qui il loro posto, perché rivelano il fondo di quell'anima così fresca e ingenua, così ignara di ogni ricercatezza nelle sue espressioni.
«Reverendissima Madre, con immensa gioia Le scrivo oggi per ringraziarLa di tutte le bontà che ha avuto per me.
Gesù la rimeriti di tutto!... Glielo chiedo con tutto il cuore, e a lei, Reverendissima Madre, prometto di fare tutto ciò che mi sarà possibile per essere fedele in questi ultimi tre o quattro mesi di vita che mi restano. Farò e dirò ciò che Gesù mi dirà e procurerò di essere un poco più umile: credo che sia quello che più mi costa... Perciò glielo prometto con tutta sincerità, e per mezzo di questi sforzi cercherò di riparare un poco la mia vita passata.
Per ora mi trovo in pace e molto felice, benché non abbia ancora riveduto Gesù, né la Madonna, né la nostra Santa Madre.
Sono tanto contenta di ritrovarmi a Poitiers, quantunque non dimentichi i giorni passati alla Casa Madre e l'affetto materno che vi ho trovato. Io non la dimenticherò davvero nelle mie preghiere e soprattutto quando sarò in cielo procurerò di fare molti «regalitos» (regalini) alle mie Madri, che amo tanto, e di ottenere loro piccole gioie nelle cose che loro sono necessarie.
Mi benedica, Reverendissima Madre. Rimango sempre la sua piccola, umile figlia nel Cuore di Gesù - JOSEFA MENENDEZ »
Il ritorno di Nostro Signore non tarda molto. Sembra aver fretta di scoprirle il suo piano sulle ultime settimane della sua vita.
«È venuto bellissimo - scrive la sera di quel 27 ottobre - portando in capo la corona di spine. Ne ho provato una grande gioia poiché non L'avevo più visto dopo Roma. Gli ho detto tutto quello che mi riempiva il cuore e mi ha risposto con molta tenerezza:
«- Credi tu, Josefa, che non sappia che sei tornata qui?... Sono Io che ti ho ricondotta!
«- Non impaurirti - Egli continua leggendo nell'anima sua il timore sempre risorgente delle insidie diaboliche - sono proprio Io, Gesù, il Figlio della Vergine Immacolata, il tuo Salvatore, il tuo Sposo!»
Poi gravemente, con bontà:
«- Finora la mia croce ha riposato su di te. Voglio d'ora in poi che tu riposi sopra di essa. Tu sai che è il patrimonio delle mie spose».
Come non abbandonarsi senza riserva a quell'amore che la sollecita a soffrire? Josefa si offre... e guardando la corona che ha tanto desiderato, osa chiederla al Maestro.
«Sì - risponde - oggi la mia corona di spine, e presto la corona di gloria!... Lasciami operare in te e per mezzo tuo per le anime!... Ti amo... amami!»
Veramente sotto questo lavoro misterioso e divino va compiendosi l'Opera dell'amore.
Il giorno dopo, domenica 28 ottobre Josefa ha ripreso le sue abitudini che, a dir vero, non ha mai lasciato del tutto. Verso sera va a fare, secondo il solito, la Via Crucis. Gesù le appare.
«Dopo aver terminato - scrive - recitavo i cinque Pater alle sue piaghe, ed avevo appena cominciato il primo quando è venuto. Egli stese la mano destra, poi la sinistra, e mentre procedevo nel dire i Pater, un raggio di luce usciva da ciascuna delle sue piaghe.
«Ho rinnovato i voti e alla fine mi ha detto:
«- Si, Josefa, sono Gesù, Figlio della Vergine Immacolata! Ecco le mie piaghe aperte sulla croce per riscattare il mondo dalla morte eterna e ridonargli la vita! Sono esse che ottengono misericordia e perdono a tante anime che provocano la collera del Padre mio. Sono esse che d'ora in poi daranno loro luce, forza e amore».
Quindi mostrando il suo Cuore ferito:
«- Questa piaga è il divino vulcano in cui voglio che s'infiammino le mie anime scelte e in special modo le spose del mio Cuore.
«- Questa piaga è loro, e tutte le grazie ch'essa racchiude appartengono a loro, affinché le riversino sul mondo, su tante anime che non sanno venire a cercarle, e su tante altre che le disprezzano!»
«Allora - scrive Josefa - Gli chiesi di insegnare a queste anime il modo di farlo conoscere e amare».
«- Darò loro tutta la luce necessaria affinché sappiano valersi di questo tesoro e non soltanto farmi conoscere ed amare, ma ancora riparare gli oltraggi continui con cui i peccatori Mi opprimono. Sì, il mondo Mi offende, ma esso sarà salvato dalla riparazione delle mie anime scelte.
«Addio, Josefa! Ama, poiché l'amore è riparazione e la riparazione è amore!»
I giorni seguenti risponderanno al dolce invito.
Col principio della settimana Josefa ritorna al suo laboratorio. Si è lavorato molto durante la sua assenza in quel mese di ottobre; Josefa è contenta nell'ammirare gli sforzi delle sorelle e contenta soprattutto di rendersi conto che ella sarà ben sostituita e la sua partenza per il cielo non metterà le madri in troppo imbarazzo. Ormai bisogna che si abituino a non lasciarle più la responsabilità del laboratorio: e pertanto nelle lunghe ore che ella consacrerà a questo caro lavoro procurerà di incaricarsi delle più umili riparazioni, lasciando l'iniziativa alla sua giovane sostituta che ella non guida più se non con lo sguardo pieno d'incoraggiamento.
Questo posto nascosto che la distacca da ciò che la sua attività ha amato tanto, le è prezioso. Il suo cuore vi si affeziona, mentre la sua bontà si fa ancor più servizievole, ed il sorriso più raggiante, malgrado lo sfinimento che i suoi lineamenti attestano.
Attraverso questi ultimi sforzi il Signore termina in segreto di scolpire la configurazione del suo strumento alla sua passione ed alla sua croce. Nei primi giorni di novembre il demonio tenta ancora di rinnovare la prova spaventosa che Josefa ha conosciuto a Roma. Le si mostra sotto le apparenze di Nostro Signore e le lascia rinnovare i voti. Rifiuta però di ripetere le lodi divine e l'affermazione che Gesù ripete ogni volta con tanto slancio: «Sono Gesù, il figlio della Vergine Immacolata». «Dillo tu, questo basta» risponde l'ingannatore infernale. Invano cerca di simulare le parole del Maestro. Josefa le respinge con indignazione. La sua anima rimane però turbata ed inquieta: il pensiero della morte vicina aggiunge sgomento, i giorni si succedono in questa dolorosa angoscia.
«Così, dal 28 ottobre al 13 novembre - ella scrive - non ho più rivisto Nostro Signore».
La festa di S. Stanislao, patrono del noviziato, martedì 13 novembre, riporta un po' di luce celeste.
«Stamani dopo la Comunione - scrive - Gesù è venuto bellissimo, con le piaghe scintillanti di fiamme, e, prima ancora che aprissi bocca, Egli ha detto:
«- Non temere, sono Gesù il Figlio della Vergine Immacolata!»
E spingendo la condiscendenza fino a ripetere con lei le lodi divine, aggiunge per rassicurarla completamente:
«Sì, sono l'Amore! il Figlio della Vergine Immacolata, lo Sposo delle vergini, la forza dei deboli, la luce delle anime, la loro vita, la loro ricompensa, il loro fine! Il mio sangue cancella tutti i loro peccati, poiché Io sono il loro Riparatore e Redentore!»
Questa infinita bontà dà coraggio a Josefa che confida al Maestro le sofferenze dei giorni precedenti, l'estrema stanchezza che le toglie il modo di lavorare e le fa presagire la morte vicina.
«- Come, Josefa, - risponde teneramente - non desideri dunque possedermi e godere di Me senza fine? Io sì, ti desidero! Io Mi glorifico nelle anime che adempiono la mia volontà sempre e in tutto, e ti ho scelta per questo. Lasciami fare di te quello che so convenire alla mia gloria e al tuo bene. Passa l'inverno della vita!... Io sono la tua felicità!»
Quindi le dà convegno per comunicarle ciò che dovrà prossimamente trasmettere per la seconda volta al Vescovo di Poitiers. Qualche istante dopo la raggiunge nella sua cella e Josefa riprende la penna. Dapprima Egli rivolge le sue parole al Vescovo; poi, scoprendo un più largo orizzonte, aggiunge:
«- Voglio che il mio amore sia il sole che illumina e il calore che riscalda le anime. Perciò desidero che si facciano conoscere le mie parole. Voglio che il mondo intero sappia che Io sono un Dio di amore, di perdono, di misericordia. Voglio che tutto il mondo legga il mio desiderio ardente di perdonare e di salvare: i più miserabili non temano!... i più colpevoli non fuggano lontano da Me!... che tutti vengano! Li aspetto come un padre, con le braccia aperte, per dar loro la vita e la vera felicità.
«Affinché il mondo conosca la mia bontà ho bisogno di apostoli che gli manifestino il mio Cuore, ma che, prima di tutto, lo conoscano essi stessi... si può insegnare ciò che si ignora?...
«Perciò parlerò durante alcuni giorni per i miei Sacerdoti, i miei Religiosi, le mie Religiose. Allora conosceranno chiaramente quello che chiedo. Voglio formare una lega di amore tra le anime consacrate, affinché esse insegnino e pubblichino fino ai confini della terra la mia misericordia e il mio amore.
«Voglio che il desiderio e il bisogno di riparare si risveglino ed aumentino tra le anime fedeli e le anime consacrate, poiché il mondo ha peccato... Sì, il mondo, le nazioni provocano in questo momento la collera divina. Ma Dio, che vuol regnare con l'amore, si volge alle sue anime scelte e specialmente a quelle di questa nazione. Chiedo loro di riparare prima per ottenere il perdono, ma soprattutto per attirare nuove grazie su questo paese, che è stato il primo, lo ripeto ancora, a conoscere il mio Cuore ed a propagarne la devozione.
«Voglio che il mondo sia salvo... che la pace e l'unione regnino tra gli uomini. Io voglio regnare e regnerò mediante la riparazione delle anime scelte e una conoscenza nuova della mia bontà, della mia misericordia e del mio amore.
Le mie parole saranno luce e vita per un numero incalcolabile di anime, e tutte verranno stampate, lette, predicate, e darò loro una grazia speciale affinché illuminino e trasformino le anime (23)».
(23) «Mis palabras serán la luz y la vida para muchísimas almas. Todas se imprimirán, se leerán y se predicarán.
Yo daré gracia especial para que hagan un gran bien que sean la luz de las almas»
Nostro Signore tace... Egli ha parlato con tanta forza ed ardore che Josefa ne è rimasta colpita. Ella adora quella volontà che afferma i suoi piani, e la cui divina sicurezza dilegua ogni dubbio.
«Gli ho chiesto perdono per aver dubitato - ella scrive - ma Egli sa quali insidie mi tende il demonio!... Allora mi ha risposto con grande bontà:
«- Credi tu che possa lasciarvi in potere di quel nemico crudele? Vi amo e non permetterò mai che siate ingannate. Non temete di nulla, abbiate fiducia in Me, che sono l'Amore!»
C'è da meravigliarsi se simili messaggi si acquistano a prezzo tanto caro?... Colei che li trasmette deve essere la prima a pagarli con tutta la sua capacità di soffrire. Ella lo sa, e la sua oblazione ogni giorno diviene più profonda.
Ai primi di novembre i dolori fisici di giorno e soprattutto di notte sembrano distruggere a poco a poco tutto il suo essere; dolori intensi di cui non si trova la causa, e che ogni venerdì aumentano ancora. Il venerdì 9 novembre lo ha trascorso distesa e quasi senza potersi muovere, con la testa, il petto, le membra tutte straziate da violenta sofferenza... Una nuova emottisi la riduce all'estremo, e neppure un consulto medico riesce a scoprirne la causa.
Il giovedì 15 novembre, verso le otto di sera, attraversa una crisi dolorosa che sembra gettarla come in agonia e che si rinnova la notte. Tuttavia all'alba del venerdì 16 Nostro Signore la visita nella S. Comunione e le si mostra durante il ringraziamento: momenti benedetti in cui Josefa ritrova in Lui la forza di continuare la sua dura salita al Calvario.
«- Non temere - le dice Gesù - sono la tua vita e la tua forza. Sono tutto per te e non ti abbandonerò mai».
Poi, dopo averle ricordato la prossima visita del Vescovo, aggiunge:
«- Quanto a te, resta a mia disposizione affinché possa parlare alle mie anime scelte. Lasciami piena libertà! In tal modo Io mi glorificherò».
Questa libertà divina si esprime ora soprattutto per mezzo dei patimenti. In quello stesso venerdì tre volte ancora: alle nove del mattino, a mezzogiorno, tra le tre e le quattro del pomeriggio, Gesù Crocefisso sembra associarla ai dolori della sua croce. Ma appena riprende un po' di forza, si alza e tenta energicamente di rimettersi al lavoro. Di giorno in giorno Josefa, offerta a Colui che l'immola, avanza verso la sua consumazione.
Il martedì 21 novembre, festa della Presentazione di Maria, ella rinnova i voti pubblicamente in mezzo alle giovani sue consorelle. Il suo fervore ha preparato questo atto con un amore reso più ardente dalla sofferenza. Ella sa che è l'ultima volta che la sua voce ripeterà in quella cappella la promessa che l'ha legata al Cuore di Gesù e alla sua opera d'amore.
Durante il ringraziamento della Comunione Gesù le appare e dice:
«- Io pure, Josefa, rinnovo la promessa che ti ho fatto di amarti e di esserti fedele. Quantunque ti faccia soffrire, non credere per questo che ti ami meno: ti amo, e non cesserò di amarti fino alla fine. Ma ho bisogno di sofferenze per guarire le piaghe delle anime! Addio, resta con Me, come Io resto con te!»
Dopo alcuni giorni, il sabato 24 novembre, Mons. Durfort rivede a lungo Josefa: questa visita paterna è una grazia insigne che la sua fede riceve con riconoscenza e semplicità. La dimenticanza di se stessa colpisce vivamente il Prelato. Ella non si occupa che degli interessi del Cuore di Gesù. La parte che ella ha in quest'opera, le sue sofferenze che sono rivelate dai lineamenti sconvolti, nulla contano per lei di fronte ai desideri del Maestro. D'altra parte ella li trasmette con una chiarezza e precisione oggettive senza che il suo linguaggio impacciato ne alteri alcun particolare. Poi con la stessa semplicità con cui è uscita dall'ombra per qualche momento si nasconde di nuovo nella via dolorosa e purificante che è più che mai la sua.
Ancora una volta, sul finire di quel novembre, il martedì 27, Nostro Signore le si mostra come una felice visione di pace. Ella lo scrive in questi termini:
«Questa sera durante l'adorazione del santissimo Sacramento non riuscivo a dirgli niente, e per non perdere tempo ho letto lentamente le litanie del Sacro Cuore. Poi, siccome l'ora non era ancora trascorsa, ho preso le invocazioni della novena del primo Venerdì del mese (24) (1) e giunta a questa:
«Unione intima del Cuore di Gesù col Padre celeste, mi unisco a voi», Gesù improvvisamente mi è apparso splendente di bellezza. La sua tunica sembrava d'oro: il Cuore era come un incendio e dalla ferita scaturiva una luce abbagliante. Ho rinnovato i miei voti e Gli ho chiesto perdono d'essere così fredda ai suoi piedi. Tuttavia mi sembra che non sia per mancanza di amore, poiché Lo amo più che ogni altra cosa al mondo. Mi ascoltava e guardava, poi ha detto:
«- Questa invocazione, Josefa, mi è così gradita e ha tale valore, che supera di molto quello delle preghiere più eloquenti e sublimi che le anime possano offrirmi. Infatti, che cosa vi può essere di più grande valore che l'unione del mio Cuore col Padre celeste?... Quando le anime pronunziano questa preghiera penetrano per così dire nel mio Cuore e aderiscono al beneplacito divino, qualunque esso sia su di loro. Esse si uniscono a Dio e questo è l'atto più soprannaturale che si possa compiere sulla terra, poiché cominciano a vivere qualche cosa della vita del cielo che consiste nella perfetta ed intima unione della creatura col suo Creatore e Signore.
«Continua, Josefa, continua la tua preghiera. Con essa tu adori, tu ripari, tu meriti, tu ami! Sì, continua la tua preghiera ed Io proseguo l'Opera mia».
«Gli ho confidato tutte le mie insufficienze - ella scrive, dopo questo racconto - e mi ha risposto:
«- Non ti preoccupare, sono Io che conduco tutto!»
È l'ora della fede viva nella condotta dell'amore attraverso tutte le oscurità. Josefa, abbattuta dalla prostrazione fisica, sembra abbandonata a se stessa. L'anima sua è ridotta ad una specie di agonia morale. Eppure la sua fede non dubita di Colui che permette queste ore dolorose, e si abbandona all'azione purificatrice dell'amore di cui è sicura.

(24) Queste invocazioni che si dicono ogni mese nelle Case del Sacro Cuore sotto forma di novena preparatoria al primo venerdì sono una protesta di unione ai sentimenti e agli affetti del Cuore di Gesù.

                                                                                                                                                                     
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