Vai ai contenuti


REGISTRAZIONE ♫ AUDIO

8° COMANDAMENTO NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA

Ottavo comandamento: «Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo» (Libro dell’Esodo 20,16).
La parola diventa falsa testimonianza quando arreca danno agli altri, come nel caso dei due anziani che accusarono ingiustamente la giovane e bella Susanna (Libro di Daniele 13).
Dice il Catechismo: «Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2477). Chi dice il falso non resterà impunito: «Il falso testimone non resterà impunito, chi diffonde menzogne perirà» (Libro dei Proverbi 19,9).

Non tutte le bugie sono gravi alla stessa maniera. La bugia è tanto più peccaminosa, quanto più nuoce al prossimo e offende Dio: «La gravità della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono le vittime. Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2484).

Quanto più la falsa testimonianza è contro il nostro prossimo, tanto più è maledetta dal Signore. Dio può anche comprendere e scusare una bugia a fin di bene, ma quando alla bugia è unita la malignità Egli diventa severo: «Sei cose odia il Signore, anzi sette gli sono in abominio: occhi alteri, lingua bugiarda, mani che versano sangue innocente, cuore che trama iniqui progetti, piedi che corrono rapidi verso il male, falso testimone che diffonde menzogne e chi provoca litigi tra fratelli» (Libro dei Proverbi 6,16-19).

Dio non sopporta il bugiardo e il maldicente, soprattutto quando alla bugia è unita la malignità.
Non tanto per la gravità del peccato, quanto per la malvagità del peccatore. Infatti, quando il falso diventa crudele uccide una stima, una vita, una speranza, una innocenza. Non ha pietà del suo prossimo e gli nuoce per odio, per vendetta, per avidità, per paura, per invidia, per gelosia, per superbia, per disprezzo. Guai all’impostore che alla menzogna aggiunge la cattiveria!

Ci sono anche le bugie cosiddette “buone”, fatte per coprire un male, per nascondere una verità che è bene tener segreta, per evitare un danno o tranquillizzare una persona. Esse sono innocue, ma non bisogna farne un’abitudine, per non perdere fiducia e credibilità. Come, infatti, si può credere a uno che dice sempre bugie? La bugia è sempre un difetto ed è bene eliminarla il più possibile, perché: «Il testimone vero non mentisce» (Libro dei Proverbi 14,5). Se si può, quando non si vuol mentire è meglio fare silenzio o sviare il discorso, perché dice il Signore: «Di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Vangelo di Matteo 12,36-37).
E il Catechismo afferma: «Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune, sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2489).

«L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore» (Lettera di Paolo ai Romani 13,10). Il buono non è mai avido, perciò non ha bisogno di mentire per avere ciò che vuole o per volere ciò che non ha. La vicinanza con una persona che non conosce doppiezza e falsità reca pace, riposo, generale benessere.

Dio ci ha fatto dono della parola, elevandoci sopra tutti gli esseri viventi della terra. Dovremmo dunque amare Dio e il prossimo anche con la bocca ed usarla sempre a fin di bene.
Spesso, invece, di questa grande qualità umana che è la parola, ne facciamo arma per offendere con la falsità, la maldicenza, la critica l’ipocrisia, lo spergiuro, l’inganno, la calunnia. La parola, infatti, può danneggiare molto un nostro simile, nel corpo e nello spirito, nella mente e nel cuore: «Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l’onore del prossimo» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2479).

Molte volte uno calunnia per scusare se stesso, in modo che il suo male non affiori, e scarica il danno compiuto su altri che non hanno fatto nulla. Ma Dio vede, giudica, e prima o poi interviene: «Il Signore ride dell’empio, perché vede arrivare il suo giorno» (Salmo 36,13); «Il perverso, uomo iniquo, va con la bocca distorta, ammicca con gli occhi, stropiccia i piedi e fa cenni con le dita. Cova propositi malvagi nel cuore, in ogni tempo suscita liti. Per questo improvvisa verrà la sua rovina, in un attimo crollerà senza rimedio» (Libro dei Proverbi 6,12-15). Gesù ci insegna a non giurare, ma ad avere un solo linguaggio: “sì” o “no”, cioè a non essere ambigui e ipocriti: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Vangelo di Matteo 5,33-37).

Il giuramento non è necessario per chi è onesto. Esso dev’essere fatto solo quando lo richiede la legge, ma ha poca importanza.
Chi è cattivo, infatti, mente anche sotto giuramento (Libro del Siracide 34,4). Chi invece è buono non ha bisogno di giurare, perché ha la verità delle sue azioni che testimoniano per lui.
La parola del giusto è sempre creduta e rispettata, senza bisogno di essere difesa, poiché le opere parlano per essa.
A garanzia delle sue parole e del suo agire l’uomo buono non mette la formalità di un rito, ma l’onestà di una vita.

Gesù dice che «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Vangelo di Matteo 12,34). Perciò, se è necessario mantenere casta la lingua, ancora più importante è mantenere casto il cuore. Evitiamo dunque di essere falsi e ambigui, ma viviamo nella verità, come anche Gesù ha fatto ed ha insegnato, mostrandoci veri nelle parole e negli atti, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall’ipocrisia.

Gesù è venuto su questa terra per rendere testimonianza alla verità, senza compromessi e paure (Vangelo di Giovanni 18,37). Anche noi possiamo fare così e manifestare chiaramente le nostre convinzioni, quando è bene esprimerle. Dice il Catechismo:

«Il cristiano non si deve vergognare della testimonianza da rendere al Signore. Nelle situazioni in cui si richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2471).

È falsa testimonianza anche quando alla parola non corrisponde la vita. Bisogna quindi essere leali nelle parole e nelle opere, dentro e fuori la chiesa, da soli o in compagnia, fra amici o in una grande assemblea.
Se la Parola di Dio, che è parola d’amore e di verità, diviene vita in noi, la nostra vita darà sempre una vera testimonianza d’amore. Buoni non per essere lodati dagli uomini, ma per piacere a Dio.

Lasciamo parlare le nostre opere e operiamo senza tante parole.
SITO in ALLESTIMENTO
Eventuali violazioni ai DIRITTI d'AUTORE, se DEBITAMENTE SEGNALATE a ezio1944@gmail.com - VERRANNO IMMEDIATAMENTE RIMOSSE
Torna ai contenuti