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LETTERA A TITO

INTRODUZIONE

Tito fu prediletto discepolo di san Paolo anche prima di Timoteo. Nativo di Antiochia e pagano di origine, fu convertito alla fede da san Paolo e battezzato da lui stesso che, perciò, lo chiama figlio. Convertito alla fede, visse fi­ no alla morte nella continenza, come ci attesta san Giro­ lamo.
Non essendo Tito circonciso, i giudaizzanti di Gerusa­ lemme volevano che lo fosse, come pretendevano che fos­ sero circoncisi quelli che si convertivano alla fede. Ma san Paolo fu fermo e non volle stabilire un precedente che sa­ rebbe stato dannoso alla propagazione della fede, e Tito rimase incirconciso. Era  logico, del resto, che il simbolo dell'aggregazione al popolo di Dio  cedesse alla realtà del Battesimo, al quale Gesù Cristo aveva chiamato  tutte le genti, per formare il popolo di Dio del Nuovo Testamento.
Durante il terzo viaggio missionario di san Paolo, Tito gli fu vicino nella sua permanenza  ad Efeso, e lo coadiuvò nel sedare i torbidi della comunità di Corinto.  Dopo il primo viaggio di Roma, san Paolo, ritornato in Oriente, predicò  il Vangelo nell'isola di Creta, come ci attesta san Girolamo, ed ebbe  con sé Tito. Ma, non potendo ivi fer­ marsi, vi lasciò Tito per ampliare  l'evangelizzazione dell'isola, e provvedere alla sua organizzazione  ecclesia­ stica.
San Paolo si trovava a Nicopoli, città dell'Epiro, quando  scrisse questa lettera a Tito, per illuminarlo e gui­ darlo nel  ministero che gli aveva assegnato, verso il 65 dell'era cristiana. Dopo avere affermato la sua autorità di apostolo,  istruisce Tito sulla scelta dei ministri sacri, de­ stinati a coltivare  quella nuova vigna del Signore; enumera le doti necessarie che dovevano  avere, i vizi dai quali do­ vevano essere esenti, e richiede in essi  scienza ed amore della verità, per mantenere integra la fede, e per  opporsi ai novatori che, come loglio sul buon grano, già cominciava­ no a  pullularvi.
Avendo lasciato Tito a Creta per completare l'organiz­ zazione di quella Chiesa, era  logico che cominciasse dalla scelta dei sacri ministri. Indica poi al  suo diletto discepolo quello che deve insegnare agli uomini anziani,  alle donne avanzate, alle giovani spose, ai giovani ed agli schiavi, e­  sortandolo ad essere fedele nel compimento di questo suo dovere.
Lo  esorta ad inculcare l'obbedienza all'autorità eccle­ siastica ed alle  legittime autorità, perché la disciplina è il fondamento dell'ordine  nella Chiesa e nella società. E, per  la pace e la prosperità di quella comunità, lo esorta ad in­ culcare la  carità verso il prossimo, la pratica delle opere buone, la purezza  della fede, opponendosi alle vane novità ed a quelli che propagavano  errori.
L'Apostolo  conclude la lettera dando alcune notizie e raccomandazioni pratiche, e  vi aggiunge i saluti e la bene­ dizione apostolica. La sua parola di  vita sia anche per noi luce che ci guidi nella via del Cielo, unica meta del nostro pellegrinaggio su questa terra.


CAPITOLO I

  1. lntestazioni e saluti. Qualità dei presbiteri.

    « 1 Paolo, servo di Dio, apostolo  di Gesù Cristo per pre­ dicare la fede agli eletti di Dio, e far  conoscere la verità che conduce alla pietà 2 e dà speranza di vita  eterna, promessa fin dai secoli eterni da quel Dio che non può mentire, .? e che al tempo debito manffestò la sua parola, mediante la predi­ cazione a me ajjìdata per ordine di Dio, Salvatore nostro, 4 a Tito, mio vero figlio nella comunefède, grazia e pace da Dio Padre nostro e da Cristo Gesù nostro Salvatore.
    5 Ti lasciai a Creta appunto perché tu compia l 'opera di ordinamento, e costituisca in ogni città dei presbiteri, con­ formandoti agli ordini che ti ho dato: 6 cioè che ciascuno di essi sia irreprensibile, non abbia sposato che una sola mo­
    glie, che i suoi figli siano jèdeli, non in voce di dissoluti o indisciplinati. 7li vescovo, infatti, quale amministratore di Dio, dev'essere irreprensibile, non arrogante, né iracondo, né beone, non violento, né avido di vile guadagno, 8 ma ospi­ tale, amante del bene, moderato. giusto, santo, continente, 9 attaccato alla vera dottrina, conforme all'insegnamento trasmesso, perché sia capace di esortare con sana dottrina, e di confutare i contraddittori.
    10 Vi sono, infatti, soprattutto fra i circoncisi, ancora
    molti riottosi, ciarloni e seduttori, ai quali bisogna turare la bocca. 11 Essi sconvolgono, infatti, le intere t amiglie, inse­ gnando per vile interesse, cose sconvenienti. 2 Uno dei loro, proprio un loro profèta, già aveva detto: "J Cretesi sono sempre falsi, bestie grame, ventri infingardi". 13 E questa te­ stimonianza è proprio veru . Perc:iù riprendili severamente,
    affinché si mantengano sani nella fede, 14 e non diano retta a favole giudaiche ed a prescrizioni di uomini che ripudiano la verità.
    15 Tutto è puro per i puri; per gli impuri e per gli incre­
    duli nulla è puro, essendo la loro intelligenza e la loro co­ scienza contaminata. 16 Fanno professione di conoscere Dio, ma a fatti lo rinnegano, abominevoli come sono, protervi ed incapaci di qualsiasi opera buona».

  2. Il senso letterale di questo capito)o.

    San  Paolo, scrivendo a Tito, suo fedele collaboratore nell'apostolato, si  annuncia solennemente, sintetizzando in poche parole le funzioni proprie  di un uomo apostolico, per insinuarle nell'animo del suo discepolo, che  chiama suo vero figlio nella comune fede. Non si annuncia, così,  per imporsi con la sua autorità al discepolo, ma perché gli scriveva  per confermarlo e guidarlo nell'apostolato. Le pa­ role, quindi, erompevano dal suo grande cuore: Paolo servo di Dio o, come può tradursi anche il testo greco: schia­ vo di Dio, interamente  dipendente da Lui, in ogni disposi­ zione della sua volontà,  interamente consacrato alla gloria di Dio nel ministero apostolico.  Difatti, soggiunge subito: Apostolo di Gesù  Cristo per predicare la fede agli eletti di Dio e far conoscere la  verità, che conduce alla pietà, e dà speranza di vita eterna.
    Gli eletti di Dio sono quelli che il Signore ha chiamato alla fede con vocazione efficace , nelle città e nelle regioni dove si annunciava il Vangelo. Mandare l'Apostolo in una città era già una chiamata cli Dio a quel popolo, per fargli conoscere la verità, non come una semplice nozione, una cultura scolastica di una novità dottrinale, ma come una verità vivificante, che conduce alla pietà, cioè che porta all'adorazione di Dio, alla preghiera, alla vita soprannatu­ rale della grazia, e che dà speranza di vita eterna, cioè  che, riconoscendo, adorando e servendo Dio nella vita, abbia per fine  non di conoscere semplicemente ma di ave­ re la ferma speranza di  conquistare la vita eterna.
    Conoscere  per operare, operare per conquistare la vita eterna, non in una vaga  aspirazione personale, che potrebbe anche essere illusione, ma nella  verità eterna di Dio; speranza promessa fin dai secoli eterni da quel Dio, che non può mentire, e che al tempo debito manifestò la sua parola agli eletti chiamati da Lui alla fede, mediante la predicazione a me affidata - soggiunge san Paolo - per ordine di Dio Salvatore nostro.
    Con  questa intestazione solenne, l'Apostolo esprime in poche parole lo  scopo per il quale scrive a Tito, esor­tandolo all'apostolato a cui lo  vuole come cooperatore: predicare la verità della fede, accrescere la  pietà, ossia la pratica dei doveri che impone la fede; fortificare ed  ac­cendere la speranza nella vita eterna, fine ultimo della vita umana.
    Predicare  la verità della fede secondo l'insegnamento che san Paolo gli ha fatto,  per divina rivelazione, e quindi trasmetterla nell'integrità della  verità, a quelli che a loro volta debbono esserne ministri. Per questo  si volge affet­tuosa-mente a Tito, e lo chiama mio vero figlio nella co­mune fede, implorando su di lui l'aiuto di Dio per grazia di Gesù Cristo: Grazia e pace da Dio, Padre nostro, e da Cristo Gesù nostro Salvatore.

    Dopo  questa premessa sintetica, san Paolo passa, logi­camente, allo scopo  della lettera in modo particolare, a­vendolo lasciato a Creta per  organizzare quella Chiesa na scente. Era rimasto là come un suo  delegato, vescovo, e doveva farvi opera di ordinamento, costituendo, in ogni città evangelizzata, dei sacerdoti per coltivarvi le anime conquistate alla Fede.
    Non  si trattava evidentemente di costituirvi dei sem­ plici rappresentanti,  come si farebbe in un'organizzazione commerciale o politica, ma di  mettervi dei sacerdoti, ca­ paci di coltivare la vigna di Gesù Cristo  con autorità, co­ me delegati del vescovo o, come noi diremmo oggi, come  vicari di lui; Tito rappresentava il vescovo, capo di quella  cristianità costituitavi da san Paolo. I sacerdoti che dove­ vano  consacrare dovevano essere irreprensibili, cioè pieni di virtù e modelli di fede e di pietà anche innanzi al popo­ lo che dovevano governare.
    Scelti tra i migliori cristiani, i quali allora avevano famiglia, dovevano essere esemplari per purezza, e quindi che avessero sposato una sola moglie, cioè  che non fosse­ ro dei vedovi riammogliati; padri, quindi, di una sola  fa­ miglia esemplare, i cui figli fossero veramente fedeli, e non in voce pubblica, di indisciplinati. Chi  era vedovo e si sposava di nuovo, non solo mostrava di non essere  capace di casta continenza ma, creandosi una nuova famiglia, complicava  la sua vita in preoccupazioni terrene, che gli rendevano impossibile  coltivare le anime a lui affidate, ve­ ra sua famiglia spirituale.

    «Sposati una sola volta»: cosa significa in san Paolo
    Scegliere  uno che era ammogliato, al sacro ministero, era allora una necessità,  giacché gli uomini anziani ed e­ semplari che dovevano essere consacrati  presbiteri o an­ ziani rettori di anime, venivano dalla società, ed in genera­ le erano ammogliati. Ma, anche come tali, dovevano esse­ re esempi di continenza e di purezza , il  che innanzi al po­ polo era impossibile quando erano vedovi nuovamente  ammogliati. Sposare una seconda donna mostrava certo un 'anima inclinata  al piacere del senso ed incapace di con­ tenersi.
    L'insistenza di san Paolo nelle sue lettere, di volere che i ministri dell'altare fossero stati sposati una sola vol­ ta, non  significa che nella disciplina de11a Chiesa primitiva i sacerdoti  potessero ammogliarsi, ma significava proprio l'opposto. Scelti allora  di necessità tra uomini già sposati, dovevano pensare a servire Dio ed a  badare alla salvezza de1le anime, conducendo una vita casta e pura.
    Del  resto, così fecero gli apostoli scelti da Gesù Cristo al sublime e  sommo ministero de11'apostolato; non lascia­ rono solo la barca e le  reti o il teloneo di cambio, come fe­ ce san Matteo, ma quelli che erano già sposati lasciarono
    ]e  mogli e si dedicarono, certamente dopo la venuta dello Spirito Santo, a  predicare il Vangelo, come loro aveva comandato Gesù. Presumere, come  fanno alcuni scerve11a­ ti modernizzanti, che le parole di san Paolo  possono insi­ nuare che il sacerdote possa sposarsi una sola volta, è completa e rovinosa incoscienza di quello che significhi essere ministri della gloria di Dio e della salvezza delle a­ mme.

    San  Paolo, infatti, soggiunge con accorata insistenza a Tito: Bisogna che  il vescovo, come amministratore di Dio, sia irreprensibile, cioè sia  santo e senza macchia nella sua vita, non arrogante, né iracondo, né  beone, non violento, né avido di vile guadagno, ma  ospitale, capace di ricevere tutti con carità, amante del bene,  moderato, giusto, santo, continente. Questo nella sua vita, come esempio  di tutti. Sono qualità e virtù che sono difficili se non impossibili in  uno che prende moglie.
    Preoccupato  della sua famiglia temporale, e nell'inevi­ tabile impossibilità di  vera armonia di idee e di carattere con una donna, come dimostra la  penosa esperienza della vita coniugale, è facile ad essere arrogante ed iracondo con la moglie e con i figli. Amante del piacere e delle soddisfazioni materiali, può essere intemperante e persino beone; insoddisfatto di tutto, può facilmente essere nervo­ so e violento; preoccupato della propria famiglia, alla qua­ le tante volte nulla basta, è avido di vile guadagno, può giungere all'avarizia, alla durezza di cuore, all'inospitalità nell'accogliere, per cui rifugge dal fare il bene.
    Queste non sono supposizioni, sono l'esperienza della vita di chi prende moglie e delle case degli ammogliati. L' esperienza, dolorosamente, dimostra che il sacerdote che vive tra familiari, nipoti, cognate, ecc. non sempre è di  esempio, specie quando praticamente è sostegno materiale della casa. Il  sacerdote o è tutto di Dio e per le anime o è un aborto miserabile che  corre pericolo grave di potersi dannare eternamente .
    Nella vita di apostolato, il sacerdote dev' essereattac­ cato alla vera dottrina, conforme all'insegnamento della

    Chiesa, senza farsi traviare e confondere dalle idee mo­ derniste e scientifìcoidi che corrono.
    Dev'essere  capace di esortare con sana dottrina, e di confutare i contraddittori,  cioè quelli che errano lontani dalla verità della fede.

    I pericoli di una falsa dottrina
    Determinatamente  san Paolo mette in guardia Tito contro i cristiani provenienti dal  giudaismo, che insegna­ vano novità frivole e dannose alla pace ed alla  fede, e vo­ levano imporre astinenze da cibi o osservanza di feste in  nessun modo prescritte, e perciò esclama: Vi sono  infatti, soprattutto fra i circoncisi, ancora molti riottosi, ciarloni e  seduttori, ai quali bisogna turare la bocca. Sconvolgono essi le intere  famiglie, insegnando per vile interesse cose sconvenienti.
    Queste  raccomandazioni fatte a Tito, avevano una par­ ticolare importanza per  l'indole ed i costumi dei Cretesi, e san Paolo lo fa notare citando dal  libro degli oracoli dei medesimi Cretesi il detto di Epimenide, vissuto  nel secolo sesto prima di Gesù Cristo, su quel popolo, dicendo: Uno dei loro, proprio un loro profeta ha detto: I Cretesi sono sempre falsi, bestie grame, ventri infingardi.
    Abituati per indole a travolgere le cose e mentire, era­ no facili ad insinuare falsità nel parlare della fede. Bestie grame, ossia  bestie cattive ed insidiose, erano facili alle insidie, per loro  interesse e tornaconto, e quindi bisognava stare in guardia parlando  loro, perché potevano alterare il senso delle parole e generare fastidi.  Ventri infingardi, cioè amanti dell'ozio e del mangiare bene, non erano ca­ paci di sacrificarsi, e quindi difficilmente accettavano la

    via della croce, o cercavano di adattarla ai loro istinti e ca­ pncc1.
    Avevano  un livello morale molto basso; erano prover­ biali per le loro  abitudini di falsità, di avarizia e di mollez­ za, soprattutto di  falsità, tanto che si era formato iI verbo cretizein, greco, per dire mentire in modo raffinato e scal­ tro. Correva poi questo detto: Cretesi, Cappadoci e Cilici.
    tre pessime kappa37 Per la loro indole particolare, facile a
    falsare,  era necessaria una maggiore accortezza e vigilanza per combattere i  novatori che già pullulavano in mezzo a loro. San Paolo, certo, non  mancava alla carità mettendo in guardia Tito verso i Cretesi, dicendo  che la testimo­ nianza di quel loro poeta era proprio vera.
    Non voleva disprezzarli, ma giustificava la sua ap­ prensione, citando il detto di un loro profeta cioè di un lo­ ro autorevole connazionale, poeta, e stimato dai pagani dell'isola come un profeta, un  chiaroveggente, per il suo libro di oracoli. Per questo soggiunge, per  autentico zelo apostolico, scrivendo del resto al suo discepolo  confiden­ zialmente, e non parlando pubblicamente, per impedire che i  novatori cretesi alterassero la purezza della fede: Ri­ prendili severamente, affinché i cristiani si mantengano puri nella fede, e non diano retta a favole giudaiche ed a prescrizioni di uomini che ripudiano la verità.
    San  Paolo, che per primo aveva evangelizzato Creta, conosceva bene l'indole  di quegli abitanti, e sapeva quan­ to erano pericolosi fra essi i  giudaizzanti che rendevano più complicata e difficile la conversione dei  pagani, pre­ tendendo d'imporre loro l'astinenza da certi cibi, come se

    37 ln greco questi tre nomi iniziano con la lettera kappa.

    fossero stati impuri per loro natura. Per i Cretesi special­ mente, ventri infingardi, abituati  a mangiar bene e di ogni cosa, quelle arbitrarie prescrizioni, che i  novatori preten­ devano fossero condizione necessaria per abbracciare la  fede, erano un impedimento a convertirsi.
    Tito,  stando a Creta come vescovo, e trattandosi di a­ stinenza da cibi,  quasi come atto penitenziale, avrebbe po­ tuto passarvi sopra o  addirittura avrebbe potuto essere af­ fascinato, e per questo san Paolo  gli dice con forza per prevenire questo pericolo: Tutto è puro per i puri, per quelli che sono purificati dalla grazia di Dio; per gli impu­ ri e per gli increduli nulla è puro, essendo la loro intelli­ genza e la loro coscienza contaminate.
    Per chi ha fede e sa che Dio fa tutto bene, ogni cibo creato da Dio è buono e puro, quando lo si prende con so­ brietà e con pura int enzione. Ma per gli impuri che si ci­ bano unicamente per la gola, e che mangiano come bestie grame, per quelli che sono increduli, e  ricercano la loro materiale soddisfazione in ogni creatura fatta da  Dio, a­ vendo la mente pervertita ed il cuore guasto, ogni cosa è  impura. Fanno professione di conoscere Dio, come face­ vano i giudaizzanti che si affermavano adoratori del vero Dio ma, lontani dalla vera fede, a fatti lo rinnegano, abo­ minevoli quali sono nella loro vita, protervi nelle loro idee false, e praticamente incapaci di ogni opera buona.
    l  novatori, infatti, sostenendo una dottrina errata, si formavano un  sistema di vita conforme al loro egoismo ed alle proprie passioni; pure,  illudendosi di essere giusti, e
    mancando della grazia di Dio, erano incapaci di ogni ope­ ra buona, veramente soprannaturale e meritevole della vi­ ta eterna.

  3. Per la nostra vita spirituale.

Il  mondo, tante volte aspira a titoli di nobiltà e di be­ nemerenza, e se  ne gloria come se fossero un merito personale o un'esigenza di  maggiore rispetto. L'araldica rie­ voca domini di tempi passati, che  spesso sono tristi ricordi di tirannie locali, se non di delitti e di  guerre, grandezze o miserie mondane, sulle quali è passato l'oblio, come  su tutte le cose umane, e delle quali rimane un più o meno falsato  ricordo storico.
L'araldica  ha una gradazione di titoli che inorgoglisce le persone o le famiglie  che li portano; una vera o suppo­ sta grandezza passata della quale  rimane, come ultima fo­ sforescenza o ultima macchia, Io stemma, quasi  ultima ombra di un tramonto, ultimo risucchio di onde, tra le are­ ne di  una riva dove non si approda più, tra le arene che de­ fluiscono ed i  ciottoli che mormorano, perché, travolti, an­ cora s1 cozzano.
Oh,  miseria e vanità delle grandezze terrene! Oh, ca­ stelli diroccati che,  fatiscenti, cadono in rovina! Oh, aule e saloni regali o principeschi,  dove sorrideva l'arte, dove si facevano simposi e si ballava, dove gli  uomini imputridi­ vano nel peccato!. .. Ora ai pannelli ed agli  scalpelli che li decoravano sono subentrate le polverose ragnatele e le  crepe delle mura sconnesse e degli intonachi caduti, dove, per terra,  tra i rifiuti, le superbe figure affrescate non han­ no più lampi di  grandezza, ma sogghigni di rovina; dove i cavalli che spumeggiavano al  freno, nel nitrito di una bat­ taglia regale, sono per terra in rovina,  spezzati, infranti, non più sul campo della gloria, ma sui cumuli di  terriccio

invaso  dalle  acque,  dove,  a  suprema  derisione,  spuntano erbe e.virgu1 t·i ,....
L'umile vita tra la morte di un orgoglio travolto, su cui passa l'ala fremente di un angelo della divina giustizia!
Questa è la vanità dei titoli nobiliari ai quali tanto si aspira! Re, principi, marchesi, conti, baroni, cavalieri ...
regni,  feudi, ricchezze di terre, ettari verdeggianti a perdita d'occhio...  tutto travolto dal tempo, ed agli eredi di quelli che ne insuperbivano, come ultimo fiore di siepe, tra le spine di una vita grama, spesso l'indigenza!
E  i titoli della benemerenza terrena, che oggi non sono illustrati dalla  croce ma, come segno di una latente o manifesta apostasia, da una  misera stella che non splende, o peggio da una falce che non miete e da  un martello che non connette ma infrange, i titoli della benemerenza  umana non hanno sorte diversa, e si mutano in segni di falli­ mento  per chi li eredita: stella di cavaliere del lavoro, a chi cavalca verso  la morte, rimanendo inerte su di un letto di pena! Stella che sovrasta  falce e martello, a chi rovinò la vita del prossimo con la tirannia di  utopie sacrileghe. Pre­ mio Stalin, a chi emulò i delitti spaventosi di  un barbaro e spietato tiranno.

«Servo di Dio», sacerdote: ecco i titoli di una vera nobiltà
Un solo titolo è veramente grande per un cristiano ve­ ro che conosce ed ama Dio, il titolo di san Paolo: Io, servo di Dio, interamente  dipendente dalla sua volontà. E tra gli uffici e le benemerenze  nobilissime della vita umana, un solo titolo è veramente grande: Sacerdote, apostolo di Ge-

sù Cristo, per predicare la fede agli eletti di Dio e far co­ noscere la verità.
Il  mondo può disprezzare il sacerdote, ma il sacerdote non può non  pensare, con immensa gratitudine a Dio, che col sacerdozio ha ricevuto  la più grande e reale dignità, ed ha ereditato il più grande titolo di  nobiltà, la divina nobiltà di Gesù Cristo, perché è alter Christus.
I  titoli o le attività di scienziato, di professore, di capo, non  esaltano un sacerdote ma lo diminuiscono, e possono anche avvilirlo, se  vi concentra le attività della sua vita e prescinde dalla sua sublime  missione: Far conoscere la verità che conduce alla pietà, alla vita soprannaturale che dà la speranza della vita eterna. Questa missione gli è af­ fidata dal Re dei re, da Gesù Cristo.
Quale  scienza o speculazione terrena può paragonarsi alla conoscenza di Dio,  quale ufficio può paragonarsi a quello di portare le anime alla vita  eterna? E come può un sacerdote andare sui banchi di un'università per  imparare cose che non interessano il suo altissimo ministero, sotto la  presuntuosa guida di chi molte volte lo avvelena con er­ rori che sono  agli antipodi della verità, rimanendo asfissia­ to dallo spirito del  mondo?
Come  può leggere ed assorbire libri che sono contrari alla fede, o  letterature che sono soffi di corruzione sull 'a­ nima sua consacrata  all'integrale purezza? Una farfalla può chiudersi in un bozzolo di ragnatele polverose, per ri­ diventare viscido verme?
Ogni  atto della tua vita, o sacerdote, dev'essere come radiante splendore  della tua dignità ed un esempio chiaris­ simo della tua vita attiva  nell'operare il bene, nel converti­ n.: i traviati, 11el consolare gli afflitti, nel donare ai deboli

le  forze, agli infenni il conforto supremo dell'amicizia di Dio. Tutte le  grandezze umane deperiscono come un vesti­ to che si logora... tamquam vestimentum veterascent, solo  la tua grandezza non deperisce ma si accresce, dando al tuo cuore  un'intima gioia; sei il solo tra le persone d'età che puoi arditamente  dire: «Sono un sempre vivo che non appassisce mai, e Dio allieta la mia  perenne giovinezza». I fiori della terra appassiscono tutti, e si  piegano tutti sul lo­ ro esile stelo.

Tutto, nella vita, declina verso la morte
Uno  scienziato? Ma a poco a poco le cognizioni fati­ cosamente raccolte  sfuggono dalla memoria come sfuggo­ no i granelli da un crivello, ad uno  ad uno. La mente illu­ minata dalla luce della scienza tenena ha sempre  un tra­ monto nebuloso, che finisce nelle brumose oscurità della notte. Cresce  la scienza? Ma col suo crescere lo scienziato capisce di non conoscere,  e si sente ignorante anche tra gli applausi che lo esaltano. Le sue  idee si sgonfiano come bolle di sapone, che erano iridescenti e si  riducono ad una goccia torbida.
Uno  scienziato che studia le opere della creazione, la natura? Era esaltato  nello scrutare il firmamento? Ma a poco a poco gli appariva più vasto, e  vedeva se stesso più misero in quell'immensità. L'età declina, l'occhio  non può affissarsi più al telescopio, la mente non si presta più a  calcoli intricati ... Ad una ad una par che gli si spengano le stelle...  , se ne allontana col declinare degli anni, diventa­ no lucciole nel  ricordo, stille di pianto nel suo rammarico d'essere quasi cieco tra la  luce che prima gli splendeva.

Studiava  le cellule, le fibre, gli atomi, il microscopio? Piccolezze? Scorgeva  in esse una bellezza velata, una for­ za latente, una mirabile armonia.  Sentiva nel cielo stellato come un'orchestra in pieno, nel microcosmo  uno snodarsi di armonie in sordina. Scopriva nel firmamento immensi  abissi di misteri, nel microcosmo infinitesimali profondità, sorprese  che lo rapivano, atomi come soli nella piccolezza, e soli come atomi  nell'immensità... Ma a poco a poco, col declinare degli anni, tutto  spariva come una scena celata da un sipario: tutto è polveroso... il microscopio come il telescopio, e tutto è come morto e seppellito!
Un musicista appassionato ... Anni ed anni di studi fa­ ticosi, per costringere le dita  all'obbedienza, e lo strumen­ to a manifestare la passione del  sentimento che gli sgorga­ va dal cuore... Anima che vuole splendere  nella materia, materia che vibra come un'anima... Ma le mani s'intor­  pidiscono per la vecchiaia, gli occhi si velano e non di­ scernono più  le note... Tace il pianoforte, geme quasi il violino nel fodero polveroso...
Tutto  declina... e la fremente bacchetta orchestrale che animava un coro  osannante, o che affievoliva un coro gemente, o che faceva scattare in  impeto i timballi, è là, piegata come un arido  ramuncolo d'un salice piangente, che ha una sola vibrazione, quasi un  tenue lamento quando una folata di vento la getta sul pavimento!
Oh,  vanità delle grandezze umane! Oh, notte oscura che subentra ad un  giorno luminoso! Oh, silenzio di tom­ ba, rotto solo da sibili di vento,  che sembrano un silenzio più profondo e misterioso, tra il cadere delle  foglie ingial­ lite che rotolando par che vadano a baciare le tombe,

dov'è sepolta la vanità umana, polvere che ritorna in cene­ re, tenue richiamo alla vita che fiorisce solo nell'eternità!

Il sacerdozio fiorisce in eterna giovinezza
Ma il sacerdote veramente servo di Dio ed apostolo di Gesù Cristo per predicare la fede agli eletti di Dio e far conoscere la verità, ha  una vita che non declina, ma fiori­ sce in eterna giovinezza. La sua  scienza non ha ombre, non teme delusioni; è la Fede che non può errare,  verità che lo eleva fino all'eterna sapienza di Dio. Una scienza che non  ha sorprese di erranti tenebre, ma diventa sempre più chiara;  un'armonia di supreme bellezze che non impal­ lidiscono, ma diventano  sempre più attraenti, a misura che si contemplano, un'attività che è  sempre fresca ed operan­ te, perché opera con la grazia di Dio.
Il  sacerdote è vestito di dignità altissima che non in­ vecchia; ha un  alone di purezza che non può insozzarsi, perché ha due grandi ali che la  sollevano sul pantano del mondo, quando la brutale natura gravita in  picchiata nella melma: l'amore a Dio e la preghiera. E  quando è colpito dall'infermità e dai dolori, non è un inattivo nel  completo abbandono, ma è elevato nell'attività divina del Crocifis­ so, e  compie nel suo corpo e nell'anima sua la divina Pas­ sione, salvando le  anime e predicando la verità con la sua pazienza e con la sua  immolazione, tutta unita alla divina volontà.
L'ultimo suo respiro non è il soffio di una vita che
cessa,  non è il vento che spegne una lampada che arde, è il soffio di un bacio  che lo congiunge a Dio, e lo pone in alto come intercessore di grazia  per le anime a Lui affidate da Gesù Cristo sulla povera terra. La sua  vita sacerdotale, tut-

ta grazie e pace da Dio padre nostro, e da Gesù Cristo nostro Salvatore, è  la vita più nobile e più bella che possa immaginarsi, di fronte alla  quale la vita del mondo, anche nei suoi aspetti più nobili ed elevati, è  vanità che appare come una meteora fuggente che sembra splendore e si  ri­ duce in erranti meteoriti che cadono nel vuoto sidereo.
E  tu, sacerdote, puoi riguardarti come un uomo fallito, smarrendoti nel  fragore della vita mondana, che ti appare come felicità, quando è tutto  infelice? Puoi riguardarti come un uomo incompleto, sol perché non vivi  di senso, ma hai ali angeliche per vivere di purezza, nella libertà  dello spirito tuo? Puoi essere ingrato a Gesù che ti ha tanto amato,  prestando ascolto alla tentazione o preoccupandoti del giudizio del  mondo che non ti apprezza, quando Gesù ti ha scelto con infinita  predilezione d'amore?
Quando  il mondo, il demonio e la carne ti tentano, non ti smarrire, ritorna in  te stesso e ripeti al tuo cuore le paro­ le dell'Apostolo: lo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cri­ sto, non  sono servo del mondo; servo di Dio, sono sacer­ dote per combattere e  vincere il demonio. Io, apostolo di Gesù Cristo per predicare la Fede e  far conoscere la verità, non posso vivere nell'inganno dei sensi, Vivo io ma non io, perché vive in me Gesù Cristo!
Anche un semplice cristiano non può considerarsi del mondo, ma deve pensare: Sono servo di Dio, e  debbo ser­ vire a Lui solo nella mia vita. Non posso farmi ingannare  dalle massime del mondo, non posso vivere negli inganni delle passioni, o  abbrutirmi nelle miserie del peccato. Ser­ vo di Dio, e non posso contemporaneamente servire ad un altro padrone, che è in perfetta opposizione a Dio.
Capitolo I Lettera a Ti10

Non sono sacerdote, è vero,  ma ho il dovere di predi­ care la Fede con la mia fede, con la mia vita  veramente cd integralmente cristiana, non solo, ma ho il dovere  dell'apostolato, oggi specialmente che i cristiani sono così  disorientati e lontani da Dio. Un cristiano, che si chiude nel suo  egoismo e s'illude di una pietà tutta egocentrica, è un cristiano che non fa conoscere e non diffonde la verità.
I  figli delle tenebre, i protestanti, i comunisti, ecc., dif­ fondono i  loro errori con pertinacia costante, penetrando nelle case,  diffondendoli nelle scuole, propinandoli con la stampa, con la  televisione, col cinema, e con tutti i mezzi di diffusione che si hanno  oggi. Quante volte un protestan­ te non si stanca se non ha indotto uno  all'errore, a volte anche con sacrificio e con simulata carità, prezzo  del tra­ dimento di un 'anima redenta col Sangue di Gesù Cristo; ed un  cristiano non sentirà l'amoroso dovere di salvare un'anima e donarla a  Gesù?
È  vero, oggi ci sono le organizzazioni, c'è l'Azione Cattolica, ci sono i  circoli, ma l'esperienza dimostra quasi sempre la sterilità di queste  associazioni - il cui richiamo è fatto da giochi, da gite, da sport - ed  esse non formano le anime ad una vita veramente e profondamente  cristiana38.
C'è  l'apostolato della preghiera che si gloria di avere milioni di  iscritti, per recitare una povera posta di Rosario, ma in quante anime  di questo apostolato c'è veramente l'ansia di pregare per ottenere ai  peccatori ed ai miscre­ denti la pace e la grazia di Dio? I figli non  sono generati

38 Effettivamente,  se in alcuni casi si dà la prevalenza ai giochi trascurando la funzione  spirituale, non si ricavano molti frutti dalle associazioni. Se in­ ve1,;e l'SSl' uuu imlirizzate all"irnpegno di vita, come oggi s1 tenta d1 fare, si rileva una vitalità che incide veramente nella vita e nell'ambiente.

dalla vita dei genitori? Ed un cristiano non può nascere o rinascere che dalla vita di un cristiano veramente tale.

Il sacerdote, irreprensibile ammini­ stratore di Dio
San Paolo raccomanda a Tito che i sacerdoti siano ir­ reprensibili nella loro vita, perché sono amministratori di Dio. Come  tali debbono essere veramente virtuosi e santi. Qualunque difetto o  vizio rende non solo sterile ma delete­ rio il loro apostolato, per lo  scandalo che danno per la loro vita.
Un sacerdote non può essere arrogante, iracondo,
perché  dev'essere pieno di soprannaturale signorilità, dol­ ce, di maniere  soavi e piene di bontà. Nella bontà e nella carità si manifesta amministratore di Dio al popolo. Que­ sto, infatti, non sa se il sacerdote prega, se è penitente, se è... dotto magari, ma lo giudica dal modo come è trattato  da lui. Un'irruenza, un'impazienza, una mancanza di deli­ catezza può  allontanare per sempre un'anima dalla Chiesa e da Dio.
Lo dimostra l'esperienza. Peggio se per correggere si mostra violento, e trascende volgarmente, peggio ancora se si mostra interessato, avido di vile guadagno. L'espe­  rienza dimostra costantemente che il disinteresse suscita nel popolo la  generosità nel cooperare alle opere buone, e gli fa intendere che il sacerdote vuole solo il bene delle a­ nime, rendendo luminoso il suo zelo, ed efficace il suo a­ postolato.
Quale  valore può avere un'esortazione alla vita cri­ stiana, alla preghiera,  alla purezza, sulla bocca di un sa­ cerdote che contende per avere anche  un suo diritto venale

di parrocchia? E non è un  avvilimento del suo ministero tenere persino esposta a vista la tabella  per avere i diritti di un Battesimo, di un Matrimonio, di un  certificato parroc­ chiale, quasi fosse il prezzario di una bottega? San  Paolo nel suo apostolato lavorava per non essere di peso a nes­ suno, e  si gloriava di questo suo disinteresse, perché era un mezzo per salvare  le anime39
San Paolo dice che il sacerdote non dev'essere beone, e questa parola può sembrare strana, rivolta ad un ministro di Dio. Un beone, infatti,  ha qualche cosa di sommamente volgare e ripugnante, che sembra assurda  addirittura in un rappresentante di Dio. Ma con la parola beone deve  inten­ dersi qualunque manifestazione di gola o qualunque avidi­ tà di  mangiare e di bere nei ricevimenti e negli inviti o simposi, in  occasione di nozze o di altre solennità monda­ ne, nelle quali è facile mostrare il proprio gusto per lec­ cornie o per bevande.
È  sommamente disdicevole per un sacerdote prendere parte a simili  ricevimenti o simposi, che possono sempre degenerare, lasciando  nell'anima di chi vi partecipa un sentimento anche inconscio di  disistima per chi è ammini-

39 Certamente un sacerdote legato alle cosiddette «tariffe» non è lodevole per l'impressione che dà. Però vi è da notare - come dice san Paolo in altre lettere - che l'operaio è degno della sua mercede.
Egli che si dedica a tempo pieno al servizio dei fratelli ha pure il diritto a poter vivere. Da parte del sacerdote occorre, è vero, un maggiore disinteres­ se; ma da parte dei fedeli occorre una maggiore sensibilità verso coloro che dedicano la vita al servizio dei fratelli per le cose di Dio.
La Sacra Scrittura, che esprime il volere di Dio , molte volte invita il po­ polo a dare il contributo per il culto pubblico e per i sacerdoti.
Spesse volte i fedeli spendono denari per tante cose inutili , ma dimenticano che anche il sacerdote <lev\;sscre aiutato sia personalmente che per il servi­ zio fatto alla comunità.

stratore di Dio: e  per il suo ministero spirituale. Il popolo può notare persino, anche  senza malignità, il gesto del sa­ cerdote che sceglie dal vassoio una  pasta più bella o un bicchierino più colmo, come può notare qualunque  parola o qualunque sguardo che manifesti una leggerezza mon­ dana. In  simili convegni un sacerdote perde sempre qual­ che cosa di sé, e vi sta  a disagio come... un gatto frustato.
Perciò san Paolo insiste sulle qualità di un ministro di Dio di fronte al popolo, e le sintetizza: il sacerdote dev'es­ sere ospitale cioè pieno di carità, educato, dignitosamente cordiale; amante del bene, e quindi sempre pronto ad ogni opera buona, ad ogni iniziativa di zelo, ad ogni intervento di carità.
Moderato, e quindi rifuggente da ogni esagerazione,
da ogni iniziativa di entusiasmo con non ponderata pru­ denza; giusto nei giudizi, negli apprezzamenti, nelle deci­ sioni, ed anche nelle necessarie punizioni. Santo in ogni atto della sua vita, e di una santità che deve manifestarsi nelle opere per la gloria di Dio. Gesù, infatti, disse: Veda­ no le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei Cieli.
Dev'essere  santo nella sua anima e, logicamente, non in una forma di ostentazione  che potrebbe rasentare l'ipo­ crisia, non con la preoccupazione quasi di  apparire santo, il che produrrebbe un effetto disastroso, con profonda  u­ miltà interiore, ma evitando quello che può indurre il so­ spetto di  una vita disordinata. È una cosa psicologicamen­ te importante.
Il dire, per esempio: Sono un peccatore, sono stato un povero peccatore ecc., può fare pensare, e lo dimostra I' e­ sperienza: «Chissà 4ua11te ue avrà fattt; questo sacerdote

nella  sua vita e quante ne fa». Meglio dire con profondo sentimento, quando  occorre per la gloria di Dio: «Sono un povero nulla innanzi a Dio» o  simili espressioni sincere, anche con moderazione, proprio  quando sgorgano dall'a­ nima umiliata innanzi a Dio, ed umile  nell'estimazione di sé innanzi agli altri, senza atteggiamenti di boria o  di pre­ sunzione che suscitano, anche inconsciamente, la reazione ad  ogni opera di zelo, ad ogni esortazione di bene.
San Paolo dice che il sacerdote dev'essere continente cioè  puro e casto nei suoi costumi, evitando ogni più pic­ cola debolezza  interna ed esterna, in una virtù così delica­ ta, e che è sempre  insidiata dal mondo, dal demonio e dal­ la carne. Infine il sacerdote  dev'essere tenace della vera dottrina, rifuggendo  da novità pericolose, oggi special­ mente che si avverano le previsioni  di san Paolo a Timo­ teo, circa le aberrazioni degli ultimi tempi.
Non  si può negare, infatti, che oggi esiste un profondo disorientamento  negli studi sacri, e che serpeggia un dele­ terio spirito critico che,  lungi dal fare emergere la verità, la soffoca ncll 'incertezza e nel  dubbio, e distrugge radical­ mente la semplicità dello spirito, il gusto  delle cose sante e l'umiltà del cuore, che dilata l'anima nelle cose  celesti.
I  giovani, nei seminari e negli ordini religiosi, si abi­ tuano a  svalutare ogni delicatezza ascetica e mistica e, per la naturale  esagerazione che è propria dei giovani in tutto quello che sollecita  l'orgoglio o la vanità, finiscono per di­ sorientarsi nella vita  interiore, e per disordinarsi nell 'ap­ prezzamento della missione che  Dio loro affida, con inevi­ tabile decadenza spirituale.
Il sacerdote dev'essere tenace conoscitore della vera dottrina, conforme all'insegnamento avuto dalla Chiesa,

capace, perciò, di esortare con sana dottrina, e di confutare i contraddittori.
Vi sono, infatti, oggi, tra i cristiani, e spesso anche tra le anime consacrate a Dio, molti, riottosi alla vera dottrina, smarriti nelle loro errate opinioni, ciarloni nel propagarle, seduttori nel fare proseliti, ai quali bisogna turare la boc­ ca con la vera dottrina della Chiesa e dei santi. Sono que­ sti pericolosi novatori che sconvolgono intere famiglie, in­ segnando per vile interesse cose sconvenienti contro   la dottrina e la morale, disseminando il discredito sulla vera pietà,  maniche larghe e cuori dissestati che indulgono allo spirito del mondo,  che giustificano certi disordini delle passioni, come... esigenze  naturali, che generano la con­ fusione nelle coscienze.
Del mondo moderno - e non esageriamo - può dirsi quello che Epimenide diceva ai Cretesi, e che san Paolo dichiara una testimonianza proprio vera: sempre falso in ogni sua manifestazione della vita, bestia grama, insidioso e pericoloso nelle sue massime; ventre infingardo, ricerca­ tore solo di piaceri e dissipato nella vita tutta materiale.
11 sacerdote deve combattere questo spirito mondano,  modernizzante in un vero delirio di aberrazioni dottrinali, morali,  artistiche, scientifiche, e non può in nessun modo assuefarvisi; la sua  vita dev'essere un rimprovero alle a­ nime che si lasciano traviare dalla corrente mondana, af­ finché si mantengano sane nella fede e non diano retta a favole presentate come progresso e come civiltà nuova, mentre sono evidente ripudio della verità.
Quante  anime, trascinate dalla corrente del mondo, si chiamano cristiane e  cattoliche, ma, essendo contaminata la loro intelJigenza e la loro  coscienza, fanno professione

di  conoscere Dio ed a fatti lo rinnegano, abominevoli quali sono e  proterve, ed incapaci di ogni opera buona. Questi miseri cristiani sono  come mutilati, che credono di essere in gamba con un arto ortopedico, e  credono di essere ve­ stiti, con un panno tarlato e rabberciato. E se un  cristiano non può essere tale se non è perfetto nella fede e nei co­  stumi, se è un cristiano di nome soltanto, che cosa sarà o potrà essere  un sacerdote mutilato nell'anima e nella vita, più laico che vero  ministro di Dio? Possiamo illuderci nel­ la vita presente, ma innanzi a  Dio ogni illusione si dissipa, e la realtà nella luce divina sarà  spaventosa per chi ha se­ guito il mondo, il demonio e la carne.

CAPITOLO II

  1. Riforma dei costumi.

    « 1 Ma tu insegna ciò che è co11forme alla sana dottrina: 2 i vecchi siano sobri, gravi, assennati, integri nella fede, nella carità, nella pazienza. 3 Insegna  ugualmente che le donne d'età serbino un santo decoro nel loro  portamento, non siano maldicenti, né dedite al vino; siano maestre nel  fare il bene, 4 affinché possano esortare le giovani spose ad essere amanti dei mariti e dei _figli, 5 ed essere osservanti, caste, attente alle cure domestiche, buone, sottomesse ai lo­ ro mariti, sicché non si dica male della Parola di Dio.
    6 I giovani similmente esortali ad essere saggi. 7 Mos­
    trati, in tutto, modello nel fare il bene, portando nel tuo in­ segnamento 8 integrità,  gravità, dottrina sana ed irreprensi­ bile, affinché siano conji1si i  nostri avversari, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro.
    9 Di' agli schiavi che stiano sottomessi in ogni cosa ai loro padroni, che li compiacciano, non li contraddicano, non rubino; 10 ma dimostrino un 'intera e delicata fedeltà, in modo da fare onore in tutto alla dottrina di Dio nostro Sal­
    vatore. 11 La grazia salvatrice di Dio, infatti, si è man(festata per tutti gli uomini, 12 e ci ha insegnato a rinnegare l 'em­
    pietà  e le cupidigie mondane, ed a vivere in questo secolo con temperanza,  con giustizia e pietà, 13 aspettando fa beata speranza e la  manifestazione gloriosa del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo. 14 Egli diede se stesso per noi al.fi­ ne di riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un suo popolo, zelante per Ie opere buone.


    15 Insegna queste cose, raccomandale, e riprendi con ogni autorità. Che nessuno ti disprezzi».

  2. Il senso letterale di questo capitolo.

    San  Paolo, dopo aver messo in guardia Tito verso quelli che con la loro  vita disordinata praticamente rinne­ gavano Dio, con logica connessione  di idee, espone come dev'essere la vita di un cristiano nei vari stati  nei quali si trova. È una breve sintesi, diremmo, un pro memoria per  Tito che già aveva avuto dall'Apostolo particolari inse­ gnamenti in  proposito, quando lo aveva istruito.
    Perciò soggiunge, come una conseguenza di ciò che aveva detto prima: Ma tu insegna ciò che è conforme con la sana dottrina. Ad un quadro fosco fatto prima, di quelli che si lasciavano sedurre dai novatori e sconvolgevano le intere famiglie con  la propaganda di errori, oppone un quadro sintetico di quello che  doveva essere la vita dei cri­ stiani per cooperare con l'esempio alla  propagazione della fede.

    La virtù nelle persone anziane
    La  preoccupazione, infatti, di san Paolo, sommamente zelante dell'integra  diffusione della Fede, era proprio quella che non la si discreditasse,  anzi che con l'esempio la si diffondesse tra i pagani. E comincia dagli  uomini an­ ziani, perché su di essi si rispecchiano i giovani, sia per  1'età veneranda della vecchiaia sia per la loro saggezza ed espenenza.

    Un vecchio vizioso poteva incoraggiare e quasi giusti­ ficare nei giovani una vita viziosa. Perciò san Paolo rac­ comanda che i vecchi siano sobri, insegnando con la loro vita la morigeratezza nei costumi, che siano gravi, evitan­ do ogni leggerezza; assennati, mostrando  grande serietà e ponderazione nel parlare e nel comportarsi: questo nel  loro atteggiamento civile, per incutere rispetto, e rendere vali­ do il  loro esempio per i giovani. E nella loro vita: integri nella fede, che dovevano professare con le opere, con la carità, evitando ogni egoismo, con la pazienza nelle prove e nei dolori della vita.
    Dagli uomini anziani passa al comportamento delle donne anziane, che per delicatezza chiama donne di età. È una  sottigliezza psicologica. Gli uomini anziani, infatti, quasi si  gloriano di essere tali, e spesso, nel dire la loro e­ tà, l'accrescono.  Se hanno ottanta anni, diranno che ne hanno ottantadue e più. Sottile  ed ingenua vanità che vuol raccogliere il complimento di un elogio della  loro prestan­ za a quell'età.
    La  donna anziana, invece, ed in generale le donne, hanno ripugnanza a dire  la loro età, per la vanità di appari­ re ancora belle. L'anima loro,  che è sempre giovane in tut­ ti, in loro si fa  sentire ... più giovane, perché sanno che la giovinezza dà un maggiore  fascino alla donna. Avviene in loro più spiccato un fenomeno che avviene  in tutti, e che forse può essere più notevole perché abituate, esse più  de­ gli uomini, a guardarsi nello specchio per ornarsi o per na­  scondere i primi segni dell'età che declina.
    Il fenomeno è questo: noi abbiamo come una doppia fisionomia di noi stessi quando ci consideriamo operando, parlando, ccc. Allora è l'anima che agis1..:t: pt:r il 1,;urpu, e

    nella nostra estimazione si riflette più la luce dell'anima che il declinare del corpo. Perciò la nostra fisionomia in­ terna, diciamo così, non ci dà mai l'impressione della vec­ chiaia. Anche quando il corpo ci fa sentire vecchi, perché vengono meno le sue  forze, anche allora la nostra fisio­ nomia non è quella della cadente  vecchiaia. Si ha, infatti, una penosa sorpresa quando, guardandoci nello  specchio ci vediamo tanto diversi da quello che ci consideravamo nella  fisionomia interna.
    E  ci vediamo nello specchio con pessimismo, senza quelle attenuanti che  ogni vecchio dà spontaneamente alla sua vecchiaia, quando gli sembra  ancora di essere in forze. Questo fenomeno che ognuno può sperimentare  in sé, nel­ le donne anziane è più accentuato, perché la donna, in una  età ancora fresca, vede sparire in sé certe funzioni che le davano quasi  il sentore di una giovinezza non ancora de­ clinata verso il tramonto.  Ecco perché ha una forte ripu­ gnanza a dire la sua età, e la diminuisce  sempre, e si addo­ lora, magari inconsciamente, a sentirsi chiamare  vecchia.
    Per  questo pure si adorna, s'imbelletta, - povera e cara figlia di Dio -  per dissipare i segni della vecchiaia, i capel- 1i che imbiancano, le  rughe, il pallore del volto e delle labbra, e più si accora delle marcate rughe agli angoli de­ gli occhi, che il volgo chiama ... zampe di gallina, perché sembra che ne imitino la forma. Oh, di quante debolezze è vittima questa povera vita umana!
    Nei giovan i, il  fenomeno della doppia fisionomia in­ terna ed esterna - come diciamo  per esprimerci - può av­ venire in un senso diverso, psicologicamente.  Il fanciullo, infatti, ha una latente presunzione di essere ormai... uo­ mo, e per qucslU diventa ribdk, disubbcùieutc, reagente,

    specialmente quando ha i primi contatti con la vita del mondo, e quando ha smesso l'abito della fanciullezza.
    Allora,  internamente, si crede già... uomo, magari cammina con passo  tracotante, con i pugni stretti, con uno sguardo altero... sputando  pareri, giudizi, sentenze, miseri sterpi di stoltezza che, per  l'orgoglio, sembrano a lui sprazzi di... sapienza, Juce di giudizi ...  modern i, che gli fanno considerare come passatisti e spregevoli i giudizi dei suoi stessi genitori o educatori.
    Nell'interno  si vede come adulto, mentre è un autenti­ co citrullo, proprio per la  sua presunzione, ma quando si vede nello specchio non può non  riconoscere che è fan­ ciullo; potrebbe anche indispettirsi non ritorna  in sé, ma si aggiusta per apparire uomo, e più diventa stolto compia­  cendosi della cravatta, della falda del cappello tirata avanti  vanitosamente.
    Queste riflessioni psicologiche non esorbitano dall 'ar­ gomento,  come può apparire, perché la Parola di Dio è la principale maestra  della vita, e ce ne ha dato occasione la delicata sottigliezza  psicologica di san Paolo, che chiama vecchi i vecchi e donne d'età le vecchie. Egli vuole che facciano onore alla fede che professano, serbando un san­ to decoro nel loro portamento, senza vanità che divente­ rebbero ridicole, e senza trascuratezze che diventerebbero ripugnanti. Non debbono essere maldicenti, perché essen­ do cristiane professano la carità, e debbono mostrarla per attrarre le anime a Dio.
    Le donne anziane, infatti, sono facili a mormorare perché notano con pettegolio senile le mancanze altrui, e tutto sembra loro malfatto. Se gli uomini anziani sono - come dice Orazio - laudatores tempari.\' acti, lodatori del

    loro tempo, le care donne d'età sono... mormoratrici del tempo in cui vivono.
    Una donna anziana, sentendo venir meno il calore del­ la vita, può facilmente essere tentata di riacquistarlo nel vino, che è chiamato il latte dei vecchi, e san Paolo perciò raccomanda che le cristiane d'età non siano dedite al vino, che a Creta era ottimo, e poteva facilmente attrarle, provo­ cando poi rilassatezza e disordini. Esse dovevano essere maestre nel fare il bene, per essere di esempio, e per esor­ tare le giovani spose ad essere amanti dei mariti e dei fi­ gli, ed essere osservanti della Legge di Dio, caste nella vi­ ta, attente alle cure domestiche, buone, sottomesse ai loro mariti, sicché non si dica male della Parola di Dio.
    La  vita delle madri cristiane, perfettamente coerente alla fede  professata, faceva apprezzare dai pagani la Paro­ la del Vangelo, e  poteva spingerli alla conversione. Una vita manchevole, invece, poteva  far svalutare la Parola di Dio. La storia, infatti, ci attesta che molti  pagani si con­ vertivano alla fede e si persuadevano della verità del  Van­ gelo, proprio per la vita dei buoni cristiani, ed osservando la  carità con la quale si amavano.

    Che i giovani siano saggi
    Per i giovani san Paolo dice una sola parola che com­ prende tutto: Esorta i giovani ad essere saggi, poiché  nei giovani è facile la superficialità nel pensare, 1'inconside­  ratezza nell'operare e la presunzione nel giudicare; il che li rende  stolti.
    Per formarli alla saggezza non bastano le parole, ma occorre il buon esempio, e perciò l'Apostolo raccomanda a Tito di mostrarsi in tutto modello nel fare il bene, por-

    tando nel suo insegnamento integrità, senza reticenze, con chiarezza; gravità, senza superficialità dannose alle ani­ me; con sana dottrina, per opporsi ai novatori che, con  falsi insegnamenti di ascetismo o di pietà, disorientavano le anime  dalla pratica delle vere virtù cristiane. Doveva essere egli modello irreprensibile di vera pietà e di virtù, affinché gli avversari nulla avessero potuto dire di male sul suo conto e sul conto dei cristiani.

    Gli schiavi
    La servitù e, diremmo  oggi, la classe operaia, nel mondo romano era rappresentata dagli  schiavi. Era una classe socialmente inferiore ma, allora come oggi, era  il mezzo e lo strumento delle attività materiali. Il segreto della  tranquillità e della pace degli schiavi non era l'odio o la ribellione , ma la sottomissione e la fedeltà.
    Di queste virtù, che concorrono al bene sociale, dove­ vano dare esempio i cristiani che si trovavano in questa condizione, ed è per questi che san Paolo fa a Tito racco­ mandazioni speciali: Di' agli schiavi che stiano sottomessi in ogni cosa ai loro padroni, che li compiacciano, che non li contraddicano, che non rubino, ma dimostrino un'intera e delicata jèdeltà, in modo da fare onore in tutto alla dot­ trina di Dio nostro Salvatore.
    Con  l'osservanza di queste virtù gli schiavi cristiani erano trasformati in  apostoli della dottrina cristiana. Con la loro sottomissione, con la  loro pazienza, con la loro bontà, ogni schiavo cristiano diventava predicatore muto ma efficace del Vangelo.

    Tutti i fedeli debbono osservare i
    precetti della Chiesa
    Dopo  queste raccomandazioni per la vita familiare delle singole classi di  persone, san Paolo espone la ragione per la quale i fedeli debbono  osservare i precetti da lui raccomandati, ed espone la ragione a Tito,  per mezzo del quale voleva che fossero comunicati ai fedeli: La grazia salvatrice di Dio, si è manffestata per tutti gli uomini; con  la venuta di Gesù Cristo, Dio ha mostrato di volere salvare tutti gli  uomini, di ogni classe e condizione sociale; con la predicazione del  Vangelo li ha guidati a salvezza.
    Gesù Cristo, maestro divino, ha insegnato agli uomini a rinnegare ogni empietà, ogni falso culto, ogni idolatria, orientandoli così al vero Dio; ha insegnato a rinnegare le cupidigie umane, ogni voglia peccaminosa, orientando co­ sì la vita umana al bene, con la temperanza nei desideri, con la giustizia nell'operare, con la pietà, nell'amore a Dio e nella carità.
    Vivendo così, gli uomini non saranno dei miserabili, più o meno disperati, ma passeranno in questo secolo con la beata speranza della gloria eterna, aspettando, nelle in­ giustizie e nelle pene che soffriranno nel misero mondo, la manifestazione gloriosa - dice san Paolo - del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, nel Giudizio finale.
    In  questo Giudizio, dinanzi agli uomini che lo rinne­ garono, innanzi agli  Ebrei che lo crocifissero perché si era proclamato Figlio di Dio, egli  si mostrerà in tutto il fulgo­ re della sua divinità, in tutta la  grandezza dell'opera reden­ trice da Lui compiuta proprio con la sua  morte e nell'e­ strema umiliazione, e raccoglierà intorno a sé il suo pro-

    prio popolo, la Chiesa trionfante, gli eletti che avranno compiuto il bene.
    San  Paolo, che tanto aveva sofferto e soffriva per la predicazione del  Vangelo e per salvare le anime e che a­ veva sentito tante volte  disprezzare Gesù Cristo crocifisso, dai pagani come una stoltezza e  dagli Ebrei come uno sca nd alo , erompe in un'espressio  ne che manifesta la sua trionfale speranza nella gloriosa   manifestazione di Gesù Cristo che si mostrerà ai pagani e miscredenti, grande Di­ o, ed agli Ebrei grande Redentore, che aveva dato se stes­ so, immolandosi per riscattare gli uomini da ogni iniqui­ tà. e per purificare ed arricchire con i meriti suoi un popo­ lo suo proprio, che doveva essere il vero popolo di Dio, non infedele ed ingrato com' erano stati gli Ebrei, ma ve­ ramente santo, zelante, perciò, per le opere buone.
    Queste espressioni sono, psicologicamente, come uno sfogo dell' an ima di san Paolo, che si manifesta meglio nel testo greco: pieno di pene ed anche di sdegno per il modo in cui era riguardato Gesù Cristo dai pagani e dagli Ebrei, egli, che tanto amava Gesù Cristo e che sospirava arden­ temente alla parusia , alla sua manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e del Salvatore Gesù Cristo.
    E dice Dio con l' articolo, in greco, che abbiamo tra­ dotto perciò Jd dio, perché Dio senza articolo significa Dio nel concetto generale di divinità, mentre con l'articolo si­ gnifica il Dio vero. Nel mirabile sfogo del suo cuore, san Paolo chiama Gesù che adoriamo come vero Dio: Il nostro grande Jddio. Il Dio vero che si è incarnato veramente, e perciò soggiunge : Salvatore Gesù Cristo, il quale diede se stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità.

    L'impeto della sua anima lo rivela anche, di più come suggello a Tito: Insegna queste cose e raccomandale e ri­ prendi con autorità. Che nessuno ti disprezzi. Questa  frase sembra quasi monca, ma non lo è, perché psicologicamen­ te  dipende dall'impeto del cuore di san Paolo che insiste, perciò, su ciò  che ha detto, e raccomanda di riprendere con ogni autorità quelli che dissentivano da queste fon­ damentali verità. Soggiunge perciò che nessuno ti disprez­ zi, per  dirgli che doveva insegnare queste verità con tale profonda fede e  persuasione, da imporre rispetto a quelli che le ascoltavano.

  3. Per la nostra vita spirituale.
Un'esortazione per tutti, valida anche oggi
Le  esortazioni di san Paolo per le principali condizioni della vita dei  fedeli, sono un insegnamento prezioso per noi e per gli uomini di tutti i  secoli che vogliono vivere da veri cristiani. San Paolo fa una  sola sintesi dell'orienta­ mento della vita nelle varie condizioni del  suo percorso e del suo sviluppo, non determina in particolare i doveri  di ogni vero cristiano, perché questi erano già conosciuti, ma parla  dell'atteggiamento della vita cristiana di fronte al mondo, al suo  crescere e nel suo declinare; cresce nei gio­ vani e declina nella  vecchiaia.
Comincia  dagli uomini anziani e dalle donne anziane, perché egli stesso si  sentiva sul declinare della vita, ed era logico, anche inconsciamente,  che cominciasse dalle per­ sone anziane, perché l'età più rispettabile è  la vecchiaia.

Due  età nella vita umana emergono, diremmo quasi, come due poli opposti che  sono estremi di una parabola: la giovinezza e la vecchiaia. Due  condizioni principali sono nelle attività della vita: i padroni e quelli  che servono; chi comanda e chi obbedisce. L'armonia di queste  condizioni e di queste età nell'amore e nel timore di Dio, mantiene  l'ordine, la pace ed il benessere nel mondo, e la speranza certissima  della vita eterna quando viene la morte dopo una vita veramente  cristiana e santa.
Gli avvertimenti di san Paolo debbono , perciò,  appli­ carsi a noi, di qualunque tempo, e nella loro sintesi debbo­ no  mostrarsi come in un solo colpo d'occhio, quello che dobbiamo essere.
Seguendo san Paolo, consideriamo prima l'ultima tap­ pa di una vita lunga: la vecchiaia. È l'epilogo della vita che ha avuto tante esperienze, tanti dolori, tante delusioni , e  non può né deve più sbizzarrirsi in aspirazioni vane, in desideri  smodati. Nella vecchiaia, a poco a poco tutto de­ cade e si stacca da  noi, come le foglie secche di un  albero nell'autunno, che prelude al riposo invernale. Quello che prima  attraeva, non attrae più, si sente la stanchezza, si de­ termina un  disordine nelle proprie carte, nelle proprie cose.
Se  un vecchio ancora desidera i sollazzi della vita, se ancora si attacca a  cose superflue, accresce la pena della sua età, perché moltiplica le  sue esigenze, e diventa tor­ mento a se stesso ed agli altri. Perciò san Paolo vuole che gli uomini anziani siano sobri.
Con  la vecchiaia si moltiplicano le miserie del corpo, le debolezze che  costringono a richiedere l'aiuto degli al­ tri, le malattie penose, per  le quali si richiede un sollievo, un rimedio. La sobrietà in queste  esigenze, a volte esagc-

rate  dall'insofferenza dei nervi e del carattere, evita al vec­ chio tante  amarezze, ed a chi lo circonda e lo assiste tante impazienze e tanta  noia.
Con  gli uomini anziani cresce la nuova generazione, i fanciulli ed i  giovani, e per gli uomini anziani è un dovere strettissimo dare loro  esempi di virtù, imponendosi con la gravità del portamento e con l'assennatezza nel parlare. Integri nella fede, dolci nella carità, pazienti nelle  soffe­ renze, debbono insegnare ai giovani come vivere santa­ mente. La  soda virtù incute rispetto, e questo fa accettare più docilmente le  esortazioni al bene, le correzioni, gli in­ segnamenti dati  affabilmente, per la propria esperienza.
Le donne anziane - o come le chiama san Paolo le donne di età - più degli uomini anziani stessi, debbono es­ sere esempio di saggezza e di virtù, specialmente alle gio­ vani con un santo decoro nel portamento, per  insegnare loro la modestia, ed essere per loro un ammonimento con­ tro  ogni leggerezza di vanità che disdice alla vita cristiana. Se si  mostrano sciatte e disordinate, vengono a giusti­ ficare quasi la vanità  delle giovani, per il contrasto delle due età, non volendo le giovani  apparire vecchie; se si mostrano ordinate con cristiano decoro, conforme  alla loro età e condizione, danno esempio di virtù e di saggezza, ed
incutono rispetto.
Una  vecchia che si mostra maldicente, ingorda, sguaiata, è di pessimo  esempio alle giovani con le quali convive, e che da lei debbono imparare  a governare la loro casa nell'ordine e nella pace, per amore di Dio.  Una vec­ chia maldicente induce nelle giovani spose l'abitudine di  mormorare di tutti, e principalmente dei loro mariti, con rovina della  pace domestica.

Per i giovani, san Paolo ha una sola parola, somma­ mente comprensiva: I giovani esortali ad essere saggi. Quello, infatti,  che disordina la vita giovanile è la legge­ rezza nell'operare e la  stoltezza nel pensare. Chiassoni per indole, hanno pensieri  superficiali, cd amano divertirsi smodatamente. Hanno bisogno fin dalla  prima età di una profonda formazione spirituale, perché imparino ad  essere veramente saggi. Questa formazione la debbono fare i sa­ cerdoti  col loro esempio.
Perciò  san Paolo soggiunge subito a Tito: Mostrati in tutto modello di fare il  bene, portando nel tuo insegnamen­ to, integrità, gravità, dottrina  sana ed irreprensibile, affin­ ché siano confusi i nostri avversari, e  nulla abbiano da dire di male sul conto nostro.

Il sacerdote, «modello in tutto nel fare il bene»
I sacerdoti veramente esemplari, modelli in tutto nel fare il bene, con  profonda e soda virtù, sono per tutti la più grande lezione di vita  santa, ma per i giovani sono come i virgulti fecondi che germogliano. Le  vocazioni al sacerdo­ zio, che  oggi sono tanto diminuite, in passato venivano quasi sempre dall'esempio  di santi sacerdoti. Intristita do­ lorosamente la pianta, i ramoscelli  freschi non ge1moglia­ no più.
I vescovi lamentano nelle loro Diocesi la mancanza di sacerdoti ma, se pregassero e facessero pregare per le vo­ cazioni, se avessero veramente cura della santificazione dei sacerdoti che hann o, se  li curassero paternamente e non si ricordassero di loro solo per  castigarli, avvilendoli, vedrebbero fiorire la loro Diocesi. Anche Gesù  si lamentò

n17

della mancanza di sacerdoti: La messe è molta, ma gli o­ perai sono pochi, ma suggerì subito il rimedio a questa scarsezza, soggiungendo: Pregate, dunque, il padrone del­ la messe, perché mandi operai nella sua vigna.
Nei  seminari si formano e si educano i giovani chia­ mati da Dio al  sacerdozio, e l'esortazione di san Paolo per i giovani è principalmente  per loro, perché la loro cura dev'essere quella di essere saggi, e  quelli che li guidano debbono educarli alla saggezza, nella mente, nel  cuore, nelle aspirazioni, nel portamento, nella vita. Bisogna che li  tengano ben lontani dalle stoltezze del mondo, e nella stessa vita  civile è necessario formarli alla signorilità dei modi ed alla buona  educazione, che è il primo passo nella via della virtù.
Alla  naturale intemperanza nel trattare e nel giocare bisogna sostituire la  vera saggezza, che porta alla morige­ ratezza ed alla gravità del portamento e nel trattare. Que­ sto giova tanto a confondere gli avversari della fede e del sacerdozio, ed a far sì che non si dica male della Parola di Dio, di quello che è fede integra ed irreprensibile santità della vita.
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Non  bisogna dimenticare, nell'educazione dei giovani aspiranti al  sacerdozio, quello che diceva un santo vesco­ vo, mons. Salvatore Meo:  «Gesù Cristo si fece uomo, scelse una vita di povertà e di dolori, ma  scelse per Madre e per custode due autentici signori di stirpe regale:  Maria Santissima e san Giuseppe e, per lo Spirito Santo, comu­ nicò ai  rozzi apostoli la saggezza e la sublime signorilità della grazia»40

40 Geniale  osservaziom:, che vera1m:me può dare una linea di comportamen­ to molto  semplice, ma molto importante ai sacerdoti e agli evangelizzatori.

I giovani che aspirano al sacerdozio e vengono dal popolo debbono formarsi ad avere la sublime signorilità della santità, della carità, della giustizia e della vera pietà, che mostri in essi non il marcio egoismo della vita del mondo, ma l'aspettazione della beata speranza nella vita eterna, la glorificazione di Dio e la salvezza delle anime.

La Chiesa e il mondo dei lavoratori
L'esortazione  di san Paolo per gli schiavi che, come si è detto, erano i lavoratori  del suo tempo, deve applicarsi ai lavoratori del nostro tempo, che  formano l'assillo della presente generazione, e che vengono traviati dai  novatori, i quali generano disordini sociali e, strappando da loro la  fede, li riducono alla irreligione ed all'apostasia.
La Chiesa ha mirabilmente illuminato la questione o­ peraia con la immortale enciclica di Leone XIII, «Rerum novarunz» che fu una vera rivelazione nel mondo, e con la
«Quadragesimo anno» di Pio XI che rinnovò ed illuminò l'enciclica «Rerum novarum» di Leone XIII, ed ancora con l'enciclica «Mater et magistra» del Papa Giovanni XXIII; con la «Centesimus annus», di Papa Giovanni Pao­ lo II nel centenario della Rerum Novarum, ma i fondamen­ ti dell'ordine nella classe dei lavoratori stanno nelle parole di san Paolo per gli schiavi.
Trattare  degli interessi materiali dei lavoratori è cosa ottima; ma se i  lavoratori sono avvelenati da uno spirito di ribellione e di  rivoluzione, se non sono vivificati dalla fe­ de,  se non vivono veramente da cristiani, qualunque solu­ zione giusta dei  loro problemi rimane vana, per lo spirito di ribellione che avvelena la  classe operaia, oggi special-

mente che è diventata schiava della propaganda e dei sin­ dacati comunisti.
Fondamento di ogni ordine sociale è l'ordine gerar­ chico, e quindi la sottomissione a chi comanda: Dici agli schiavi che siano sottomessi ai loro padroni. Una sotto­ missione non regolata dal timore, ma dalla compiacenza, dalla carità, dalla stima per essi, considerandoli per amore di Dio, come autorità stabilita da Lui per l'ordine sociale.
Per  questo san Paolo determina i caratteri del1a sotto­ missione degli  schiavi ai loro padroni, che per legge ave­ vano su di essi il diritto  di vita e di morte: debbono com­ piacere i padroni, compiendo i loro comandi con fedeltà; non debbono contraddirli, per  fare valer la loro volontà, e non la propria, con conseguenza di  contrasti, che per gli schiavi potevano essere causa di punizioni  dolorose, ed oggi di urti pericolosi. Dovevano essere onesti nel lavoro e  non rubare, mostrando un'intera e delicata fedeltà, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro Salvatore41 • Poche  parole che dicono tutto, per l'armonia e l'ordine della classe dei  lavoratori di ogni tempo: la sottomissione, fatta con compiacenza e  senza contrasti, genera natural­ mente in chi comanda l'amore e la stima  per chi lavora. L'onestà intera e delicata nel lavoro genera in chi  coman­ da l'affettuosa fiducia verso chi obbedisce, e questo man-

1 Come è stato altre volte osservato da san Pao lo , la Chiesa direttamente non deve sovvertire la società istigando alla violenza e alla ri belli one , nep­  pure nel caso in cui vi siano abnormi situazioni sociali. Deve però,  con insi­ stenza, inoculare quei principi che rovesciano le situazioni  senza lotte, senza odi, senza violenze, in una comprensione fraterna. In  questo modo, solo l ' i nse gnamento cristiano è fermento per rinnovare il mondo. Sia chiaro però che questo alleggiamerno non è approvazione delle i ngius tizie, ma è solo un modo per uscirne.

tiene l'ordine non solo, ma la pace, e promuove la genero­ sità in chi comanda verso chi obbedisce.
I doveri di chi comanda vengono naturalmente dai do­ veri di chi lavora. È logico che chi obbedisce con fedeltà costringe chi comanda ad essere buono e generoso, e se un lavoratore cristiano deve fare in tutto onore alla dottrina di Dio nostro Salvatore, chi comanda ha lo stesso dovere. Il lavoratore,  poi, non può considerare chi comanda come un sopraffattore o, peggio,  come un nemico, perché supe­ riore e lavoratori sono fusi come l'anima  ed il corpo. La mano lavora, ma la mente indirizza e guida la mano. Il prescindere dalla mente significa rendere impossibile il lavoro.
Il fiume scorre per fecondare la terra, ma senza la fon­ te diventa solo un arido solco. Il sangue vivifica le mem­  bra e gli organi del corpo, ma se non si rinnova e si accre­ sce con la  nutrizione e, se manca il cuore che pulsando lo trasmette agli organi,  il corpo non ha altra attività che il coma e la morte.
La  favola di Menenio Agrippa ai lavoratori ribelli è sempre di attualità:  se le membra si ribellano allo stomaco che riceve solo il cibo e sembra  un ozioso o un tiranno, se non vogliono più lavorare per lo stomaco,  periscono esse stesse, perché lo stomaco le sostiene. Lo sciopero che  ba­ lordamente è stato sanzionato come un diritto, è precisa­ mente la  realizzazione dell'apologo di Menenio Agrippa: produce un danno alla  nazione, un immenso danno che si rifonde sui lavoratori.
Un 'ingiusta  pretesa di aumento di paga o di diminu­ zione delle ore di lavoro, o  altra folle pretesa produce di necessità l'aumento ùd custu ùclla vita,  per le rovine cau-

sate  dallo sciopero, che debbono essere riparate. Solo una legge di  giustizia e di saggio equilibrio tra i padroni ed i lavoratori può  determinare il benessere dei padroni e dei la­ voratori, reprimendo  l'esosa avidità degli uni e degli altri.
Questa legge, nel suo valido fondamento, san Paolo la proclama con mirabili parole: La grazia salvatrice di Dio, si è manifestata per tutti gli uomini, e  quindi tutti gli uo­ mini sono fratelli innanzi a Dio. L'armonia di  questa fra­ tellanza di prosperità e di pace dipende da quello che ci ha  insegnato il Salvatore: a rinnegare l'empietà e le cupidigie  mondane, ed a vivere in questo secolo con temperanza, con giustizia e  pietà, aspettando la beata speranza, e la manifestazione gloriosa del  nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli diede se stesso per noi, a fine di riscat­ tarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per le opere buone.
È mirabile questo tratto!
I  comunisti, i socialisti e gli altri arruffapopoli, che presumono di  promuovere le rivendicazioni dei lavoratori, pongono come fondamento  della loro stoltissima propa­ ganda l'irreligione, il materialismo ateo  e, quindi, l'empie­ tà. Ora, il fondamento di una rivendicazione proletaria è proprio l'opposto: bisogna rinnegare l'empietà e ritornare a Dio con viva fede.
Con la propaganda materialista dei novatori, si accen­ dono le cupidigie umane, e quindi lo scontento di tutto quello che si ha, e l'infelicità. Bisogna, invece, vivere in questo secolo, nel mondo, con temperanza, rifuggendo dai desideri disordinati e smodati; con giustizia, dando a cia­ scuno quello che gli spetta; con pietà, adorando ed aman­ do Dio, coltivando )'anima e pregando. L'aspirazione più

vera e più sapiente non sta nella cupidigia dei beni della terra, ma nell'aspirazione ai beni eterni, aspettando il compimento della beata speranza, dell'eterna felicità.
L'anima  non può desiderare il trionfo di idee malsane né sognare il regno della  voluttà e del piacere, insinuato dai novatori come regno di illusoria  giustizia sociale, ma deve sospirare il trionfo glorioso di Gesù Cristo,  il regno di Dio sulla terra, facendo parte non della società comuni­  sta, regno di menzogna e di empietà, ma facendo parte vi­ va ed operante  della Chiesa Cattolica, Apostolica, Roma­ na, che è il popolo proprio di Gesù Cristo, formato da Lui con la donazione di se stesso, col sacrificio del Calvario, col quale ci riscattò da ogni iniquità, purificando I 'umani­ tà e rendendola suo popolo, zelante di opere buone.
Come si vede, queste mirabili parole di san Paolo so­ no per i padroni e per i lavorator i, e risolvono la famosa questione sociale nella semplice luce di Dio.
Quando  l'umanità, girovagante tra le macerie fatte dal comunismo ateo e carico  di delitti, avrà gemuto con lacri­ me di sangue nella più esosa delle  schiavitù e, per ]a mise­ ricordia di Dio, sentirà la voce della verità e  della pace, si vergognerà di aver sostituito alla Parola di Dio la  stolta e mendace parola di Carlo Marx, ed aprirà gli occhi ed il cuore  alla verità nella pace e nella prosperità.
CAPITOLO 111

  1. Doveri generali dei cristiani. Ultime raccomandazioni e saluti.

    « 1 Rammenta loro che siano soggetti alle autorità costitui­ te, che siano obbedienti, pronti ad ogni opera buona; 2 che non dicano male di nessuno, che non siano amanti delle contese ma remissivi, mostrando ogni dolcezza verso gli uomini tutti.
    3 Anche noi un tempo eravamo insensati, riottosi, sviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di voluttà, ravvolti nella ma­ lizia e nell'invidia; agli altri odiosi, ci odiavamo tra noi.
    4 Ma  quando  si  manifestò  la  bontà  e  la  benignità  per  gli uomini di Dio nostro Salvatore, 5 Egli ci ha  salvati, non a moti­ vo delle opere giuste da noi fatte, ma per sua  misericordia,  me­ diante  il  lavacro  di  rigenerazione  e  di  rinnovazione  operato dallo  Spirito  Santo,  6 che  Egli  ha  largamente  ejfuso  su  di  noi per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore;  1  perché giust[ fìca­ ti, per la sua grazia, noi diventassimo,  secondo  la speranza , redi della vita eterna.
    8 Verità certissima; ed io voglio che tali verità tu le insegni costantemente, affinché quanti credono in Dio si studino con ogni sollecitudine di praticare opere buone. Ecco ciò che è bel­ lo ed utile per gli uomini. 9 Evita, poi, le questioni stolte, le ge­ nealogie, le dispute e le contese intorno alla legge, perché sono inutili e vane. ' 0 Tieniti lontano, dopo una o due ammonizioni, da chi è fautore di divisioni, 11 ben sapendo che questa gente è perversa e che pecca, gente che già da sé si condanna.
    12 Quando ti avrò mandato Artema o Tichico, qffrettati a venire da me a Nicopoli; perché ho deciso di passare ivi l'inverno. 13 Provvedi con cura al viaggio di Zena, dottore della Legge, e di Apollo, perché non manchi loro nulla.
    14 Ed intanto imparino anche i nostri a praticare buone o­
    pere per le urgenti necessità, affinché non siano infi-uttuosi.

    15 Ti salutano tutti quelli che sono con me; saluta coloro che ci amano nella fede. La grazia con tutti voi!».

  2. Il significato letterale di questo capitolo.

    Dopo  le raccomandazioni fatte per le varie classi di per­ sone, san Paolo,  riferendosi in modo particolare ai cristiani che lavoravano, ricorda  loro il fondamento dell'ordine socia­ le che è il rispetto e  l'obbedienza alle autorità costituite, tanto nell'ordine civile che in  quello religioso.
    Senza  la sottomissione alle autorità, manca ogni ordine nella società e si  cade nell'anarchia, la più stupida ed antina­ turale eresia. Perciò  soggiunge come una sintesi ed una ricapi­ tolazione: Raccomanda loro che siano soggetti alle autorità costituite, che siano obbedienti, pronti ad ogni opera buona.
    Non  possono chiamarsi autorità costituite quelle che s'impongono con la  forza di una rivoluzione perché un pote­ re usurpato è di per sé una  ribellione all'autorità costituita o per eredità regale o per legittima  elezione.
    Oggi,  nel mondo, per colpa del comunismo o di mestato­ ri, c'è una vera mania  di ribellioni e di rivoluzioni anche nei piccoli Stati. Dalla sera alla  mattina, per sediziosi colpi di Stato, si pretende di cambiare regime, e  si costituiscono co­ me autorità i promotori della sedizione, quasi  sempre fatta per scopi settari.
    Queste  autorità usurpate, certo, non possono chiamarsi veramente costituite,  ma siccome è assurdo che una società o una nazione si regga senza capo,  quando l'ordine nuovo di­ venta un fatto, subito o accettato, in  tutto quello che non con­ trasta la Legge di Dio o della Chiesa, esso  esige la sottomis­ sione per conservare l'ordine che, del resto,  s'impone con la forza brutale delle armi. Allora la sottomissione e  l'obbe­ dienza si fa a Dio più che ad un sopraffattore, e si subiscono

    le  imposizioni nello spirito di prudenza e di pazienza, unen­ dosi alla  volontà di Dio, che permette certe rovine per castigo dei popoli.

    La Chiesa, vera autorità costituita
    Nessuna  autorità può considerarsi più veramente costitui­ ta come quella della  Chiesa, perché è sacra, e viene diretta­ mente da Dio, attraverso la  legittima gerarchia stabilita da Lui, e quindi a questa santa autorità,  che di natura sua è im­ mutabile, si deve prestare soggezione  ed  obbedienza. Qua­ lunque ribellione a questa autorità rappresenta il  distacco dal­ la Chiesa di Gesù Cristo, e l'esiziale caduta nello scisma  e nell'eresia.
    Per questo san Paolo, dopo un fugace accenno fatto in generale alle autorità costituite per  l'ordine civile e sociale, in riferimento a quello che ha detto prima,  passa evidente­ mente all'autorità della Chiesa nel ricondurre le anime a  Dio, con particolari raccomandazioni a Tito che, come vescovo, la  rappresenta legittimamente a Creta.
    Sono  due concetti che si legano spontaneamente l'uno all'altro, e che  scaturiscono l'uno dall'altro: la sottomissione e l'obbedienza alle  autorità costituite nello Stato, non per vile servilismo, ma per essere pronti ad ogni opera buona, per  l'ordine e l'armonia sociale, e la sottomissione e l'obbedienza alle  autorità costituite nella Chiesa per l'ordine e la salvezza delle anime.

    La ribellione alle autorità
    La  ribellione alle autorità si manifesta in due modi ini­ ziali, per così  dire: con le mormorazioni, latenti nell'intimità dei rapporti familiari,  e con le contese pubbliche: diversità di appn:zzaim:nti e ùiversità ùi pensieri e di opinioni contra­ stanti con le disposizioni delle autorità; perciò san Paolo dice

    a Tito: Raccomanda che non dicano male di nessuno, e che non siano amanti delle contese, ma remissivi, non facili a cri­ ticare con malignità di tutti e di tutto, sempre buoni e remis­ sivi, mostrando ogni dolcezza verso gli uomini tutti.
    Chi  mormora è aspro nel giudicare, perché dice male; chi contende è aspro  nel discutere, perché prende tutto in male e giudica tutto male. E  l'Apostolo si riferisce specialmente a quelli costituiti in qualunque  modo in autorità di apostolato nella Chiesa, facili a dir male di tutti e  facili a contendere per eccessivo zelo.
    Bisogna considerare con remissività i difetti e le miserie degli altri, pensando a quello che eravamo noi, prima che la grazia di Dio ci avesse rigenerati: Anche noi un tempo era­ vamo  insensati nel pensiero, riottosi nella volontà ribelle, sviati nella vita, schiavi di ogni sorta di passioni e di voluttà, facili a malignare sugli altri, ravvolti nella malizia e nel!'in­ vidia e, perciò, odiosi agli altri, ci odiavamo fra noi.
    Anche  qui i concetti di san Paolo scaturiscono l'uno dall'altro, nella luce  dello Spirito Santo che lo illuminava. Non si tratta, quindi, di scritti estemporanei o improvvisati, come dice erroneamente qualche critico, cioè di scritti, fatti come venivano, alla rinfusa.
    C'è,  invece, in questo capitolo un mirabile ordine di idee, che vengono come  le gemme di una pianta fiorita in boccioli che si aprono e giungono al  frutto, ali'idea culminante del grande Apostolo: la rigenerazione e la  grazia avuta da Gesù Cristo, la necessità di mantenere integra la fede,  contro i no­ vatori.
    San  Paolo, infatti, dopo aver fatto riflettere a quello che erano gli  uomini, che erano quelli ai quali si rivolgeva e per i quali esorta  Tito, soggiunge: Ma quando si manifesta la bon­ tà e  la benignità di Dio, nostro Salvatore, per gli uomini, E­ gli ci ha  salvati, non a motivo delle opere giuste da noi.fatte, ma per sua  misericordia, per il lavacro di rigenerazione e di

    rinnovazione operato dallo Spirito Santo nel Battesimo, e che Egli ha largamente effuso in noi per mezzo di Gesù Cri­ sto, nostro Salvatore, per il suo sacrificio e per i meriti suoi, perché, giustificati per la sua grazia, noi diventassimo nella speranza, con ferma e certa speranza, dopo la morte, eredi della vita eterna.
    Non  per una fede sterile, senza le opere, e perciò, incisi­ vamente e con  forza, soggiunge: Verità certissima; ed io vo­ glio che tali verità tu  le insegni costantemente, affinché quanti credono in Dio si studino con  ogni sollecitudine  di praticare opere buone. Ecco che è bello ed utile  per gli uomi­ ni. Bello come luce di verità affascinanti l'anima, utile  per il grande frutto che produce nell'eternità.

    Siano evitate le questioni stolte, le contese intorno alla Legge...
    Ancora  un nesso ed un legame logico nello scritto di san Paolo: per  concomitanza di idee gli vengono davanti i nova­ tori che, con  disquisizioni di genealogie e con dispute e con­ tese intorno alla  Legge, dispute evidentemente di parole, e­ sattamente come fanno oggi i  critici ed i filologi sul Sacro Testo, facevano apparire, come lo fanno  oggi, belle ed utili tali  disquisizioni, molte volte generatrici di errori e di eresie come lo  sono oggi del modernismo e dello scientificismo snaturando la Parola di  Dio, rivelata per condurre alla vita e­ terna nella verità e nella vita  santa.
    Perciò san Paolo raccomanda a Tito, e la sua raccoman­ dazione è di  attualità per la nostra generazione: Evita, poi, le questioni stolte,  le genealogie, le dispute e le contese intorno alla Legge, perché sono  inutili e vane.
    Bisogna contrastare queste correnti malefiche e testarde, che distrnggono la fede, e chi sta a capo non può farle passa­ re sotto l'orpello di critica e di studi... profondi, ma deve condannarle, con una o due ammonizioni a quelli che se ne

    fanno  propagatori oggi specialmente nei seminari e nelle u­ niversità  teologiche e bibliche, per eliminare simile latente veleno dalle anime e  da quelli che debbono guidarle.
    Nessuna  tolleranza è scusabile per un pericolo così gra­ ve, oggi come lo era  ai tempi di san Paolo. Egli, infatti, dice recisamente a Tito: Tieniti lontano, dopo una o due ammoni­ zioni, da chi è fautore di divisioni. E voleva dire ammoniscili per carità una o due volte, e dopo recidili dalla Chiesa e dalla comunione dei fedeli, senza aspettare oltre, sperando in una loro resipiscenza, perché questa gente è perversa, è testarda, e pecca con ostinazione, propagando errori che dividono le anime dalla fede; pecca ad occhi aperti, ed è gente che già da sé si condanna. Queste  parole di san Paolo noi stessi le ab­ biamo sperimentate in quei poveri  modernisti che dolorosa­ mente deviano, ostinati nel loro errore.

    Artema, Tichico, Zena raccomandati da san Paolo
    San  Paolo chiude la lettera annunciando a Tito che gli manderà come  sostituto Artema e Tichico, perché egli lo raggiunga in fretta a  Nicopoli, dove aveva deciso di passare l'inverno. Di Artema non sappiamo  nulla, ma doveva essere un vescovo ben qualificato. Tichico era un  discepolo fedele di san Paolo, certamente vescovo anche lui (Col 4,17). Am­ bedue della stessa capacità e merito, san Paolo avrebbe man­ dato o l' uno o l'altro a Creta, secondo  l'opportunità delle cir­ costanze. Voleva Tito a Nicopoli, quasi  certamente Nicopoli dell 'Epiro, e non Nicopoli di Macedonia o di  Cilicia, forse per istruirlo meglio, o per concertare insieme qualche  altra missione di apostolato.
    Raccomanda  a Tito di provvedere con cura e con carità al viaggio di Zena, del  quale non sappiamo nulla, e di Apol­ lo, del quale accenna nella Prima  lettera ai Corinzi (1,12; 3, 4,22), affinché non manchi loro nulla per il viaggio che do-
    Capitolo 3 l ettera a Tito

    vevano  intraprendere, anch'essi certamente per opera di apo­ stolato. San  Paolo vuole che Tito provveda a Zena e ad Apol­ lo, sollecitando i  fedeli a concorrere per aiutarli nelle urgenti necessità del viaggio,  affinché in quell'isola poco generosa, i cui abitanti erano per indole  taccagni e restii a donare per ca­ rità, i cristiani avessero imparato a praticare opere buone per soccorrere le urgenti necessità di chi era bisognoso di aiuto, e non fossero stati infruttuosi nelle opere di carità.
    I primi cristia ni, infatti,  avevano come legge l'aiuto della carità ai bisognosi, e san Paolo che  conosceva la naturale tir­ chieria dei Cretesi, dice con un senso di  soddisfazione in un indiretto rimprovero: Imparino anche i nostri a praticare buone opere, proprio  come noi, ad un neghittoso che non si muove ad operare mentre gli altri  lavorano, diciamo tra lo scherzoso ed il rimbrotto: «Muoviti, lavora  pure tu». Anche in queste parole di san Paolo, in questa semplice  aggiunta ali'esortazione fatta a Tito di provvedere a Zena e ad Apollo,  si rivela psicologicamente l'anima dell'Apostolo mentre scnveva.
    Non  avendo altro da scrivere, conclude con i saluti di quelli che erano con  lui, e che dovevano sollecitarlo - come avviene spontaneamente fra  persone che cordialmente si a­ mano - a salutare Tito: Ti salutano tutti quelli che sono con me. In quel tutti si rivela, psicologicamente, che uno dopo I'altro dovevano affettuosamente raccomandargli di salutare Tito, e san Paolo li raccoglie in una sola parola: tutti, col cuore commosso per quella manifestazione di premuroso amore di quelli che erano con lui; per questo soggiunge: Sa­ luta coloro che ci amano nella.fède.
    Nel  suo gran cuore doveva sentire teneramente la bellez­ za di quelli che  si amano nella fede, uniti nel vincolo della religione di Gesù Cristo,  che è religione d'amore, e soggiun­ ge: La grazia con tutti voi. Non dice come in altre lettere: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia col vostro spirito,

    come ai Filippesi (4.23) oppure: La grazia sia con tutti colo­ ro che amano nostro Signore Gesù Cristo con amore imperi­ turo , come agli Efcsini (6,24), o simili espressioni. Eviden­ temente era commosso , e l'espressione di questa lettera sem­ bra quasi mon ca: La grazia con tutti voi. Forse una lacrima gli spuntava dagli occhi...
    Queste  sottigliezze psicologiche non sono vane, ma ci fanno capire meglio  l'anima grande di san Paolo, e sono di utilità e di esperienza per noi.

  3. Per la nostra vita spirituale.

    Un diabolico spirito di ribellione in­ vade la terra
    Se Gesù Cristo si è fatto obbediente fino al la morte di croce, anche no i, sul suo esemp io , dobbiamo praticare l'obbedienza per suo amore, soprattutto  in questo tempo nel quale uno spirito diabolico di orgoglio e  d'insubordinazione ha invaso la terra in tutte le classi. I poteri  civili, dolorosa­ mente, per le frequenti rivoluzioni, hanno perduto ogni pre­ stigio, e per l'apostasia di non riconoscere più ogni autorità da Dio, hanno praticamente perso ogni valore.
    Con una vertiginosa decadenza ed invadenza lo spirito diabolico di ribellione ha invaso le nazioni , detronizzato i re, che pur rappresentavano l' autorità cd il potere costituito, ri­ conoscendolo almeno a parole , da  Dio, sono sorte nel mondo effimere repubbliche, con innesti bubbonici  di partiti, di sin­ dacati, di sette che sono spesso repubbliche di  criminali nelle repubbliche ... ufficiali42

    42 Non è dello che non vi possano essere mutamenti nelle forme dei governi. L'insegnamento sociale della Chiesa ha sempre proclamato questa libe1tà di scelta . Però non si possono ammettere quei cambiamenti che sono frutto di fa­ zioni e che portano alle lotte e tal vo l ta alle guerre civili . I cambiamenti devono
    Capitolo 3 /,eaera a Tito

    Da  questo groviglio di poteri ribelli e disordinati è sorta la desolazione  e la rovina predetta da Gesù per ogni regno diviso in sé. Lo spirito di  ribellione si è inoculato a mano a mano in tutti, è penetrato dovunque:  nelle scuole, nelle fami­ glie e persino nelle persone consacrate a  Dio, e quindi, per professione, imitatrici dcll 'obbedienza di Gesù  Cristo sino alla morte di se stesse, anche se apparentemente forse non  appare ancora questa piaga, in tutta la sua virulenza , perché ancora coperta, di remmo , da qualche benda di pudore o addi­ rittura d'ipocrisia in quelli che internamente o palesemente si ribellano.
    Gli  uffici di vescovo, di superiore o superiora sono di­ ventati  difficilissimi e tormentosi per l'insubordinazione dei sudditi, già  traviati a poco a poco dallo spirito del mondo. Nelle famiglie  l'obbedienza dei figli ai genitori è diventata un mito, e I'autorità dei  genitori una burla, perché i genitori in massima parte non obbediscono  alla Legge di Dio, e non hanno più un ascendente di autorità e d'amore  sui figli. Spes­ so ne subiscono, impotenti, persino il disprezzo e  l'irruenza. È una dolorosa constatazione in tutte le famiglie moderne, è  una rovina che si accresce ogni giorno di più come una can­ crena.
    Questo  diabolico spirito d'insubordinazione in tutte le classi nasce dalla  critica e dalla mormorazione, e porta alla contesa, alla ribellione  aperta, alla mancanza di ogni elemen­ tare dovere di rispetto, di ogni  più elementare dovere di edu­ cazione anche civile. Questo male deve  vincersi da parte dei sudditi con la remissività, cioè col condiscendere subito a quello che viene comandato, e da parte dei superiori con la dolcezza della carità verso di tutti. La dolcezza non è l'acquiescenza timorosa alla violenza o al capriccio, ma è il


    avvenire con referendum o con altre forme di voto libero dei cittadini e non con la viole nza.
    lettera a Tito Capitolo 3
    compatimento delle miserie e delle debolezze altrui, con un senso profondo di umiltà interiore.

    L'umiltà nei sacerdoti
    A  questo san Paolo esorta quelli che dovevano convertire le anime ribelli  a Dio, e la sua esortazione vale per tutti e specialmente per i  sacerdoti nel loro ministero. Occorre grande dolcezza nel trattare e  grande comprensione delle proprie personali miserie e debolezze, per  essere patemi e remissivi verso le anime. Quale sacerdote potrebbe scagliare la prima pietra di condanna verso un peccatore?
    E  qual sacerdote può orgogliosamente pretendere di trat­ tare i poveri  peccatori dall'alto in basso quasi che egli fosse modello di virtù?
    La  dignità sacerdotale non può autorizzare mai all'irru­ enza ed  all'imposizione violenta: è una dignità che viene solo dalla  misericordia di Dio, e che nel ricordo delle proprie mi­ serie deve solo  spingere alla misericordia ed al compatimen­ to. Non c'è sacerdote che  non debba ripetere con san Paolo: anch'io fui insensato quando mi lasciai vincere da una pas­ sione, e non corrisposi alla grazia di Dio; anch'io fui riottoso quando non obbedii alla sua Legge, sviato quando peccai e non fui puro come un angelo; schiavo di ogni sorta di pas­ sioni e di voluttà nel contentare la mia natura; ravvolto dalla malizia e dal!'invidia nelle aspirazioni a grandezze mondane; odioso agli  altri col cattivo esempio, e sprizzante odio con le mormorazioni, con  le contese, i contrasti e le mancanze di carità nella vita familiare e  nel ministero.
    Sono  miserie che san Paolo rimprovera ai pagani, prima della loro chiamata  alla fede, è vero, ma sono miserie che ogni sacerdote può riconoscere  nella sua vita per umiliarsi innanzi a Dio, e per trattare con dolcezza i  peccatori. La sua umiliazione interiore che deve riflettersi  all'esterno con la dolcezza e la carità nel trattare, deve accrescersi  quando pen-

    sa all'altissima dignità avuta da Dio, alla miseria con la quale vi ha corrisposto, alla sterilità della sua vita nelle opere buone. Egli,  ministro di Gesù Cristo, egli che ha largamente a­ vuto 1'effusione  dello Spirito Santo nella sacra ordinazione, deve vivere santamente, non  avendo altra vera aspirazione che a Dio, amandolo sopra tutte le cose, e  servendolo fedel­ mente per raggiungere la vita eterna. Questo solo è bello ed utile per gli uomini, e molto più per lui che col sacro, indelebi­ le carattere ha avuto scritto sull'anima sua dallo Spirito Santo,
    dal dito di Dio: Sanctum Domino, consacrato tutto a Dio.
    Per  raggiungere questo altissimo scopo, il sacerdote deve coltivare la sua  anima con sana dottrina, aliena completa­ mente dalle aberrazioni dello  spirito moderno che si perde orgogliosamente  in questioni di critica, inutili e vane, che disseccano l'anima; non la illuminano ma l'ottenebrano col dubbio; non le attirano  la grazia di Dio, ma accendono le fiamme dell'orgoglio e della vanità. È  così che a poco a poco la pietà si estingue, la semplicità del culto  dei santi si snatura. Le invocazioni ardenti alla loro protezione si  eliminano, con grave danno della Chiesa e del mondo: la natura, poi,  insorge con le sue passioni e le sue esigenze materiali, che cercano  seml?re la loro giustificazione.
    E  una rovina che san Paolo stimmatizza prevedendone le conseguenze fin  dal suo tempo per causa dei novatori, e per questo dice energicamente a  Tito di tenersi lontano da quelli che erano fautori di divisioni, dopo  averli ammoniti, come vescovo e custode della verità, una o due volte,  per la loro salvezza. Essi sono ostinati nei loro errori se, ammoniti,  non si emendano, ed allora bisogna tenersene lontani, perché la loro  familiarità nuoce sempre43.

    43 Non è da disapprovarsi lo studio e l'approfondimento delle verità. Se si cerca veramente il bene e la verità occorrono due condi zion i:
    1. uno studio coscie nzioso , che non vuol toccare gli insegnamenti del Si­ gnore , perché la Parola di Dio resta in ete rno;
Lettera a Tito Capitolo 3

Solo  le anime superficiali - come dolorosamente avviene oggi - possono non  valutare le conseguenze di tante novità pericolose e false che si  diffondono nelle scuole anche sacre e che tra i giovani, specialmente,  che debbono formarsi a] sa­ cerdozio, producono un profondo  disorientamento spiritua le. L'errore è sempre  prolifico, ed induce nell'anima altri errori, come un'infezione ne  produce altri, che possono diventare tumori purulenti che portano poi  alla morte.

I cristiani obbediscano all'autorità costituita
San  Paolo raccomanda ai cristiani di essere soggetti alle autorità  costituite e che obbediscano loro, pronti ad ogni ope­ ra buona, che non  dicano male di nessuno, che non siano a­ manti delle contese c che  siano remissivi e pieni di dolcezza; evidentemente queste qualità  richiedon? un corrispettivo da chi sta in alto come autorità costituita.  E assurdo, infatti, che si esiga la soggezione da chi non è soggetto a  Dio, che si vo­ glia la prontezza dai sudditi ad ogni opera buona,  quando non se ne dà l'esempio.
Chi sta a capo e non è retto,  giusto e santo nelle sue a­ zioni provoca la maldicenza, e non ha il  diritto di lamentar­ sene; genera ]e contese e non può frenarle, perché  ne è causa con la mancanza di remissività e di dolcezza. Chi sta a capo  non può avanzare diritti, ma deve compiere ogni suo dovere col  sacrificio di se stesso e con l'esempio di ogni virtù.
Dalla  sua condotta e dalla sua vita viene nei sudditi ]a soggezione  affettuosa e l'obbedienza pronta. Se Gesù disse che non era venuto per  essere servito ma per servire, quale

2) una misura giusta delle proprie capacità per cui non si diffondono tra i fedeli le «ipotesi» di cui si può trattare tra studiosi. Solo quando si ha la ccrtc7.­ za della verità confrontandola con l'insegnamento del magistero della Chiesa, assistito dallo Spirilo Santo, solo allora si può divulgare l'insegnamenlo e le nuove considerazioni.

autorità può elevarsi per dominare soltanto, per raccogliere omaggi e particolarità, e può pretendere d'imporsi dispoti­ camente con asprezza?
È una considerazione che fiorisce dalla stessa esortazio­
ne di san Paolo ai sudditi, benché egli non lo dica esplicita­ mente.

Chi sta a capo...
Chi  sta a capo deve avere un programma di vita interiore, per attrarre su  di sé e sui sudditi la grazia di Dio, ed un indi­ rizzo preciso di  patema autorità per governare. Nella sua vita interiore deve proporsi  solo di glorificare Dio, facendosi pic­ colo innanzi a Lui con profonda  umiltà, pronto a servirlo fa­ cendo la sua volontà, come strumento della  sua grazia e della sua misericordia, senza pretesa di voler impotTe la  propria volontà, di voler fare novità capricciose, che mancano sem­ pre  di ponderazione e di equilibrio.
Deve ispirare la sua vita alle parole di Maria Santissima quando fu eletta Regina come Madre di Dio: L'anima mia glorifica il Signore: Magnifzcat anima mea Dominum. Umile e piccola nel suo immacolato Cuore, fu piena  di grazia per diffonderla in tutte le anime come misericordia di Dio.  Guar­ dò, Dio, la piccolezza della sua serva, «per questo mi chia­  meranno beata tutte le genti, attratte a ine dal mio amore e dalla mia  dolcezza»: Respexit humilitatem ancillae suae, ec­ ce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes. Pronta a compiere il disegno di Dio e la sua volontà, se ne dichiarò serva: Ecce anci/la Domini, fiat mibi secundum verbum tuum... Et misericordia ejus a progenie in progenies timenti­ bus eum.
Chi sta a capo, umile nel cuore, attrae la grazia di Dio e diffonde un senso di pace e di beatitudine; strnmento della misericordia di Dio, opera per Lui cose grandi, e santifica i
lettera a Tito Capitolo 3

sudditi, unendoli in sé al compimento della divina volontà:
Ecce ancilla Domini.
L'indirizzo  di chi sta a capo nel governare non sta nella politica, nel sapersi  maneggiare, nel sapersi imporre, sta in tre parole: preghiera, prudenza e penitenza.
Senza  la preghiera è impossibile governare, perché le maggiori battaglie  nelle anime non si vincono con le grida, con i castighi e con le parole  aspre, che suscitano reazioni e ribellioni, o internamente sentimenti  di avversione, giudizi temerari e mormorazioni; le maggiori battaglie si  vincono con la preghiera che attrae la grazia divina nella mente e la  illumina, nel cuore e lo compunge, nella volontà e la piega.
Non  si governa con l'imposizione ma con la prudenza che evita quello che  può suscitare reazioni, e sa misurare le parole. Ogni anima è sempre un  mistero, perché Dio solo scruta il cuore e le reni; ogni anima ha i suoi  momenti infeli­ ci, e può errare, anche contro chi comanda; ogni anima  può avere momenti di smarrimento e di fanciullaggine; può avere  debolezze nel carattere, rozzezza nei modi, e tante altre mise­ rie che  sono come nubi che passano. Occorre, perciò, molta pazienza nel  sopportarle e molta dolcezza nel curarle.
Occorre ... l'unguento del Samaritano a quell'uomo feri­ to dai ladroni e lasciato semivivo per terra: vino ed olio. Vino  di grazia divina ed olio di dolcezza; disinfezione della mise­ ria con  la salutare ammonizione, e dolcezza di carità nel far­ la. Unire questo  alla prudenza, per non esorbitare in parole superflue o urtanti, alla  preghiera per renderle efficaci, alla propria penitenza per ripararle e  sradicarle dall'anima: biso­ gna, poi, nella carità mostrare premura  affettuosa per l'anima che ha bisogno di correzione, in modo da non  lasciare in lei nessuna latente amarezza, e ristabilire l'equilibrio  dell'affet­ tuoso rispetto e della pace tra chi comanda e chi obbedisce.
Come si vede nella parabola del Samaritano: egli medicò
le ferite col vino e con l'olio, caricò il ferito sul suo asinello,
Capitolo 3 Lettera a Tito

lo portò ad una casa di rifugio , e ne pagò a proprie spese il ricovero. Un opportuno aiuto di carità delicata , a chi è preso da debolezze , suscita sempre un rammarico delle colpe commesse, ed una riconoscenza per chi comanda, del quale allora non si vede altro che la bontà.
Anche nell'ordine civile, l'autorità costituita non può a­ vere solo la spada ed il rigore impassibile della legge per chi fa il  male, ma deve avere anche premura di curare le anime, di rialzare la  loro morale, di formarle al bene, di non oppri­ merle con la durezza, ma  di trasformarle con la dolcezza e di rinnovarle con la grazia di Dio.
La  società moderna non ha ancora questi mezzi di reden­ zione che  diminuirebbe la delinquenza nel mondo, perché dolorosamente è tanto  lontana da Dio e dalla Chiesa, ma  nel­ le prigioni dove penetra una suora o un sacerdote santo si  raccolgono sempre frutti di conversioni e di pace, e si raccol­ gono  anime per il Paradiso anche dai patiboli e dai plotoni di fucilazione.
 
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
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