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L'EVANGELO COME MI È STATO RIVELATO

      
1° Vol. Cap. 012. Giuseppe prescelto come sposo della Vergine.
4 settembre 1944.
12.1Vedo una ricca sala dal bel pavimento e tende e tappeti e mobili d’intarsio. Deve ancora far parte del Tempio, perché in essa vi sono sacerdoti, fra cui Zaccaria, e molti uomini di ogni età, ossia dai venti ai cinquant’anni, su per giù.
Parlano fra loro piano ma animatamente. Paiono in ansia per qualche cosa che non so. Sono tutti vestiti a festa con vesti nuove o almeno molto fresche di lavatura, come si fossero[36] parati ad una festa. Molti si sono levati il telo che fa da copricapo, altri lo hanno ancora, specie gli anziani, mentre i giovani mostrano le loro teste nude, quali biondo scure, quali morate, alcune nerissime, una sola rosso-rame. Le capigliature sono per la maggior parte corte, ma ve ne sono di quelle lunghe sino alle spalle. Non devono conoscersi tutti fra di loro, perché si osservano curiosamente. Ma però sembrano affini, perché si capisce li prema un unico pensiero.
12.2In un angolo vedo Giuseppe. Parla con un vecchiotto rubizzo. Giuseppe è sui trent’anni. Un bell’uomo dai capelli corti e piuttosto ricci, di un castagno morato come è la barba e i baffi che ombreggiano un bel mento e salgono verso le gote brune rosse, non olivastre come in altri bruni. Ha occhi scuri, buoni e profondi, seri molto, direi quasi un poco tristi. Ma però quando sorride, come fa ora, divengono lieti e giovanili. È tutto vestito di marrone chiaro, molto semplice ma molto ordinato.
12.3Entra un gruppo di giovani leviti e si dispone fra la porta e un tavolo lungo e stretto, che è presso la parete dove al centro è la porta, che resta spalancata. Solo una tenda, che pende sino a un venti centimetri da terra, resta tesa a coprire il vano.
La curiosità si acuisce. E più ancora quando una mano scosta la tenda per dare il passo ad un levita, che porta fra le braccia un fascio di rami secchi, sul quale è posato delicatamente un ramo fiorito. Una leggera spuma di petali bianchi, che appena si ricordano di una sfumatura di roseo che dal centro si irradia sempre più tenue sino al sommo dei petali leggeri. Il levita posa il fascio di rami sul tavolo con delicata cura, per non ledere il miracolo di quel ramo in fiore fra tanto seccume.
Un brusio va per la sala. I colli si allungano, gli sguardi si fanno più acuti come per vedere. Anche Zaccaria, coi sacerdoti, essendo più vicino al tavolo, cerca vedere. Ma non vede nulla.
Giuseppe, nel suo angolo, dà appena una occhiata al fascio di rami e, quando il suo interlocutore gli dice qualcosa, fa un cenno di diniego come chi dice: «Impossibile!», e sorride.
12.4Uno squillo di tromba oltre la tenda. Tutti si zittiscono e si dispongono in bell’ordine colla faccia verso l’uscio, che ora appare spalancato, perché anche la tenda è fatta scorrere sui suoi anelli. Contornato da altri anziani, entra il Sommo Pontefice. Tutti si inchinano profondamente. Il Pontefice va al tavolo e parla restando in piedi.
«Uomini della stirpe di Davide, qui convenuti per mio bando, udite. Il Signore ha parlato, sia lode a Lui! Dalla sua Gloria un raggio è sceso e, come sole di primavera, ha dato vita ad un ramo secco, e questo ha fiorito miracolosamente mentre nessun ramo della terra è in fiore oggi, ultimo giorno dell’Encenie, mentre ancor non è sciolta la neve caduta sulle alture di Giuda ed è l’unico candore che sia fra Sion e Betania. Dio ha parlato facendosi padre e tutore della Vergine di Davide, che non ha altro che Lui a sua tutela. Santa fanciulla, gloria del Tempio e della stirpe, ha meritato la parola di Dio per conoscere il nome dello sposo gradito all’Eterno. Ben giusto deve essere costui per esser l’eletto del Signore a tutela della Vergine a Lui cara! Per questo il nostro dolore di perderla si placa, e cessa ogni preoccupazione sul suo destino di sposa. E all’indicato da Dio affidiamo con ogni sicurezza la Vergine, sulla quale è la benedizione di Dio e la nostra. Il nome dello sposo è Giuseppe di Giacobbe betlemita, della tribù di Davide, legnaiolo a Nazareth di Galilea. Giuseppe, vieni avanti. Il Sommo Sacerdote te lo ordina».
Molto brusio. Teste che si volgono, occhi e mani che accennano, espressioni deluse ed espressioni sollevate. Qualcuno, specie fra i vecchi, deve esser stato lieto di non avere questa sorte.
Giuseppe, molto rosso e impacciato, si fa avanti. È ora davanti al tavolo, di fronte al Pontefice che ha salutato reverente.
«Venite tutti e guardate il nome inciso sul ramo. Prenda ognuno la propria verga, per essere sicuro che non vi è frode».
Gli uomini ubbidiscono. Guardano il ramo tenuto delicatamente dal Sommo Sacerdote, prendono ognuno il proprio, e chi lo spezza e chi lo conserva. Tutti guardano Giuseppe. Vi è chi guarda e tace, e chi si felicita. Il vecchiotto, col quale egli parlava prima, dice: «Te lo avevo detto, Giuseppe? Chi meno si sente sicuro è colui che vince la partita!». Ora tutti sono passati.
12.5Il Sommo Sacerdote dà a Giuseppe il ramo in fiore, e poi gli pone la mano sulla spalla e dice: «Non è ricca, e tu lo sai, la sposa che Dio ti dona. Ma ogni virtù è in Lei. Siine sempre più degno. Non vi è fiore in Israele vago e puro al par di Lei. Uscite tutti, ora. Resti Giuseppe. E tu, Zaccaria, parente, conduci la sposa».
Escono tutti, meno il Sommo Sacerdote e Giuseppe. La tenda viene ricalata sull’uscio.
Giuseppe sta tutto umile presso il maestoso Sacerdote. Un silenzio, e poi questo gli dice: «Maria ha da dirti un suo voto. Tu aiuta la sua timidezza. Sii buono con la buona».
«Metterò la mia virilità al suo servizio e nessun sacrificio mi peserà per Lei. Siine certo».
Entra Maria con Zaccaria e Anna di Fanuel.
«Vieni, Maria», dice il Pontefice. «Ecco lo sposo che Dio ti destina. È Giuseppe di Nazareth. Tornerai perciò alla tua città. Ora vi lascio. Dio vi dia la sua benedizione. Il Signore vi guardi e benedica, mostri a voi la sua faccia e abbia pietà di voi sempre. Rivolga a voi il suo volto e vi dia pace».
Zaccaria esce, scortando il Pontefice. Anna si felicita con lo sposo e poi esce essa pure.
12.6I due promessi sono uno di fronte all’altra. Maria, tutta rossa, sta a capo chino. Giuseppe, pure colorito, l’osserva e cerca le parole da dire per prime.
Le trova finalmente e un sorriso lo illumina. Dice: «Ti saluto, Maria. Ti ho vista bambina di pochi giorni… Ero amico del padre tuo ed ho un nipote di mio fratello Alfeo che era tanto amico di tua madre. Il suo piccolo amico, perché ora non ha che diciott’anni, e quando tu non eri ancor nata egli era un affatto piccolo uomo, e pure rallegrava le tristezze della madre tua che l’amava tanto. Tu non ci conosci, perché sei venuta qui piccina. Ma a Nazareth tutti ti vogliono bene, e pensano e parlano della piccola Maria di Gioacchino, la cui nascita fu un miracolo del Signore che fece rifiorire la sterile… Ed io ricordo la sera in cui sei nata… Tutti la ricordiamo per il prodigio di una grande pioggia che salvò la campagna, e di un violento temporale nel quale i fulmini non schiantarono neppure uno stelo d’erica selvaggia, finito con un arcobaleno che più grande e vago mai più si vide. E poi… chi non ricorda la gioia di Gioacchino? Ti palleggiava mostrandoti ai vicini… Come tu fossi un fiore venuto dal Cielo, ti ammirava e voleva tutti ti ammirassero, felice e vecchio padre che morì parlando della sua Maria così bella e buona e dalle parole piene di grazia e sapere… Aveva ragione di ammirarti e di dire che non vi è una di te più bella! E tua madre? Empiva del suo canto l’angolo in cui era la tua casa, e pareva un’allodola a primavera mentre ti portava e dopo, quando ti aveva al seno. Io ti ho fatto la culla. Una cullina tutta a intagli di rose, perché così la volle tua madre. Forse vi è ancora nella chiusa dimora… Sono vecchio io, Maria. Quando sei nata facevo i primi lavori. Lavoravo già… Chi me lo avesse detto che io ti avrei avuta a sposa! Forse sarebbero morti più lieti i tuoi, perché mi erano amici. Ho seppellito il padre tuo piangendolo con cuor sincero, perché mi era maestro buono nella vita».
Maria alza piano piano il viso, rinfrancandosi sempre più, sentendo che Giuseppe le parla così, e quando accenna alla culla sorride lievemente, e quando Giuseppe dice del padre gli tende una mano e dice: «Grazie, Giuseppe». Un «grazie» timido e soave.
Giuseppe prende fra le sue corte e forti mani di legnaiolo la manina di gelsomino, e la carezza con un affetto che vuole sempre più rassicurare. Forse attende altre parole. Ma Maria tace di nuovo. Allora riprende lui: «La casa, tu lo sai, è intatta, meno che nella parte che fu abbattuta per ordine consolare per fare, del viottolo, via ai carriaggi di Roma. Ma la campagna, quella che t’è rimasta, perché tu sai… la malattia del padre ha consumato molto tuo avere, è un poco trascurata. Sono oltre tre primavere che gli alberi e le viti non conoscono cesoia di ortolano, e la terra è incolta e dura. Ma gli alberi che ti hanno visto piccina vi sono ancora e, se me lo permetti, io subito mi occuperò di loro».
«Grazie, Giuseppe. Ma tu già lavori…».
«Lavorerò al tuo orto nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Ora il tempo di luce si allunga sempre più. Per la primavera voglio sia tutto in ordine per la tua gioia. Guarda, questo è un ramo del mandorlo che sta contro casa. Ho voluto cogliere questo… — si entra per ogni dove dalla siepe rovinata, ma ora la rifarò solida e forte — ho voluto cogliere questo pensando che, se io fossi stato il prescelto — non lo speravo perché sono nazareo[37] e ho ubbidito perché ordine di Sacerdote, non per desiderio di nozze — pensando, dicevo, che tu avresti avuto gioia ad avere un fiore del tuo giardino. Eccotelo, Maria. Con esso ti dono il mio cuore, che come esso è fiorito sino ad ora solo per il Signore, ed ora fiorisce per te, sposa mia».
12.7Maria prende il ramo. È commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso. Si sente sicura di lui. Quando poi egli dice: «Sono nazareo», il suo volto si fa tutto luminoso, ed Ella si fa coraggio. «Io pure sono tutta di Dio, Giuseppe. Non so se il Sommo Sacerdote te l’ha detto…».
«Mi ha detto solo che tu sei buona e pura, e che hai da dirmi un tuo voto, e d’esser buono con te. Parla, Maria. Il tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio. Non t’amo con la carne. Ti amo con lo spirito mio, santa fanciulla che Dio mi dona! Vedi in me un padre e un fratello, oltre che uno sposo. E come a padre confidati, come a fratello affidati».
«Fin dall’infanzia mi son consacrata al Signore. So che questo non si fa in Israele. Ma io sentivo una Voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d’amore per l’avvento del Messia. Da tanto l’attende Israele!… Non è troppo rinunciare per questo alla gioia d’esser madre!».
Giuseppe la guarda fissamente come volesse leggerle nel cuore, e poi prende le due manine, che ancora hanno fra le dita il ramoscello fiorito, e dice: «Ed io unirò il mio sacrificio al tuo, e ameremo tanto con la nostra castità l’Eterno che Egli darà più presto alla Terra il Salvatore, permettendoci di vedere la sua Luce splendere nel mondo. Vieni, Maria. Andiamo davanti alla sua Casa e giuriamo di amarci come gli angeli fra loro. 12.8Poi io andrò a Nazareth a preparare tutto per te, nella tua casa se ami andare in quella, altrove se vuoi altrove».
«Nella mia casa… Vi era una grotta là in fondo… Vi è ancora?».
«Vi è, ma non è più tua… Ma te ne farò una ove starai fresca e quieta nelle ore più calde. La farò quanto possibile uguale. E, dimmi, chi vuoi con te?».
«Nessuno. Non ho paura. La madre d’Alfeo, che sempre viene a trovarmi, mi farà compagnia un poco nel giorno, e la notte preferisco esser sola. Nulla mi può accadere di male».
«E poi ora ci sono io… Quando devo venire a prenderti?».
«Quando tu vuoi, Giuseppe».
«Allora verrò non appena la casa è ordinata. Non toccherò nulla. Voglio tu trovi come tua madre ha lasciato. Ma voglio sia piena di sole e ben monda, per accoglierti senza tristezza. Vieni, Maria. Andiamo a dire all’Altissimo che lo benediciamo».
Non vedo altro. Ma mi resta in cuore il senso di sicurezza che prova Maria…

[36] come si fossero sta per come se si fossero. Siffatte omissioni del se e di altre congiunzioni (ad esempio: spero venga invece di spero che venga; cerca vedere invece di cerca di vedere) vengono mantenute in quanto l’espressione è inequivocabile. Al contrario, le espressioni giorni sono, anni sono e simili, anch’esse abituali in MV, vengono corrette da noi in giorni or sono, anni or sono e simili.
[37] nazareo era il consacrato al Signore con il voto di nazareato (oggi si preferisce dire nazireo e nazireato) che viene illustrato in: Numeri 6, 1-21. Oltre a Giuseppe, sposo di Maria Ss., incontreremo qualche altro nazareo, come in 156.4 (dove è scritto nazir), in 323.7 (ultime righe), in 363.3 (riferito all’apostolo Tommaso). Sarà anche ricordato, in 94.8 e in 467.9, il nazareato di Sansone.

1° Vol. Cap. 013
Sposalizio della Vergine con Giuseppe, istruito dalla Sapienza ad essere custode del Mistero.

5 settembre 1944.
13.1Come è bella Maria nelle sue vesti di sposa, fra le amiche e maestre festanti! Vi è anche, fra queste, Elisabetta.
Tutta vestita di candidissimo lino, così setoso e fino che pare una seta preziosa. Una cintura in oro e argento lavorato a bulino, fatta tutta a medaglioni tenuti insieme da catenelle — e ogni medaglione è un ricamo di linee d’oro fra il pesante argento che il tempo ha brunito — le cinge la vita sottile e, forse perché troppo larga per Lei, ancor giovinetta gentile, le pende davanti coi tre ultimi medaglioni, scendendo fra le pieghe della veste amplissima e lievemente a strascico tanto è lunga. Ai piedini, sandali di pelle bianchissima con fibbie in argento.
Al collo la veste è tenuta da una catenella a rosette d’oro e di filigrana d’argento, che riprendono in piccolo il motivo della cintura, e che passa fra larghe asole che sono all’ampia scollatura, riunendola perciò in crespe che formano come una piccola gala. Il collo di Maria emerge da quel candore pieghettato con la grazia di uno stelo avvolto in una garza preziosa, e pare ancor più esile e bianco, uno stelo di giglio terminante nel viso liliale, ancor più pallido per l’emozione e più puro. Un viso di ostia purissima.
I capelli non pendono più sulle spalle. Sono vezzosamente disposti a nodo di trecce, e delle preziose forcine di argento brunito, tutte fatte a ricamo di filigrana nell’arco del sommo, le tengono a posto. Il velo materno è posato su queste trecce e ricade con belle pieghe al disotto della lamina preziosa, che stringe la fronte bianchissima. Scende sino ai fianchi, perché Maria non è alta come sua madre, e il velo le sorpassa le anche, mentre ad Anna giungeva alla cintura.
Alle mani nulla, ai polsi braccialetti. Ma sono così sottili questi polsi, che i pesanti braccialetti materni le ricadono fin sul dorso e forse, se scuotesse le mani, cadrebbero al suolo.
13.2Le compagne la rimirano in tutti i sensi e l’ammirano. Fanno un gaio cinguettio di passerette con le loro domande e le loro frasi di ammirazione.
«Son di tua madre?».
«Antichi, vero?».
«Che bella, Sara, questa cintura!».
«E questo velo, Susanna? Ma guarda che finezza! Ma guarda questi gigli tessuti in esso!».
«Fammi vedere i bracciali, Maria! Erano di tua madre?».
«Li portò. Ma sono della madre di Gioacchino mio padre».
«Oh! guarda! Hanno il sigillo di Salomone intrecciato con esili rametti di palma e d’ulivo, e fra questi son gigli e rose. Oh! chi ha fatto sì perfetto e minuto lavoro?».
«Sono della casa di Davide», spiega Maria. «Li mettono da secoli le donne della stirpe che vanno a spose, e restano in retaggio all’erede».
«Già! Tu sei figlia erede…».
«Ti hanno portato tutto da Nazareth?».
«No. Quando morì mia madre, mia cugina portò il corredo nella sua casa per conservarlo senza guasto. Ora me lo ha portato».
«Dove è? dove è? Mostralo alle amiche».
Maria non sa come fare… Vorrebbe esser cortese, ma vorrebbe anche non smuovere tutta la roba, disposta in tre pesanti cofani.
In suo aiuto intervengono le maestre. «Lo sposo sta per giungere. Non è tempo di metter confusione. Lasciatela stare, ché la stancate, e andate a prepararvi».
Lo sciame garrulo si allontana un po’ imbronciato. Maria può godersi in pace le sue maestre, che le dicono parole di lode e benedizione.
13.3Anche Elisabetta si è fatta vicina. E poiché Maria, commossa, piange perché Anna di Fanuel la chiama: «Figlia!», e la bacia con un affetto veramente materno, Elisabetta le dice: «Maria, tua madre non c’è, ma c’è. Il suo spirito esulta presso il tuo. E, guarda, le cose che tu porti ti ridanno la sua carezza. Vi trovi ancora il sapore dei suoi baci. Un giorno lontano, il giorno in cui tu venisti al Tempio, ella mi disse: “Le ho preparato le vesti e il corredo di sposa, perché voglio esser sempre io quella che le fila i lini e le fa le vesti di sposa, per non esser assente nel giorno della sua gioia”. E, sai? Negli ultimi tempi, quando io l’assistevo, ella voleva ogni sera carezzare le tue prime vesti e queste che ora porti, e diceva: “Qui sento l’odore di gelsomino della mia piccina, e qui voglio Ella senta il bacio di sua mamma”. Quanti baci a questo velo che ti ombreggia la fronte! Più baci che fili!… E, quando metterai le tele da lei tessute, pensa che, più che lo stame, le ha formate l’amor di tua madre. E questi monili… Anche in ore penose furono salvati dal padre per te, per farti bella, come a principessa di Davide spetta, in quest’ora. Sii lieta, Maria. Non sei orfana, ché i tuoi sono teco e hai uno sposo che ti è padre e madre, tanto è perfetto…».
«Oh! sì! Questo è vero. Di lui non mi posso certo rammaricare. In men di due mesi è venuto due volte, ed oggi viene per la terza, sfidando piogge e tempo ventoso, per prendere ordini da me… Pensa: ordini! Io che sono una povera donna e di lui tanto più giovane! E non mi ha negato nulla. Anzi neppure attende che io chieda. Pare che un angelo gli dica ciò che io desidero, e me lo dice lui prima che io parli. L’ultima volta ha detto: “Maria, io penso che tu preferisca stare nella tua casa paterna. Dato che sei figlia erede, lo puoi fare, se credi. Io verrò in casa tua. Solo, per osservare il rito, tu andrai per una settimana in casa di Alfeo, mio fratello. Maria ti ama tanto già. E da là partirà la sera delle nozze il corteo che ti porterà a casa”. Non è gentile? Non gli è importato neppure di far dire alla gente che egli non ha una casa che mi piaccia… A me sarebbe sempre piaciuta, perché vi è lui, tanto buono. Ma certo… preferisco la mia casa,… per i ricordi… Oh! è buono Giuseppe!».
«Che ha detto del voto? Ancora non mi dicesti nulla».
«Nulla ha opposto. Anzi, saputene le ragioni, ha detto: “Io unirò il mio sacrificio al tuo”».
«È un giovane santo!», dice Anna di Fanuel.
13.4Il «giovane santo» entra in questo punto accompagnato da Zaccaria.
È letteralmente splendido. Tutto in giallo oro, pare un sovrano orientale. Una splendida cintura sorregge borsa e pugnale, l’una di marocchino a ricami in oro, l’altro in guaina pure di marocchino a fregi d’oro. In capo un turbante, ossia il solito telo messo a cappuccio come ancora lo hanno certi popoli dell’Africa, i beduini per esempio, tenuto a posto da un cerchio prezioso, un filo d’oro sottile al quale sono legati mazzetti di mirto. Ha un manto nuovissimo, pieno di frange, nel quale si drappeggia con maestà, ed è sfolgorante di gioia. Fra le mani ha mazzetti di mirto in fiore.
«Pace a te, sposa mia!», saluta. «Pace a tutti». E, avuto il saluto di risposta, dice: «Ho visto la tua gioia quel giorno che ti ho dato il ramo del tuo orto. Ho pensato portarti il mirto, colto presso la grotta a te tanto cara. Volevo portarti le rose, che già mettono i primi fiori contro la tua casa. Ma le rose non durano in più giorni di viaggio… Sarei arrivato con sole spine. Ed io a te, diletta, voglio offrire solo rose, e di fiori morbidi e profumati spargere il cammino, perché su essi tu posi il piede senza incontrare sozzura o asprezza».
«Oh! grazie a te, buono! Come hai potuto farlo giungere fresco così?».
«Ho legato un vaso alla sella e dentro vi ho messo i rami dei fiori in boccio. Lungo il cammino sono fioriti. Eccoteli, Maria. La tua fronte si inghirlandi di purezza, simbolo della sposa, ma sempre, sempre tanto minore a quella che t’è in cuore».
Elisabetta e le maestre ornano Maria della fiorita ghirlandetta, che si forma fissando al cerchio prezioso i ciuffetti candidi del mirto, e intersecano piccole, candide rose, prese da un vaso posto su un cofano.
Maria fa per prendere il suo ampio manto candido per metterlo puntato sulle spalle. Ma lo sposo la precede nel gesto e l’aiuta a fissare con due fibbie d’argento l’ampio mantello al sommo delle spalle. Le maestre dispongono le pieghe con amore e grazia.
13.5Tutto è pronto. Mentre attendono non so che, Giuseppe dice (lo dice appartandosi un poco con Maria): «Ho pensato in questo tempo al tuo voto. Io ti ho detto che lo condivido. Ma più vi penso e più comprendo che non basta il nazareato temporaneo, sebbene rinnovato più volte. Ti ho compresa, Maria. Non ancora merito la parola della Luce. Ma un murmure me ne viene. E questo mi fa leggere il tuo segreto, almeno nelle linee più forti. Sono un povero ignorante, Maria. Sono un povero operaio. Non so di lettere e non ho tesori. Ma ai piedi tuoi metto il mio tesoro. In perpetuo. La mia castità assoluta, per esser degno di starti accanto, Vergine di Dio, “sorella mia sposa, chiuso giardino, fonte sigillata”, come dice l’Avo nostro[38], che forse scrisse il Cantico vedendo te… Io sarò il guardiano di questo giardino d’aromi, in cui sono le più preziose frutta e da cui sgorga una polla d’acqua viva con impeto soave: la tua dolcezza, o sposa che col tuo candore mi hai conquiso lo spirito, o tutta bella. Bella più di un’aurora, sole che splendi poiché ti splende il cuore, o tutta amore per il tuo Dio e per il mondo, a cui vuoi dare il Salvatore col tuo sacrificio di donna. Vieni, mia amata», e la prende delicatamente per mano, guidandola verso la porta.
Li seguono tutti gli altri, e fuori si uniscono le compagne festanti e tutte in bianco e con veli.
13.6Vanno per cortili e portici, fra la folla che osserva, sino ad un punto che non è il Tempio, ma pare quasi una sala data al culto, perché vi sono lampade e rotoli di pergamena come nelle sinagoghe. Gli sposi vanno fin contro ad un alto leggio, quasi una cattedra, e attendono. Gli altri si mettono dietro a loro in bell’ordine. Altri sacerdoti e curiosi si assiepano in fondo.
Entra solenne il Sommo Sacerdote. Brusio fra i curiosi: «È lui che sposa?».
«Sì, perché è di casta regale e sacerdotale. Fiore di Davide e Aronne la sposa, e vergine del Tempio. Lo sposo è della tribù di Davide».
Il Pontefice mette la destra della sposa in quella dello sposo e li benedice solennemente: «Il Dio d’Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi. Egli vi unisca e si adempia in voi la sua benedizione, dandovi la sua pace e numerosa posterità con lunga vita e morte beata nel seno di Abramo». E poi si ritira, solenne come è entrato.
La promessa è scambiata. Maria è sposa a Giuseppe.
Tutti escono e, sempre in bell’ordine, vanno in una sala, dove viene steso il contratto di nozze, in cui si dice che Maria, figlia-erede di Gioacchino di Davide e Anna di Aronne, porta in dote allo sposo la sua casa e annessi beni e il suo personale corredo e ogni altro bene, che ha dal padre ereditato.
Tutto è compiuto.
13.7Gli sposi escono nel cortile e da questo passano oltre, verso l’uscita che è presso il quartiere delle donne adibite al Tempio. Un comodo, pesante carro attende. Su esso è stesa una tenda a riparo e sono già i pesanti cofani di Maria.
Commiati, baci e lacrime, benedizioni, consigli, raccomandazioni, e poi Maria sale con Elisabetta e si pone nell’interno del carro, e sul davanti si mettono Giuseppe e Zaccaria. Hanno levato i manti di festa e sono tutti avvolti in un mantellone scuro.
Il carro parte al trotto pesante di un cavallone scuro. Le mura del Tempio si allontanano, e poi quelle della città, ed ecco la campagna, nuova, fresca, fiorita nei primi soli di primavera, coi grani alti un buon palmo dal suolo e che paiono smeraldi ridotti a foglioline ondeggianti ad una brezza leggera, che sa di fiori di pesco e melo, che sa di trifogli in fiore e di mentucce selvagge.
Maria piange piano, sotto al suo velo, e ogni tanto scosta la tenda e guarda ancora il Tempio lontano, la città lasciata…
La visione cessa così.
13.8Dice Gesù:
«Che dice[39] il libro della Sapienza cantando le lodi di essa? “Nella sapienza è infatti lo spirito d’intelligenza, santo, unico, molteplice, sottile”. E continua enumerandone le doti, terminando il periodo con le parole: “…che tutto può, tutto prevede, che comprende tutti gli spiriti, intelligente, puro, sottile. La sapienza penetra con la sua purezza, è vapore della virtù di Dio… per questo nulla in lei vi è d’impuro… immagine della bontà di Dio. Pur essendo unica può tutto, immutabile come è rinnovella ogni cosa, si comunica alle anime sante e forma gli amici di Dio e i profeti”.
13.9Tu hai visto come Giuseppe, non per cultura umana ma per istruzione soprannaturale, sappia leggere nel libro sigillato della Vergine intemerata, e come rasenti le profetiche verità col suo “vedere” un mistero soprumano là dove gli altri vedevano unicamente una grande virtù. Impregnato di questa sapienza, che è vapore della virtù di Dio e certa emanazione dell’Onnipotente, si dirige con spirito sicuro nel mare di questo mistero di grazia che è Maria, si intona con Lei con spirituali contatti in cui, più che le labbra, sono i due spiriti che si parlano nel sacro silenzio delle anime, dove ode voci unicamente Dio e le percepiscono coloro che a Dio sono grati, perché servi a Lui fedeli e di Lui pieni.
La sapienza del Giusto, che aumenta per l’unione e vicinanza con la Tutta Grazia, lo prepara a penetrare nei segreti più alti di Dio e a poterli tutelare e difendere da insidie d’uomo e di demone. E intanto lo rinnovella. Del giusto fa un santo, del santo il custode della Sposa e del Figlio di Dio.
Senza sollevare il sigillo di Dio, egli, il casto, che ora porta la sua castità ad eroismo angelico, può leggere la parola di fuoco scritta sul diamante virginale dal dito di Dio, e vi legge quello che la sua prudenza non dice, ma che è ben più grande di quel che lesse Mosè sulle tavole di pietra. E, perché occhio profano non sfiori il Mistero, egli si pone, sigillo sul sigillo, arcangelo di fuoco sulla soglia del Paradiso, entro il quale l’Eterno prende le sue delizie “passeggiando al rezzo della sera” e parlando con Quella che è il suo amore, bosco di gigli in fiore, aura profumata di aromi, venticello di freschezza mattutina, vaga stella, delizia di Dio. La nuova Eva è lì, davanti a lui, non osso delle sue ossa né carne della sua carne, ma compagna della sua vita, Arca viva di Dio, che egli riceve in tutela e che a Dio egli deve rendere pura come l’ha ricevuta.
“Sposa a Dio” era scritto in quel libro mistico dalle pagine immacolate… E quando il sospetto, nell’ora della prova, gli fischiò il suo tormento, egli, come uomo e come servo di Dio, soffrì, come nessuno, per il sospettato sacrilegio. Ma questa fu la prova futura. Ora, in questo tempo di grazia, egli vede e mette sé al servizio più vero di Dio. Dopo verrà la bufera della prova, come per tutti i santi, per esser provati e resi coadiutori di Dio.
13.10Cosa si legge[40] nel Levitico? “Di’ ad Aronne tuo fratello di non entrare in ogni tempo nel santuario che è dietro al Velo dinanzi al propiziatorio che copre l’Arca, per non morire — ché Io apparirò nella nuvola sopra l’oracolo — se prima non avrà fatto queste cose: offrirà un vitello per il peccato e un montone in olocausto, indosserà la tunica di lino e con brache di lino coprirà la sua nudità”.
E veramente Giuseppe entra, quando Dio vuole e quanto Dio vuole, nel santuario di Dio, oltre il velo che cela l’Arca sulla quale si libra lo Spirito di Dio, e offre sé e offrirà l’Agnello, olocausto per il peccato del mondo e l’espiazione di esso peccato. E questo fa, vestito di lino e con mortificate le membra virili per abolirne il senso, che una volta, al principio dei tempi[41], ha trionfato ledendo il diritto di Dio sull’uomo, e che ora sarà conculcato nel Figlio, nella Madre e nel padre putativo, per tornare gli uomini alla Grazia e rendere a Dio il suo diritto sull’uomo. Fa questo con la sua castità perpetua.
Non vi era Giuseppe sul Golgota? Vi pare non sia fra i corredentori? In verità vi dico che egli ne fu il primo e che grande è perciò agli occhi di Dio. Grande per il sacrificio, la pazienza, la costanza e la fede. Quale fede più grande di questa, che credette senza aver visto i miracoli del Messia?
13.11Sia lode al mio padre putativo, esempio a voi di ciò che in voi più manca: purezza, fedeltà e perfetto amore. Al magnifico lettore del Libro sigillato, istruito dalla Sapienza a saper comprendere i misteri della Grazia ed eletto a tutelare la Salvezza del mondo contro le insidie di ogni nemico».

[38] dice l’Avo nostro, cioè Salomone, in: Cantico dei cantici 4, 12.
[39] dice, in: Sapienza 7, 22-27.
[40] si legge, in: Levitico 16, 2-4.
[41] al principio dei tempi è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
SITO in ALLESTIMENTO
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