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CAPITOLO 13

IN FINEM DILEXIT ♦  IL SIGILLO DIVINO

Il segno, lo darò in te! (Nostro Signore a Josefa - 20 settembre 1920) ♦ Pag.529

Dicembre 1923. È l'ultimo mese che Josefa trascorre qui in terra. Il Re d'amore sta compiendo l'Opera sua in un insieme di pace, di ordine, di sapienza, di potenza e di sovrana libertà, che non appartiene che a Lui.
Non è forse questo il momento di dare uno sguardo all'anima di Josefa e cercarvi il sigillo divino, indizio autentico della sua missione?
«L'albero si conosce dai frutti». E al raggio di questo principio evangelico uscito dalle labbra della Sapienza divina ogni virtù si misura e ogni azione soprannaturale è confermata quaggiù.
Un giorno il Signore rispondendo ad una segreta e istante preghiera delle guide di Josefa disse all'umile sorella, ignara delle perplessità delle sue superiore: «Non mi si chiedano più segni, Josefa! Il segno lo darò in te!» Risposta divina che, infatti, trovò la sua realizzazione nei quattro anni di quella breve vita religiosa, segnandola di un'impronta che ci appare infallibile.
Il sigillo divino si vede davvero impresso in quella semplicità di bambina che la fa entrare senza sforzo nel regno di Dio. Ella è una di quelle anime molto piccole e semplici che rapiscono il cuore del Re e ne scoprono i segreti. L'ignoranza di sé, la docilità fiduciosa, senza scuse, colpiscono chi l'avvicina. Nella sua pietà, non vi è alcuna ricerca, né complicazione nella sua vita. I fondamenti solidissimi della fede la premuniscono dalle vane esagerazioni e dai passeggeri entusiasmi. Ella va diritta a Dio. Quella semplicità che la mette senza sforzo all'altezza delle comunicazioni divine e le fa attraversare le prove senza approfondirne la portata straordinaria, la ricolloca poi subito e senza sforzo nel piano consueto della vita ordinaria.
Il suo modo di rendere conto di sé è quello di una bambina senza pretese, che sotto la forma di una candida ingenuità sempre rispettosa, lascia trasparire l'interno sguardo che non cerca che Dio. Anche lo stile e la scrittura degli appunti tracciati da Josefa esprimono un'anima limpida e schietta.
L'umiltà e la carità, doppia caratteristica del Cuore di Gesù, che la Chiesa riconosce come le virtù distintive della Fondatrice della Società del Sacro Cuore, sono esse pure una delle note di sicurezza con cui Dio contraddistingue la virtù di Josefa.
L'umiltà aggiunge alla sua semplicità quel certo che di serio e di maturo che deriva dalla vista della propria piccolezza toccata con mano nella verità.
La sua natura fiera e viva ha sentito per un pezzo il prezzo degli atti esteriori imposti in questo campo dalla vita religiosa. Ciò fu permesso dal Signore senza dubbio affinché avesse sempre da esercitare il suo amore in cose assai piccole e potesse, per l'esperienza della propria debolezza, stimarsi in realtà l'ultima di tutte.
La dimenticanza e il sacrificio continuo di sé sono una conseguenza logica della convinzione del suo nulla, così vera e così piena, che è spesso la causa dei combattimenti che si succedono ininterrotti nella sua vita. Ella non accetta questa via che per una sottomissione spesso eroica alla volontà divina, tanto ne prova ripugnanza. La diffidenza di sé, il distacco dal proprio giudizio, l'umile fiducia nell'autorità, segnano tutti i suoi passi.
L'umiltà di sorella Josefa sembra tanto più autentica, in quanto va a finire in carità tutta soprannaturale che dilata il suo cuore di giorno in giorno in quello di Gesù.
Una virtù meno solida avrebbe potuto prevalersi di quelle grazie eccezionali per isolarsi dal suo ambiente, disertare le vie battute dalle altre e chiudersi in una certa compiacenza di sé. Non fu affatto così. Più il Cuore di Gesù le scopre i suoi segreti e la riempie della sua vita, e più apre in lei nuove sorgenti di carità. Essa, così vicina all'invisibile e immersa nel divino, si mostra ogni giorno più servizievole e buona in mezzo alle consorelle. Non sa mettere limite al dono di sé, al suo interessamento, alle sue preghiere, e ciò ben si sente attorno a lei. Il mondo intero, che desidera conquistare a Dio, è divenuto l'abituale suo orizzonte... Ma nello stesso tempo non lascia sfuggire nessun piccolo piacere che possa fare. Inoltre, col mondo delle anime e quello della sua famiglia religiosa, vi è ancora posto nel suo cuore per quell'altro mondo, riflesso della bellezza del Padre e dono della sua bontà, la natura: gli uccelli, gli insetti, i fiori... il cielo e le sue stelle... Ella ama tutto e tutto abbraccia con quell'affetto largo e forte, semplice e ingenuo che rapisce il Cuore di Gesù, perché in Josefa non è che l'effusione del suo amore per Lui.
Ma l'obbedienza resta il segno più sicuro ed è in forza di essa che Nostro Signore stabilisce le sue preferenze. Questa obbedienza, che i testimoni della vita giornaliera di Josefa hanno notato più volte come caratteristica della sua anima religiosa, S'è affermata più ancora nel piano soprannaturale su cui la fissa la volontà di Dio. Il controllo dell'azione e dello spirito che la conducono fa risaltare mirabilmente la sua perfetta sottomissione di intelletto e di cuore: non un desiderio, non un attacco, non un ripiegamento su se stessa... adesione completa alla linea di condotta che le viene tracciata, disinteresse che 'non le permette mai di ritornare, per compiacersene, sulle grazie ricevute. Josefa che ha scritto solo per obbedienza, sempre con riluttanza, mai chiede di rileggere i suoi appunti: tutto ella ha consegnato e abbandonato alle sue superiore. Fin dal principio Gesù le ha insegnato questa dipendenza assoluta nella via in cui la voleva. Basta ricordare quelle parole già citate: «Ti ho attratta al mio Cuore affinché tu non respiri che per obbedire... Sappi che se Io ti chiedo una cosa, e la Madre un'altra, preferisco che tu obbedisca a lei piuttosto che a Me! Va' e chiedi il permesso!» Insiste sempre per mantenerla fedele alla direzione ricevuta, ed Egli stesso le spiega fino a qual punto e in quali particolari deve essere aperta e trasparente, docile e pieghevole. Quante volte, in un modo o nell'altro, le ha fatto intendere questa grande lezione di spirito religioso: «Cercami nella Madre tua; ricevi le sue parole come se uscissero dalle mie labbra!... Io sto in lei per guidarti!» E con questo sguardo di fede Josefa ha sempre considerato l'obbedienza.
L'amore della regola e della vita comune inquadra in lei le grazie divine, e la preserva dall'illusione e dai tranelli del diavolo. Josefa ne ha il culto e lo prova con la sua fedeltà generosa. Questo amore della vita comune e ordinaria, che, senza un'espressa assicurazione della volontà del Maestro, le avrebbe fatto abbandonare più di una volta il cammino tracciato dal suo Cuore, serve ad affermare quanto ella sia attaccata alla via sicura della vita religiosa. La regola che osserva con esattezza delicata richiede da lei in certi momenti una volontà ed un coraggio di cui attorno a lei si ignora il valore.
Sotto le minacce del nemico e nella certezza morale delle lotte che l'aspettano, appena suona il campanello, vincendo la sua indole timorosa (e chi non avrebbe tremato di fronte alla potenza diabolica?) ella non esita mai; il suo amore affronta tutto per rimanere fedele.
Bisogna aggiungere che il sigillo divino lo si vede impresso anche nella perfetta concordanza tra la regola, tanto amata da Josefa e le lezioni del Cuore di Gesù; tra lo spirito che le anima e quello che la santa Fondatrice ha lasciato alle sue figlie: spirito di amore e di generosità, di riparazione e di zelo che deve contrassegnare ciascun membro della Società del Sacro Cuore col carattere di sposa, di vittima, di apostolo. Josefa, che possiede questo spirito a un grado tanto alto, vi viene radicata dal suo Maestro stesso. Sotto la luce di Dio le grazie di cui è favorita non le sembrano mai tali da potersi paragonare con quella della vocazione, delle direttive dell'obbedienza, della sicurezza della regola.
Il segno promesso da Gesù Josefa lo ha dunque attuato in sé giorno per giorno, ora per ora, nei particolari della vita religiosa, mentre il silenzio l'avvolge, e nessuno suppone quale pienezza di amore generoso si nasconde in quell'oscurità.
Ma, lo si è visto, vi sono ore, giorni, mesi in cui l'obbedienza di Josefa, l'amore al dovere, il coraggio e la sottomissione al volere divino, la sua fede e il suo abbandono alla condotta divina, sembrano raggiungere l'eroismo. Quante volte i testimoni di quelle lotte e di quelle sofferenze hanno dovuto ammirare in quella figliola così semplice, così ignara di sé e così fedele, la libertà e l'onnipotenza della grazia che infondeva nel debole strumento il marchio di una virtù che non inganna!...
La storia di questa vita sta ora per chiudersi sotto il segno di Dio, quello della morte che Egli ha predetta. Nostro Signore e la santissima Vergine gliel'hanno annunziata a più riprese, e pur conservandola nell'abbandono, gliene hanno svelato il tempo e le circostanze in modo che non sussista alcun dubbio.
Josefa ha dunque avvertito le sue Madri, sulla sola garanzia della parola divina, che non avrebbe finito in terra gli ultimi giorni del 1923. Infatti, all'epoca che Egli le ha indicata, e nella maniera da Lui disposta, il Padrone della vita e della morte viene per mettere il sigillo definitivo all'Opera del suo Cuore.

                                                         
IL COMPIMENTO DEL MESSAGGIO 1-9 DICEMBRE 1923

Voglio ora rivolgermi alle mie anime consacrate! (Nostro Signore a Josefa - 4 dicembre 1923) ♦ Pag.533

Sorge con il mese di dicembre l'Avvento, l'ultimo e solenne Avvento, il più bello, il più ricco di significato nella vita di Josefa: aspettazione nel vero senso della parola! Questa beata prospettiva rischiara, di tanto in tanto, la notte che avvolge l'anima. Allora ella esulta all'approssimarsi del giorno eterno verso il quale il suo cuore si slancia con tanto desiderio e veemenza. Poi improvvisamente l'orizzonte si copre di nubi tenebrose che sembrano ancor più cupe dopo questo sprazzo di luce.
Le ultime righe del Messaggio divino stanno per essere tracciate nella prima settimana di dicembre, e già, il lunedì 3, Santa Maddalena Sofia prepara la sua diletta figlia al compimento dell'Opera.
«- Vieni nella mia cella!»
le dice nella mattinata, e Josefa risponde all'invito. La santa Madre è là e la rassicura:
«- Sì, sono la Madre tua, la povera creatura di cui il Signore si è degnato di fare la prima pietra di questa Società».
Dopo questa dichiarazione che tranquillizza la figliola, prosegue:
«- Gesù sta per venire! Aspettalo con molta umiltà, ma anche con gioia e fiducia. Egli è il Padre di misericordia sempre disposto a effondere la sua bontà su tutte le creature, ma soprattutto sulle più piccole e misere. Ricevi i suoi desideri, le sue raccomandazioni, le sue parole con grande rispetto e la Società le custodisca gelosamente!»
Quindi ricordando alla sua diletta Società il segno autentico di Dio:
«- Non tema la sofferenza: non retroceda dinanzi alla sofferenza e, soprattutto, - e questa è la raccomandazione del mio cuore materno - le grazie di cui viene ricolmata non facciano mai diminuire in lei il prezioso tesoro dell'umiltà! Più sarà umile, più Nostro Signore la favorirà!»
Il momento è giunto in cui Gesù sta per rivelare alle sue anime consacrate gli ultimi inviti del suo Cuore.
Mentre Josefa, la mattina di martedì 4 dicembre, lavora pregando nella propria cella, la Madonna le appare improvvisamente come l'aurora prima del sorgere del sole. Josefa rinnova subito i voti e le chiede di ripetere con lei ciò che il demonio non ha mai potuto dire: «Mio Dio, ti amo e desidero che tutto il mondo ti conosca e ti ami!» Con una condiscendenza tutta materna e un ardore verginale Maria accontenta la domanda della figliola.
Ella ripeté queste parole - dice Josefa - e aggiunse:
«- … perché sei infinitamente buono e misericordioso! Sì, figlia mia, Gesù ha compassione
delle anime piccole e miserabili. Le perdona e le ama. La sua bontà l'inclina verso i piccoli e la sua forza sostiene i deboli. Lascia che la tua piccolezza si perda nella sua grandezza! Aspettalo con amore! Sta per venire...».
«Maria disparve, e un istante dopo Nostro Signore era là. Ho rinnovato i miei voti e subito Egli ha detto:
«- Sì, Josefa, sono Io! Non temere. Sono l'Amore, la Bontà e la Misericordia!... Sono il Figlio della Vergine Immacolata, il Figlio di Dio e Dio Io stesso!»
Poi dopo queste assicurazioni di fronte alle quali scompare ogni esitazione, Egli parla e Josefa scrive:
«- Voglio ora rivolgermi alle mie anime consacrate, affinché possano farmi conoscere ai peccatori ed al mondo intero.
«Molte tra esse non sanno ancora approfondire i miei sentimenti. Mi trattano come uno che vive lontano da loro... uno che conoscono poco e in cui non hanno abbastanza fiducia. Voglio che rianimino la loro fede e il loro amore, che vivano in intimità e confidenza con Colui che esse amano e che le ama.
«In una famiglia è il figlio maggiore che conosce meglio i sentimenti e i segreti paterni. Infatti il padre a lui si confida più interamente perché i più giovani non sono ancora capaci di interessarsi ai gravi affari, né di andare al di là della superficie delle cose. Perciò al maggiore spetta di trasmettere ai fratelli i desideri e i voleri del padre quando questi viene a mancare.
«Nella Chiesa ho dei figli maggiori e sono le anime che ho scelte per Me. Consacrate dal sacerdozio o dai voti religiosi, esse vivono più vicino a Me, partecipano alle mie grazie di privilegio, e a loro confido i miei segreti, i miei desideri... e anche i miei patimenti!
«Sono esse che incarico, per mezzo del loro ministero, di vegliare sui fanciulli, loro fratelli, e direttamente o indirettamente istruirli, guidarli e trasmettere loro i miei insegnamenti.
«Se le mie anime scelte Mi conoscono pienamente, sapranno farmi conoscere, se Mi amano davvero, sapranno farmi amare. Ma che cosa insegneranno agli altri se Mi conoscono poco?... Ora Io domando: si può amare molto Colui che si conosce male? Si può parlare con vera intimità a Colui da cui ci teniamo lontano?... a Colui in cui abbiamo poca fiducia?...
«Ecco quello che voglio ricordare alle mie anime consacrate. Non è una cosa nuova,
certamente, ma esse hanno bisogno di rianimare la loro fede, il loro amore e la loro fiducia.
«Voglio che Mi trattino con maggiore intimità, che Mi cerchino nel loro interno, poiché esse sanno che l'anima in grazia è tempio dello Spirito Santo. E là Mi vedano come Io sono, cioè come Dio, ma Dio d'amore! Abbiano più amore che timore, credano al mio amore senza mai dubitarne! Molte, infatti, sanno che le ho scelte perché le ho amate, ma quando si sentono oppresse dalle loro miserie, e forse anche dalle colpe, allora le invade la tristezza al pensiero che Io non abbia più per loro l'amore di una volta».
Qui Josefa si ferma, non potendone più. Domanda al Maestro il permesso di sedersi; e Gesù pieno di compassione glielo permette. La conforta come sa fare Lui, sempre riconducendola al pensiero delle anime: poi sparisce.
Il mercoledì 5 dicembre, alla stessa ora, Egli va a trovarla in cella. Josefa riprende la penna, e sempre inginocchiata al suo tavolino scrive mentre Gesù prosegue:
«- Ti ho detto ieri che quelle anime non Mi conoscono. Quelle anime non hanno capito che cos'è il mio Cuore! Poiché sono appunto le loro miserie e le loro colpe che inclinano la mia bontà verso di loro. E quando riconoscono la loro impotenza e debolezza, si umiliano e vengono a Me con piena fiducia, allora esse Mi glorificano ancora più che prima della loro colpa.
«Così quando esse pregano per sé e per gli altri: se esitano, se dubitano di Me, non onorano il mio Cuore, mentre Mi glorificano quando aspettano con sicurezza ciò che Mi chiedono, certe che non potrò rifiutare loro se non quello che sarebbe dannoso alle loro anime.
«Quando il Centurione venne a supplicarmi di guarire il servitore, Mi disse con molta umiltà: "Non sono degno che Tu entri in casa mia..." ma pieno di fede e di fiducia aggiunse: "Tuttavia, Signore, se dici una sola parola il mio servo guarirà". Quest'uomo conosceva il mio Cuore, e sapeva che non posso resistere alle suppliche di un'anima che aspetta tutto da Me... Quest'uomo Mi ha grandemente glorificato perché all'umiltà ha congiunto una fiducia ferma e totale... Sì, quest'uomo conosceva il mio Cuore, eppure non Mi ero manifestato a Lui come Mi manifesto alle mie anime scelte!
«Con la fiducia esse otterranno innumerevoli grazie, non soltanto per se stesse ma per gli altri, ed è quello che voglio che comprendano pienamente, poiché desidero che manifestino i sentimenti del mio Cuore alle povere anime che non Mi conoscono».
Qui Nostro Signore s'interrompe un istante, poi riprende insistendo:
«- Lo ripeto ancora: ciò che ora dico non è niente di nuovo. Ma come una fiamma ha bisogno di essere alimentata per non spengersi, così le anime hanno bisogno di un nuovo incitamento che le faccia avanzare, e di nuovo calore che le rianimi.
«Fra le anime a Me consacrate, poche ve ne sono che hanno in me una vera fiducia, perché ce ne sono poche che vivono in intima unione con Me. Voglio che si sappia che amo le anime quali esse sono. So che la fragilità le farà cadere più di una volta. So che in molte occasioni non manterranno ciò che Mi hanno promesso: ma il loro proposito Mi glorifica, l'atto di umiltà che faranno dopo una caduta, la fiducia che pongono in Me mi onorano talmente che il mio Cuore sparge sopra di esse un torrente di grazie.
«Voglio che si sappia quanto desidero che le anime consacrate si rianimino e si rinnovino in questa vita di unione e d'intimità con Me. Esse non si limitino a parlarmi quando sono ai piedi dell'altare. Sono là presente, è vero, ma Io vivo anche dentro di loro, e Mi compiaccio a non fare che una cosa sola con loro.
«Mi parlino di tutto!... Mi consultino in tutto!... Mi domandino tutto!... Io vivo in loro per essere la loro vita. Dimoro in loro per essere la loro forza... Sì, lo ripeto non dimentichino che Mi compiaccio di fare una cosa sola con loro... Si ricordino che Io vivo in esse... e che là le vedo, le ascolto, le amo. Là aspetto che corrispondano al mio amore!
«Vi sono molte anime che ogni mattina fanno orazione: ma non è piuttosto una formalità che un colloquio d'amore?... Ascoltano o celebrano la Messa, e Mi ricevono nella Comunione... ma una volta uscite di chiesa non si lasciano forse talmente assorbire dagli affari, che non pensano più a rivolgermi una parola?...
«Mi trovo in queste anime come in un deserto: non Mi dicono niente; non Mi chiedono niente: e quando hanno bisogno di essere consolate spesso si rivolgono a qualche creatura di cui vanno in cerca, piuttosto che a Me, loro Creatore, che vivo e sono in esse!
«Non è questa mancanza di unione, mancanza di vita interiore o, ciò che viene a essere lo stesso, mancanza d'amore?
«Voglio anche ricordare alle anime consacrate che Io le ho scelte in modo speciale, affinché vivendo con Me di questa vita di unione Mi consolino e riparino per tutte quelle che Mi offendono.
«Voglio che si ricordino il dovere che hanno di studiare il mio Cuore, per condividerne i sentimenti e realizzarne i desideri per quanto è loro possibile.
«Quando un uomo lavora nel proprio campo si applica con ardore a sradicare tutte le erbe cattive, e non risparmia né pena né fatica finché non vi sia riuscito. Così Io voglio che le anime a Me consacrate, appena conosciuti i miei desideri, si applichino con zelo ed ardore ad effettuarli, senza retrocedere davanti a qualsiasi difficoltà o sofferenza, per accrescere la mia gloria e riparare le offese del mondo.
«Ti ripeterò questo domani, ora va' nella mia pace!»
Gli appunti di Josefa in quel giorno finiscono con un episodio di grande semplicità:
«Ieri, dopo una giornata di grande sofferenza spirituale e di malessere fisico - scrive - ho passato istanti di tale angoscia che mi sembrava di morire. Mi si sono presentate al pensiero in modo impressionante tutte le colpe della mia vita passata, e mi trovavo come incapace di fare alcun atto di fiducia e di amore».
Ella ha spesso sperimentato queste impotenze con cui il demonio tenta di paralizzarla e gettarla nella disperazione.
«La sofferenza era così acuta che pareva sfuggirmi la vita. Ad un tratto ho visto nella mia cella ad una certa altezza una colombina tutta bianca, con la testina splendente di luce. Faceva sforzi per prendere il volo, ma una delle ali, ancora un poco grigia, sembrava attaccata. Restò così qualche istante, poi diede un colpo d'ala e fuggì via... Ho pensato fosse quella che avevo vista un'altra volta, e di cui Gesù mi disse: "Quella colomba è l'immagine dell'anima tua".
«Ma quando Egli è venuto stamani, e Gli ho espresso il mio desiderio di morire il 12 di questo mese, festa della Madonna di Guadalupa, anniversario della nascita della nostra Fondatrice, e anche un mercoledì, giorno consacrato a San Giuseppe mio patrono, Nostro Signore con grande bontà mi ha detto:
«E che faremo di quell'aletta ancora grigia?»
Josefa allora Gli espone il timore di offenderlo, di allontanarsi da Lui, di cadere nei tranelli del demonio che sente accanito contro di lei.
«Ascolta - Gesù le dice - Occorre che tu sia ancora purificata nell'amore. Abbandonati, e non avere altro desiderio che di compiere la mia volontà. Sai bene che ti amo, che puoi volere di più?»
Quella giornata, 5 dicembre, trascorse come la precedente nell'angustia dell'anima e nelle oscure tentazioni del demonio.
Coraggiosa e docile Josefa si sforza di rendersi stabile nella fede e nell'amore. Queste ore di tenebre che la conducono rapidamente alla fine, la lasciano abbattuta e senza forza. Solo l'obbedienza resta il sicuro appoggio e commuove vedere fino a qual punto si stringe ad essa, fin nei più piccoli particolari.
Il giovedì, 6 dicembre, la ritrova nella sua celletta dove tante volte ha aspettato il suo Maestro. Egli è fedele al convegno e l'ascolta con bontà. Ella non può nascondergli la sua speranza di morire il 12 dicembre sotto la protezione dei tre grandi amori della sua anima religiosa.
«- Che hai fatto, Josefa, per meritare il cielo?»
«Nulla, Signore, ma mi hai promesso di darmi i tuoi meriti».
«- Non ti basta, forse, vivere nel mio Cuore?»
«Certo - dice Josefa ma ciò non mi toglie il desiderio del cielo, poiché là Lo vedrò per sempre e non L'offenderò mai!»
«Lasciami scegliere l'ora - dice Gesù - Ora scrivi per le anime consacrate.
Questa è l'ultima volta che Josefa raccoglierà per le anime i desideri ardenti del Cuore di Gesù:
«- Le invito tutte, i miei Sacerdoti, i miei Religiosi, le mie Religiose, a vivere in intima unione con Me.
«Spetta ad esse conoscere i miei desideri e condividere le mie gioie e le mie tristezze.
«Tocca ad esse di occuparsi dei miei interessi senza risparmiare né fatiche, né sofferenze.
«Ad esse riparare, con le preghiere e le loro penitenze, le offese di tante e tante anime!
«Ad esse soprattutto spetta raddoppiare l'unione con Me, e non lasciarmi solo! Non lasciarmi solo... Ah! molte non comprendono, e dimenticano che tocca a loro tenermi compagnia e consolarmi!...
«Ad esse, infine, di formare una lega d'amore e, tutte unite nel mio Cuore, implorare per le anime la conoscenza della verità, la luce e il perdono.
«E allorché penetrate di dolore alla vista delle offese che ricevo da ogni parte, le mie anime scelte si offriranno per riparare e lavorare all'Opera mia, la loro fiducia sia intera, perché non potrò resistere alle loro suppliche e le esaudirò pienamente.
«Si applichino dunque tutte a studiare il mio Cuore e ad approfondirne i sentimenti. Si sforzino di vivere unite a Me di parlarmi, di consultarmi. Rivestano dei miei meriti e coprano col mio sangue tutte le loro azioni. Consacrino la loro vita alla salvezza delle anime e all'accrescimento della mia gloria! Non si rimpiccoliscano considerando se stesse, dilatino invece il loro cuore vedendosi rivestite della potenza del mio sangue e dei miei meriti, poiché se agiscono da sole, non potranno fare gran cosa, ma se lavorano con Me, in mio nome e per la mia gloria, allora saranno potenti.
«Le anime a Me consacrate ravvivino i loro desideri di riparare e chiedano con fiducia che sorga sul mondo il giorno del Re divino, cioè il giorno del mio Regno universale!
«Non temano, sperino in Me, confidino in Me!
«Siano divorate di zelo e di carità per i peccatori!.. Ne abbiano compassione, preghino per loro e li trattino con dolcezza!
«Parlino a tutti gli uomini della mia bontà, del mio amore, della mia misericordia!
«Rivestano i loro lavori apostolici di preghiera, di penitenza e soprattutto di fiducia, non nelle loro industrie, ma nella potenza e nella bontà del mio Cuore che le accompagna!
«Nel tuo nome, o Signore, opererò e so che sarò potente!
«Questa fu la preghiera dei miei Apostoli, uomini poveri e ignoranti, ma ricchi e sapienti della ricchezza e sapienza divina!...
«Tre cose chiedo alle anime consacrate:
«Riparazione, cioè vita di unione col Riparatore divino: operare per Lui, con Lui, in spirito di riparazione, in stretta unione ai suoi sentimenti e desideri.
«Amore, cioè intimità con Colui che è tutto amore e che si mette al livello delle sue creature, per domandare di non lasciarlo solo, e di dargli il loro amore.
«Fiducia, cioè sicurezza in Colui che è bontà e misericordia... in Colui col quale io vivo giorno e notte, che mi conosce e che io conosco... che mi ama e che io amo... in Colui che invita le sue anime consacrate perché vivendo con Lui e conoscendo il suo Cuore aspettino tutto da Lui.
Le ultime righe del Messaggio sono tracciate!... Josefa nota ancora ciò che il Maestro desidera che essa trasmetta da parte sua al Vescovo di Poitiers, di cui sa la prossima venuta, quindi posa la penna. Passa un istante in uno scambio d'amore che resta il segreto di Dio. Ora solenne che segna il compimento dell'invito alle anime!
Gesù scompare, Josefa ha chiuso il suo quaderno e ha ripreso l'ago. Qualche pagina ancora verrà scritta su quei fogli che sono gli ultimi. Il venerdì, 7 dicembre, Mons. Durfort si degna venire ai Feuillants, e vi riceve le ultime parole trasmesse per lui da parte di Nostro Signore. Con una semplicità infantile Josefa gli parla del suo ardente desiderio del cielo, e della sua prossima morte. Queste affermazioni sono commoventi perché, se la sua fisionomia porta l'impronta delle sofferenze che la esauriscono giorno e notte, la vita ardente dell'anima la sorregge a tal punto, che non pare affatto che si sia così vicini alla fine ch'ella annuncia. Tuttavia Josefa ne è sicura e lo ripete al Vescovo di Poitiers con una convinzione che il suo abbandono rende più impressionante.
L'8 dicembre, sabato, trascorre lietamente. Josefa consacra le sue ultime forze ai preparativi della processione tradizionale al Sacro Cuore. Con quanta cura adorna con addobbi di festa la Madonna dell'oratorio del noviziato! Il suo cuore si rallegra del trionfo della Madre Immacolata. Però non avrà la forza di partecipare a quella processione d'amore, e, nascosta in un angolo del corridoio dell'infermeria, si unirà ai canti, alle preghiere e contemplerà un'ultima volta la bianca sfilata delle alunne che portano alla Vergine santissima l'offerta del loro giglio.
Nel pomeriggio ella scrive alla mamma e alle sorelle il suo ultimo saluto: lettere commoventi che saranno custodite come reliquie e che ella domanda alla Madre di spedire soltanto dopo la sua morte. Ci sembra utile di citarle qui, perché mettono in evidenza l'affetto tenero e soprannaturale nello stesso tempo che l'amore di Gesù invece di distruggere trasforma e vivifica.
Così scriveva alla mamma:
«Sono contenta di morire, perché so che è la volontà di Colui che amo. E poi l'anima mia desidera tanto di possederlo e di vederlo senza il velo che ce Lo nasconde quaggiù. Non piangere, né rattristarti: la morte è il principio della vita per l'anima che ama e che aspetta. Sarà breve la nostra separazione, perché la vita passa veloce, e presto noi ci troveremo unite per sempre! Dal cielo penserò a te e pregherò perché non venga a mancarti il necessario e che tu possa un giorno morire nella pace e nel gaudio di Colui che è il nostro fine, la nostra felicità, il nostro Dio! Non mettere il lutto per me, ma prega molto affinché possa presto entrare in cielo. Non so il giorno della mia morte: desidererei però che fosse il 12 di questo mese... Lo vorrà anche Gesù? Sono pronta a tutto quello che Egli dispone. Non credere che sia triste: questi quattro anni di vita religiosa sono stati quattro anni di paradiso! L'unica cosa che desidero per le mie sorelle è che siano felici quanto lo sono stata io e che sappiano che non c'è niente che rechi tanta pace quanto il fare la volontà di Dio. Non credere che muoia per sofferenze e patimenti, al contrario!... credo che la mia sia piuttosto una morte d'amore! Non mi sento malata, ma ho qualche cosa che mi fa desiderare il cielo, poiché non posso vivere senza vedere Gesù e la Madonna!»
Con la sorella Mercedes, religiosa coadiutrice nella Società del Sacro Cuore, si confidava intimamente:
«Muoio felice e ciò che mi dà tale felicità è sapere di aver fatto sempre la volontà di Dio. Egli mi ha condotta per vie molte contrarie alle mie attrattive e ai miei desideri, ma mi ricompensa in questi ultimi giorni in cui mi avvolge di una pace di paradiso. Ti supplico, cara sorella, di servire Nostro Signore e la Società Nostra Madre con gioia e fervore nell'ufficio che ti dà, nella casa dove ti colloca e qualunque siano le tue superiore... senza badare né alle tue attrattive, né alle tue ripugnanze. Niente ti dà tanta pace al momento della morte quanto l'esserti rinunziata per fare la volontà divina. Non rattristarti per le tue miserie: Gesù è buono e ci ama come siamo. Lo vedo per esperienza: abbi fiducia nella sua bontà, nel suo amore, nella sua misericordia. Io muoio felice... La Società è stata per me una vera, tenera madre. Gesù mi ha dato delle superiore che mi hanno circondata della più grande delicatezza. Non posso ricambiarle in terra, ma in cielo avrò la Madonna che mi darà tutto quello che chiederò per loro. In Francia sono stata molto felice: è la patria dell'anima mia e il Signore mi ha concesso grazie numerose».
E termina con queste righe:
«Ci siamo sempre tanto amate, sorella mia, e ora la nostra separazione di qualche anno ci unirà ancora più intimamente e fortemente. Addio! Ti aspetto in cielo ove saremo unite coi vincoli fraterni e più ancora col nostro amore di religiose».
Questi addii profondamente sentiti non le tolgono tuttavia la forza, ma dopo averli compiuti va a presentare la sua offerta al Santissimo Sacramento esposto, davanti al quale passa la maggior parte della serata.
Là la Madonna l'aspetta per farle pregustare l'incontro eterno. Poteva forse questa Madre incomparabile resistere oggi ai desideri della figliola? Josefa narra ciò che segue e sono queste le ultime righe del suo quadernino:
«Questa sera, mentre stavo in cappella, la Madonna è venuta all'improvviso. Vestita come sempre, ma circondata da una luce smagliante. Stava in piedi sopra una mezzaluna di nubi cerulee e leggerissime. Sul capo era appena posato un velo di un azzurro molto pallido, che si perdeva tra le nubi su cui posavano i piedi.
«Era così bella che non osavo parlarle, sentendomi l'anima rapita solo a contemplarla.
«Infine ho rinnovato i voti, e mi ha detto con voce dolce e solenne:
«- Figlia mia, la Chiesa mi loda e mi onora contemplando la mia immacolata concezione. Gli uomini ammirano i prodigi che il Signore ha operato in me e la bellezza di cui mi ha rivestita prima ancora che il peccato originale potesse macchiare l'anima mia. Sì, Colui che è Dio eterno, mi ha scelta per Madre e mi ha ricolmata di grazie singolari di cui nessun'altra creatura è stata mai favorita. Tutta la bellezza che in me risplende è il riflesso delle perfezioni dell'Onnipotente e le lodi che mi si rivolgono glorificano Colui che essendo il mio Creatore, il mio Signore, ha voluto fare di me Sua Madre.
«Il mio più bel titolo di gloria è di essere immacolata e insieme Madre di Dio. Ma Io mi compiaccio soprattutto di unire a questo titolo quello di Madre di Misericordia e di Madre dei peccatori!»
«Appena dette queste parole, scomparve e non l'ho più vista».
Gli appunti di Josefa terminano definitivamente in questa duplice affermazione della Madre divina, quasi fosse la firma con cui voleva contrassegnare il Messaggio di Gesù.

                                                                                                                                                                                                                             
L'UNIONE SULLA CROCE9-16 DICEMBRE 1923

Presto sorgerà il giorno eterno!(Nostro Signore a Josefa - 12 dicembre 1923). ♦ Pag.545

Gli ultimi giorni della vita di Josefa sono giunti! Venti giorni la separano ancora dall'incontro eterno, venti giorni di sofferenza, di grazie, di prove, attraverso le quali consumerà la sua missione qui in terra.
D'ora innanzi ella non scriverà più che i messaggi personali dettati dal Maestro, e le ultime raccomandazioni che la Madre Fondatrice trasmetterà per suo mezzo alle figlie. Ma figlia di obbedienza fino alla fine, dopo ciascuna visita del Signore o di Maria Santissima, ella confiderà fedelmente alle Madri il segreto di questi trattenimenti celesti dei quali nessuna parola andrà perduta. Il fervore dell'anima sua si sfogherà spesso in semplici colloqui che vennero raccolti a sua insaputa. Così continueranno giorno per giorno a registrarsi le ricchezze del Cuore di Gesù nascoste in quell'anima per mezzo della quale Egli si è compiaciuto realizzare così grandi cose a favore del mondo.
La festa dell'Immacolata Concezione si è chiusa con una notte di vive sofferenze. Sotto la forza del dolore Josefa sviene più volte, rimanendo però in uno stato misterioso in cui essa conserva la coscienza di questo dolore che si legge sui suoi lineamenti alterati. In questo stato la si vedrà spesso in queste ultime settimane, senza che niente riesca a sollevarla.
All'alba della domenica 9 dicembre, riesce a stento ad alzarsi per andare a cercare la grazia della Messa e della Comunione di cui ha sete. Ma al ritorno un lungo svenimento l'abbatte, e la lascia sfinita. Tuttavia l'abitudine a soffrire l'ha resa così coraggiosa che trascorre ancora una parte del pomeriggio davanti al Santissimo esposto: sono gli ultimi addii al tabernacolo di quella cappella, testimone di tante grazie e di tante offerte.
Quella stessa sera, dopo la benedizione del Santissimo, Josefa, estenuata, si arrende e si mette a letto per non più rialzarsi.
Allora incomincia una crisi di dolori acuti che si prolunga tutta la notte. Nei rari istanti in cui riprende coscienza di ciò che la circonda trova ancora la forza di sorridere, di baciare il Crocifisso che tiene sempre in mano. Parla a stento e più che capirla si indovina. Alza a fatica la mano e facendo segno con tre dita, mormora lentamente: «Tre giorni... solo tre giorni ancora!»... La speranza della prossima partenza illumina il suo volto contratto dalla sofferenza.
«Ne siete sicura?»
«No, ma lo spero... l'aspetto!... Gesù è così buono e difficile sarebbe trovare una data che riunisca questi miei tre amori: la Madonna, la santa Madre, San Giuseppe!»
Poi tace per meglio soffrire.
La mattina del lunedì 10 dicembre, quantunque prostrata di forze tenta tuttavia di alzarsi con sforzo eroico nella speranza della santa Comunione. Ma ricade inerte e la fame di Gesù le strappa le lacrime. Non può parlare né inghiottire una goccia d'acqua, e di tanto in tanto cade in deliquio. La fine è dunque vicina come Josefa spera?... Il 12 dicembre le aprirà il cielo? Intorno a lei si comincia a domandarselo.
Al termine della mattinata un leggero miglioramento permette di chiamare un sacerdote che le porta la Comunione. Il Maestro divino disporrà le cose in modo che l'Eucaristia non manchi mai alla sua piccola vittima. Come potrebbe senza quel pane dei forti traversare le ombre e i pericoli dei suoi ultimi combattimenti?
Oggi durante il ringraziamento Gesù si mostra a lei che non sa come esprimere la sua riconoscenza.
«Josefa - le dice - ecco che vengo Io stesso a prepararti per entrare nella mia patria celeste».
«Sarà il 12, Signore?», domanda ingenuamente.
«- Se vuoi sono disposto a darti questa gioia - le risponde - ma non saresti tu abbastanza generosa da concedermi qualche giorno di più, di cui ho bisogno per le anime?»
Tali richieste sono provocazioni di amore di fronte alle quali Josefa non ha più desideri.
«Tu sai che sono tua e che ti ho tutto abbandonato!»
«- Sì - prosegue Gesù con bontà ineffabile. - Ti custodisco, prendo cura di te! Lasciami fare la mia volontà e scegliere l'ora!»
Poi aggiunge:
«- Questa sera ritornerò, e tu scriverai».
Verso le due e mezzo del pomeriggio Gesù è là. Semi-seduta sul letto e sostenuta da cuscini, perché le mancano le forze, Josefa sta aspettando.
«E’ venuto - dirà qualche istante dopo - bellissimo, con il Cuore tutto aperto e tutto fiamme».
«- Vedi la dimora che ti preparo per l'eternità... E tu, Josefa, che Mi prepari?»
«Oh! Signore, i miei peccati, le mie miserie, il mio dolore di aver fatto così poco per te».
«- Che importa? Dammi tutto e consumerò tutto nel fuoco del mio Cuore! Ora scrivi!»
Sotto la dettatura del Maestro scrive con mano tremante un messaggio da trasmettere dopo la sua morte al Rev. P. Rubio S.J. padre e direttore dei suoi primi anni.
«- Ritornerò domani» - dice Gesù e scompare poco dopo.
La stessa sera, in un momento di più intense sofferenze, Josefa, che è sola, sente mancare la forze e sfuggirle la vita. Non ha voce per invocare aiuto, ma il Cielo veglia: Santa Maddalena Sofia appare ad un tratto, più materna che mai, e prendendola tra le braccia essa stessa la sostiene e la conforta. Poi manifestandole qualche cosa del piano di Nostro Signore:
«- No - le dice - tu non morrai il 12, ma Gesù verrà a te per unirti a Lui, coi legami più stretti, e sarà per l'eternità!»
Allora Santa Maddalena Sofia precisa alla figliola che riceverà l'Unzione degli Infermi, e farà la professione religiosa perpetua in quel benedetto giorno.
«- Vengo a dirtelo da parte Sua» - aggiunge.
Josefa dovrà prepararvisi nell'allegrezza.
«- Gesù dispone così la tua vita - aggiunge santa Maddalena Sofia - e per quanto difficile questo sembri alle creature, tutto ordina nel modo che conviene meglio ai suoi disegni».
Quindi rispondendo a una richiesta della figlia:
«- Si, verrò con la Madonna e con Gesù, che non ti lascia mai sola... Tutt'e tre saremo qui... coraggio! Ancora qualche giorno da trascorrere in terra per meritare la patria celeste. Riposa in pace, poiché veglio su di te».
E scompare.
Qualche momento di sonno riparatore segue la visita materna e, benché la tregua non sia lunga il pensiero delle grazie così vicine del 12 dicembre avvolge di pace e di abbandono i patimenti della notte e del giorno seguente.
Nel pomeriggio del martedì, 11 dicembre, fedele alla sua parola della vigilia, Gesù ritorna da Josefa. E per dettarle un'ultima parola diretta alla Madre Generale dell'Istituto del Sacro Cuore, e che termina con questa espressione:
«Amo la mia Società, guiderò Io l'Opera mia!»
Tuttavia le celesti indicazioni non basterebbero per determinare le decisioni relative a Josefa.
La mattina del mercoledì 12 dicembre, un leggero miglioramento suscita qualche incertezza. Si trova ella abbastanza in pericolo per ricevere la doppia grazia dell'Olio degli Infermi e della professione in «articulo mortis»? Josefa stessa è turbata per il dubbio che suppone intorno a sé. Il suo direttore la rassicura e le fa fare dopo la Comunione un atto di piena adesione a tutto quello che sarà deciso a suo riguardo. Frattanto viene chiamato il medico. Una volta di più il Signore fa ratificare i suoi piani dai suoi strumenti quantunque incoscienti di tale ufficio. Ignaro delle grazie straordinarie che sostengono la vita della piccola malata, il medico, dopo averla minuziosamente visitata come ha già fatto parecchie altre volte, si mostra preoccupato per un male di cui non sa determinare la causa. E chi potrebbe?... Tuttavia a causa dell'estrema debolezza e delle lunghe ore di deliquio consiglia di non ritardare di un giorno l'amministrazione degli ultimi Sacramenti.
Come non vedere palese l'azione di Colui che tutto conduce, toglie le incertezze e obbliga le creature a seguire le sue indicazioni soprannaturali?
La giornata trascorre in un'attesa piena di raccoglimento, di fervore, di pace. Mons. Durfort ha deciso di presiedere egli stesso la cerimonia che consacrerà doppiamente Josefa.
Tutta la famiglia religiosa, che la sa gravemente ammalata da qualche giorno, viene invitata a circondarla di una preghiera più sollecita che mai, mentre si fanno i preparativi nella piccola cella, testimone di tanti divini favori.
Verso le cinque del pomeriggio comincia la commovente funzione. Josefa è raggiante nel suo raccoglimento. Le consorelle si raggruppano nel corridoio e nelle stanze vicine alla cella, troppo piccola per accoglierle tutte. Solo Mons. Durfort, il Can, di Castries, cappellano dell'Istituto, e il P. Boyer vi penetrano con le madri che circondano il letto di Josefa. Sembra di essere in un santuario. Vicino alla statua della Madonna arde il cero della professione. Il Santissimo viene deposto sull'altarino improvvisato, e nel silenzio che la circonda con voce ferma Josefa si accusa umilmente delle mancanze della sua vita religiosa, per avere il perdono delle madri e delle sorelle. Allora il Vescovo si avvicina e comincia la preghiera dell'Unzione degli Infermi. Ma già tutto è sparito allo sguardo della malata. La Madonna e la Fondatrice le appaiono improvvisamente. Mentre le sacre unzioni proseguono, ed ella è presente a tutte le cerimonie del Sacramento, non vede più che le sue Madri del cielo intente a rivestirla di una tunica bianca che gli Angeli hanno messo nelle loro mani.
«- Vedi, figlia mia - le dice la Santa Fondatrice ciò che il Signore nella sua misericordia ha fatto per la sua piccola sposa, non per riguardo ai suoi meriti, ma a quelli del Suo santissimo Cuore!
«- Ed ora che sei rivestita di questa tunica tanto pura - prosegue la Madonna - il tuo sposo verrà a darti il bacio di pace e di amore. Abbandonati pienamente a Lui; nelle sue mani divine sei nella più grande sicurezza. E Lui che ti accompagnerà per condurti all'eterna patria, e che ti presenterà agli abitanti del cielo!»
Il sacro rito è terminato. Il Vescovo rivolge allora a Josefa qualche parola piena di fervore e di delicatezza. Ma ella non se ne accorge neppure, immersa com’è nella profondità dell'estasi che il suo esterno appena appena lascia trasparire. Il «Veni Creator», le preghiere liturgiche con cui la Chiesa benedice le insegne della professione, la croce e l'anello, si succedono senza che Josefa esca dal suo raccoglimento.
Gesù allora, unendosi alla sua Madre e a Santa Maddalena Sofia le appare, ed è proprio davanti a questi tre celesti testimoni che Josefa con voce ferma risponde alle domande che il Celebrante rivolge alla nuova professa della Società del Sacro Cuore, prima di rimetterle il doppio pegno dell'eterna unione.
Consentite dunque a prendere Gesù Cristo per vostro Sposo?
«Sì, Padre, acconsento con tutto il cuore!»
«Ricevete dunque questo anello come segno dell'eterna unione che state per stringere con Lui».
Poi consegnandole la piccola croce d'argento che brillerà sul suo petto:
«Ricevete, figlia mia, questo prezioso pegno dell'amore di Gesù Cristo e ricordatevi che divenendo sua sposa voi dovete d'ora in poi vivere in unione e conformità col suo divin Cuore. Il vostro Diletto sia per voi come un fascetto di mirra: collocatelo sul vostro cuore in segno di amore e di eterna unione».
Allora nel silenzio che circonda quel letto divenuto un altare, il Vescovo si avvicina elevando la sacra Ostia, e Josefa legge ad alta voce la formula dei voti perpetui e fa la Comunione. La Madonna e la Santa Madre spariscono salutandola così:
«Ritorneremo tutt'e due per prenderti e condurti in cielo!»
Gesù rimane solo!...
«- Josefa, perché Mi ami?»
«Signore, perché sei buono!»
«- Ed Io ti amo perché sei misera e piccola. Perciò ti ho rivestita dei miei meriti e ricoperta col mio sangue per presentarti così ai miei eletti del cielo. La tua piccolezza ha fatto posto alla mia grandezza... la tua miseria e anche le tue colpe, alla mia misericordia... la tua fiducia al mio amore e alla mia bontà!
«Vieni, appoggiati al mio Cuore e riposati in Lui, poiché sei la mia sposa. Presto entrerai in questa dimora per non lasciarla più!»
Josefa lascia traboccare tutta l'anima sua. Gli esprime la sua felicità e soprattutto il suo ardente desiderio che la bontà del suo Cuore venga conosciuta fino all'estremità della terra, perché non la si conosce abbastanza.
«- Sì, dici bene: Io sono buono! Per comprenderlo non manca alle anime che una cosa: unione e vita interiore. Se le mie anime scelte vivessero più unite a Me, mi conoscerebbero di più...».
«Signore - risponde ingenuamente Josefa - è difficile... perché hanno talvolta tanto da fare per Te...».
«- Sì, lo so, perciò quando si allontanano le cerco per riavvicinarle a Me.
«Ecco quale sarà il nostro lavoro in cielo: insegnare alle anime a vivere unite a Me, non come se Io fossi lontano da loro, ma in loro; poiché mediante la grazia vivo in loro.
«Se le mie anime scelte vivono così unite a Me e Mi conoscono veramente, quanto bene potranno fare a tante povere anime che vivono lontano da Me e non Mi conoscono!
«Quando le mie anime scelte si uniranno strettamente al mio Cuore, sapranno quanto sono offeso!... comprenderanno i miei sentimenti... Allora Mi consoleranno, ripareranno e, piene di fiducia nella mia bontà, chiederanno perdono e otterranno grazie per il mondo!...»
Gesù tace un istante quasi per lasciare Josefa di fronte a queste magnifiche prospettive di misericordia e di salvezza, poi riprende:
«Josefa, perché Mi ami?»
«Signore, perché sei buono!»
«- E Io ti amo perché sei piccola e perché questa piccolezza tu me l'hai data! Ho preso cura di te con tenerezza!... ti ho custodita con fedeltà!... Non temere, presto sorgerà il giorno eterno. Addio, resta in Me!...»
E scompare.
Durante il divino colloquio la funzione ha termine: le religiose, dopo la salmodia del «Te Deum» hanno cantato uno dei cantici preferiti da Josefa, i sacerdoti si sono ritirati. Solo Mons. Durfort è rimasto in preghiera in quella camera, che sembra il vestibolo del cielo. Quasi seduta nel letto, con gli occhi chiusi, le mani che stringono il Crocifisso con un gesto di indicibile ardore, il volto tranquillo e sorridente, Josefa sta ancora immersa nell'estasi... Dopo averla benedetta il Prelato si ritira pieno di una commozione che non riesce a nascondere e le consorelle si disperdono a poco a poco portando il ricordo di quei momenti dei quali non hanno tuttavia penetrato tutto il mistero!
Le Madri sole la circondano ancora di preghiere. Trascorre un altro quarto d'ora, poi Josefa ritorna sulla terra, nella gioia calma e raggiante di questo tratto di cielo di cui è illuminata la serata. La croce e l'anello le restano come pegno autentico dello scambio d'amore che è stato consacrato per sempre.
D'altra parte è ben sulla croce e mediante la croce che dovrà consumarsi l'ultima offerta. Fin dalla notte che segue le dolorose crisi si rinnovano, lasciandola apparentemente priva di conoscenza sotto l'acutezza del dolore. Tuttavia può fare la Comunione la mattina del giovedì 13 dicembre, e durante il ringraziamento Nostro Signore le appare mostrando a Josefa, immerso nella fiamma del Cuore divino, il cuore di lei che sembra così piccolo.
«- Tu sai bene, Josefa, che l'ho preso, e con esso tutti i tuoi affetti: affidamelo perché amo ciò che tu ami e avrò cura di tutto quello che in terra ti è caro».
Allora ella Gli parla della mamma, delle sorelle, della Società del Sacro Cuore, di quella casa e delle anime che le sono care. Gesù con infinita condiscendenza risponde a tutto, quindi prima di lasciarla:
«- Aspettami ancora qualche giorno, Josefa!»
E facendo allusione alla colombina.
«- Bisogna ancora rompere i legami che trattengono l'ala, ma ora ella è tutta bianca!»
E scompare.
Quest'allusione la conforta in mezzo alle sofferenze che ricominciano più acute nella mattinata. La gioia del cielo le supera tutte e Josefa bacia nel Crocifisso quella mano di Gesù che, come ella dice ingenuamente,
«taglierà il legame e libererà alla fine la palomita».
La comunità che non ha potuto manifestarle la sua unione dopo la cerimonia della vigilia è invitata a visitarla lungo il giorno. Le consorelle si succedono a piccoli gruppi, e tutte escono incantate per quei brevi momenti. Hanno conosciuto poco Josefa che l'osservanza e il lavoro hanno sempre avvolta di ombra e di silenzio, e oggi la scoprono così semplice e felice che l'avvicinarla fa del bene. Il regno di Dio irraggia e traspare in lei!
In certi momenti non sa contenere la sua felicità e quando rimane sola con le sue Madri lascia espandere l'anima sua senza ritegno. Sono allora slanci d'amore e di fervore che vengono raccolti a sua insaputa, e che rivelano la profondità della sua vita e la sua semplicità di bambina. Citiamo alcune espressioni:
«Gesù mi aspetta... sono pronta a partire. Sono alla stazione... sul marciapiede... il biglietto è già preso... i bagagli sono registrati... sono i meriti del suo Cuore!... «So dove vado... non temo affatto, non desidero niente... ho dato tutto!»
E ricordandosi della colombina scrive a matita questi «versitos», come li chiama, ove trapela la freschezza e la poesia dell'anima sua:
«Povera colombina, ha sete!...
«Ma l'ala è attaccata e non può volare alla sorgente per dissetarsi!
«Gesù è così buono, che è venuto: l'ha presa Lui stesso.
«Ed essa ha bevuto il suo Sangue!
«Povera colombina che non può volare!...
«E Gesù le ha detto: "aspetta ancora"!...
«Essa si conforma a ciò che Gesù vuole.
«Ma teme che la dimentichi. «E senza parere, sussurra al suo orecchio:
«Vieni, Gesù! Rompi i lacci affinché la colombina
«Possa spiccare il volo verso le aiuole in fiore!...
«Vieni a cercarla, essa ha gli occhi fissati su di te!
«E nel giorno e nell'ora in cui la libererai
«Come sarà felice di contemplarti!»
La serata trascorre così, fortificata dalla visita del Padre Boyer che si trattiene con lei a lungo ed esce meravigliato dell'opera divina in quest'anima pienamente abbandonata alla sua azione: è una consumazione che prosegue senza ostacoli.
La notte i dolori ricominciano più acuti e Josefa sembra entrare nuovamente in agonia. Tuttavia può
ricevere la Comunione la mattina dopo, e questa grazia non le verrà tolta nemmeno un giorno. Il venerdì 14 dicembre, sarà illuminato da una pace e da una gioia che malgrado i dolori vivissimi e persistenti sembrano più di cielo che di terra.
Ella tace, prega, procura di evitare la minima pena e la minima fatica alle sue Madri che si alternano per non lasciarla sola. Di tanto in tanto riprende i suoi colloqui tanto semplici e ardenti, come se esprimesse il suo pensiero a voce alta. Il ricordo del suo ingresso al Sacro Cuore, del suo noviziato, delle lotte per rimanere fedele alla vocazione la riempiono di riconoscenza. Poi si ferma, si raccoglie, bacia il Crocifisso e contempla a lungo la statuetta della Madonna che, davanti al suo letto, sembra vegliare su di lei dopo aver presieduto a tutto quello che è avvenuto nella celletta. Poi a voce alta prosegue il suo pensiero:
«Sono molto contenta quando mi sento male, poiché comprendo che la volontà di Dio si compie. Non c'è nulla che dia pace e consolazione come la volontà di Dio. Muoio perché questa è la Sua volontà... Dalla mia entrata qui non ho mai fatto la mia volontà... perché tutte queste cose non le ho scelte io! Quello che mi dà ora tanta pace è di aver lottato e sofferto per adempiere il volere di Dio e morire fedele».
Molte intenzioni le vengono raccomandate per il Paradiso, di vocazioni, di peccatori... La sua natura ardente allora si risveglia:
«Mi piace tanto lavorare - dice. - Andrò di qua e di là per ottenere molte grazie!»
E siccome le si parla della Francia:
«Ah! certamente - risponde - è la patria dell'anima mia! Essa mi ha dato la vita religiosa... questa casa della nostra Beata Madre Fondatrice... questo angoletto di terra per vivervi e per morirvi!»
Poi ritorna ancora su ciò che riempie l'anima sua in quegli istanti:
«Se si sapesse!... Non si cercherebbe mai altra cosa sulla terra che di fare la volontà di Dio! Nessuno può farsi un'idea ditale felicità... è l'unica cosa che infonde pace... Ah! morire religiosa, in questa pace, ripaga mille volte tutto quello che ho sofferto!...»
Ella si raccoglie per gustare tale gioia:
«Non c'è da preoccuparsi affatto, perché Gesù è buono... e supplisce...».
Poi baciando il Crocifisso:
«I suoi piedi divini... le sue mani di padre, si di padre! il suo Cuore! Quanto è buono Gesù! - ripete. - Comprendo quanto Gesù sia buono, ed è ciò che mi dà tanta gioia... Egli perdona, Egli ripara, Egli ama!... Appena qualcosa mi contrista, sento che Egli subito mi dice: "Non temere, sono buono e ti amo!"
«Egli è così buono perché io sono la più piccola, l'ultima, la più miserabile... e sono contenta d'essere un nulla!...
«Gesù è buono: è la parola che riempie il mio cuore... potrei avere tanti rimorsi delle mie colpe, invece no! Non ho che ringraziamenti per il perdono avuto.
«Mio Gesù - esclama ad un tratto - sono passati ventitré anni dacché mi hai detto: "Voglio che tu sia tutta mia!». Allora L'amavo senza conoscerlo. Sì, non Lo conoscevo ancora ma già L'amavo,
Lo avevo sempre con me! So chi sono, ma, soprattutto, so chi è Lui... Mi ha dato il suo Cuore... e ciò è una realtà.
«Mio Dio - dice dopo un lungo silenzio - ti faccio sacrificio della mia vita in unione al Cuore di Gesù, con sottomissione e gioia perché ti amo! Voglio tutto quello che Egli vuole: se vuole che
viva... sì! se vuole che muoia... sì!... Trentatré anni!... anni di grazie, soprattutto questi quattro di vita religiosa! Quanto sono contenta... morire in piena conoscenza... sapere che il momento si avvicina... Che gioia! che morte felice... che Sposo fedele!...»
Trascorrono così le ore. Il Padre Boyer la visita paternamente e le rinnova l'assoluzione sacramentale. La porta della piccola cella sta aperta e parecchie consorelle ne profittano per venire a raccomandare alle sue preghiere numerose intenzioni. La sua delicata carità trova ancora un po' di forza per aiutare le sorelle che l'hanno sostituita al laboratorio e, seduta nel suo letto di dolore, con l'abituale destrezza taglia un vestito.
Al cadere della sera, nel silenzio della cella, sola con le sue Madri, ripassa ancora le tappe della propria vita, e più che una conversazione questi ricordi si succedono come una preghiera di ringraziamento. Tuttavia le forza declinano e non può più inghiottire che qualche goccia d'acqua a prezzo di dolori acuti.
All'alba del sabato 15 dicembre, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù le appare:
«- Vedi, come non ti lascio sola - le dice con infinita bontà - Sono la tua consolazione all'ora della morte, e lo sarò per tutta l'eternità! E come ho trovato le mie delizie nella tua piccolezza, tu troverai in Me la felicità senza fine!»
Josefa non può contenere il desiderio di andare in cielo per contemplarlo per sempre, e aggiunge con la sua semplicità di bambina:
«Poi ho tante intenzioni da confidarti... tante commissioni che mi vengono date in questi giorni!»
«- Sì, sì - risponde il Maestro con ardore pieno di condiscendenza - Noi faremo loro delle piccole sorprese, dei «piacerini», come quaggiù si dice. Riposami ancora in te, Josefa: presto ti riposerò in Me! Addio! Sono con te!»
Qualche momento dopo una violenta crisi riduce agli estremi la cara malata: perde a lungo la conoscenza, ma il suo volto contratto porta l'impronta di una sofferenza acuta. Quando ritorna in sé la sua gioia profonda non è alterata. Ingenuamente accarezza la piaga della mano destra del Crocifisso, e dice con voce appena percettibile:
«Quella libererà la "palomita"», poi bacia con amore la piaga del costato:
«Ero molto felice - prosegue - il giorno dei voti, ma non sapevo se sarei stata fedele fino alla morte. Oggi Gesù mi ha unita a Lui per sempre e non permetterà che Lo perda mai!»
Nella tarda mattinata il Reverendo Padre le conferisce le grazie dell'indulgenza «in articulo mortis» perché Josefa sta male. Verso le 10 la Santa Fondatrice le appare. Benché penosamente Josefa scrive ancora sotto dettatura le ultime raccomandazioni e termina con queste parole:
«- Tutti i membri di questa cara Società vivano uniti a quel Cuore che si è donato a loro per amore. Lavorino senza tregua e non dimentichino mai che sono spose e vittime!
Ora un'anima di più proteggerà la Società della terra, poiché gli umili e i piccoli trovano grazia davanti a Dio».
Il pomeriggio comincia nella pace, ma ad un tratto la cara sorellina sembra star peggio, la fisionomia cambia, il respiro diviene affannoso, gli occhi aperti si velano a poco a poco, entra nella notte dell'agonia, benché molto presente a quanto la circonda. La fine è forse vicina?... La Madonna verrà a prendere la figlia in questo radioso sabato? La comunità si raggruppa presso la piccola cella; è uno spettacolo celeste, Josefa esulta al pensiero della sua felicità. L'anima sua trasalisce d'un ardore che ella non può contenere. Con gli occhi chiusi alla terra, è raggiante di gioia: si unisce a tutto e chiede che si recitino per lei le sue preghiere preferite: le litanie della Madonna, quelle del Sacro Cuore, le invocazioni della novena del 1° venerdì, il miserere, i cinque pater alle cinque Piaghe, le Ave ai sette dolori della Madonna vengono ripetute alternativamente, mentre ella stringe la sua croce di professa sul petto infuocato. Esprime anche il desiderio di sentire i suoi cantici preferiti e soprattutto il cantico che in quel momento esprime meglio di tutto il suo desiderio:
«Andrò a vederla un dì, andrò a veder Maria!... al cielo, al cielo, al ciel!...»
«Bisogna dire: andrò a vederla questa sera!», dice.
Il Padre Boyer recita le preghiere degli agonizzanti. Josefa le interrompe con le sue riflessioni semplici e fervorose. La sua voce ripete a tratti la sua grande felicità di morire tutta di Gesù, la sua fiducia senz'ombra, la sua gioia di essere tanto piccola e povera di tutto, la sua fede nella misericordia, la certezza del perdono e dei meriti di Colui il cui amore forma tutta la sua sicurezza.
Trascorrono così le ore mentre la febbre ardente la divora, ma i patimenti non diminuiscono la sua
gioia... Parla del cielo e delle anime sante che andrà a ritrovare: promette di occuparsi dei peccatori, delle vocazioni, delle intenzioni che le si raccomandano... E un dialogo fervente tra lei, il Padre, le consorelle che si avvicinano or l'una or l'altra; dialogo tanto più semplice in quanto che i suoi occhi semispenti non le permettono di rendersi conto dell'emozione e dell'ammirazione di quelle che fanno ressa nella piccola cella.
Verso le cinque sembra seguire con lo sguardo velato un oggetto che passa improvvisamente davanti a lei.
«Povera colombina - dice due volte - È tutta bianca, senza macchie confida a voce bassa alle sue Madri. La croce brilla sul suo piccolo petto e fa sforzi per volare, ma l'ala è ancora trattenuta da due cordicelle».
Occorrerà aspettare ancora a lungo la liberazione?... Qualche istante dopo la Madonna appare a sua figlia.
«Non è ancora il momento, Josefa - le dice - bisogna soffrire: presto non vi sarà più tempo!»
Tre ore sono passate come un lampo e con pena ci si allontana da quel luogo di benedizione. Una pace celeste ha veramente invaso le anime che sentono di trovarsi sulla soglia di un mistero di cui non penetrano il segreto, e la casa intera è sotto l'influsso delle grazie di quella sera.
Nella camera di Josefa il Calvario succede al Tabor: vero segno dell'amore!... Acute sofferenze seguono alla calma relativa di quella giornata e la vittima prosegue la sua agonia. Sembra non essere più cosciente che dei suoi dolori e dalle labbra le sfuggono gemiti, interrotti dall'affannoso respiro. Gli occhi aperti sono sempre velati e il suo povero corpo è arso dalla febbre mentre un sudore abbondante scorre sul volto. Così passa la notte senza che si possa prevederne l'esito.
Sorge la domenica 16 dicembre: è il diciassettesimo mese dopo i primi voti. Verso le sei riprende un po' di conoscenza e può inghiottire qualche goccia d'acqua, cosa che la riempie di gioia dandole la sicurezza di poter ricevere la Comunione.
Gesù, precedendo l'incontro eucaristico, si mostra ad un tratto alla sua piccola vittima in tutta l'effusione della sua bontà!
Viene a prenderla con sé?
«- No - risponde - tu non morrai finché la tua superiora non avrà ricevuto dalla Madre Generale la linea di condotta da seguire dopo la tua morte e per lasciarle tutto il merito dell'abbandono, aggiunge - non sarà né oggi né domani...».
Josefa Gli domanda se i suoi gemiti dolorosi Lo hanno rattristato o anche offeso.
«- No - dice subito con compassione - so che soffri e faccio mio il tuo dolore.
«Esso cade sul mio Cuore come un balsamo prezioso che cicatrizza le mie ferite e sulle mie labbra come un miele delizioso. "Palomita mia" (mia colombina) è il mio amore che ti tiene legata e imprigionata per il tuo bene e per quello di molte anime. Ma sarà altresì l'amore che presto ti inebrierà delle pure e celesti dolcezze! L'amore ti riveste dei miei meriti e ti farà gustare la beatitudine delle anime vergini!
«Sì, palomita amada, durante la vita ti ho nutrita di fiorellini agresti che Io stesso avevo seminato per te. Nell'eternità ti ciberò coi fiori purissimi che abbelliscono l'aiuola verginale. Addio! Non per molto tempo mi separo da te, poiché sai bene che trovo le mie delizie nella tua piccolezza!»
E Gesù scompare. Questa è l'ultima volta che Josefa lo contempla quaggiù.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   
CONSUMMATUM EST ! 16-29 DICEMBRE 1923 ♦ Pag.559

D'ora innanzi l'aspettativa sarà senza luce... Ancora qualche giorno di pace e presto le spaventose tenebre dell'inferno si appesantiranno su Josefa per tentare contro di lei un supremo assalto. Ma l'audacia infernale del nemico servirà alla vittoria di Dio, e gli ultimi dolori della piccola vittima suggelleranno per sempre l'unione eterna con Lui. Quando suonerà l'ora voluta da Lui, Gesù nella sovrana libertà del suo amore verrà a rompere gli ultimi legami: «Levati, colomba mia, e vieni!» dirà. E Josefa partirà nella solenne solitudine della sua ultima offerta. L'Opera dell'amore sarà compiuta quaggiù... Ma questa consumazione sarà l'alba novella dell'amore infinito che sta per illuminare il mondo.

La mattina della domenica, 16 dicembre, passa tra acute sofferenze, che si calmano un po' nel pomeriggio, quando Josefa recupera lentamente la vista. Verso sera il suo stato si aggrava ad un tratto, e quando Monsignor Vescovo si degna venire a visitarla la trova senza conoscenza.
Egli resta a lungo inginocchiato in preghiera vicino a quel letto che sembra piuttosto un altare ove si compie l'olocausto.
Le notti e i giorni seguenti trascorrono in alternative di dolori acuti e di brevi momenti di relativa calma, che mantengono la malata e chi le è d'intorno in quell'abbandono così caro al Signore.
Una sete ardente la divora e tuttavia ogni stilla d'acqua che riesce appena ad inghiottire la brucia e la consuma invece di sollevarla.
«Mi sembra - dice - che questa piccola goccia d'acqua cada sopra un braciere ardente di materie corrotte» dal quale riceve un'impressione penosa e dolorosa.
Gesù l'associa alla sete della croce e al fiele che Gli fu presentato. Non ha più forza e il minimo movimento le arresta il respiro: due o tre persone insieme la rialzano di tanto in tanto con infinite precauzioni. A momenti una specie di assopimento generale la coglie senza recarle il beneficio del sonno. Altre volte soffre in ogni parte del corpo, e nessun membro è risparmiato.
Tuttavia in mezzo a tanto partire non perde la consueta gioia, né la dimenticanza di sé, né la semplicità delicata ed espansiva del suo abbandono. Appena il dolore le lascia qualche respiro riprende i suoi colloqui, tutti pervasi della pace del cielo.
“Sono tanto felice – dice – nel pensare a quello che Gesù mi prepara; non ho fatto niente, e tutto sarà il prezzo dei suoi meriti, e così farà risplendere la sua misericordia!... Non posso pregare perché non ne ho più la forza, ma Gli ripeto solo quanto sono contenta di andare da Lui!”
Una lettera di Spagna le ridesta il pensiero della mamma e delle sorelle.
“In passato – dice – le notizie di casa mi commuovevano, ora no! Mi sento tranquilla per loro, sono sicura perché so che Gesù è buono, le ama, le custodisce, e le consolerà. Lo conosco! Tuttavia, voglio loro un gran bene… Mamma, Mercedes, Angela… non potranno mai sapere fino a che punto le amo!... E perciò capisco quanto soffre il Cuore di Gesù allorché vede che le anime non sanno a qual punto siano amate da Lui!”
Questo pensiero l’occupa ancora il mercoledì, 19 dicembre.
“Le anime non comprendono quanto Gesù le ami!... – ripete come parlando a se stessa – Più esse saranno vissute nell’oscurità della fede – dirà un altro momento – più Gesù è obbligato ad aiutarle e ricompensarle all’ora della morte.
”Mai sono stata così felice: la mia pace è tanto grande, la mia gioia completa… neppure la minima ombra… Sono sicura del suo perdono e della sua tenerezza… Non desidero niente… mi abbandono a Lui… non posso più parlargli con le labbra, ma col cuore Gli dico che è buono e che Lo amo!”
Il pensiero delle educande la rapisce. All’ora della ricreazione le loro voci gioiose e l’eco dei loro giochi animati salgono a lei.
“Come le amo!” esclama.
Il suo cuore apostolico vibra in queste ardenti parole che attestano la sua dimenticanza di sé e il suo interesse per le anime.
La sera del giovedì 20 dicembre, Mons. Dufort viene a trovarla e il colloquio si prolunga assai, paterno, interrotto da preghiere che Sua Eccellenza recita con lei, in uno scambio di pensieri, di cui Egli porta con sé il segreto con visibile commozione.
Tutto è pace di cielo intorno a quel letto, in cui si accumulano tante sofferenze, ma soprattutto tanto amore!... Josefa in questa aspettativa piena di abbandono ottiene senza dubbio di dare quaggiù il prezzo per e anime che a sua intercessione celeste continuerà poi a conquistare al Cuore divino “usque in finem!”
Bisogna citare qui la testimonianza delle sorelle che la curano e la visitano in questi ultimi giorni della sua vita.
“Bisogna indovinare – scrive la sorella infermiera – ciò che poteva sollevarla ed esserle gradito. Ella non aveva che un desiderio: il cielo e la volontà di Dio! Era tanto riconoscente per i minimi servigi e non voleva che le persone che l’assistevano mancassero di puntualità agli esercizi di regola.”
Durante le tre settimane della sua malattia non so dire quanto mi ha edificato – scrive un’altra. Bisognava fosse ben morta a se stessa, e ben vicina a Dio per essere tanto tranquilla, felice, tutta data ed abbandonata alla volontà del Signore. Mai una parola sulle sue sofferenze, mai chiedeva da bere, e tuttavia internamente doveva bruciare; accettava ciò che le veniva offerto ma non si lamentava mai di niente.”
La religiosa che l’aveva avuta a lungo per aiutante, nella sacrestia della cappella delle Opere reca questa testimonianza:
“Durante gli ultimi giorni della sua vita ebbi una volta la grazia di avvicinarla. Mi accolse con un incomparabile sorriso poiché la mia vista le revocò il ricordo della sua cara cappellina! “Come si comprende – mi disse – quando si è giunti al punto in cui mi trovo che Dio è tutto e che il resto è niente!... Come passano presto quatto anni di vita religiosa! Mi sembra oggi che arrivai qui come postulante… poi il noviziato… Oh! Quanto ho sofferto… ho creduto di dover partire, eppure, quanto amavo la Società!”
A queste sue parole ricordai lo sguardo posato sul suo Crocifisso il giorno dei primi voti: quello sguardo e quel gesto sembravano l’espressione di una conquista e non ho potuto dimenticarlo.
“Allora ritornò come naturalmente ai suoi ricordi d’infanzia.
“Quando ero piccola – mi disse – volevo dare a Gesù molto amore… sentivo dentro di me come degli inviti ad amarlo e a darmi. Il giorno della mia prima Comunione ci fu fatta una istruzione su Gesù sposo delle vergini… Non comprendevo tutto, ma il mio cuore ne fu rapito… e gli inviti si face ano sempre più incalzanti!
«- Nella sera radiosa che fu quella dell'Unzione degli Infermi e dei suoi ultimi voti riconoscendo la mia voce mi chiamò presso di sé: "Pregherò in cielo per tutte le sue intenzioni..." Poi aggiunse a più riprese: «E tanto buono Nostro Signore! Quando si fa ciò che si può (e ciò è quasi nulla) Egli s’incarica del resto. Poco importa se non sentiamo di progredire nella perfezione». La direttrice dell'educandato dei Feuillants, partita anch'essa per il cielo qualche anno dopo, riferiva così i ricordi di quella fine di dicembre:
«Il velo andava sollevandosi su questa creatura benedetta di cui, fino allora non avevamo penetrato il mistero.
«La sua cella più che una camera d'infermeria era come un oratorio, e sul suo letto di morte ella ci appariva raggiante della pace del cielo. Presso di lei, e senza sapere ancora perché, si provava qualcosa di particolarmente grande e soprannaturale. In quei giorni la vidi più volte e le raccomandai il prossimo ritiro delle alunne: "Le amo tanto - rispose - e sono così felice quando le sento giocare, e ancora quando le vedo alla Comunione e penso che Nostro Signore è ricevuto da ognuna di quelle anime! Si, pregherò e continuerò nel cielo! Dio - proseguì come parlando a se stessa - mi ha dato un cuore che ama tanto! Amo molto la Società, tutte le Madri, le Sorelle, le bambine! Ho un cuore che ama tanto!" Bisognerebbe saper riprodurre l'accento di sincerità e di carità infinita che accompagnava queste parole. "Oh - disse un altro giorno - come è necessario che le novizie siano fervorose ed energiche nella loro vocazione! Ho avuto io stessa tante lotte che mi sembrava a volte di non poter perseverare. Allora andavo a confidarmi con la Madre assistente e mi sentivo fortificata. Ho fatto un gran sacrificio a lasciare la Spagna, è vero, ma per la mia vocazione non ho esitato, anzi l'ho fatto volentieri!" E aggiunse: "Ciò che bisogna ben imparare durante il noviziato per poi ricordarselo sempre, è l'obbedienza. Ah! se si capisse bene il valore dell'obbedienza basata sullo spirito di fede!" E ripeté più volte, raccogliendosi e come rivedendo nell'anima sua il cammino sicuro da lei percorso: "Il valore dell'obbedienza basata sullo spirito di fede!"»
Un altro giorno in cui appariva più sofferente:
«Nostro Signore vuole che soffriamo e in quanti modi!» Rimase un istante in silenzio poi continuò:
«Ho molto sofferto, ma - e qui la sua voce prese un accento di fermezza indimenticabile - si dimentica la sofferenza, sì, si dimentica, e ora Nostro Signore sta per...». S'interruppe come scandalizzata di ciò che stava per dire:
«Oh! no - proseguì - non sta per ricompensarmi poiché non ho fatto nulla... Egli sta per rendermi beata!» Tacque come nel rapimento di questa beatitudine, poi riprese con ardore:
«Nostro Signore è buono, è tanto buono!» e sembrava gustare e assaporare questa parola che ripeté più volte.
Tuttavia sopra questa gioia pura deve ancora passare l'ora del principe delle tenebre, e Josefa sarà schiacciata sotto la stretta satanica, come l'uva pigiata nel torchio. Per un po’ il demonio crederà anche di trionfare definitivamente di lei e dei piani di Dio sul mondo. L'ultimo assalto, il più spaventoso di tutti, sarà contemporaneamente sferrato contro l'anima e contro il corpo che una forza invincibile cercherà di possedere e dominare.
L'ombra comincia a discendere la sera del venerdì 21 dicembre. Improvvisamente una stanchezza insolita della sofferenza invade Josefa, che vorrebbe morire: ma si riprende aderendo fermamente alla volontà di Dio, atteggiamento consueto dell'anima sua. La mattina del sabato 22 la lettera annunziata da Nostro Signore giunge da Roma, e la benedizione della sua Madre Generale fortifica la cara malata all'entrata del tenebroso sotterraneo che si vede dinanzi.
La sera di quel giorno una terribile crisi la riduce agli estremi togliendole per lungo tempo ogni conoscenza. Che succede in quella notte misteriosa dove l'anima sua è penetrata? Josefa lo dice più tardi: in quell'ora sembra che il demonio riceva dall'alto un forte potere. Un'idea improvvisa, che non è sua, s'è fissata nella sua mente: la morte vicina non è che una conseguenza della sua via straordinaria. Chi la obbliga? Può rimanere fedele senza consentire a una tale via... che non è obbligatoria: basta che la rifiuti e si troverà guarita!... Nell'istante stesso e improvvisamente ogni sofferenza sparisce e si sente pervasa da una specie di benessere fisico. Nello stesso tempo sotto l'effetto dell'ossessione diabolica si rinchiude in un silenzio assoluto dal quale non esce che per affermare di essere guarita e libera da quella via. Mai Josefa ha sofferto in questo campo come allora! Ma nella parte più alta della sua volontà non cessa di amare Colui che permette una tale prova!
Il giorno di Natale, martedì 25, per un istante ritrova sufficiente libertà per spiegare al Padre Boyer ciò che è avvenuto e avviene in lei: questi minuti di doloroso sollievo le fanno comprendere quello stato e permettono al Padre di confortarla meglio che può. Ma è uno sprazzo di luce fugace, e la potenza infernale non disarma. Si intuisce la lotta interiore che la deve straziare e che rende il suo mutismo ancora più doloroso. Quante preghiere, quante suppliche la circondano senza riuscire ad ottenerle un po' di luce e un po' di libertà... In quell'ora nulla è efficace se non la sofferenza.
Così Natale e il mercoledì 26 dicembre passano lentamente su questo Calvario. Il Padre, che segue da vicino il misterioso assalto diabolico, pronunzia varie volte le preghiere degli esorcismi, ma inutilmente.
La fede in Colui il cui amore è fedele e forte, la fiducia nell'intercessione della Madre sua restano tuttavia l'appoggio sicuro in quelle tragiche ore. Come dubitare dell'opera che sta per compiersi?... Della potenza di Dio che la dirige?... Del Cuore adorabile che non può abbandonare sull'orlo dell'abisso il suo fragile strumento?...
Per i meriti dei dolori di sua Madre, Gesù interviene all'ora opportuna. La sera del mercoledì, in ginocchio presso il letto di Josefa, le Madri implorano il Cuore addolorato di Maria, ripetendo le Ave Maria. Non si sente che un leggero mormorio a voce bassa. Ma quelle suppliche salgono alla Vergine addolorata alla quale non si chiede mai niente invano!
Ad un tratto Josefa si riprende, abbassa gli occhi, le sue mani si incrociano, le labbra si schiudono... e a poco a poco la si vede unirsi alla preghiera che si accentua vicino a lei. Trascorre un quarto d'ora di viva commozione. Allora il Pater succede alle Ave Maria: «Venga il tuo regno... sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!»
Le lacrime sgorgano dai suoi occhi e con tutta l'anima ripete, parola per parola, la preghiera preferita della Santa Madre Fondatrice:
«Cuore sacratissimo di Gesù, corro e vengo a te, perché sei il mio unico rifugio, la mia sola e certa speranza. Tu sei il rimedio a tutti i miei mali, il sollievo di tutte le mie miserie, la riparazione di tutte le mie colpe, il supplemento a tutto ciò che mi manca, la certezza di tutte le mie domande, la sorgente infallibile e inesauribile per me di luce, di forza, di costanza, di pace e di benedizione. Sono sicura che non ti stancherai mai di me e che non cesserai di amarmi, di aiutarmi, di proteggermi, perché mi ami di un amore infinito.
Abbi dunque pietà di me, Signore, secondo la tua grande misericordia, e fa' di me, in me e per me tutto ciò che vorrai, poiché mi abbandono a te con la piena e intera fiducia che non mi abbandonerai mai!»
Di fronte a questa affermazione del più completo abbandono, il demonio è fuggito per sempre! Sotto il piede verginale di Maria la sua potenza è rimasta annientata! La sofferenza torna nuovamente a invadere tutte le membra di Josefa; ella si ritrova sulla croce del suo Salvatore!... Chi potrebbe dubitare dell'intervento materno della santissima Vergine e della fedeltà onnipotente del Cuore di Gesù, davanti ad una liberazione così istantanea e tangibile?
La notte trascorre in un ringraziamento di cui non è possibile esprimere l'intensità. Josefa è prostrata ma l'anima sua riprende a poco a poco contatto con le grazie di questo dolore benedetto... con le sue Madri che non la lasciano e alle quali non può ancora dire, se non con lo sguardo, i sentimenti d'umiltà, di riconoscenza e di abbandono che si ridestano in lei, a misura che si allontana il ricordo di quelle terribili giornate.
All'alba del 27 dicembre ella fa la Comunione in una pace che niente più offusca; è la festa di S. Giovanni, l'amico delle anime verginali, di colui che fu spesso presso di lei l'ambasciatore del Cuore adorabile di Gesù. Ella non può dimenticarlo! Il Padre direttore si trattiene a lungo con lei dopo il ringraziamento. Con un'esattezza e chiarezza di espressioni che lo colpiscono ella può ora rendergli conto dello stato misterioso che ha attraversato, conservando solo la coscienza di una volontà tutta sua. Sembra che l'anima sua abbia toccato l'estremo limite dell'impotenza, ma che abbia pure sperimentato profondità di umiliazione e di annientamento che sono, in verità, profondità d'amore! Tutto ciò è passato!... Il Magnificat resta la più pura espressione di quelle ore indimenticabili, e lo si ripete attorno al letto di Josefa raggiante sulla sua croce. Tutti i dolori sono tornati e le forze fittizie dei giorni scorsi scomparse; la giornata termina senza ombra nella felicità della sofferenza e dell'abbandono riconquistati.
Il venerdì 28 dicembre la visita del Padre le reca ancora un'assoluzione. E’ un arrivederci egli pensa, perché deve andare per un ministero fuori Poitiers, ed egli se ne va rassicurato: Josefa ha ritrovato la pace e la gioia senza ombre. Verso l'una del pomeriggio una lunga e penosa crisi la riduce all'agonia. Fino alle tre rimane senza conoscenza di ciò che la circonda, tanto il dolore l'ha atterrata; tuttavia verso sera ritrova un po' di vita. Il suo corpo smagrito fa compassione, le si inumidiscono le labbra con qualche goccia d'acqua e altro non si può fare che procurare di alzarla un poco per facilitarle la respirazione. Ma sempre dimentica di sé, sorridente, facilita tutto e cerca di evitare alle altre ogni pena, non ha che parole di riconoscenza.
La notte - l'ultima notte - trascorre in queste alternative, e al mattino del sabato 29 dicembre Gesù Ostia viene a lei per l'ultima volta. Che sarà avvenuto in quel supremo incontro d'amore, che precedeva così da vicino quello dell'eternità?... Senza dubbio Josefa lo presentiva, ma la sua squisita delicatezza, affinata dall'unione e dalla conformità al Cuore delicatissimo di Gesù, non ha voluto far pesare attorno a lei la prospettiva di un così imminente distacco. Il raccoglimento profondo in cui è avvolta, il silenzio nella sofferenza che aumenta d'ora in ora, sembrano annunziare la fine, ma nulla ancora la fa prevedere, e la mattinata trascorre in preghiera, come il giorno prima e in una pace celeste. Una piccolissima statuetta di Gesù dormiente nella culla poggia sul suo letto e Josefa la contempla con tenero amore. Fa scorrere il rosario tra le dita e il suo sguardo rivela all'intorno ciò che le sue forze ormai estinte non possono più esprimere.
Il pomeriggio trascorre in questo abbandono. A mezzo seduta nel letto, soffre molto, ma nulla altera la sua serenità. Rilegge il capitolo 100 del terzo libro dell'Imitazione di Cristo - il suo capitolo preferito - e scambia ancora con le Madri qualche parola piena di fervore e di tenera riconoscenza. La si sente tutta occupata di Gesù e delle anime, in mezzo ai patimenti che solamente la sua fisionomia rivela.
Il giorno tramonta ed il silenzio avvolge sempre più l'offerta di Josefa. La semplicità di quella serata, così simile alle altre, vela, perfino agli occhi delle sue Madri, l'imminenza del sacrificio. Gesù permette così per riservarsi il segreto di quest'ultima preparazione, di questa consumazione suprema!
Si fa notte. Verso le sette e mezza la sorella infermiera domanda alla piccola malata se qualcosa potrebbe sollevarla. «Oh! Tutto quello che vuole, sorella... Mi sento bene, - aggiunge - e posso restar sola», perché l'Angelus suona ed essa sa che a quell'ora la comunità si riunisce per la cena.
Mistero della condotta di Dio!... Per un insieme di circostanze impreviste, Josefa, che dal 9 dicembre le sue Madri, notte e giorno non hanno mai lasciata, rimane sola!...
E proprio in quella solitudine, in un abbandono voluto da Lui, il divino Maestro passa repentinamente a imprimere sull'anima della sua privilegiata il suggello della configurazione suprema alla sua croce e alla sua morte nel più completo spogliamento di tutto!...
Quando, pochi istanti dopo, la sorella infermiera risale nella piccola cella, Josefa ha cessato di vivere!... Ella è distesa con il capo leggermente rovesciato indietro, gli occhi socchiusi, con un'espressione dolorosa impressa nel volto: tutto in lei sembra ricordare Gesù crocifisso e morente nell'abbandono del Padre.
«- Lasciami scegliere l'ora e il giorno» - aveva detto Gesù.
«- Tutte e due saremo là per condurti in cielo» avevano promesso la Madonna e Santa Maddalena Sofia. Non era forse quello il compenso di quest'ora in cui, nell'abbandono completo della terra, nella solitudine... e forse nell'angoscia si realizzava la parola di Gesù:
«- Tu soffrirai e in un abisso di dolore morrai!»
A questo passaggio del cielo nella piccola cella solitaria, Gesù volle dare un segno evidente, testimone della sua incomparabile delicatezza. Quando verso le undici di sera, bisognò alfine rivestire la cara, piccola sorella coll'abito religioso, quale non fu la sorpresa delle Madri desolate nell'accorgersi che «qualcuno» era già venuto a prendersi cura di lei! Sotto le coperte, che furono trovate rimboccate fino all'orlo, e meglio di come l'avrebbe potuto fare chiunque, Josefa, le braccia stese lungo la persona, aveva indosso la sottana grigia, cinta alla vita e accuratamente stesa fino ai piedi. - Quando? Come? - Chi aveva fatto questo?... Che rispondere a queste domande?... Nessuno era entrato nella camera, come assicurava la sua vicina d'infermeria, e la cara piccola malata, incapace di qualunque movimento e di qualunque sforzo, ignorava perfino dove i suoi abiti fossero stati ripiegati.
Il fatto incontestabile e così in accordo con la verginale modestia di Josefa che aveva sempre temuto di esser toccata dopo la morte - non permetteva forse di pensare che la Vergine immacolata e Santa Maddalena Sofia, fedeli alla loro promessa, avevano voluto dare questa prova di materna presenza più efficace di qualunque altra?
La modesta sottana grigia rimane dunque senza essere toccata come era stata messa, e Josefa se l'è portata nella tomba.
Così terminava la storia dell'Amore fedelissimo in quel sabato, 29 dicembre.
Ben presto la fisionomia di Josefa si illumina di pace e di serenità, mentre una soprannaturale impressione di grazia si spande in tutta la casa.
Al mattino della domenica 30 dicembre le consorelle apprendono con indicibile commozione il segreto divino di quei quattro anni, di cui nessuna aveva sospettato l'esistenza. «È giusto - aveva – scritto - la Madre Generale - che esse siano le prime a raccoglierne la grazia». Viene imposta la massima discrezione, perché nessuno, all'infuori della famiglia dei
Feuillants, dovrà per ora conoscere nulla dei favori e della missione di cui l'umile sorellina è stata depositaria.
Ma quale soffio di fervore solleva le anime al ringraziamento e alla generosità!... La cella dove Josefa riposa circondata di gigli sembra un santuario. Il Cielo vi sembra presente: tutte vi accorrono, vi si affollano nella venerazione e nella preghiera. Il bel volto di Josefa riflette ora la stabilità serena dell'eternità sotto un'impronta di impressionante maestà.
«Non mi sembrava essere davanti ad un letto funebre - scrive una religiosa che la vegliò durante la notte seguente - ma di fronte ad un altare tutto bianco, attorno a cui le palme e i gigli cantavano già l'inno del trionfo della piccola vittima così bella, ivi distesa in un ultimo atteggiamento di offerta. Durante le silenziose ore della notte cercavo con la preghiera di fare eco alla sua. Essa abbracciava il mondo, le anime, i peccatori, la nostra cara Società, e il ringraziamento si mescolava alle suppliche».
Sembra che già il Cuore di Gesù irraggiando attraverso la spoglia dell'umile strumento, così divinamente nascosto fino allora, cominci a sollevare il velo e a scoprire alle anime gli ardenti inviti del suo amore.
«La notte della sua morte, non sapendo che stesse peggio - scrive la sorella cuoca - la vidi in sogno. Era bellissima e riposava su un letto ornato di fiori. Mi fece segno di avvicinarmi: "Oh! sorella mia, non tema la sofferenza, non perda una particella di quella che Gesù le manda! Se sapesse che cos'è soffrire per Lui!... Bisogna che faccia del suo lavoro una preghiera. In ogni cosa dica: mio Gesù, è per Te! Te l'offro; in modo che Egli veda il suo desiderio di essere con Lui e di amarlo... Oh! se sapesse!... Ha tanto bisogno di amore!" Ella ha pronunziato con forza queste parole, cosa che mi ha assai impressionata, tanto più che domenica mattina, andando alla meditazione seppi che era partita per il cielo!»
La sera della domenica 30 dicembre, il Vescovo di Poitiers viene a pregare presso la salma. Un solenne silenzio avvolge quell'ultimo incontro che si prolunga molto. Poi Monsignore benedice di nuovo con effusione quella piccola Josefa affidata dal Cuore stesso di Gesù alla sua vigilanza paterna. Lasciandola non sa nascondere i sentimenti che traboccano dal suo cuore. Firma l'atto di professione di Josefa e si offre a venire lui stesso a dare l'assoluzione dopo la Messa di Requiem fissata per martedì 1° gennaio.
L'anno 1923 si chiude dunque sotto l'effusione delle grazie di cui quell'umile cella sembra essere una sorgente copiosa. Un'attrazione soprannaturale vi attira e vi trattiene le persone e durante tutta la giornata del lunedì 31 gli unanimi ringraziamenti, offerte e desideri che vengono formulati devono consolare il Cuore di Gesù: è già il principio della sua Opera d'Amore!
Verso le quattro e mezzo del pomeriggio Josefa viene deposta con venerazione e amore in una cassa dileguo bianco che la toglie a tutti gli sguardi. Il suo volto calmo conserva ancora quell'irradiamento di dolcezza e di pace notato da tutti fin dalla vigilia. Viene trasportata attraverso il chiostro dei Feuillants fino alla cappella, al posto stesso dove diciotto mesi prima Gesù le aveva detto: «Vedi come ti sono stato fedele!» Mentre la comunità trascorre la notte in adorazione davanti al Santissimo Sacramento esposto nella cappella di S. Stanislao, per terminare ai piedi di Gesù-Ostia quell'anno eccezionale, Josefa da sola veglia presso il tabernacolo dei suoi voti.
Il martedì 1° gennaio ebbe luogo il funerale. «Avevo temuto - scrive la superiora alla Madre Generale - che la coincidenza del capodanno, l'assenza delle educande in vacanza lasciassero la cappella vuota durante la funzione. Ma non fu così: Monsignore, visibilmente commosso, e sei sacerdoti riempivano il santuario. Religiose di ordini diversi, le bambine delle Suore del Buon Pastore nostre protette, le semi-convittrici subito avvertite, le Figlie di Maria della congregazione del Sacro Cuore e un buon numero di persone amiche, facevano, dietro la corona delle Madri e delle Sorelle, una bella scorta alla nostra Josefa, così umile e ignorata».
La Messa di Requiem devotamente cantata si svolse in un raccoglimento che tutto concorreva a rendere commovente. Il Vescovo diede solennemente l'assoluzione e il corteo s 'incamminò mentre il canto «In Paradisum» sollevava i pensieri là ove ormai dobbiamo cercare la nostra piccola sorella.
Pioveva e il tempo nuvoloso contrastava con la pace serena degli animi. Si discesero i viali del giardino, non lontano dall'oratorio di S. Giuseppe, la «Solitudine» dove Santa Maddalena Sofia si ritirava in preghiera, si raggiunse il portone della clausura e Josefa lasciò per sempre i Feuillants! Il carro oltrepassò il limite del confine e sparì nella via.
La sepoltura delle Religiose del Sacro Cuore è all'estremità del cimitero della città. Là una spaziosa concessione lascia il posto a numerose tombe raggruppate attorno a una croce. In faccia al cancello d'ingresso, in una tomba già preparata vengono deposti i preziosi resti di Josefa. La sua tomba non si distingue affatto da quelle delle altre religiose, ma sembra nascondersi ancora sotto il manto verginale di Maria, vicina come è a un'antica sepoltura dominata dalla statua della Madonna. Là riposa l'umile privilegiata del Cuore di Gesù, colei che sarà ormai conosciuta come «Messaggera della Sua Opera d'Amore!»

                                                                                                                                                                                     
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